MEDITERRANEO: COSTRUIRE PONTI, ABBATTERE MURI

Mediterraneo:costruire ponti, abbattere muri

Partecipano: Nassir Abdulaziz Al-Nasser, Alto Rappresentante dell’ONU per l’Alleanza delle Civiltà; Saifallah Lasram, Sindaco di Tunisi; Dario Nardella, Sindaco di Firenze. In occasione dell’incontro proiezione della video-intervento di Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze. Introduce Andrea Simoncini, Professore Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Firenze.

 

ANDREA SIMONCINI:
Buonasera, grazie, benvenuti a questo incontro del Meeting 2017 dal tema “Mediterraneo: costruire ponti, abbattere muri”. Il tema del Meeting di quest’anno è: “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”. Riecheggia in questo tema il giudizio che Papa Benedetto XVI ha dato nella Spe Salvi: “Dinanzi al mondo in cui viviamo cosa possiamo sperare? Da dove possiamo ripartire?” dice il Papa “Innanzitutto dobbiamo constatare che un progresso addizionabile è possibile solo in campo materiale. Nell’ambito invece della consapevolezza etica e della decisione morale non c’è una simile possibilità di addizione, per il semplice motivo che la libertà dell’uomo è sempre nuova e deve sempre nuovamente prendere le sue decisioni. Non sono mai semplicemente già prese per noi da altri, in tal caso infatti non saremmo più liberi. La libertà presuppone che nelle decisioni fondamentali ogni uomo, ogni generazione, sia un nuovo inizio. Certamente le nuove generazioni possono costruire sulle conoscenze e sulle esperienze di coloro che le hanno precedute, come possono attingere al tesoro morale dell’intera umanità, ma possono anche rifiutarle perché esso non può avere la stessa evidenza delle invenzioni materiali”. E’ questo il terribile brivido che corre sulla schiena di ogni generazione. Il tesoro della tradizione non si conserva mai automaticamente di per sé. Un valore non lo si preserva nascondendolo sotto terra, per citare la parabola dei talenti, o per usare un’immagine più comune, affidandolo ad un gestore finanziario, occorre che ciascuno liberamente lo guadagni di nuovo, lo rischi nella sua vita per vedere se vale. Solo così potrà conquistarlo, solo così ognuno di noi diventerà un erede e non un clone o un custode. Ebbene l’incontro di oggi, l’incontro che qui proponiamo, nasce proprio da un esempio di questa grande eredità che noi abbiamo ricevuto. Il 5 novembre 1977 moriva a Firenze Giorgio La Pira, dunque quest’anno ricorre il 40° anniversario della sua scomparsa e questo incontro è un tributo alla persona di Giorgio La Pira. Giorgio La Pira, lo dico per i giovani, le generazioni più giovani possono non aver mai sentito neanche il nome, Giorgio La Pira è stato un professore all’università di Firenze, è stato un membro dell’Assemblea Costituente Italiana, è stato un fondatore del partito della Democrazia Cristiana, ma soprattutto è stato il sindaco di Firenze durante gli anni della ricostruzione. Abbiamo avuto modo di ricordarlo tante volte. La Pira per ovvi motivi non può essere considerato un fondatore del Meeting perché è morto tre anni prima della prima edizione, ma sicuramente rappresenta una delle personalità allo stesso tempo culturali, politiche, religiose (ricordo che è in corso la sua causa di beatificazione, per tutti a Firenze La Pira è il sindaco santo), ebbene dicevo La Pira è sicuramente uno dei protagonisti della nostra storia recente che più ha colpito, ha ispirato, ha indirizzato l’idea dei primi fondatori del Meeting di Rimini. Come dicevo l’anno scorso nella prima edizione del Meeting di Rimini, Agosto 1980, 37 anni fa, nel programma c’era un incontro da questo titolo: “Europa, Italia, Mediterraneo: un contributo per la pace”: potremmo sovrapporlo al titolo di oggi. In 37 anni, c’è stata la fedeltà a questa intuizione, a questo patrimonio di origine. Qual è dunque questa eredità di cui parliamo, per venire all’incontro di oggi. Soprattutto oggi chi è chiamato a riguadagnare questa eredità? A me sembra che due siano i punti focali. Il primo: il primo punto di questa eredità di La Pira che vogliamo riprendere oggi non è tanto un principio, un valore, una dottrina quanto un luogo, o meglio uno spazio, o per essere più precisi un mare, il mar Mediterraneo. Provate a pensare che cosa è oggi il Mediterraneo: lo sfondo, la scenografica muta in cui quasi ogni giorno vediamo accadere una tragedia continua e sconvolgente. Oggi il Mediterraneo è uno sconfinato cimitero, ma non è sempre stato così, non è l’eredità che ci è stata consegnata, nel pensiero di La Pira questo è chiarissimo. Lui nel 1958 convoca a Firenze il primo Colloquio Mediterraneo. Per la Pira il mar Mediterraneo ha sempre avuto un valore storico e profetico, come luogo generativo della nostra civiltà. Attenzione non come luogo generativo di una civiltà occidentale o coloniale, ma come natura plurale di un luogo di incontro. Dice La Pira in questo primo colloquio Mediterraneo del 1958: “ Il Mediterraneo è prezioso perché il luogo in cui avviene l’incontro tra le tre componenti fondative della nostra civiltà: la componente religiosa della rivelazione divina che trova in Abramo patriarca dei credenti la comune radice soprannaturale, il tempio ebraico, la cattedrale cristiana, la moschea islamica, costituiscono precisamente l’asse attorno al quale si costruiscono i popoli, le nazioni e le civiltà che coprono l’intero spazio di Abramo. Due: la componente metafisica elaborata dai Greci e dagli Arabi. E’ ad essa che dobbiamo l’immensa ricchezza di idee che sostengono una visione ordinata del mondo. Terzo: la componente giuridica e politica elaborata dai Romani. E’ a questa che si deve la strutturazione di un ordine giuridico e politico i cui elementi maggiori costituiscono il tessuto dove si articola ogni ordine sociale”. Papa Benedetto al discorso al Bundestag riprenderà letteralmente questi tre contributi. E’ dall’incontro tra Atene, Roma e Gerusalemme che nasce la nostra stessa civiltà. Bene, primo punto di eredità: il Mediterraneo è questo luogo, è lo spazio che ha favorito un incontro unico nella storia. Oggi che cos’è? La prima domanda è: oggi cosa vediamo? Seconda eredità, sempre di derivazione la-piriana, il cuore del destino del mondo, l’anima della società sono le città, il secondo punto di eredità è il ruolo che hanno le città nella costruzione della pace, nella costruzione di questo spazio di dialogo. Sappiamo già, i dati ce lo dicono, che il futuro del mondo è ormai nelle mani delle aree urbane. C’è più popolazione nelle aree urbane che nelle aree rurali; ma soprattutto la città è lo spazio creativo dove vive la persona, dove l’incontro è possibile, è l’ambiento in cui l’io cresce e incontro il tu, incontra l’altro. Di qui il ruolo unico delle città nella costruzione del dialogo. Queste sono le due grandi eredità che in qualche modo oggi vogliamo riguadagnare con questo incontro: Mediterraneo luogo di pace e di dialogo, ruolo delle città. E per questo abbiamo invitato sindaci, che adesso presenterò, perché proprio le città e i sindaci sono come l’aspetto e il livello più in prima linea in questa spinta. Ma proprio per questo io vorrei ricordare, proprio per dimostrare quanto i sindaci siano in prima linea, che l’anno scorso da questo palco, insieme a me e anche al sindaco Nardella, ha partecipato al Meeting la sindaca di Diyarbakir, Gultan Kisarak che l’anno scorso era con noi e che adesso è in galera condannata a 230 anni di galera in Turchia e io vorrei un applauso per la sindaca Kisarak, per esprimere tutta la nostra vicinanza. Per affrontare questo tema abbiamo invitato sindaci, ma non solo. Innanzitutto e lo ringrazio di cuore per la sua presenza che ha già avuto modo di testimoniare nell’incontro con il premier Gentiloni, il primo invitato al nostro tavolo è sua eccellenza Nassir Abdulaziz Al-Nasser, Alto Rappresentate delle Nazioni Unite per l’alleanza di civiltà. Assieme ascolteremo il sindaco di Tunisi, il signor Saifallah Lasram, chiuderà l’intervento il sindaco di Firenze Dario Nardella, che è ben conosciuto al Meeting, ma per iniziare il nostro dialogo abbiamo avuto anche un ulteriore regalo, diciamo così, da parte di sua eccellenza Marcelo Sancez Sorondo, che è il cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali,- non è potuto venire ma ha registrato un breve video – con il quale vogliamo cominciare l’incontro di oggi proprio sottolineando la posizione della Santa Sede su questi temi e il ruolo speciale che hanno le città. Prego il video di monsignor Sorondo.

MARCELO SÁNCHEZ SORONDO:
Saluti a tutti in particolare a Nassir Abdulaziz Al-Nasser, a Saifallah Lasram, a Dario Nardella sindaco di Firenze, Andrea Simoncini e a Marco Aluigi. Sono stato molto grato per questo invito su un argomento così importante e centrale come quello della globalizzazione, con i suoi effetti positivi e negativi che il papa ha chiamato, questi negativi, la globalizzazione dell’indifferenza.
Naturalmente ci sono due grandi emergenze come voi ben sapete, la prima è quella del clima, del quale il Mediterraneo deve più che mai essere consapevole e a portare soluzioni, passata su una energia pulita, per esempio i pronostici sono che i deserti del sud possono estendersi fino all’Europa centrale. Credo che questa estate così calda e secca dicono una di più, ne sia già un’avvisaglia.
L’altra grande emergenza che voglio mettere alla vostra considerazione, è legata, a questa, il clima in maniera sotterranea, è quella dei rifugiati. Si parla di sessanta milioni di persone che sono in questa situazione. Dei rifugiati approfittano diversi trafficanti di persone, utilizzandoli per la tratta sotto la forma di prostituzione e di lavoro schiavo, Come ben sapete papa Francesco è molto preoccupato di questo e ha espresso nel suo magistero il problema ripetute volte, in particolare nella sua enciclica “Laudato Sii”. La Pontifica Accademia delle Scienze e la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali di cui sono cancelliere, seguendo il desiderio del papa, con l’aiuto dei sindaci del mondo, però in particolare con quelli italiani e del Mediterraneo, hanno cercato di individuare dei modelli o buone pratiche per sradicare questi mali che del resto sono nuovi obblighi morali per tutte le nazioni con l’approvazione dei nuovi obiettivi dello sviluppo sostenibile e in particolare dell’8.7.
Riguardo alla tratta delle persone, per farla breve, pensiamo che la prostituzione si potrebbe sradicare se tutti i paesi adottassero il modello nordico, come ha fatto l’anno scorso anche la Francia; un modello che per la prima volta penalizza non le vittime, come ha fatto fino ad adesso la storia, ma i clienti.
Riguardo invece all’altro dramma che è la vendita di organi, siamo appena tornati da un viaggio in Cina, dove i cinesi per quei casi in cui veniva forzato il trapianto di organi da prigionieri giustiziati, hanno finalmente deciso di presentare un modello che è molto suggestivo, perché ricompensa i familiari dei donatori, una ricompensa morale, si capisce, o ai donatori stessi, mostrando loro come i loro organi siano serviti a estendere la vita di tanti che altrimenti sarebbero morti. In questo modo l’entusiasmo dei donatori che sono l’unica soluzione al problema dei trapianti, non ci sarebbero trapianti forzati, schiavi se ci fossero donatori di organi.
Infine riguardo al lavoro schiavo mi trovo in questo momento in Austria dove stiamo esaminando come le multinazionali dovrebbero autoregolarsi per favorire un lavoro umanamente degno e libero per ogni persona.
Saluti a tutti voi e in particolare al sindaco di Firenze Dario Nardella con il quale stiamo organizzando per Novembre un importante summit dedicato a Giorgio La Pira proprio sul Mediterraneo, che questo grande sindaco anticipava questi problemi e aspirava a trovare delle soluzioni tramite il dialogo anche interreligioso come potrà dire lo stesso sindaco. Io vorrei in breve concludere che tutti voi che studiate queste cose dovete più che mai essere pienamente consapevoli di questi drammi e cercare soprattutto, non solo di descrivere l’estensione del problema, ma anche le eventuali soluzioni, quelle che chiamiamo noi modelli e buone pratiche perché veramente l’essere umano posso vivere come essere umano rispettando la sua dignità di persona, la sua piena libertà e finalmente in pace. Grazie a tutti.

ANDREA SIMONCINI:
Prego ora sua eccellenza Al-Nasser di prendere la parola.

NASSIR ABDULAZIZ AL-NASSER:
E’ un grande piacere essere di nuovo qui in mezzo a voi per trattare del tema del Mediterraneo, costruire ponti abbattere muri, un tema di grande attualità, nel clima politico in cui viviamo oggi. L’espressione abbattere un muro ha origine in un contesto politico molto ben preciso legato al discorso dell’ex Presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, che fece alla Porta di Brandeburgo nel giugno del 1987. In questo discorso, Reagan disse che il muro di Berlino non avrebbe potuto opporre a resistenza alla libertà e questo è vero: il muro non può resistere alla libertà disse Reagan e questo vale per tutti i muri, siano costruiti essi per impedire alla gente di entrare in un Paese o di andarsene. I muri che dividono i popoli, che dividono i Paesi o all’interno delle città rappresentano un fallimento. Alcuni di voi, probabilmente penseranno ora alla situazione internazionale attuale dove vediamo nazioni che costruiscono muri alle proprie frontiere, possono essere veri e propri muri fatti di cemento, ma possono essere anche muri invisibili che nascono dal pregiudizio: sono questi i muri che chiudono le frontiere ai rifugiati in fuga dal pericolo, sono i muri che generano razzismo e xenofobia. In questo contesto, il ruolo dell’alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite, risulta davvero chiaro. La nostra missione è abbattere questi muri e costruire ponti tra i popoli. La nostra missione quindi è proprio questa: abbattere i muri e costruire ponti tra i popoli, promuovendo il dialogo interreligioso ed interculturale e lavorando per favorire la diversità e l’inclusione, poiché oggi tutte le nostre società sono multietniche, multireligiose e multiculturali. E’ quindi un dovere imprescindibile investire nella coesione sociale di queste società, promuovere la diversità come fonte di ricchezza e non come minaccia; è per questo che il dialogo interculturale diventa una necessità. Intorno a noi ci sono alcuni ottimi esempi da cui trarre ispirazione. Uno di questi esempi è la regione del Mediterraneo, dove i nostri progetti, possono avere un impatto maggiore se vengono sviluppati a livello regionale. Per secoli, il mar Mediterraneo è stato la culla di molte civiltà, da sempre esso è stato il punto di incontro culturale, economico e religioso tra Asia, Africa ed Europa; un punto di incontro economico perché era la zona di passaggio per il commercio tra i tre continenti. Ma anche un punto di incontro religioso tra le tre grandi religioso tra le tre grandi religioni monoteiste: il Cristianesimo, l’Islam e l’Ebraismo, tutte nate in seno ai popoli dell’area mediterranea. L’esempio del Mediterraneo dimostra che abbattere i muri è la chiave per il successo, poiché crea sviluppo economico, ricchezza culturale, conoscenza e saggezza. Fin dalla sua creazione l’alleanza tra le civiltà ha voluto evidenziare i benefici della diversità, per esempio l’impatto dell’immigrazione, che può essere molto negativo se gli immigrati non si integrano nelle comunità che li accolgono. Di fronte a questo simbolo dell’albero sotto il quale siamo oggi riuniti, non possiamo dare per scontato questo esempio di successo. C’è ancora molto lavoro da fare nell’area del Mediterraneo. Riguadagnalo per possederlo, come abbiamo detto all’inizio di questo incontro, dobbiamo preservare ciò che è stato conquistato in passato. Citerò alcuni esempi del lavoro dell’alleanza delle civiltà che abbiamo svolto nella regione mediterranea. Noi riconosciamo il ruolo dei social media e quindi abbiamo creato l’iniziativa #spreadnohate, un’iniziativa che ha lo scopo di opporsi agli appelli razzisti contro le minoranze culturali, religiose ed etniche. L’iniziativa è sfociata in un simposio che si è tenuto a Bruxelles lo scorso Gennaio anche in collaborazione con l’Unione Europea. Il progetto è ancora in corso di realizzazione e diviene sempre più interessante e speriamo di poter lanciare la prossima edizione l’anno prossimo nell’area medio oriente nord Africa. L’alleanza inoltre sponsorizza, organizza e partecipa ad incontri internazionali incentrati sull’area del Mediterraneo. Appena un anno fa, in occasione della prima conferenza internazionale sulla diplomazia preventiva nel Mediterraneo tenutasi in Spagna, ho sottolineato come la regione del Mediterraneo sia campione di pace. Tuttavia, quando riusciamo ad individuare un esempio di successo dobbiamo poi esportarlo in altre realtà ed è questa una delle missioni dell’alleanza delle civiltà. Il 18 Luglio di quest’anno abbiamo organizzato un incontro di grande successo presso il quartier generale dell’ONU sul ruolo dei leader religiosi e la realizzazione della pace nel Medio Oriente. L’incontro poneva l’accento non solo sulla regione del Medio Oriente appunto, che richiede la nostra massima attenzione, ma anche sul ruolo della partnership e della collaborazione tra i leader religiosi. Consentitemi di sottolineare l’importanza della partnership con la nostra rete di leader religiosi, rete sempre più ampia che è fondamentale per aprire nuovi orizzonti di azioni umanitarie. I leader religiosi sono in grado di comunicare con le comunità locali e divulgare il messaggio di inclusione e comprensione; si possono creare così dei ponti tra le comunità che sono afflitte da emergenze umanitarie. I leader religiosi possono contribuire a ridurre la polarizzazione e sviluppare società inclusive in cui la diversità viene vista come una ricchezza. E torno a parlare della partnership, perché oggi ci sono moltissimi sindaci e amministrazioni locali che collaborano con noi: il loro ruolo è fondamentale perché agiscono a livello di società civile , intervenendo sulle reali necessità delle persone . Le autorità locali hanno svolto un ruolo primario nello sviluppo di queste partnership. L’ONU crede fermamente nel lavoro svolto dai sindaci e dalle amministrazioni locali. L’agenzia delle Nazioni Unite Habitat, che si occupa di sviluppo urbano sostenibile, ha il compito di aiutare e sostenere i sindaci a promuovere città socialmente ed ecologicamente sostenibili. Inoltre il segretario generale delle Nazioni Unite nomina degli inviati speciali per le città proprio per perseguire obiettivi più ambiziosi di mitigazioni e cambiamenti climatici. Per tornare al tema che affrontiamo oggi, “Costruire ponti e abbattere muri”, vorrei concludere dicendo che si tratta di un tema fondamentale per il lavoro della Alleanza delle Civiltà. Quest’anno in occasione della settimana della diversità, l’Alleanza ha firmato un memorandum di intesa con il Ministero degli Affari Esteri cinese che ha come obiettivo il rafforzamento della cooperazione da persona a persona e dello scambio tra i popoli nell’ambito dell’iniziativa Belt and Road forum. Siamo tutti consapevoli del fatto che l’antica rete di vie commerciali tra l’est e l’ovest ha contribuito enormemente allo sviluppo mondiale: culture e religioni diverse sono arrivate fino a noi ad esempio attraverso la via della seta. La ripresa di questo progetto rappresenta un altro importante passo verso il nostro obiettivo di costruzioni di ponti tra le civiltà. L’Alleanza delle Civiltà è stata creata per promuovere la comprensione tra i popoli e le nazioni, divulgare la convinzione che le differenze culturali e religiose non costituiscono una debolezza ma piuttosto un punto di forza. Nel mio ruolo di alto rappresentante dell’Alleanza delle Civiltà delle Nazioni Unite intendo combattere la xenofobia e l’odio anche se purtroppo gli eventi recenti dimostrano che c’è molto lavoro da fare . L’Alleanza delle Civiltà si impegna a promuovere il rispetto e la tolleranza tra popoli di culture e religioni diverse. Vogliamo coinvolgere tutti: dai leader politici alle organizzazioni della società civile, uomini e donne, giovani e anziani nel perseguimento del nostro obiettivo di un mondo fatto di inclusione e di pace. Grazie

ANDREA SIMONCINI:
Ringrazio particolarmente Sua Eccellenza Al-Nasser per questo intervento che ci ha aiutato a conoscere questa parte delle attività delle Nazioni Unite, a conoscere questo ufficio che lui guida e a sapere che esiste questa parte della nostra organizzazione internazionale, della consapevolezza del mondo, che è orientata a costruire una alleanza tra le civiltà. Forse da questo livello internazionale possiamo aspettarci un po’ più di quello che stiamo ottenendo dai livelli sovra nazionali ad esempio europei e quindi è una buona notizia sapere che le Nazioni Unite hanno una organizzazione e hanno una attenzione soprattutto sul segnalare gli esempi positivi, come lui ci ha detto, mettendo in evidenza i risultati e su questa spinta ad abbattere muri su questa spinta ad abbattere muri che spesso non trova analoga audience in altre organizzazioni internazionali. Ora la parola al dottor Saifallah Lasram, sindaco di Tunisi. Grazie.

SAIFALLAH LASRAM:
Signori e signori innanzitutto grazie di avermi invitato qui a presenziare a questo scambio, questo dibattito. Grazie anche ai colleghi precedenti e voglio confermarvi di essere molto felice di essere qui in qualità di sindaco di una città della riva sud del Mediterraneo e sono qui con un sindaco, il sindaco di Firenze, che rappresenta invece una città del nord, della costa nord del Mediterraneo. Oggi siamo qui per parlare della costruzione di ponti tra le due rive del Mediterraneo e vorrei ricordare quindi l’incontro e l’importanza dell’incontro tra due sindaci e tra due città e i motivi per cui siamo qui per incontrarci . Tunisi e Firenze hanno firmato da due anni un accordo di collaborazione e di amicizia. Con la firma di questa convenzione Tunisi in precedenza è stata teatro di un attacco terroristico che ci ha colpito molto e che ha avuto un’ eco fino a Firenze e abbiamo visto quindi l’arrivo del sindaco di Firenze a Tunisi, che prima di tutto ha voluto aiutarci e poi ha voluto anche informarsi sul processo democratico iniziato in Tunisia dopo la rivoluzione del 2011. Il 2011 come sapete è stato un anno di rottura per la Tunisia: un anno di rottura con l’antico sistema politico centralizzato, un sistema politico che in precedenza era dittatoriale e il popolo ha messo fine a questa situazione con una rivoluzione pacifica, con una rivoluzione dove non c’è stato spargimento di sangue e con una rivoluzione dove non c’è stato nessun regolamento di conti; ed è così che abbiamo voluto ricostruire il nostro Paese. Il nostro obiettivo era quello di favorire, di creare la democrazia, dare libertà di parola e istituire in rispetto reciproco a livello politico, economico e sociale. Il Paese in questo modo ha preso una nuova via, una nuova direzione che grazie ad elezioni libere abbiamo eletto una nuova Assemblea Costituente che ha scritto e promulgato una nuova costituzione, la costituzione cioè della seconda Repubblica Tunisina. La costituzione poi ha spinto e favorito il sistema democratico che ha promosso delle elezioni libere, chiare e trasparenti, con la creazione di una assemblea eletta democraticamente dal popolo e un presidente eletto dal popolo. La Costituzione Tunisina inoltre prevede l’organizzazione di elezioni comunali in futuro con le quali i consigli comunali potranno partecipare liberamente al processo democratico; questo darà agli enti e ai poteri locali una libertà decisionale che permetterà loro di rispondere alle aspettative dei cittadini. E’ proprio in base a questo, grazie a questo che Tunisi e Firenze hanno creato un ponte di collaborazione proprio per usufruire dell’esperienza di Firenze, dell’esperienza italiana, che troviamo anche nelle altre città d’Italia, in maniera tale che questa esperienza fiorentina ci potesse aiutare a creare il decentramento del potere centrale. Secondo alcuni la Tunisia è un caso unico : abbiamo conosciuto la primavera araba – forse sì, è un caso unico, un caso esempio e la storia giudicherà e valuterà se il genio tunisino è riuscito veramente a creare la situazione che oggi abbiamo nel Paese. Oggi si parla di costruire ponti e abbattere muri. Per costruire ponti bisogna essere in tanti, bisogna essere almeno in due: il caso della cooperazione decentrata tra Tunisi e Firenze lo dimostra: sono due città sono due sindaci che hanno voluto collaborare e che hanno voluto stringersi le mani per costruire qualcosa insieme. Oggi però tra la riva nord e la riva sud del Mediterraneo bisogna favorire le relazioni, bisogna semplificare le relazioni soprattutto e soprattutto non bisogna avere paura. Questo perché il Mediterraneo ha una storia. Il Mediterraneo è sempre stato e sempre sarà una culla di civiltà. Il Mediterraneo è un mare che rappresenta non un ostacolo, non un freno, bensì una forma di cooperazione e la storia ce lo insegna. Dobbiamo rileggere la storia del Mediterraneo per potere costruire le relazioni future. Oggi, fondamentalmente ci sono due problemi che preoccupano la riva Nord e la riva Sud del Mediterraneo. Cioè l’immigrazione e il terrorismo, terrorismo che vediamo svilupparsi dappertutto nel mondo e che non appartiene solamente al Mediterraneo. Per quanto riguarda l’immigrazione, sono convinto di una cosa: non sono i muri che dobbiamo costruire per regolarizzare l’immigrazione, anche se sicuramente ci sono ancora paesi, persone che vogliono costruire nuovi muri, come se il muro di Berlino non fosse sufficiente a darci una lezione storica. Oggi l’immigrazione deve essere guardata e vista ricordandosi che l’immigrazione è un fenomeno che da sempre esiste nella storia dell’umanità, non è qualcosa di nuovo, non è un fenomeno nuovo. Oggi questa immigrazione, non dev’essere un’immigrazione selvaggia, non dev’essere una immigrazione contro gli altri e soprattutto l’immigrazione non deve diventare una forma di commercio e una forma di tratta degli esseri umani. Ed è quello che viviamo oggi, purtroppo, purtroppo oggi viviamo questo fenomeno. Quindi, io molto onestamente posso dire che Italia e Tunisia quando c’era immigrazione clandestina e illegale, dicevo che l’Italia e la Tunisia si sono avvicinate, è stata una scusa per avvicinarsi e grazie a una cooperazione a livello di sicurezza, a livello di immigrazione controllata, i nostri due Paesi hanno potuto risolvere i problemi dell’immigrazione. Oggi purtroppo alcuni paesi della costa Sud del Mediterraneo hanno grossi problemi a livello nazionale, hanno grossi problemi a controllare le loro frontiere e da qui nasce il problema, ed è così che talvolta il Mediterraneo è diventato un vero e proprio cimitero degli immigrati. Persone avide di soldi, persone avide di guadagno sfruttano la situazione. Non dobbiamo vedere l’immigrazione come pericolo, non dobbiamo avere paura di questo fenomeno, dobbiamo riuscire a trattarlo nella maniera giusta, capire dove sta il male, sapere controllare il fenomeno. Nessuno sbaglia quando vuole controllare le proprie frontiere e questo è un dato di fatto. Se parliamo poi di terrorismo – e qui vorrei salutare cordialmente il nostro collega sindaco di Barcellona, Barcellona che ancora una volta è stata attaccata con un attentato terroristico- il terrorismo, è un fenomeno che ha toccato sia i paesi del Sud che i paesi del Nord del Mediterraneo, così come il mondo intero. È un fenomeno che non conosce nazionalità, non conosce riferimenti religiosi, si tratta di movimenti, si tratta di qualcosa, di un fenomeno che bisogna studiare, che bisogna analizzare, dobbiamo studiare qual è la modalità di finanziamento di queste organizzazioni pericolose terroristiche che sfidano la sicurezza dei paesi e che sfidano la sicurezza del mondo intero; anche qui c’è una forte collaborazione tra Italia e Tunisia, che collaborano anche con altri paesi dell’Europa. Questa collaborazione oggi ci permette non solo di combattere il terrorismo, bensì anche di prevederne le azioni, prevederne gli attacchi, per cercare di mettere fine a questo fenomeno. Nei paesi e nelle città del Mediterraneo, della costa Sud del Mediterraneo, siamo assolutamente contro queste azioni, azioni faziose, che attaccano la sicurezza dei paesi, la minacciano e che combattono contro la vita umana nel mondo, in tutti i paesi, in tutte le città. Aggiungerò che non dobbiamo occuparci di queste tematiche con paura; dobbiamo avere il coraggio di affrontare queste tematiche e avere il coraggio di puntare il dito contro l’origine di questi mali, di questo male che purtroppo tocca tutti i nostri paesi e tutti i nostri popoli. Sono felice, signore e signori, di avere avuto la possibilità di parlare qui di fronte a voi e di avere partecipato a questo panel e sono anche felice di salutare con calore la collaborazione e l’amicizia tra Italia e Tunisia, tra Tunisi e Firenze e grazie per la vostra attenzione.

ANDREA SIMONCINI:
Ringrazio il sindaco di Tunisi, dottor Lasram. Ci ha fatto vedere concretamente un esempio di cosa voglia dire costruire dei ponti. Mi ha molto colpito, nel suo intervento, questa insistenza sulla parola che più aleggia e che costituisce il vero deterrente di qualsiasi azione in questo mondo, che è la parola paura. Mi ha molto colpito questa insistenza sul non avere paura. C’è uno nella storia che è entrato dicendo: “Non abbiate paura” e noi in qualche modo siamo qui perché questo invito, questa spinta, non è irrazionale, non è un’apertura a qualsiasi cosa senza nessun raziocinio e senza nessuna regola. Abbiamo visto cosa vuol dire l’importanza, in Tunisia, di costruire uno stato democratico. Uno stato democratico è in grado di controllare i suoi confini. Abbiamo visto qual è l’importanza che questi processi vadano avanti e si solidifichino: vuol dire costruire, vuol dire contribuire a costruire un interlocutore per poter fare un accordo anche su questi temi. Abbiamo visto cosa succede laddove invece questi processi non riescono ad arrivare a conclusione. Il sindaco di Tunisi ha in qualche maniera già introdotto il nostro ultimo relatore, che è il sindaco di Firenze Dario Nardella, rispetto al quale, come si dice sempre, non ha bisogno di presentazione perché è veramente ormai un ospite stabile del Meeting. Però vorrei dire una cosa, introducendolo e dandogli la parola: dobbiamo a lui, come avrete capito dallo sviluppo di questo incontro, dobbiamo a lui e all’azione del suo staff e dei suoi uffici della parte delle relazioni internazionali, l’aiuto fondamentale alla realizzazione di questo incontro. E questo è un aspetto nuovo del Meeting, un aspetto positivo. Noi vogliamo essere lo strumento e lo spazio per esempi positivi, perché esempi positivi di dialogo e di costruzione possano aver luogo e svilupparsi. Per questo nel dargli la parola lo ringrazio in particolare di aver partecipato e di prendere la parola tra noi.

DARIO NARDELLA:
Cari amici, cari relatori, grazie di questo invito. Grazie Andrea per avere ricordato come è nato questo incontro e come è nato anche l’incontro l’anno scorso. Io sono sempre molto felice, davvero emozionato, stimolato dall’idea di partecipare agli incontri del Meeting ormai da molti anni e sono anche soddisfatto e incuriosito dal modo in cui sta crescendo questa iniziativa che abbiamo iniziato a condividere con voi da un po’ di tempo, ovvero quella di portare la voce dei sindaci al Meeting di Rimini, non solo dei sindaci italiani ma dei sindaci di tutto il mondo. Hai ricordato benissimo e mi associo a te, alla tua tristezza, a quella di tutta la platea, che ha applaudito, oltre che alla vicinanza, l’incontro dell’anno scorso con il sindaco di Diyarbakir, una città che ha vissuto e continua a vivere da un lato e dall’altro, incudine e martello, le persecuzioni contro i Curdi, le persecuzioni dell’Isis contro i cittadini, con più di novantamila sfollati, immaginate. Una città grandissima ma piegata in due dal dolore e dalla guerra e vedere il sindaco di quella città in galera ci dà davvero il segno dell’urgenza e del dramma che stiamo vivendo e che stanno vivendo tante città. Come l’anno scorso anche quest’anno torniamo sul tema di fondo: quanto le città e i sindaci, che sono nient’altro che i rappresentanti, i portavoce di quelle comunità, possano giocare un ruolo nelle grandi questioni internazionali, nelle grandi sfide. Lo dirò alla fine, ma già ora mi piace ricordare quello che ha già sottolineato il cancelliere dell’Accademia Pontificia, Monsignor Sorondo e cioè che il papa ha sentito l’esigenza di invitare i sindaci di tutto il mondo, sulle grandi sfide dell’umanità, due anni fa, nel 2015, in Vaticano, per parlare dell’Enciclica “Laudato sii”. Non ha invitato i ministri dell’ambiente, non ha invitato i capi di Stato e dei governi dei paesi. Ha invitato le città e ha chiesto a 70 sindaci, da Berlino, a New York, a Palermo: “Ditemi cosa possiamo fare insieme per cambiare le nostre comunità e affrontare di petto un tema gigantesco e drammatico come quello del cambiamento climatico”. L’anno scorso, con altri sindaci, altre città, ha posto le stesse domande su un tema altrettanto drammatico come quello dei migranti e sono uscito da questi incontri così arricchito da chiedermi: “Perché, perché solo il papa chiama i sindaci del mondo ad affrontare queste questioni? Perché il Presidente della Commissione Europea non chiama i sindaci delle grandi città europee? Perché i leader politici internazionali non chiamano le città?”. E qui mi permetto di approfittare della presenza dell’illustre Sua Eminenza Nasser perché possa portare al Segretario Generale l’idea di condividere, anche grazie alla attività che le organizzazioni delle Nazioni Unite svolgono sulla cooperazione decentrata, di condividere con le città del mondo e i loro sindaci, scelte e strategie. Perché le città? Perché come Giorgio La Pira ci ha ricordato, ci ha insegnato, i governi passano, le città restano, perché è nelle città che si affrontano le sfide più difficili e si trovano le soluzioni. Pensate a qualunque grande questione: l’inquinamento, l’integrazione sociale, le diseguaglianze, i nuovi modelli di convivenza sociale, ecco, ciascuna di queste grandi questioni trova spesso la manifestazione più eclatante nelle città, ma è nelle città che si trovano soluzioni. Del resto, chiediamoci come mai sono le città bersaglio di guerre e di scontri, di attentati terroristici. Ma le città non hanno eserciti. Ne avevano in passato, quando erano appunto città stato, oggi le città non hanno eserciti, hanno solo gli strumenti della pace e le città non hanno bisogno di teorizzare la convivenza sociale, perché la vivono da sempre, dentro le proprie mura, dentro i propri confini. Questo vale per Tunisi, può valere per Aleppo, può valere per Firenze, può valere per Parigi, può valere per tutte le città del mondo ed è ciò che aveva intuito Giorgio La Pira, il quale, il 12 Aprile del ’54, in un incontro della Croce Rossa Internazionale di Genova, cominciò a teorizzare quel suo pensiero che poi si tradusse in un’azione continuata per dieci anni che ancora oggi noi ricordiamo e dalla quale attingiamo per trovare risposte. “Allora – disse La Pira – la mia dolce e armoniosa Firenze, creata in un certo senso sia per l’uomo come per Dio, per essere come la città sulla montagna, luce e confronto sul cammino degli uomini, non vuol essere distrutta. Questa stessa volontà di vita viene affermata insieme con Firenze, da tutte le città della terra. Città, ripeto, capitali e non capitali, grandi e piccole, storiche o di recente tradizione, artistiche e no, tutte indistintamente. Perché le città cadono sotto le bombe, sotto i mortai, ma si rialzano sempre.”. A seguito di questo discorso, il mio predecessore La Pira cominciò così a organizzare incontri con i suoi colleghi, mai fatti prima d’allora (e pensate che 60 anni fa era molto più difficile muoversi) e dunque sicuramente di grande importanza e di grande impegno mettere insieme sindaci provenienti da molto lontano. Avvenne ad esempio nell’ottobre del ’55, quando a Palazzo Vecchio La Pira invitò i sindaci delle principali città del mondo. Lì, in un clima di piena guerra fredda, dove le cancellerie degli stati d’Occidente e d’Oriente non si parlavano, il vice sindaco di Washington abbracciò il segretario del Partito Comunista di Mosca, più importante perfino del sindaco di Mosca. Lo stesso segretario abbracciò il Cardinale Elia Dalla Costa. Quelli erano simboli, ma erano anche gesti concreti che da allora in poi hanno fatto capire come le città hanno una missione, che deriva forse anche dalla loro libertà di essere simboli universali di umanità, non vincolati dalle ragioni di stato. Questo insegnamento lo ritroviamo di nuovo nelle parole di La Pira, quando scrisse: “Le città non possono essere destinate alla morte, una morte peraltro che provocherebbe la morte della civiltà intera, esse non sono cose nostre di cui si possa disporre a nostro piacimento. Sono cose altrui, delle generazioni venture, delle quali nessuno può violare il diritto e l’attesa.” A seguito di quell’esperienza, La Pira, come ha ricordato Andrea Simoncini, promosse poi i dialoghi sul Mediterraneo (pensate, 60 anni fa!). Nulla è cambiato, certo abbiamo certo emergenze diverse, ma la matrice è sempre la stessa e per questo abbiamo voluto promuovere negli ultimi anni a Firenze incontri con i sindaci d’Europa e di altri continenti per riprendere quell’insegnamento. In qualche modo vedo una sintonia, un’assonanza, tra questo lavoro e il titolo che avete scelto per il Meeting di quest’anno, che ci richiama all’eredità. Come può una generazione coltivare l’eredità delle generazioni che l’hanno preceduta, e soprattutto farla vivere nel tempo presente? Credo che questa domanda riguardi anche le città e chi le governa. Per questo ho sentito il dovere di riprendere il messaggio di Giorgio La Pira e di continuare la strada che Firenze ha scelto, ma che tante altre città come la mia, in Italia e nel mondo, hanno percorso. Per questo abbiamo avviato un dialogo soprattutto tra le città del Mediterraneo riprendendo proprio quella riflessione di cui ha parlato Andrea Simoncini a proposito delle tre componenti: è incredibile, se pensiamo a quante radici abbiamo in comune il mar Mediterraneo ci appare piuttosto come un laghetto, tanto vicini siamo. La componente religiosa, quella che ci accomuna perché abbiamo una stessa radice che trova in Abramo il punto di riferimento, il patto di alleanza con il Dio vivente, come l’ha chiamato Giorgio La Pira, Dio di Abramo, di Isacco, di Ismaele, di Giacobbe. Ma come è possibile che in nome di Dio ci si attacchi e si rivolga violenza da un paese all’altro se questo Dio è la radice di tutti noi? È una bestemmia. E allora con i sindaci abbiamo detto cominciamo ad avere consapevolezza di questa radice. Seconda componente, quella metafisica, dei Greci e degli Arabi, che ancora una volta mette al centro la cultura e la scienza. Noi abbiamo le stesse radici che hanno dato vita a quel patrimonio di cultura e di scienza sulla quale si sono formate generazioni e generazioni. E allora con i sindaci ci siamo detti: facciamo della cultura la chiave di una soluzione perché non è un caso, pensateci, che il terrorismo abbia sempre due obiettivi: le vite umane e i simboli culturali: a Palmira, come al Museo del Bardo di Tunisi l’obbiettivo preciso, consapevole dei terroristi era quello non solo di terrorizzare il mondo, ma di cancellare quel patrimonio culturale comune, fatto di identità diverse eppure di comuni radici. E allora ci siamo impegnati tra sindaci a preservare e tutelare quel patrimonio, perché le città che non curano il proprio patrimonio culturale diventano più fragili, più deboli e dunque più attaccabili da qualunque terrorismo. Infine la componente politica e giuridica elaborata dai Romani. È vero, questo lago di Tiberiade, come lo chiamava Giorgio La Pira, ha sempre respirato gli stessi modelli di regole sono quelli che la civiltà romana del diritto moderno ha dato a Stati e città. Per questo cari amici, quando quel 18 Marzo del 2015 vidi come tutti voi alla televisione lo strazio dei terroristi islamici al Museo del Bardo dove morirono 22 persone tra cui 4 nostri connazionali, mi chiesi: ma noi possiamo solo stare qui a indignarci o a piangere davanti alla televisione, cosa possiamo fare? Per questo siamo andati dal sindaco Lasram a Tunisi e dai cittadini tunisini e abbiamo cominciato a scrivere e a fare qualcosa di concreto. Abbiamo cominciato a dire: riprendiamo quel lavoro delle città e abbiamo fatto delle cose semplici, ma incisive che credo avranno un grande sviluppo. Lo ha ricordato il sindaco di Tunisi: abbiamo collaborato con l’Università di Siena e di Firenze per scrivere la legge sui comuni e sugli ordinamenti locali legata alla nuova costituzione tunisina, perché la Tunisia sta facendo grandi passi in avanti. La Tunisia, come ha ricordato il sindaco di Tunisi, è riuscita a dare vita a una rivoluzione pacifica evitando l’illusione che si possa democratizzare un paese con la mano violenta della guerra scatenata da altri paesi, errore che è stato fatto in altri paesi del Maghreb e grazie a questo processo di democrazia, ancora fragile come un fiorellino, perché ha appena sei anni di vita, oggi i partiti islamici non stanno fuori dal parlamento tunisino perché esclusi, stanno dentro e dunque non possono usare quell’alibi di chi, essendo escluso, giustifica qualunque azione anche violenta contro il potere costituito; sono tenuti a confrontarsi e a dialogare in un contesto democratico. Io credo, spero fortemente, che la Tunisia non sia solo una eccezione isolata e che questo modello, di una democrazia che lentamente si forma, prende forma a partire dal livello centrale fino alle città, possa essere ugualmente applicato negli altri paesi, soprattutto nei paesi che oggi vivono una condizione difficile. Per questo con la città di Firenze abbiamo voluto costruire questo legame, che oltre alla collaborazione con le università riguarda anche i settori della cultura e dell’economia. Io, cari amici mi avvio a concludere, mi sono reso conto di questo dovere quando entrai con il direttore del Bardo, qualche mese dopo l’attentato nelle sale di quel museo, c’erano ancora i segni delle pallottole sparate un po’ ovunque – forse saranno ancora rimasti a futura memoria di chi entra- quando sono entrato in quel museo ho visto i grandi mosaici romani ho detto: ma questo che cos’è? È il nostro patrimonio. Quando sono entrato al Museo del Bardo, che è il più grande museo del continente africano sull’arte e la civiltà romana mi sono detto: ma queste sono le mie radici, mi sono detto: ma la Tunisia è casa nostra, il futuro di questa civiltà riguarda anche il mio futuro, la vita di Tunisi ci riguarda. Questa è la base dei ponti e della cooperazione, non è un dovere istituzionale e basta, è il partire da una dato, è che condividiamo per forza di cosa, che lo vogliamo o no, e non abbiamo bisogno che ce lo insegni qualcuno da fuori, condividiamo uno stesso destino, è il destino, – e torniamo all’eredità- che duemila anni di storia, donne e uomini ci hanno consegnato. Se abbiamo uno stesso destino, solo insieme possiamo dare un futuro a questo destino, solo insieme possiamo affrontare le sfide. Nel nostro piccolo, cooperando come città, non abbiamo fatto nient’altro che questo. Chiudo davvero sul fatto che ancora oggi si da poca attenzione alle città e ai loro sindaci, alle comunità locali, quando invece, dalle cooperazione che nascono da queste comunità, si possono dare grandi risposte. In questi mesi è ricorrente il refrain, lo slogan: “Aiutiamoli a casa loro”, però i 28 paesi europei spendono in cooperazione allo sviluppo meno della metà di quello che spendono in armamenti militari. Ci vorrebbe un po’ più di coerenza in questo. Nel nostro piccolo ad esempio abbiamo cominciato a lavorare con la città di Fez, in Marocco. Grazie all’Università di Firenze abbiamo creato un piccolo dipartimento di architettura e credo che non ci sia niente di meglio e di più duraturo che insegnare ai giovani marocchini a Fez un mestiere, quello di architetto, che un domani potranno utilizzarlo per uno sviluppo e per il progresso del loro paese. Credo che ancora una volta la formazione e la cultura, anche in chiave di sviluppo, siano lo strumento giusto con cui le città e egli stati possono cooperare. Questa credo è l’eredità più grande che ci lascia un grande sindaco e che ci lasciano le generazioni del passato ed è l’eredità che papa Francesco ha raccolto con grande intelligenza, e come sempre o spesso accade, più velocemente di altri. Non a caso riprendendo la frase “Costruiamo ponti, abbattiamo muri”. Non è un caso, vi racconto questa mia esperienza personale, che quando il papa convocò i sindaci delle grandi città italiane a Roma volle che un grande cardinale, ora non più tra noi, cardinale Piovanelli, parlasse proprio di Giorgio La Pira all’inizio di questo incontro, perché La Pira ci ha insegnato che le strade difficili alla fine sono quelle che portano più lontane. George Bernard Shaw diceva: “per ogni problema complesso c’è una soluzione semplice. Bene, quella è sempre sbagliata”. Sappiamo dunque che ci vuole pazienza, costanza e soprattutto fiducia nelle nuove generazioni, in tanti dei ragazzi che sono qui. E a voi tutti voglio dire: voi che siete cittadini di tante città diverse chiedete ai vostri sindaci di non essere solo dei buoni amministratori di condominio. Giorgio La Pira diceva sempre: “il sindaco di Firenze deve cambiare le lampadine e promuovere la pace del mondo”. Perché è vero: le città non hanno ministeri degli esteri, non hanno ministeri della difesa, ma hanno quella grande carica e quella potenza che deriva dal patrimonio di civiltà dalle quali sono nate. Quindi siate esigenti, chiedete strade fatte bene, giardini puliti, meno criminalità, ma chiedete ai capi delle vostre comunità di portare forte e alto il messaggio di cooperazione, di pace e di fratellanza, perché non è dall’alto che arriveranno tutte le soluzioni, ma è dalle comunità locali che dobbiamo far crescere e germogliare quel grande spirito di fratellanza e di civiltà per il nostro Mediterraneo e per le future generazioni. Grazie.

ANDREA SIMONCINI:
Ringrazio, lo state facendo voi, ringrazio il sindaco di Firenze e Sua Eccellenza Al – Nasser mi ha chiesto la parola per un minuto per una sua puntualizzazione che voleva farci.

NASSIR ABDULAZIZ AL–NASSER:
Grazie. Prima di andare via vorrei aggiungere qualcosa a quello che è già stato detto. Uno degli strumenti più potenti è il potere della musica come linguaggio universale. Le arti rappresentano uno strumento molto importante per promuovere la diversità e la tolleranza, l’Alleanza delle Civiltà, delle nazioni unite organizza concerti. E ogni anno al quartier generale dell’ONU a Ginevra l’estate scorsa abbiamo organizzato il concerto del Mediterraneo con sedici artisti provenienti dalla riva nord e dalla riva sud del Mediterraneo ed il messaggio era che questa regione, la regione del Mediterraneo, è ricca di storia, è ricca di diversità e che non è una regione di violenza e migranti. Grazie.

ANDREA SIMONCINI:
Io ringrazio anche per questa precisazione che ha ricondotto un po’ all’origine il nostro incontro, cioè al ruolo che ha nella costruzione della pace, nell’abbattere i muri, che è la bellezza, la bellezza è la forza trainante del desiderio dell’uomo e della capacità di superare qualsiasi difficoltà, di superare qualsiasi differenza. Un po’ come raccontava il sindaco Nardella del fascino che i mosaici romani hanno immediatamente avuto su di lui nel Museo del Bardo, è questo il punto. I tempi sono passati tutti e qui al Meeting sapete abbiamo da rispettare un ritmo abbastanza ferreo, la discussione poteva andare avanti e spero possa proseguire, perché quello che si è capito è che si può discutere di questo, cioè c’è la base per una discussione e mi pare che due siano i punti che emergendo come fattore, come fil-rouge dagli interventi che abbiamo ascoltato, compreso il saluto di Sua Eccellenza Monsignor Sorondo, mi pare il primo: avere chiarezza della dimensione del problema: Mediterraneo: costruire ponti, abbattere muri, è un problema complesso, è un problema grande. Il pericolo maggiore è la semplificazione. Pensare di trovare una scorciatoia per un problema complesso è l’unico modo per non risolverlo. E il problema dunque ha una dimensione che sicuramente è globale. E la parola presa qui dall’alto Rappresentante delle Nazioni Unite per l’Alleanza delle Civiltà ci fa capire qual è la dimensione internazionale che ha. Non è possibile un dialogo settoriale, il dialogo è globale. E l’altra dimensione, quella che La Pira aveva intuito, e che viveva come diceva Dario prima, occupandosi delle lampadine e della pace nel modo è il livello locale. Livello globale e livello locale, è il livello più vicino, il livello che non può non guardare in faccia l’interlocutore. La fortuna che hanno i sindaci, la fortuna che hanno le città è che c’è ancora lo sguardo, siamo ancora a distanza di sguardo, quella è la distanza alla quale l’incontro avviene, quella è la distanza che ancora produce cambiamento. Dunque il metodo è imparare da questa esperienza. Io vi invito qui al Meeting, ci sono decine di esempio di come questa integrazione, di come di questo dialogo, di come questa possibilità di costruire ponti non sia un’utopia, non sia un futuro che deve accadere, ma sia una cosa che già c’è. Vedo qui in prima fila il mio amico prefessor Weil Farouq, la mostra sulle nuove generazioni è uno di quei casi qui al Meeting di Rimini in cui tutto quello che abbiamo ascoltato accade e che quindi può essere prima ancora che progettato riconosciuto e dunque seguito. Ecco il metodo è: favorire e seguire e costruire politicamente sugli esempi che ci sono. Questo mi pare che sia il terzo e conclusivo punto. Nessuno, noi men che meno nella nostra piccolezza potremmo presumere di avere o di prendere l’eredità di Giorgio la Pira, troppo grande e troppo importante e destinato a sopravanzarci in ogni generazione, però un pezzettino di quello spirito e di quella passione mi sembra che oggi abbia risuonato in un qualche modo in questa stanza e questo secondo me fa ben sperare perché sono uomini così quelli che comunque hanno cambiato la storia. Sono uomini così quelli che hanno creato strade laddove c’erano solo macerie e rovine, che hanno aperto orizzonti laddove c’erano solo finestre chiuse. Se questa è una speranza che parte del Meeting c’è una speranza per tutti e io vi ringrazio ancora per la presenza a questo incontro e ringrazio i relatori che ci hanno fatto il graditissimo regalo di partecipare a questa nostra riunione.
Attenzione però, il mio compito non è finito, anzi ora viene un punto particolarmente rilevante perché per costruire dei ponti bisogna mettere tanti mattoncini, uno sopra l’altro poi mettere quello… anche quest’anno è possibile contribuire alla costruzione dei mattoncini del Meeting attraverso donazioni (c’è questa spinta verso l’idea del fundraising che da un po’ di anni stiamo cominciano a coltivare nel Meeting) e a questo scopo, all’interno dei numerosi padiglioni, troverete le postazioni “Dona ora”, le donazioni dovranno avvenire unicamente presso i desk dedicati dove sarete accolti da volontari che indossano la maglietta verde “Dona ora”. Invito tutti alla generosità. Grazie ancora per la partecipazione a questo incontro. Buon Meeting.