Il Cristo della via Emilia. Da Guareschi ai giorni nostri

Daniele Benecchi, Cappellano militare regionale della Guardia di Finanza a Bologna; Pierre Laurent Cabantous, Parroco del Duomo di Cervia e autore del libro “Un don Camillo a Cervia”; Daniel Cardenas, Rettore del monastero di Santa Maria degli Angeli a Busseto, Parma; Giancarlo Plessi, Presidente del “Centro Manfredini” di Piacenza; Luigi Valentini, Fondatore della Comunità “Betania” di Parma. Letture di Guareschi con Egidio Bandini; Giornalista e Presidente Gruppo Amici di Giovannino Guareschi; Gianni Govi, Attore e regista. Musiche di Eugenio Martani, Clarinettista; Corrado Medioli, Fisarmonicista.

L’incontro che l’associazione culturale “Gruppo Amici di Giovannino Guareschi” propone quest’anno, prende le mosse dal titolo del Meeting “Una passione per l’uomo” e propone l’intervento di cinque sacerdoti, ognuno dei quali con un’esperienza particolare, che racconteranno qual è il Cristo che incontrano ogni giorno nella loro missione. Gli interventi seguiranno proprio il percorso della Via Emilia, soggetto della mostra “Route 77” che torna dopo 4 anni a Rimini, accompagnata dalla bicicletta Dei “Superleggera” identica a quella utilizzata da Giovannino Guareschi nel suo tour ciclistico lungo la strada consolare.

Con il sostegno della Regione Emilia-Romagna.

IL CRISTO DELLA VIA EMILIA. DA GUARESCHI AI GIORNI NOSTRI

Egidio Bandini: Un grazie perché siete davvero tantissimi. Questo incontro si intitola “Il Cristo della Via Emilia. Da Giovannino Guareschi ai giorni nostri”. Per cui comincio intanto con il ringraziare il Gruppo Amici di Giovannino Guareschi che ha organizzato anche la mostra Route 77 tre anni dopo, che trovate al padiglione B2. Ringrazio la proloco di Brescello, gli amici che sono sempre con noi, ma soprattutto ringrazio i nostri ospiti. Ospiti che comincio a presentare da quelli qui con me sul palco: Gianni Govi, Attore e regista della Dialettale Sissese, il maestro Corrado Medioli, Fisarmonicista di fama internazionale, il Maestro Eugenio Martani, direttore dell’Antico Concerto a Fiato Casanova Cantoni.

E poi passiamo ai protagonisti di questa serata, ovvero a coloro che racconteranno il “loro” Cristo, e sono i nostri sacerdoti che sono qui con noi: Daniel Cardenas del Monastero Identes di Busseto, Don Luigi Valentini, fondatore e anima della Comunità “Betania” di Parma, Don Giancarlo Plessi, Presidente del Centro Manfredini di Piacenza, Don Daniele Benecchi, Cappellano militare regionale della Guardia di Finanza a Bologna, Don Pierre Laurent Cabantous, Parroco del Duomo di Cervia.

Ve li ho presentati in ordine di apparizione, perché così arriveranno qui a portare la loro testimonianza.

Ma intanto cominciamo, raccontandovi con Giovannino Guareschi, questo Cristo della Via Emilia.

 

Gianni Govi: L’ambiente è un pezzo della pianura padana. E qui bisogna precisare che, per me, il Po comincia a Piacenza. Il fatto che da Piacenza in su sia sempre lo stesso fiume non significa niente. Anche la via Emilia, da Piacenza a Milano è sempre la stessa strada, però la via Emilia è quella che va da Piacenza a Rimini. Non si può fare un paragone tra un fiume e una strada, perché le strade appartengono alla storia e i fiumi alla geografia. E con questo? La storia non la fanno gli uomini. Gli uomini subiscono la storia come subiscono la geografia. Incomincio così a far lavorare i miei personaggi, scrivendo su di essi 350 racconti, più altri racconti non pubblicati in quanto usati esclusivamente per la confezione dei cinque film girati dai due personaggi. Il paese di Mondo Piccolo è un puntino nero, che si muove assieme ai suoi Pepponi e ai suoi Smilzi in su e in giù lungo il fiume, per quella fettaccia di terra che sta tra il Po e l’Appennino. Nei racconti compaiono subito Don Camillo e il capoccio della sinistra Peppone, non ancora sindaco. Lo diventerà nel sesto racconto, Scuola serale, e compare subito la voce del Cristo. Si tratta di due personaggi veri, non due, ma venti o quaranta preti e venti o quaranta comunisti concentrati in due personaggi. I quali due personaggi, poi sono un personaggio unico: io. Anche il Cristo sono io, perché come è chiaro, la voce del Cristo non è che la voce della mia coscienza. I fatti raccontati sono realmente accaduti, un po’ da ogni parte, si capisce, oppure sono inventati. Ma i più veri sono quelli inventati, perché dopo che io li avevo inventati sono realmente accaduti, e spesso in modo inverosimile. L’ambiente in cui i miei personaggi operano è il mio paese, è la Bassa, la piatta striscia di terra grassa distesa lungo la riva destra del Po

 

06.26 – 07.21 (Musica dei film di Don Camillo)

 

Egidio Bandini: In piazza, il candidato al parlamento Giuseppe Bottazzi, detto Peppone, prepara l’ultimo comizio e arringa la folla dall’altoparlante: “Cittadini, prima di incominciare la nostra parola in questo comizio conclusivo, vogliamo sperare che certe persone, se non hanno il buon senso di pensare ai fatti suoi, abbiano il buon gusto di non ripetere i loro soprusi. Ci è stato riferito che queste certe persone hanno in mente atti di sabotaggio, allo scopo di turbare la nostra riunione, come già fecero una volta”. Alla Città Giardino Don Camillo, dotato anch’egli di potenti altoparlanti, annuncia l’inizio della festa per i bambini: “Miei cari fratelli, il nostro piccolo spettacolo comincerà con un canto, una dolce canzoncina eseguita dal bambino Marco Bottazzi”. Peppone ha un sussulto, ma si riprende subito e riattacca: “Cittadini, in questo comizio conclusivo il fronte dell’Italia unita …” ma sentendo la voce del figlioletto che canta, si interrompe ancora. Quando il bambino fa l’acuto finale, Peppone trattiene il respiro per paura che sbagli, quando finisce tra gli applausi, tira un sospirone che gli disingolfa il carburatore. Tutti applaudono e gridano: “Bene!” Quelli vicino a Peppone si complimentano, con grandi pacche sulle spalle. Peppone finalmente torna candidato e riprende: “Cittadini, come vi dicevo in questo comizio conclusivo …” Ma neppure stavolta riesce a finire, perché l’altoparlante di Don Camillo riattacca: “E adesso un piccolo coro, al quale partecipano questi bravi bambini, e precisamente Marco Bottazzi, Luigi Bruschi …” A ogni nome il Brusco, lo Smilzo, il Lungo, il Bigio, eccetera, sobbalzano, perché sono i nomi dei loro figli. Lo Smilzo è il primo a riprendersi: “Capo, quel filibustiere ha scelto i figli di tutti i nostri compagni!” Peppone finge tranquillità e prova a riprendere: “Cittadini, noi abbiamo il piacere di dirvi …” Ma la voce dei piccoli alla Città Giardino è troppo attraente, e tutti se ne vanno, poco alla volta. Risuona un applauso dopo il coro dei bambini, e don Camillo riprende: “E adesso, i bambini Bottazzi, Bruschi, Scartazzini, tutti, tutti i figli dei fedelissimi di Peppone, ognuno di loro nell’udire il nome ha uno scatto – eseguiranno tutti una piccola pantomima, intitolata Ali Babà e i Quaranta Ladroni! Fate attenzione a non perdere un movimento, perché ogni movimento ha un significato”. Incomincia la pantomima. Come per incanto, la piazza è deserta. Tutti i compagni sono lì, davanti alla rete metallica, compiaciuti si indicano l’un l’altro i figli. Peppone è in primissima fila

 

10.10 – 10.39  (musica)

 

Don Daniel Cardenas: Buonasera a tutti. Spendo due parole per presentarmi velocemente, perché il tempo è super breve. Sono Daniel Cardenas, come ha detto Egidio. Sono un consacrato, missionario Idente. I missionari Idente siamo una comunità di vita consacrata relativamente nuova, di origine spagnola. IO sono dell’Ecuador, quindi sono l’unico acquisito del gruppo e da quando mi sono consacrato nel 2009, sono stato inviato a Roma molti anni e adesso abito a Busseto, molto vicino a Roncole Verdi dove ha vissuto molti anni anche Giovannino Guareschi e dove tuttora abita Alberto, il figlio, e c’è l’archivio. È da tre anni che abito lì in convento a Busseto. In questi tre anni mi sono innamorato della Bassa, della gente, del cibo ovviamente, della cultura, un po’ di tutto, di Guareschi … Sono onoratissimo di stare qui, molto fortunato, un po’ indegno ma onorato, emozionato anche. Ebbene, il Cristo della via Emilia: è anche un compito difficile portare, dare un volto a quel Cristo della via Emilia di cui parla tanto Guareschi e continuerà a parlare. In questa cornice del Meeting che ha come tema quest’anno La Passione per l’Uomo. Ebbene, mi è stato chiesto un po’ di raccontare il Cristo che io vivo tutti i giorni, soprattutto nei bambini e nei ragazzi, come si è capito un po’ dal brano che precedeva.

Bene, io sì, sento di avere una vocazione molto grande verso i bambini e i ragazzi, il che è una grande responsabilità. Oltre al fatto che la nostra comunità si dedica molto ai giovani che hanno perso la fede e a quelli che non l’hanno mai avuta. Per cui io tra pastorale giovanile in convento, catechesi, tutto, penso che tutti i giorni ho a che fare con i bambini, con i ragazzi, con i giovani. E in questi giorni pensando un po’ a cosa poter dire pensavo da dove viene questa vocazione, da dove la sento forte questa vocazione? E penso che viene soprattutto da un giorno, che ero volontario, avevo 15 anni e facevo il volontario in Tailandia con mio fratello, una pazzia, due mesi, al nord della Tailandia, e c’era un collegio con dei ragazzi che studiavano e non potevano andare a casa perché nelle tribù era troppo lontano, e quindi dormivamo lì tutti, erano 60, 70 più o meno. Non ho tantissimi ricordi chiari, però mi ricordo benissimo di una notte, si dormiva per terra tutti insieme, stavamo lì e prima di addormentarci un ragazzo, che poteva avere magari qualche anno meno di me (io 15, lui 14 o 13), che si gira prima di addormentarsi, mi prende il braccio molto forte, mi guardò e in qualche modo (perché ovviamente il tai non lo parlo), mi guardò e mi disse: “Brother”, guardandomi negli occhi. “Fratello”, forse era l’unica parola che anche lui sapeva di inglese, l’unica parola con cui bene o male si poteva far capire un qualche cosa che aveva dentro, una qualche richiesta, un non so che, però il braccio, lo sguardo, tutto, era una richiesta forte. Non esplicita, perché magari neanche lui sapeva che cosa mi chiedeva, però io sento, mi veniva in questi giorni da pensare, che in quel momento è nata in qualche modo questa mia vocazione verso i bambini e verso i ragazzi, per cercare in qualche modo, meno o più riuscito non lo so, di dare una risposta a quella richiesta. Perché i ragazzi, chi ne ha a che fare lo sa, vi chiedono, magari non con le parole però sì con i fatti, con la musica che ascoltano, con le cose che fanno, anche con le cose brutte che fanno, con tutto, fanno delle domande, chiedono, ci chiedono a noi più grandi, adulti, di rispondere in qualche modo a questo, e cercano le cose belle, vere. A volte è facile criticare i ragazzi, i bambini … Già gli apostoli, ai tempi di Gesù … Gesù rimprovera gli apostoli: “Lasciate che vengano a me, lasciateli”. Cercano cose belle, vere. Adesso mi veniva in mente un dialogo con un ragazzo diciottenne poco fa: si parlava delle relazioni amorose sue, come vive le cose. Io proponevo in modo molto semplice un altro modo. E lui era sorpreso, perché non aveva mai pensato a un altro modo. E dice: “È bello, è vero questo”. Quindi, in poche parole, per finire perché abbiamo i minuti contati, loro chiedono che noi rispondiamo, e io penso, onestamente mi chiedevo: come posso rispondere ai ragazzi, ai bambini, davanti a questa richiesta? E l’unico modo che io penso di poter avere per rispondere è innamorarmi ogni giorno di più di Cristo, che è Colui al quale ho consacrato la mia vita, e in Lui innamorarmi della vita, del mondo, dell’uomo, dei ragazzi. Perché è quello che cercano. Loro vanno dietro a una persona innamorata. Io mi ero innamorato all’epoca della matematica, della poesia, e anche di Dio. Io non mi sono innamorato perché qualcuno mi ha spiegato delle robe e mi ha convinto, ma perché ho conosciuto, ho incontrato delle persone innamorate della matematica, della poesia e di Dio. Quindi questa è un po’ la mia …, quello che ci tenevo a dire, la mia vocazione e la mia passione, anche, per Dio e per i ragazzi, per i bambini.

 

17.06 – 17.26 musica

 

Gianni Govi: ‘Ci sarò io sulla porta del Purgatorio, caso mai tu ci arrivassi per sbaglio, a cacciarti all’inferno a pedate!’

 

Egidio Bandini: “Così diceva il mio vecchio parroco, il quale assomigliava molto a don Camillo. ‘Risparmiatevi il disturbo, reverendo’ rispondevo allora ‘io vado dritto in Paradiso!’. Dopo di questo, il parroco mi allentava uno scapaccione e poi mi insegnava a fare il compito di latino”. Così scriveva Giovannino Guareschi ricordando il suo primo Don Camillo, il colossale don Lamberto Torricelli, parroco di Marore, dove il futuro scrittore si era trasferito con i genitori. Don Lamberto, prima che un gigantesco pretone, era innanzitutto un sacerdote straordinario. Pubblicava dalla sua parrocchia il foglio volante festivo. La voce del pastore, cosa che fa con un altro titolo anche don Camillo; aveva allestivo una cucina dei poveri (don Camillo va addirittura a caccia di frodo per dare un pollo a tutti i poveri a Natale), e per i giovani aveva fondato uno dei primi circoli culturali della gioventù. Chi non ricorda la Città Giardino di don Camillo per i ragazzi? Ma non solo. Don Torricelli fece 108 giorni di carcere nel 1918, in piena guerra mondiale, per aver distribuito proprio attraverso il suo foglio volante festivo la preghiera per la pace di Papa Benedetto XV anche ai soldati. Oggi a Marore, alle porte di Parma c’è la comunità Betania a portare avanti questa testimonianza cristiana di misericordia e di amore.

 

19.08 – 19.32 (fisarmonica, Aggiungi un posto a tavola)

 

Don Luigi Valentini: Credo che ci voleva la fantasia di Egidio Bandini a tirar fuori un titolo come quello, il Cristo della via Emilia. La sua profonda familiarità con Guareschi l’ha portato a mettere insieme questi due elementi, questa terra … rossa, questa popolazione attiva, questa chiesa che cerca di fare i suoi passi e che si trova continuamente nel bisogno di recuperare novità. Nel 1981, la Conferenza Episcopale Italiana ha scritto un piccolo, piccolo documento di straordinaria bellezza, intitolato “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese”. Qualche anno dopo, un paio di anni dopo, nella comunità dove vivevo allora, nella parrocchia dove vivevo, nella periferia di Parma, la parrocchia Maria Immacolata, una parrocchia nuova, nata in pochi anni in quei prati verdi che costituivano in qualche modo il perimetro della città, in quella parrocchia nuova si era portato avanti il discorso della pace, l’impegno della pace, e diversi giovani avevano fatto la scelta dell’obiezione di coscienza, un discorso caduto in disuso purtroppo per tante circostanze, scegliendo dunque il discorso del servizio civile anziché fare l’addestramento militare. È stato con quel primo gruppo di 7 giovani che abbiamo preso in mano quel piccolo documento. Al capitolo quarto e al capitolo quinto si dicevano delle cose che si potrebbero scrivere oggi benissimo, senza nessuna paura. Scrive quell’articolo: “Il progresso economico e sociale che anche l’Italia ha sviluppato dagli anni del Dopo guerra è per tanti versi innegabile. Ma con esso si sono anche affermati elementi regressivi, che hanno portato alla perdita dei valori senza i quali è impossibile che quel progresso sia vero e fecondo per il bene comune”. E noi oggi ce ne accorgiamo e vediamo i frutti. Poi il documento continuava: “Ma bisogna innanzitutto decidere di ripartire dagli ultimi, che sono segno drammatico della crisi attuale”. Con quel gruppo di ragazzi e anche con le ragazze, le loro fidanzate, quelle che appartenevano un po’ al gruppo della parrocchia, si è detto che qualcosa certamente bisognava fare. Si è deciso di pensare di cominciare ad aprire gli occhi sulla situazione del nostro territorio, e ci si è accorti di quante presenze problematiche, e di quante famiglie vivevano davvero dei disagi profondi, legate a quelle che erano le antiche e le nuove povertà. Da una parte – siamo negli anni Settanta / Ottanta – c’era il fenomeno migratorio allora dal Sud Italia verso il Nord alla ricerca di lavoro, e persone che arrivavano, e famiglie che arrivavano con pochissimi mezzi e che dovevano abituarsi, adattarsi a delle circostanze e a delle situazioni molto precarie. Ma c’era un altro fenomeno che stava venendo avanti in modo molto evidente, che era quello della droga, della dipendenza. Ed è così che si è pensato di cominciare ad aprire le nostre case per farle diventare luogo dove chi voleva ritrovare un percorso liberatorio dalla schiavitù della dipendenza dalla sostanza, potesse in qualche modo trovare delle mani amiche, delle persone competenti, dei luoghi dove lo stimolo e il richiamo della sostanza non avvenivano. Ed è così che nell’82 il vescovo di Parma di allora, Benito Cocchi, che vogliamo sempre ricordare con grande gratitudine, Benito Cocchi è stato poi anche vescovo di Modena, una domenica pomeriggio è venuto e mi ha detto: “Ascolta, vedo che per te ci vuole una parrocchia piccola e una canonica grande”. È stato così che ci si è messi alla ricerca, e nell’83 è cominciata la comunità Betania. La comunità è nata nella canonica di Marore, proprio in quella canonica dove io ero da poco parroco e dove aveva vissuto don Lamberto Torricelli, di cui abbiamo visto poco fa l’immagine. Don Torricelli era parroco di Marore dal 21, credo. La mamma, maestra, la Signora Lina, era insegnante elementare, era stata incaricata dell’insegnamento a Marore e quindi la famiglia si era trasferita – lo ha ricordato prima Egidio – si è trasferita a Marore. Giovannino andava dal parroco a lezione di latino. Però l’immagine, l’impatto, l’incontro di Giovannino con questo parroco Don Torricelli, è stato sicuramente significativo non solo da un punto di vista estetico, apparente, ma anche da un punto di vista valoriale, tanto è vero che Guareschi, pur non essendo un chiesolante, cioè quelle persone che frequentano regolarmente le parrocchie, le chiese, però era molto ricco di grandi valori cristiani, nei quali lui si riconosceva e che non ha nessuna difficoltà poi a descrivere nel grande personaggio, nel mitico personaggio di Don Camillo.

Guareschi, Don Camillo, la mamma Lina maestra, la comunità Betania.  È la continuità, in qualche modo, di un modo di vivere il cristianesimo dove la parola diventa presenza, dove la parola la ricerca negli uomini, nei loro occhi. E Papa Francesco ci ha insegnato che dobbiamo andare a cercare soprattutto nelle periferie. Non per niente siamo in via del Lazzaretto. Già l’antica via Emilia, l’antica via consolare trovava in San Lazzaro il posto di sosta, di riposo per la notte negli ostelli, e poco lontano c’era il Lazzaretto che serviva per la cura delle persone che erano malate, che avevano dei problemi. Ecco, la nostra comunità è situata proprio in via del Lazzaretto. La periferia che abbiamo incontrato nella storia di tanti uomini … Oggi la comunità Betania si è allargata, sono dieci sedi che si occupano di accogliere persone con patologie, problematiche, disagi diversi, tossicodipendenti, detenuti, ammalati di AIDS, senza fissa dimora, stranieri immigrati, ultimamente anche mamme soprattutto con bambini che vengono dalle situazioni di guerra attuale che portano alla necessità. Betania oggi ospita 130 persone. Una parrocchia, una comunità cresciute insieme e che cercano gli uni gli altri di trovare ancora senso andando a scoprire l’uomo là dove la periferia diventa non il luogo della beneficienza, non il luogo dove si va una volta tanto per fare un’opera buona, ma la periferia diventa il luogo da abitare tutti i giorni, perché è lì dentro che si riscopre davvero la bellezza e la dignità del volto dell’uomo.

Grazie del vostro ascolto.

 

30.17 – 30.50 (fisarmonica, Aggiungi un posto a tavola)

 

Gianni Govi: ‘Gesù, perdonate se adesso l’altare l’ho fatto sul campanile, e celebrerò di lassù. Ma con l’alluvione, anche in chiesa c’è un metro d’acqua …’

 

Egidio Bandini: Il Cristo sospirò: ‘Don Camillo, cosa fai tu qui? Il tuo posto non è fra la tua gente?’

 

Gianni Govi: ‘Gesù, la mia gente è qui. I corpi sono lontani, ma col cuore essi sono tutti qui’.

 

Egidio Bandini: ‘Don Camillo, le tue braccia sono forti e restano qui inoperose, mentre potrebbero servire ad aiutare i più deboli’.

 

Gianni Govi: Don Camillo dormì parecchio, perché quel silenzio sconfinato pesava sul cervello e lo intorpidiva. Qualcuno lo chiamava, e allora Don Camillo accese la torcia elettrica ed esplorò l’acqua sotto la finestra. Dentro una grande bigoncia c’era un fagotto di stracci che si muoveva. ‘Chi sei?’ ‘Sono la Rosa dei Maroli’, disse il fagottello di stracci. ‘Il nonno vuole vedervi’. Il vecchio Maroli era alla fine. ‘Mi volevano far morire come un cane in un ospedale – ansimò – Io voglio morire come un cristiano nella mia casa! Che Matto, dicevano che ero matto. Dicono che anche lei è matta’. La ragazza era lì immobile e muta che fissava il vecchio. ‘Rosa – ansimò il vecchio – vero che tu sei matta?’ La ragazza fece di no scuotendo il capo. ‘Mi fa male la testa delle volte, allora non capisco più bene’ disse timidamente. ‘Le fa male la testa, ecco!’ disse il vecchio. ‘Quando era piccolina è caduta contro un sasso, adesso ha un osso che le preme il cervello. L’ha detto quel professore, a me lo ha detto. Con un’operazione sarebbe tutto andato a posto. Voi le farete fare l’operazione – disse il vecchio. ‘Tiratemi da parte il letto. Ecco, lì, nel muro, in fondo, togliete quel mattone rigato’. Don Camillo cavò il mattone e trovo un sacchetto che pesava come il piombo. ‘Oro – ansimò il vecchio – roba d’oro, marenghi d’oro, roba mia, tutto per lei. Fatele fare l’operazione, mettetela in casa di qualche persona per bene che la istruisca. Gli faremo vedere noi se siamo matti o no, è vero, Rosa?’ La ragazza fece di sì con la testa. ‘Voglio morire come un cristiano’ ansimò il vecchio. Don Camillo navigò verso la chiesa e quando fu davanti all’altar maggiore guardò su. ‘Gesù, disse, voi lo sapete. L’ha detto lei, non aveva paura perché vedeva la luce nella mia finestra e sentiva la campana. Non è pazza. Il fatto è che è caduta da piccola. Con l’operazione guarirà!’

 

Egidio Bandini: Anche tu sei caduto da piccolo, povero Don Camillo’ rispose il Cristo sorridendo. ‘Ma tu non guarirai mai! E così ascolterai sempre più il tuo cuore che il tuo cervello. Che Dio ti conservi intatto quel tuo benedetto cuore!’

 

34.26 – 35.24 (musica)

 

Don Giancarlo Plessi: Devo sempre ringraziare Egidio per questo invito qui al Meeting, dove sono di casa, dove sono cresciuto e che ha dato tanto alla mia vita di uomo e di sacerdote. Nella coscienza della gratuità assoluta degli interventi di Dio della storia, il valore più puro e obiettivo della vita cristiana, gli incontri che il Signore ha realizzato per noi, sono un dono talmente puro che la nostra natura non avrebbe neanche potuto immaginare o prevedere. Ecco, questo dono si chiama grazie. Potete immaginare quanto sia felice in questo momento di ascoltare la testimonianza di questi miei confratelli, che in un modo o in altro raccontano della propria passione per Cristo, vero uomo e vero Dio, inizio e fine di tutta la nostra vita. Io oggi non parlo di me o della mia storia personale. Racconto la vita di un mio amico sacerdote, don Angelo. Stessa età, stesso paese di origine. Iniziatore, quasi quarant’anni fa dell’esperienza cristiana del Centro Manfredini di Piacenza. L’unicità vera, reale di questo centro è stata proprio la presenza stabile di questo prete e la sua instancabile testimonianza nel promuovere iniziative culturali, momenti di profonda spiritualità, ma soprattutto accoglienza di persone fragili, con cui vivere stabilmente come in una vera famiglia. Devo ora raccontare un episodio che ho vissuto con Don Angelo quando eravamo bambini, ma già innamorati di Cristo e della Sua Chiesa. Un giorno mi ha chiesto se lo accompagnavo nella casa di riposo del nostro paese. Non ero molto entusiasta, il luogo non era tra i miei preferiti, ma per l’amicizia che ci legava l’ho seguito senza dire una parola. Come siamo entrati in quel camerone pieno di anziani, ho capito che quello era il luogo in cui si trovava meglio. Aveva una parola buona ed un sorriso per tutti, ed era ricambiato con l’affetto. In quel momento ho compreso che quella sarebbe diventata la sua missione per tutti gli anni della sua adolescenza, testimonianza singolare della sua vocazione sacerdotale. Durante gli studi del seminario teologico, sollecitati dall’esempio e dalla parola del nostro caro vescovo Enrico Manfredini, ci siamo dedicati pieni di entusiasmo alla cura delle parrocchie che ci erano state assegnate, ognuno secondo il carisma e la storia che aveva incontrato. Dopo l’ordinazione sacerdotale, don Angelo sente la necessità di iniziare a vivere la sua particolare vocazione. Senza titubanze, tra mille ostacoli, comincia a vivere questa nuova esperienza accanto alle persone più deboli e bisognose. Nasce così il centro Manfredini, intitolato proprio al nostro caro vescovo. Si parte con l’aiuto di un gruppo di giovani, instancabili e appassionati, e di tanti volontari adulti che vedevano in quest’opera singolare una grande opportunità per vivere seriamente il proprio cammino cristiano. Tutti questi anni mi ha sempre accompagnato questa domanda: ma come si fa a vivere tutti i giorni inchiodati in una realtà così complicata? Accudire e coinvolgere i disabili, coordinare il lavoro dei volontari, promuovere decine e decine di incontri culturali, dare ospitalità ad un sacco di gruppi, vivere solo di carità, essere sempre pronti ad ascoltare tutti quelli che bussano alla porta, condividere i momenti di preghiera, e tanto altro che rimane racchiuso nel cuore di centinaia di persone che si sono avvicinate a questa esperienza così ricca nella sua semplicità. Don Angelo risponde sempre nello stesso modo: “Se ci fosse Gesù al mio posto, cosa farebbe?” Ognuno ha ricevuto dal Signore dei doni preziosi, deve solo saperli conoscere e ringraziarlo attraverso l’offerta della propria vita.

Oggi sono qui dunque a ringraziare il Signore per questa preziosa amicizia che mi ha accompagnato per tutta la vita. Quattro anni fa il mio caro amico ha attraversato un momento molto difficile e doloroso, e il centro ha rischiato di chiudere. Era venuto il momento anche per me di prendere una decisione importante. Non si poteva rinunciare ad una esperienza così ricca e significativa. Ed ora eccomi qui, presidente pro tempore. L’opera continua va avanti. Sono cambiate alcune modalità, si faranno nuovi progetti, ma con l’aiuto dei bravi volontari che sono rimasti niente andrà perduto di tutto ciò che solo la grazia divina ha permesso che accadesse.

Grazie!

 

42.35-42.42 Fisarmonica

 

Gianni Govi: ‘Gesù’, diceva don Camillo al Cristo crocifisso dell’altare ‘io li aspetto a Natale. Non s’è mai dati, in tanti anni che son qui, che siano mancato alla Messa di mezzanotte. E la notte di Natale ritorneranno. È impossibile che possano rinunciare alla Messa di mezzanotte. Giubai, quando l’altr’anno era ricercato dalla polizia per via di quel pasticcio, la notte della vigilia ritornò a galla, e io lo vidi là in fondo, in quell’angolo, intabarrato fino agli occhi. Gesù, fidatevi di me!’

 

Egidio Bandini: ‘Io mi sono sempre fidato di te, rispondeva il Cristo sorridendo, ma tu poi ti fidi di te?’

 

Gianni Govi: ‘Beh, abbastanza … Però più che altro, io mi fido di Voi’.

 

Egidio Bandini: Quando si appressò al Natale Don Camillo mise in movimento le sue cellule, e incominciarono ad arrivare le prime notizie. Nelle famiglie si discuteva tra mariti e mogli, le mogli cominciavano a dire che, insomma, almeno per la Messa della vigilia bisognava rompere la regola. E venne la Vigilia di Natale. Cadde la notte e la chiesa era piena di luci e di canti. Ma seduti sulle dure panche dello squallido salone della Casa del Popolo uomini cupi ascoltavano in silenzio Peppone, che leggeva roba che nessuna sapeva cosa fosse. Ogni tanto nelle pause il vento della notte portava le note dell’organo della chiesa ad appiccicarsi contro i vetri delle finestre del salone. La Messa finì alla sveltina, perché don Camillo era nervoso, aveva un chiodo piantato nel cervello, un chiodo che gli dava un fastidio tremendo! Rimasto solo in chiesa si svestì in fretta e andò a sbarrare la porta col catenaccio.

 

Gianni Govi: ‘Compagni! stava dicendo Peppone, adesso per finire degnamente questa democratica riunione vibrante di fede, vi leggerò un magistrale profilo di Mao Tse Tung’.

 

Egidio Bandini: Quando la porta si spalancò, ed entro un grosso uomo intabarrato che, passando come un panzer tra le panche, arrivò davanti al palco sul quale stava Peppone, salì la scaletta e spalancato il tabarro cavò fuori una vecchia cassetta grigioverde, che mise con violenza sul tavolino di Peppone. Tutti quelli delle prime due file di panche la conoscevano a memoria, quella vecchia cassetta grigioverde, perché l’avevano vista tante volte in montagna, quando don Camillo rischiava le pallottole per arrivare fin lassù. E quelli delle due prime file si alzarono. Don Camillo sollevò il coperchio della cassetta ed ecco sorgere l’altarino da campo. Peppone, intanto, si era alzato ed era sceso dal palco. Don Camillo si volse un momento e fece un grugnito. Allora, caracollando, lo Smilzo salì la scaletta e arrivò al fianco di don Camillo, come aveva fatto tante volte lassù. Poi lo aiutò a vestirsi, accese le candele e quando fu ora si inginocchiò a lato dell’altare. Fu una Messa povera, roba da soldati, roba quasi clandestina. Ma avevano spento le luci della sala e le candele dell’altarino facevano un bell’effetto. E poi le note dell’organo della chiesa, quelle che erano venute ad appiccicarsi ai vetri delle finestre del salone, erano ancora vive e palpitanti. E così c’era anche una lontana musica nell’aria.

 

46.15 – 47.29 (musica)

 

Don Daniele Benecchi: Non ho scelto io questo brano di Guareschi. Quel tanghero di Egidio, che prima mi provoca così, e poi pretende che io in cinque minuti chiuda tutto … Allora, da tre mesi Peppone minaccia di rompere la testa a qualunque comunista vada in chiesa, e don Camillo sta soffrendo molto, perché sa che, senza sacramenti, tutti quegli uomini che lui conosce fin dall’infanzia rischiano di perdere la vita eterna. Spera invano che tornino per la Messa di mezzanotte di Natale. Don Camillo è stato cappellano militare durante la grande guerra, e come tanti altri si è unito ai partigiani, come Mons. Loris Capovilla, che tutti conoscono come il segretario di San Giovanni XXIII. Ma pochi sanno che era cappellano militare dell’Aeronautica. L’8 settembre del ’43 era all’aeroporto di Parma, fece fuggire venti avieri e poi si unì ai partigiani. Adesso speriamo di intitolare la base dell’Aeronautica di Parma a suo nome. Dovrebbe concludersi a breve questa pratica. Dicevo che Don Camillo appartiene a quella schiera di sacerdoti che hanno portato Cristo in mezzo ai combattenti, incuranti dei rischi, pur di donare agli uomini in pericolo di vita la presenza di Gesù. I suoi compagni d’arme della guerra partigiana si sono allontanati dalla Chiesa, la rifiutano. Ed egli che cosa fa? Fa quello che ha fatto in quegli anni, in quei Natali lassù in montagna: gli porta Cristo. E lo porta attraverso l’azione più gratuita che un sacerdote possa fare, la celebrazione della Santa Messa. Il mistero del Sacrificio Eucaristico non è una proprietà del celebrante, non gli viene chiesta fantasia, inventiva, carisma. Gli viene chiesta la fedeltà a qualcosa che non è suo, non gli appartiene ma gli viene affidata. Il sacerdote celebrante, attraverso l’applicazione precisa del rito della Chiesa, dona le sue mani, la sua voce, la mente e il cuore a Cristo, perché attraverso di lui che ripete gesti e parole che non sono sue, si rinnovi il sacrificio di Gesù, il pane divenga corpo e il vino divenga sangue. Così Gesù Cristo diviene realmente presente e si dona ai suoi fratelli e alle sue sorelle, si unisce in comunione con tutti loro attraverso l’Eucarestia. Allora, se a rendere presente Gesù Cristo sono i sacerdoti, ecco che il volto di Cristo per me è quello dei miei confratelli cappellani militari. Sette preti, adesso nove, che da Piacenza a Rimini per tutta la Regione portano Cristo dove nessuno si aspetterebbe che Cristo voglia andare. Don Pietro a Piacenza, che era già in congedo da sei anni, ma quando è mancato il cappellano ai reparti militari della città, si è subito offerto e adesso sta seguendo più di duemila militari con le loro famiglie e nel frattempo ha costruito anche una nuova chiesa. Ha chiesto aiuto a don Luigi. Don Luigi è stato per trent’anni il cappellano del Cinquantesimo Stormo, Aeroporto di San Damiano a Piacenza. È ammalato, però non si tira indietro e almeno una volta alla settimana torna in aeroporto da quella gente che ha sempre amato e di cui si è sempre messo al servizio. A Modena, i cadetti dell’Accademia militare dell’esercito hanno la fortuna di essere con don Marco. Don Marco è giovanissimo, è stato ordinato sacerdote due anni fa, proprio per l’ordinariato militare. È lì in accademia, sempre con i cadetti, che ci sia da incoraggiarli negli studi o prepararli a ricevere un sacramento, da andare in udienza dal Papa o lanciarsi col paracadute con loro. È un giovane in mezzo ai giovani, ma non è mai lui il protagonista. Lui è quello che indica Gesù, che lo rende presente in mezzo a loro. Bologna è sede di tre cappellani militari. Oltre a me c’è don Sergio, è in congedo da quattro anni ma non ha voluto lasciare i suoi soldati, quelli del suo comando, dei suoi due reggimenti e di altri quattro comandi sparsi per tutta Bologna. È una presenza paziente, umile e semplice. Tutti sanno che possono sempre bussare alla sua porta, anche quelli che non vanno mai in cappellina. Don Giuseppe è il cappellano di tutti i settemila carabinieri in servizio nell’Emilia Romagna, delle loro famiglie e dei carabinieri in congedo. Significa che la sua parrocchia è sparsa per tutto il percorso della via Emilia, da Piacenza a Rimini, ovunque ci sia un comando, una stazione o una compagnia dei carabinieri. La sua vocazione è nata mentre era maresciallo dei carabinieri, ha lasciato il servizio per mettersi al servizio di Dio. È anche il cappellano di noi cappellani, il nostro decano di zona pastorale, è lui che ogni mattina, infallibilmente, ci invia il suo buongiorno con Whatsapp. È il coordinatore delle nostre attività. Noi lo ricambiamo aiutandolo a diventare santo, perché lo obblighiamo a esercitare le virtù della pazienza e della misericordia in maniera eroica. Continuando sulla via Emilia verso Rimini, incontriamo a Forlì e a Cervia don Marco. Ha portato Cristo in mezzo ai nostri soldati due volte in Kosovo, due volte in Afghanistan, in Bosnia e in Libano. È uno dei tanti cappellani che ha dovuto rispondere alla domanda che sempre pongono i nostri militari di fronte agli orrori e alle sofferenze di cui sono testimoni in qualsiasi tipo di guerra, in qualunque parte del mondo: “Perché, se Dio è buono, permette questo male?”. L’unica risposta è il crocifisso, è il Cristo sofferente, che è presente in ogni luogo dove c’è il dolore e dove c’è la violenza, e con la Sua presenza alimenta la speranza e la certezza che il bene vince il male. Adesso nel villaggio Azzurro di Cesena, il comprensorio che ospita le famiglie dei militari del 15mo Stormo, don Marco ha costruito una vera comunità parrocchiale. Lui è il pastore e l’animatore della comunità. Finiamo a Rimini. È in corso un cambio. Viene da Latina, dal 77mo Stormo don Antonio, che è sardo, e don Francesco, anche lui sardo, dopo sette anni nei reparti riminesi va vicino a Ferrara, al Comando Operazioni Aerospaziali dell’Aeronautica. A Ferrara deve ricostruire, sono anni che non c’è un cappellano fisso in una delle realtà più grandi dell’Aeronautica militare. E purtroppo, se non c’è il sacerdote, le comunità si disgregano. Però quando arriva un sacerdote, uno come don Francesco, la comunità rifiorisce. A questa comunità si sta unendo anche don Mauro, che è un veterano con le spalle di 26 anni di servizio, e andrà a portare Cristo al Reggimento Genio Ferrovieri e al Sesto Reggimento logistico.

Nove preti sparsi per tutta la regione, che portano il Cristo a più di diciassettemila militari, le loro famiglie, i dipendenti civili. E abbiamo un grande debito nei confronti del nostro vescovo, Mons. Marcianò. Perché? Perché è un sacerdote, perché ha una diocesi che copre tutta l’Italia ed è una diocesi che si estende fuori dall’Italia, ovunque ci sono militari italiani. Non c’è base, non c’è caserma, non c’è reparto, non c’è missione all’estero dove lui non si sia recato, dove lui non abbia celebrato la Messa, non abbia confessato, non abbia cresimato o battezzato. Io credo che sia l’unico vescovo italiano che io conosca che si è dovuto mettere il giubbetto antiproiettile per andare a celebrare il Natale e la Pasqua con i suoi fedeli. Afghanistan, Iraq. Ecco, io dico che chiunque l’abbia incontrato a tu per tu, dai generali all’ultima recluta, ha incontrato un amico fraterno, un testimone di quel Cristo che ha fatto festa con i propri amici, si è commosso davanti a genitori in lacrime, persone ammalate, che ha pianto sulla tomba di Lazzaro. Nove cappellani e un arcivescovo, loro sono il volto di Cristo per me, nella mia vita.

 

57.24 – 58.16 (Musica, Il Piave)

 

Egidio Bandini: Una sera Don Camillo stava in chiesa assorto nelle sue preghiere, quando udì cigolare la porticina del campanile e non fece neppure in tempo a levarsi in piedi che Peppone gli stava dinanzi. Peppone aveva il viso tetro, teneva una mano dietro la schiena, pareva ubriaco, i capelli gli ciondolavano sulla fronte. Lentamente Peppone trasse la mano da dietro la schiena e porse a don Camillo un grosso pacco, stretto e lungo. Deposto il pacco sulla balaustra dell’altare strappò la carta blu, e apparvero cinque lunghe torce di cera, grosse come un palo da legna

 

Gianni Govi: ‘Sta morendo’

 

Egidio Bandini: Spiegò con voce cupa Peppone. Allora don Camillo si ricordò che qualcuno gli aveva detto che il bambino di Peppone da quattro o cinque giorni stava male. Ma don Camillo non ci aveva fatto molto caso, credendo si trattasse di cosa da poco.

 

Gianni Govi: ‘Sta morendo’, disse Peppone. ‘Accendetele subito’.

 

Egidio Bandini: Don Camillo andò in sagrestia a prendere die candelabri, e infilate le cinque grosse torce di cera si accinse a disporle davanti al Cristo.

 

Gianni Govi: ‘No’, disse Peppone, ‘quello lì è uno della vostra congrega. Accendetele davanti a quella là, che non fa della politica’. Don Camillo, a sentir chiamare “quella là” la Madonna, strinse i denti e sentì una voglia matta di rompere la testa a Peppone, ma tacque e andò a disporre le candele accese davanti alla statua della Vergine, nella cappelletta a sinistra. Si volse verso Peppone: ‘Diteglielo’, ordinò con voce dura Peppone.

 

Egidio Bandini: Allora Don Camillo si inginocchiò e sottovoce disse alla Madonna che quelle cinque grosse candele gliele offriva Peppone perché aiutasse il suo bambino che stava male. Quando si rialzò, Peppone era scomparso. Passando davanti all’altar maggiore, don Camillo si segnò rapidamente, tentò di sgattaiolare via, ma la voce del Cristo lo fermò. ‘Don Camillo, cos’hai?’

 

Gianni Govi: Don Camillo allargò le braccia, umiliatissimo. ‘Mi dispiace – disse – che abbia bestemmiato così, quel disgraziato! Né io ho trovato la forza di dirgli niente. Come si fa a fare delle discussioni con un uomo che ha perso la testa perché gli muore il figlio?’

 

Egidio Bandini: ‘Hai fatto benissimo’, rispose il Cristo

 

Gianni Govi: La politica è una maledetta faccenda’ spiegò don Camillo. ‘Voi non dovete averne a male, non dovete esser severo con lui’.

 

Egidio Bandini: ‘E perché mai dovrei giudicarlo male?’ sussurrò il Cristo. ‘Egli, onorando la madre mia mi riempie il cuore di dolcezza. Mi spiace un po’ che l’abbia chiamata “quella là” …’

 

Gianni Govi: Don Camillo scosse il capo: ‘Avete inteso male, protestò, egli ha detto: Accendetele tutte davanti alla Beata Vergine Santissima che sta in quella cappella là. Figuratevi, se avesse avuto il coraggio di dire una cosa simile, figli o non figli, l’avrei cacciato fuori a pedate’

 

Egidio Bandini: ‘Ho proprio piacere che sia così – rispose sorridendo il Cristo – proprio piacere! Però, parlando di me ha detto “quello lì”.

 

Gianni Govi: ‘Non lo si può negare’, disse don Camillo. ‘A ogni modo io sono convinto che egli lo ha detto per fare un affronto a me, non a Voi. Lo giurerei, tanto ne sono convinto’.

 

Egidio Bandini: Don Camillo uscì, e dopo tre quarti d’ora rientrò in piena agitazione.

 

Gianni Govi: ‘Ve l’avevo detto!’ Gridò sciorinando un pacco sulla balaustra. ‘Mi ha portato cinque candele da accendere anche a Voi. Cosa ne dite?’

 

Egidio Bandini: ‘È molto bello tutto questo’, rispose sorridendo il Cristo.

 

Gianni Govi: ‘Sono più piccolette della altre, spiegò don Camillo, ma in queste cose quella che conta è l’intenzione. E poi dovete tener presente che Peppone non è ricco, e con tutte le spese di medicine e dottori si è inguaiato fino agli occhi’.

 

Egidio Bandini. ‘Tutto ciò è molto bello’, ripeté il Cristo. Presto le cinque candele furono accese e pareva che fossero cinquanta tanto splendevano.

 

Gianni Govi: ‘Si direbbero persino che mandino più luce delle altre’ – osservò don Camillo.

 

Egidio Bandini: E veramente mandavano molta più luce delle altre, perché erano cinque candele che don Camillo era corso a comprare in paese, facendo venir giù dal letto il droghiere, e dando soltanto un acconto, perché don Camillo era povero in canna, e tutto questo il Cristo lo sapeva benissimo. E non disse niente, ma una lagrima scivolò giù dai suoi occhi e rigò di un filo d’argento il legno nero della croce. E questo voleva dire che il bambino di Peppone era salvo. E così fu.

 

1.03.08 – 1.03.29       Musica (di Don Camillo)

 

Don Pierre Laurent Cabantous: È da nove anni ormai che sono parroco a Cervia, Cervia è una città che Guareschi amava profondamente, era la città dove trascorreva le vacanze, dove aveva acquistato una casa che c’è tuttora, una città dove avrebbe amato fossero girate anche alcune scene dei famosi film di Don Camillo, perché la chiesa del Duomo è proprio di fronte al palazzo comunale, siamo dirimpettai in una bellissima piazza, tra l’altro. E a Cervia Guareschi morì. Morì il 22 luglio del 1968. E quindi nel 2018, nel cinquantesimo anniversario, sono state fatte tantissime iniziative a Cervia. Proprio in quell’occasione ho avuto la gioia di incontrare, il dono di incontrare Egidio Bandini, per la presentazione di un suo libro molto bello, Don Camillo, un pastore con l’odore delle pecore. Da lì è nata un’amicizia che ci ha condotto fino a qui quest’oggi, al Meeting. Francamente mai l’avrei pensato, quando nei primi anni Ottanta, da ragazzino, frequentavo il Meeting. E tutto questo che cosa ha provocato in me? Ora tutte queste iniziative legate all’anniversario di Guareschi, hanno fatto sì che innanzitutto rinascesse in me quell’amore mai sopito per il Mondo Piccolo. Mi sono sempre chiesto: perché tutti quanti sentiamo ogni volta che leggiamo Guareschi, ogni volta che vediamo un film di Don Camillo che viene regolarmente riproposto, come una sorta, starei per dire, di nostalgia, anche se magari in quei tempi non eravamo neppure nati? Eh, perché il Mondo Piccolo è un mondo sempre aperto alla grazia, nonostante i limiti, nonostante i peccati, nonostante gli scontri, nonostante tutto era un mondo aperto alla grazia. Anzi, mi ha sempre colpito il fatto che il cardinal Giacomo Biffi, commentando i racconti di Guareschi diceva, con la sua acutissima e geniale ironia, che certo, don Camillo viveva una profondissima amicizia con Cristo, ma il vero teologo era Peppone, perché era lui che domandava, faceva le domande ultime, le domande del senso religioso le poneva Peppone, era Peppone che aveva un profondo senso religioso nell’affronto della realtà. Tanto è vero che entrambi vivevano una cosa che adesso non c’è più, e cioè, se si diceva il termine famiglia, don Camillo e Peppone capivano la stessa cosa. Adesso non è più così. Se si diceva vita, don Camillo e Peppone pensavano alla stessa cosa, così come lavoro eccetera. Certo, si scontravano duramente l’uno con l’altro, erano su diverse posizioni, ma la realtà, le domande vere, originali, era questo che caratterizzava, che caratterizza il Mondo Piccolo. Ora, sollecitato da questo ho cominciato a pubblicare dei post su Facebook, utilizzando come espediente letterario i famosi dialoghi di don Camillo con il crocefisso, i miei dialoghi con il crocefisso. Certo, dialoghi di fantasia, ma tutt’altro che fantasiose erano le circostanze, i fatti che provocano questi dialoghi. E sono dialoghi che vertono su tutto, dal valore della preghiera all’importanza dei sacramenti, dall’emergenza educativa al rapporto con i ragazzi eccetera. Insomma, tutti i vari argomenti, tutti i fatti e le circostanze che accadono in una parrocchia. E con mia grande sorpresa, questi dialoghi pubblicati su questo social, su Facebook, sono diventati, come si usa dire nel gergo dei social, virali. Cioè pubblicati, condivisi, eccetera eccetera. Allora, per rendervi conto di questo, visto che il tempo è pochissimo e io sono l’ultimo, leggiamo rapidamente l’ultimo dialogo. I primi sono pubblicati in questo breve libro, in questo piccolo libro, Un Don Camillo a Cervia, che trovate anche nella libreria del Meeting. L’ultimo invece non è ancora pubblicato … Ah, quello della Comunione. Proprio perché è corto corto. Allora lo trovate anche nel libro, questo. È uno degli eventi che capita in tutte le parrocchie, è un dialogo che ho fatto in occasione di una prima comunione. Infatti, il titolo del dialogo si chiama Una prima comunione speciale.

La voce del Signore, ovviamente, a Egidio Bandini.

 

Egidio Bandini: ‘Ti vedo stanco, don Pierre Laurent, ma nonostante questo sei pieno di gioia’

 

Don Pierre Laurent Cabantous: ‘Ti rendo grazie, Signore Gesù, ti rendo grazie per avermi creato, fatto cristiano e sacerdote. Per un parroco, ogni prima comunione è motivo di una gioia indescrivibile. Ma non potrò mai dimenticare la grazia che mi hai concesso di fare esperienza di una prima comunione speciale. Sono passati ormai più di vent’anni, ma la commozione che provai quel giorno si rinnova in me ogni volta che ci penso.

 

Egidio Bandini: ‘Tutte le prime comunioni sono come dici tu, speciali’.

 

Don Pierre Laurent Cabantous: È vero, Gesù, mi spiego meglio. Mi riferisco alla prima comunione di R, bambina con la sindrome di Down, simpaticissima, ma estremamente vivace. Per esempio, passava rapidamente nello spazio di un’ora da momenti di euforia, con grandi slanci affettivi, a irrequietezza e collera. Non riusciva a stare seduta più di dieci minuti. Insomma, metteva a dura prova la pazienza dei genitori, degli insegnanti, delle catechiste. Giunge la domenica della prima comunione. Prima della celebrazione della santa Messa le catechiste fanno proprio miracoli per farla stare nel posto che le era stato assegnato. Nonostante ciò, riesce ad eludere l’attenzione di tutti e riesce ad entrare in sacrestia, dove stavo indossando i paramenti. Mi sento tirare il camice dietro. Mi giro e immediatamente esclamo con tono severo: Torna subito al tuo posto! R, per nulla intimorita, con piglio deciso afferma: Ti devo fare una domanda. Sbuffando le rispondo: E va bene, sentiamo! Ma dopo torni subito al tuo posto. Don, sei proprio sicuro che Gesù vuole venire nel cuore di una come me? Non sapevo più dove guardare, i miei occhi si erano riempiti di lacrime, e con la voce rotta per la commozione le rispondo: Ti dico un segreto. Oggi Gesù non vede l’ora di essere ricevuto da te! Soddisfatta e sorridente torna al suo posto. Seguì la Messa con attenzione, il suo sorriso dopo la comunione, il ringraziamento più bello.

 

Egidio Bandini: ‘Ti benedico Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli’.

Don Pierre Laurent Cabantous !

Prima di salutarci, vi ricordo che il Meeting è un evento del tutto unico, è l’esito sorprendente e sempre nuovo di una straordinaria collaborazione umana. Una civiltà non cresce senza cultura, dialogo e bellezza ne sono la linfa vitale. Il Meeting è da sempre luogo di cultura, ciascuno di voi può contribuire a far continuare questa grande storia. Lungo tutta la fiera troverete le postazioni “Dona ora”, caratterizzate dal cuore rosso. Le donazioni dovranno avvenire unicamente ai desk dedicati, dove vi aspettano i volontari che indossano la maglietta rossa “Dona ora”. Un’importantissima novità: da quest’anno la fondazione Meeting è un ente del terzo settore, chi sosterrà il Meeting potrà usufruire dei benefici fiscali al momento della dichiarazione dei redditi.

E adesso un applauso a Peppone e don Camillo che sono venuti da Brescello a trovarci!

Un grazie ancora a voi tutti, al Maestro Eugenio Marcani, al Maestro Corrado Medioli, a Gianni Govi, don Daniel, don Luigi, don Giancarlo, don Daniele, don Pierre Laurent. Grazie a tutti!