
Un figlio del rione Sanità che dialogava con il mondo
Nato il 29 marzo 1934 nel rione Sanità, Mimmo non aveva mai reciso il cordone ombelicale con Napoli. La città non era solo il suo soggetto preferito: era il suo modo di guardare il mondo, la lente attraverso cui interpretava la luce mediterranea e i misteri del quotidiano.
Aveva iniziato come tanti ragazzi napoletani degli anni ’50: disegnando, frequentando il teatro, ascoltando musica. La fotografia arrivò quasi per caso all’inizio degli anni ’60, ma fu amore immediato. Non gli bastava documentare: voleva reinventare la realtà, smontarla e ricomporla nella sua camera oscura, che chiamava il suo “laboratorio d’alchimia visiva”.
Quando Warhol e Beuys passavano per Napoli
Gli anni ‘60 e ‘70 furono straordinari per l’arte napoletana. La città era una tappa obbligata per le avanguardie internazionali e Jodice si trovò al centro di quella rivoluzione. Andy Warhol, Joseph Beuys, Sol LeWitt, Jannis Kounellis passavano dal suo studio. Lui li fotografava, ci parlava, imparava. Ma soprattutto restava se stesso: un napoletano che guardava il mondo con gli occhi di chi conosce il peso della storia e la leggerezza dell’improvvisazione.
La sua serie “Chi è devoto” del 1974 aveva documentato le feste religiose popolari con uno sguardo antropologico ma mai distaccato. Conosceva quei riti dall’interno, li aveva vissuti da bambino. Sapeva che dietro ogni processione, ogni ex voto, ogni preghiera sussurrata c’era una storia che valeva la pena raccontare.
L’ultima testimonianza al Meeting: I Sentieri del Sacro
Lo scorso agosto, dal 22 al 27, alcune delle sue fotografie più intense sono state esposte nella mostra “I Sentieri del Sacro - Gesti e rituali di fede nella fotografia contemporanea” al Meeting di Rimini. Un’esposizione che, nell’anno del Giubileo della Speranza, ha raccolto il lavoro dei grandi maestri della fotografia italiana e internazionale sul tema del sacro.
«Mimmo Jodice», dice la curatrice della mostra Micol Forti, «è stato un grande artista, un uomo di rara sensibilità umana e intellettuale. La sua ricerca fotografica ha educato il nostro sguardo a leggere e a osservare il mondo nelle sue molteplici espressioni in modo nuovo e autentico, alla ricerca di una bellezza rinchiusa non solo nella forma, ma nell’essenza spirituale e umana delle persone e dei luoghi».
Chi ha visitato la mostra ricorda le sue immagini come momenti di pura poesia visiva. Accanto ai lavori di Gianni Berengo Gardin, Antonio Biasiucci, Giorgia Fiorio, Mario Giacomelli, Ferdinando Scianna e giganti internazionali come Sebastião Salgado, le fotografie di Jodice raccontavano quella dimensione del sacro che lui conosceva così intimamente: non quella solenne e distante, ma quella quotidiana, fatta di piccoli gesti, di silenzi carichi di significato, di luce che si fa preghiera.
I curatori Micol Forti e Alessandra Mauro avevano scelto proprio quelle sue immagini dove il sacro si manifesta nell’ordinario: processioni che sembrano danze antiche, ex voto che diventano poemi muti, volti di devoti in cui si legge una fede che viene da lontano. Jodice aveva questa capacità unica: fotografare non solo quello che si vede, ma anche quello che si sente con l’anima.
Per approfondire: visita la pagina dedicata alla mostra “I Sentieri del Sacro” che ha ospitato le opere di Mimmo Jodice lo scorso agosto al Meeting di Rimini.









