FEDERALISMO IN SANITÀ: RISORSE UMANE E FINANZIARIE. QUALE FUTURO?

Federalismo in sanità: risorse umane e finanziarie. Quale futuro?

26/08/2011 - ore 15.00_x000D_ Sono stati invitati: Francesco Bombelli, Presidente del Consorzio HCM; Mario Colombo, Direttore Generale Istituto Auxologico Italiano; Sandro De Poli, Vicepresidente di GE Healthcare Europa; Carlo Lucchina, Direttore Generale della Direzione Sanità della Regione Lombardia; Marina Panfilo, Pubblic Affairs & Regional Access Director Pfizer Italia; Costantino Passerino, Direttore Centrale Fondazione Salvatore Maugeri. Introduce Marco Bregni, Presidente dell'Associazione Medicina e Persona.

Partecipano: Francesco Bombelli, Presidente del Consorzio HCM; Mario Colombo, Direttore Generale Istituto Auxologico Italiano; Sandro De Poli, Vicepresidente di GE Healthcare Europa; Carlo Lucchina, Direttore Generale della Direzione Sanità della Regione Lombardia; Marina Panfilo, Pubblic Affairs & Regional Access Director Pfizer Italia; Costantino Passerino, Direttore Centrale Fondazione Salvatore Maugeri. Introduce Marco Bregni, Presidente dell’Associazione Medicina e Persona.

 

MARCO BREGNI:
Buongiorno a tutti e benvenuti a questo incontro organizzato da “Medicina e Persona”, il cui titolo è “Federalismo in Sanità: risorse umane e finanziarie. Quale futuro?”. Sappiamo tutti che oggi siamo in una situazione di carenza, di scarsità di risorse. Anche qui comunque bisogna distinguere, perché le risorse non sono solo finanziarie, ci sono risorse umane, c’è il tempo, ci sono gli spazi, c’è la tecnologia, ci sono le competenze, competenze umane e professionali. Inoltre le risorse da sole non bastano a creare un sistema complesso come quello della sanità, è necessario un soggetto, qualcuno che le utilizzi e le ordini a uno scopo e se necessario le governi e le indirizzi alle necessità più urgenti che ci sono. In tutto questo, che è il background da cui partiamo, c’è la novità del federalismo, federalismo in sanità. Quindi sinteticamente potremmo dire che le risorse vanno utilizzate da chi le produce, ma noi ci siamo chiesti qual è la percezione che i medici e gli operatori sanitari hanno e in più generale anche gli utenti, il pubblico cioè i pazienti del federalismo in sanità, cosa vuol dire, cioè cosa hanno capito. E in secondo luogo che cambiamenti imporrà agli operatori della salute l’introduzione del federalismo in un sistema così complesso e interdipendente come quello sanitario. Abbiamo chiamato a discutere di questo argomento dei professionisti che sono in prima linea nella sanità italiana: Francesco Bombelli, di Milano, Presidente di HCM, una impresa di assistenza infermieristica e in opere educative, Mario Colombo, sempre di Milano, Direttore Generale dell’Istituto Auxologico Italiano che è un IRCCS, un ente non-profit, che opera in un ambito sanitario di ricerche biomediche in diverse regioni italiane. Poi abbiamo Sandro De Poli, che è Presidente di GE Healthcare Italia, un’impresa multinazionale tra le prime al mondo. Marina Panfilo responsabile delle relazioni istituzionali di Pfizer Italia, Pfizer è la maggior industria farmaceutica mondiale. Costantino Passerino, di Milano, Direttore del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS, presente in numerose regioni italiane e Carlo Lucchina, ben noto al popolo del Meeting, che è Direttore Generale della Direzione Sanità della Regione Lombardia. Ecco, visto che il tempo è poco, le cose da dire sono tante, io chiedo ai relatori di limitare il proprio intervento a dieci minuti e di essere quanto più possibile esemplificativi, quindi di a parlare, a partire dalla propria esperienza, della esperienza della propria istituzione. Inizia il dott. Bombelli.

FRANCESCO BOMBELLI:
Il primo pensiero che mi è venuto entrando in questa sala riguarda il 2007 – mi è venuto questo pensiero perché di fianco ho il dr. Lucchina e nel 2007 eravamo qua, il tema era come costruire un nuovo ospedale – ebbene dal 2007 ad oggi, in Lombardia ne abbiamo realizzati quasi 11, questo ci tengo a metterlo come capitolo iniziale. Rispetto al federalismo, il federalismo è partito come un treno lungo che viaggia lento, è partito da Roma e pare che parta mezzo vuoto. Cosa ci mettiamo dentro per farlo andare e riempirlo? La risposta c’è e in parte la possiamo prendere dal tema del Meeting di quest’anno, partendo dalla certezza. La certezza è che questa riforma importante dello Stato è una riforma doverosa e innanzitutto una riforma culturale, che in prima istanza passa attraverso i modi di operare dei dirigenti dello Stato e dei loro riferimenti politici, ma attenzione il risultato funzionale ed efficace di questa riforma passa solo in forza di quanto tutti gli addetti alla sanità sapranno lavorare con lo stesso cuore e la stessa attenzione con cui potrebbero lavorare su stessi e con mezzi propri, perché il concetto di questa rivoluzione deve partire da questa consapevolezza. Tornando alla certezza, e quindi tornando al tema del Meeting, che ospita questa importante riflessione, il federalismo da solo non è la leva centrale e non è la leva che da sola può intervenire sulla rotta dell’economia. Dobbiamo dire ad alta voce che va interrotto il declino demografico, dobbiamo ritornare a scommettere positivamente sulla vita, bisogna ritornare a fare figli, con la consapevolezza che se non costruiamo noi oggi, nessuno lo farà al nostro posto. Ecofin scrive che tra 20 anni avremo a disposizione forse la metà delle risorse che abbiamo a disposizione oggi. Interrompere il declino demografico che da anni rappresenta il nostro primato negativo, significa interrompere quella fonte sorgiva che è propria di questa epoca di crisi e poi, questo è importante, non farsi travolgere dalle macerie di un’idea di Stato, di welfare che nella realtà non regge più, non è più sostenibile né culturalmente né economicamente. Il pensiero del gratuito e dell’assicurato a tutti è un pensiero superato, sono 20 anni che ci diciamo che è indispensabile passare dal welfare dello Stato al welfare della società. Certo questa via d’uscita è difficile e impegnativa ma dovremo compiere passo dopo passo una rivoluzione culturale che riporti a noi e al nostro popolo quella dimensione di esploratore che ci ha sempre contraddistinto. Un tempo i padri erano certi del futuro dei propri figli, culturalmente. Oggi gli uomini sono talmente incerti del loro futuro, che i figli li fanno troppo tardi. Oppure li fanno dopo che hanno una casa, due case, due lavori. Il figlio deve essere lo stimolo a conquistare tutto quello. Se lottiamo per la ripresa di una diffusa responsabilità personale – perché poi il federalismo deve significare questo: la ripresa di una diffusa responsabilità personale, individuale – questo gioco di responsabilità ci può permettere di riveder nascere tante piccole cose, tante piccole iniziative, che insieme formano quella parola che per noi è sempre stata la nostra rivoluzione, la sussidiarietà. Però per arrivare a questo risultato è necessario anche uno sforzo educativo in cui far percepire, sperimentare ai più giovani una passione per il bene comune e per uno Stato che è tuo. Se riusciremo nei prossimi anni a fare questo, allora il puzzle che stiamo costruendo sarà quello di una società che può dare un’autentica opportunità a tutti, dove le nuove regole possono valorizzare le persone che intendono giocarsi e dove non prevarrà la burocrazia, ma prevarrà la partecipazione, il coinvolgimento. La politica? La politica deve riprendere un ruolo propositivo senza quella fretta del consenso, del risultato immediato, ma deve fare la fatica di una costruzione proiettata nel tempo. Io lo dico con grande emozione e ci credo fortemente: dobbiamo fare in modo che si ritorni alla speranza, alla capacità di sognare. Facciamo in modo che lo Stato sia quella cosa per cui valga la pena credere, per cui valga la pena faticare, uno Stato di reale sussidiarietà. Dobbiamo amare e criticare questo Paese non per quello che era, non per quello che è ora, ma per quello che sarà domani grazie a quello che facciamo noi tutti i giorni. Questo sarebbe il meraviglioso cambiamento dentro questa meravigliosa rivoluzione culturale. Il federalismo per il nostro Paese è e rappresenta questa occasione. Il federalismo in sanità è il nodo centrale di questa rivoluzione. E credo che questo sia da far entrare nella testa di ogni bambino, di ogni universitario, di ogni lavoratore, di ogni imprenditore. E mi fermo qua. Vi lascio solo con tre fotografie che spero strappino anche qualche sorriso, perché il tema è forte, il tema è di grande impegno ma l’orizzonte è sempre la vita e la vita è la scommessa per tutti. La prima fotografia è quella dei figli, la seconda fotografia riguarda la short economy, la terza fotografia: spazio al merito e alle persone perbene. C’è posto per tutti. Grazie.

MARCO BREGNI:
Passiamo adesso la parola al dottor Mario Colombo.

MARIO COLOMBO:
Grazie. Io non vi stupirò con degli effetti speciali come ha fatto Francesco, anzi, vi devo fare anche una confessione, che man mano che si avvicinavano i giorni del Meeting, riguardo a questo intervento mi veniva qualche dubbio sul titolo del nostro incontro, sul federalismo fiscale, e questo alla luce del dibattito che si è generato a seguito dell’approvazione, ancora in fase preliminare, della nostra manovra economica. Mi sono fermato un attimo a riflettere e sono arrivato a questa conclusione: che è opportuno distinguere e dividere in maniera secca e rigorosa fra il tema del federalismo fiscale e quelli che sono gli accadimenti contingenti, legati alle necessità contingenti del nostro bilancio. Ecco, per fare questo io sgombro subito il campo sulla mia posizione: io ritengo che il federalismo fiscale in sanità sia una cosa seria e una cosa importante. Questo è stato detto anche ieri qui al Meeting: il federalismo fiscale può essere definito il più imponente processo di razionalizzazione della finanza pubblica substatale realizzato nella storia repubblicana e la sua pregnanza, la sua portata è così ampia che non poteva non riguardare anche un settore così importante di spesa come quella sanitaria. Si è fatta molta retorica sul federalismo. Una retorica generata anche da ragionamenti molto raffinati, nel senso che fare una retorica seria significa anche approfondire il tema in maniera adeguata. Si è detto che il federalismo fa aumentare i costi, farà aumentare le tasse, dividerà il Nord dal Sud, metterà in pericolo la solidarietà e il finanziamento della sanità; è una scatola vuota, mancano i numeri del federalismo fiscale, il federalismo mette in pericolo la garanzia del debito pubblico. Ecco come vedete si è detto tutto e il contrario di tutto sul federalismo e anche sulle ricadute del federalismo in sanità. Bisogna scegliere un punto di vista con cui analizzare il federalismo in sanità, perché le prospettive con cui può essere affrontato sono veramente molteplici. Si può vedere il federalismo in sanità come un tema che riguarda il rapporto tra l’unità nazionale del nostro Paese e l’uniformità dei diritti da mantenere all’interno del Paese. Questo è un tema senza dubbio importante e prende atto di una divisione oggettiva che esiste già in Italia, una divisione oggettiva di accesso alle cure sanitarie. Il federalismo può essere anche la risposta a una questione meridionale oppure a una questione settentrionale, perché alcune istanze tipiche del movimento politico leghista vanno ben oltre la portata di questo movimento. Può essere visto anche come un’operazione meramente fiscale, come un tema di defiscalizzazione con cui 5 o 6 miliardi della finanza statale tornano alla finanza degli enti locali, un’operazione quasi matematica. Oppure può essere l’occasione per dare razionalità e portare ordine all’interno della finanza degli enti substatali. Ricordo che nei lavori della Commissione su federalismo fiscale ci si è trovati di fronte ad alcune regioni dove la trasparenza, la chiarezza, l’univocità dei dati contabili è stata dovuta far accertare da un ente terzo, che non fosse quello della Regione. Oppure il federalismo come momento per la riduzione della spesa sociale oppure come l’ultimo tentativo per mantenere in vita lo stato sociale. Oppure presupposto per una riforma strutturale dell’organizzazione sanitaria. Ebbene io ho individuato tre prospettive con cui inquadrare il federalismo: federalismo fiscale e crisi dello stato sociale, parità di diritti e uguaglianza di prestazioni, e federalismo, sussidiarietà e capitale umano.
Primo punto di vista: federalismo fiscale e crisi dello Stato sociale. Ci troviamo di fronte a un aumento del debito pubblico, ci troviamo di fronte all’Italia, che così come tanti altri Paesi europei, che ha fatto una scelta di fondo, quella di aderire alla moneta unica. Questo significa rispettare i vincoli di bilancio. Rispettare i vincoli di bilancio significa non pensare di poter espandere all’infinito la spesa sanitaria facendo leva sul debito pubblico. Questo non è più possibile. Questo ci impone delle azione concrete, reali di riduzione della spesa pubblica. E’ stato detto in precedenza che negli ultimi 50 anni l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL è raddoppiata, nonostante gli interventi che tutti i governi hanno fatto di riduzione della spesa sociale. E gli organismi internazionali che si occupano di queste cose ci dicono che nei prossimi 40-50 anni avverrà il raddoppio della spesa sanitaria potenziale, che è la spesa libera, la domanda libera dei cittadini di avere cure adeguate, cure di qualità, cure coerenti con l’invecchiamento della popolazione, cure coerenti con l’innovazione tecnologica. In Italia, nel 2050 la copertura del servizio sanitario nazionale scenderà dall’attuale 75% a meno del 50%. Ecco il federalismo fiscale fotografa questa situazione. Fotografando questa situazione impone una nuova governance in grado di combinare stabilità finanziaria con adeguatezza ed equità delle prestazioni. Impone un rinnovamento degli strumenti di regolazione offerta/domanda, Stato/Regione, impone lo sviluppo di pilastri privati complementari.
Secondo punto di vista che vi offro alla meditazione. Il federalismo fiscale si inserisce in un contesto dove ci sono dei paletti forti. Il primo è quello dell’articolo 32 della Costituzione che ci dice che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. L’altro paletto è quello dell’articolo 117, dove lo Stato, la legislazione statale, ha competenza esclusiva nel determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Un principio di eguaglianza nell’accesso alle prestazioni sanitarie, uniforme su tutto il nostro territorio nazionale. Questo cosa significa? Che questa eguaglianza è una eguaglianza di risorse, un’eguaglianza di soldi a disposizione, un’eguaglianza di accesso ai servizi sanitari, alle prestazioni, oppure un’eguaglianza di risultati? Io sono per il terzo di questi item: eguaglianza di risultati. Anche perché l’eguaglianza intesa come attribuzione di pari risorse monetarie, è una eguaglianza che si limita ai mezzi a disposizione e inique sono le disuguaglianze in termini di attribuzione di risorse. E questo criterio è parzialmente incoerente con quel principio che evocavo prima di parità nell’accesso ai servizi di assistenza stabiliti dai LEA. Parimenti io non sono favorevole ad una visione di eguaglianza come una modalità di accesso alle prestazioni. La possibilità di accedere a determinati livelli prestazionali a parità di qualità, non necessariamente comporta una parità dei risultati. Il cittadino che accede al servizio sanitario, il cittadino che accede alle prestazioni sanitarie vuole un’eguaglianza di risultati, vuole essere curato nello stesso modo su tutto il territorio nazionale. Quindi a mio avviso l’eguaglianza di risorse monetarie, l’eguaglianza di accesso alle prestazioni si devono concentrare, coagulare nella eguaglianza di accesso ai risultati.
Ultimo tema che a mio avviso è quello un pochino più inusuale. Mi è sovvenuto questo tema leggendo un resoconto della Banca d’Italia pubblicato a gennaio di quest’anno su un tema che è a metà tra il sociologico, l’economico e il politico. Questa ricerca concludeva dicendo che nei territori dove c’è maggiore cultura politica, c’è maggiore efficienza dei servizi pubblici. Altro risultato di questa ricerca era quello dove si diceva che l’efficacia del decentramento amministrativo aumenta l’efficacia stessa in quei territori dove c’è già efficienza. Decentramento e sussidiarietà non portano necessariamente a migliorare la soddisfazione dei bisogni. L’efficacia del decentramento infatti diminuisce nei contesti che sono poco efficienti. Quindi se vogliamo parlare di federalismo in termini di efficacia ed efficienza, dobbiamo avere come presupposto quello di inserire queste modifiche, questo nuovo modo di affrontare l’amministrazione pubblica all’interno di contesti sociali positivi e di partecipazione condivisa alla vita comunitaria. Il federalismo e la sussidiarietà che sono un tutt’uno con il federalismo, sono fortemente correlati al capitale sociale di un territorio. Non è scontato che il federalismo innesti automaticamente e direttamente processi virtuosi di responsabilizzazione nell’uso delle risorse e nella gestione della cosa pubblica. In questo contesto la perequazione, altro tema forte del federalismo sanitario e la solidarietà sono delle leve indispensabili per il federalismo. Chiudo con questa citazione che arriva dalla lettura fatta quest’estate di un libro recente del nuovo Cardinale di Milano, dove parlava di una svolta da una società dell’individuo verso una società fatta di più soggetti che parlano tra di loro e vorrei citare questa frase che mi ha colpito e spero che colpisca anche voi, parlando proprio di federalismo sanitario: “Questa svolta nasce dalla presa d’atto che sul suolo della società post-secolare, come avviene a primavera sui terreni abbandonati e pieni di detriti di città, i fili d’erba dell’esperienza umana elementare non cessano di spuntare di nuovo”. Ecco, questi sono i fili d’erba legati al federalismo sanitario che devono essere germogliati dalla partecipazione alla vita pubblica di ciascuno.

MARCO BREGNI:
Grazie dottor Colombo. Vedo che stiamo volando alto. Io penso che sarebbe anche opportuno che i relatori si riferissero alla loro esperienza per poter esemplificare quanto più possibile cosa vuol dire federalismo. Diamo la parola alla dottoressa Marina Panfilo.

MARINA PANFILO:
Buongiorno a tutti, ringrazio il moderatore, ringrazio del richiamo al tema, però permettetemi innanzitutto un doveroso ringraziamento per essere stata invitata al Meeting, un’esperienza che, secondo me, tutti dovrebbero vivere almeno una volta nella vita e per ringraziare particolarmente il motore di questo Meeting, che sono i 4.000 volontari che lavorano tutti gli anni al Meeting. La prima cosa che mi ha impressionato, appunto, nel Meeting, sono i giovani che partecipano. In questa sala sono molti del settore della sanità, operatori, medici, persone come me che lavorano per un’azienda di ricerca: ricordiamoci tutti una cosa, noi lavoriamo in quello che chiamiamo “le scienze della vita”. E la vita è un dono, come la salute è un dono, come giustamente ha richiamato stamattina Giancarlo Cesana in un incontro. Ecco, io penso al tema “Federalismo in sanità. Risorse umane e finanziarie”. Le risorse finanziarie stanno diminuendo e dobbiamo aprire gli occhi e sapere questo e sapere che nei prossimi anni le risorse finanziarie non potranno essere sufficienti a dare gli stessi servizi che sono stati erogati fino ad oggi nello stesso modo. Ma le risorse umane invece ci sono, è il valore della nostra società, è il valore di chi opera in sanità, è il valore di tanti uomini e di tante donne che si sono spesi in tutti questi anni per dare la vita, per aiutare a sopportare le malattie. Ecco, partiamo da qui, c’è una presa di responsabilità che non lavoriamo per un’impresa qualunque, noi lavoriamo ad una impresa particolarmente nobile. Io ho cercato in tutti questi anni in cui ho lavorato in una azienda farmaceutica, di fare di questo un mio credo e di combattere perché tutte le mie attività non dimenticassero mai questo punto di partenza. Trascurerò molte delle diapositive che avevo preparato per il Meeting, ma che saranno ovviamente, come il Meeting di solito fa, messe a disposizione. Vorrei sono farne vedere alcune. Questi sono i numeri della ricerca, la ricerca è un processo costosissimo e lunghissimo, un farmaco che stanno studiando oggi, lo vedranno i pazienti tra 15 anni. Oggi questo è quello che rappresenta solo un’azienda, la mia, anche se è un’azienda particolarmente grande che investe 9 miliardi di dollari l’anno in ricerca, una cifra enorme, se ci pensate, rispetto all’investimento in ricerche che si fanno a livello pubblico in Italia. Però, tutto questo dà qualcosa al Paese, ci tengo a dirlo perché vengo da un’esperienza particolare che è stata quella di far recepire a livello della Corporate, quindi a livello degli Stati Uniti, che in questo Paese vale la pena di rimanere, che in questo Paese vale la pena di investire e che va salvaguardato il capitale umano. Ho lavorato insieme con un team di lavoro e con l’appoggio del nostro amministratore delegato – Italia per far capire questo alla multinazionale globale, e quindi di poter salvaguardare un nucleo di 76 ricercatori che lavorano in una Regione dove il prodotto interno lordo pro capite è particolarmente basso, come la Sicilia. Ma quello che poi si deve vedere sono i risultati. I risultati di quello che hanno fatto gli uomini e le donne della medicina, della biologia, della sanità, in tutti questi anni hanno prodotto una cosa molto bella, che sarà anche un problema economico, lo lasciamo agli economisti, ma è una cosa molto bella, perché in pochi anni, in 45 anni, gli italiani hanno guadagnato 12 anni di vita di speranza alla nascita. Ero con il dottor Lucchina a fumare una sigaretta qui fuori, e abbiamo visto una bimba che avrà avuto due mesi, ecco quella bambina sa già di poter vivere 85 anni, sua mamma che l’ha partorita qualche mese fa, aveva già alla nascita 5 anni di speranza di vita di meno. È una cosa che non è mai successa in nessun altro secolo. L’innovazione è vita e parte dei risultati di questo incremento della vita dipende anche dal farmaco. È stato stimato, riporto la stima, che il 50% di questo incremento dipenda dalle terapie che sono state messe a punto, quindi dalla ricerca.
Il tasso di mortalità per tumori è rimasto costante, questi sono i dati che vi faccio vedere, però l’incidenza è cresciuta molto. Cosa vuol dire? Che si può sopravvivere al tumore, che speriamo molti tumori diventino cronici. Ma la cronicità è il problema economico del Paese per la sanità, perché l’assistenza è una necessità che va avanti nella vita fino ad anni avanzati e sempre più intensa, a più alta intensità. E allora, io dico, calcoliamo anche quali risorse sono messe in campo dalle nostre famiglie, perché senza la risorsa famiglia, questo Paese non potrebbe avere questi risultati di salute che invece ha. Una cosa che ricordo, passo al campo della ricerca per salvaguardare la salute nella popolazione, è che i vaccini hanno fatto passi da gigante dal primo vaccino che è stato messo a punto ai primi dell’Ottocento. Ma c’è ancora molto da ricercare, e come dice qualcuno del Ministero della Salute, la vaccinazione, quindi la prevenzione, è indispensabile, perché io devo vaccinare l’individuo perché devo garantire la salute degli altri. Ma mi devo occupare anche, come sanità, delle malattie rare o di quelle che ora mai chiamano ultra rare, dove il numero di soggetti affetti da queste malattie sono un numero talmente basso che se la rete non è sovrannazionale non si riesce ad avere le conoscenze per curarla.
E veniamo al tema, il tema della sanità. Stamattina ho sentito un riferimento simile a questo: i sistemi sanitari dell’Europa, di grandi Paesi europei, si riferiscono a due uomini. Uno è Beveridge e l’altro è Bismarck e ancora oggi noi, come l’Inghilterra e i Paesi scandinavi, abbiamo il modello Beveridge, che è un modello che dalla riforma del servizio sanitario nazionale ha portato al fatto di avere la gestione a livello dello Stato o delle Regioni del servizio sanitario, con dei tempi delle riforme, dalla riforma del ’78 che ho citato, fino al patto per la salute che contiene degli elementi di innovazione, che hanno sancito le tappe dell’evoluzione. Una volta era di moda parlare della regionalizzazione – anzi abbiamo cominciato a parlare di aziendalizzazione moltissimo negli anni ’90 – poi abbiamo cominciato a parlare della regionalizzazione a partire dalla riforma del titolo quinto, adesso va di moda parlare del federalismo – il federalismo dovrebbe unire ciò che viene erogato per tutti in tutte le Regioni, ma ciò poi deve essere sancito e governato a livello territoriale e organizzativo da parte delle aziende sanitarie. Ma la sfera sanitaria non può che crescere nel tempo come valore. Vedete che lo split della crescita della spesa pubblica ha sempre visto l’aumento maggiore della spesa ospedaliera e la percentuale sul PIL, che attualmente l’Italia investe nella sanità, è una percentuale leggermente più bassa di quella della media degli altri Paesi del modello Beveridge o Bismarck, a fronte del fatto che il nostro Paese, nel 2050, sarà composto per un terzo da anziani. Quindi noi abbiamo una grande responsabilità, preparare questo Paese non per gli effetti dell’anno prossimo o dei prossimi tre anni, ma preparare la sanità che serve per i nostri figli: abbiamo delle grandi responsabilità in questo senso. E veniamo al problema del federalismo anche fiscale. Questi sono dati che ho estratto durante le vacanze dalla pubblicazione dell’Istat. Sono dati quindi molto recenti, anche se sono riferiti al 2008, – è sempre un problema dell’Italia avere dati aggiornati. Questi sono i dati della spesa sanitaria pro-capite – la spesa sanitaria pro-capite la vedete negli istogrammi, regione per regione. Quindi vedete quali sono le regioni che spendono di più, le regioni che spendono di meno. La linea blu indica il PIL pro-capite regionale. Ecco, l’Italia ha una caratteristica: che ci sono delle differenze nel PIL pro-capite regionale enormi, da tredicimila a ventisettemila, dove ventisettemila è Bolzano. E vedete però che le Regioni che hanno il PIL pro-capite più basso, che sono prevalentemente le Regioni meridionali, hanno anche una spesa sanitaria pro-capite elevata, se non tra le più elevate. A questo punto io credo che dobbiamo ritornare a quelli che sono i capisaldi del federalismo e dobbiamo ragionare su questi. Autonomia. È vero: i servizi sanitari che sono servizi primari per il cittadino più sono vicini al cittadino e meglio è: si governa meglio a livello regionale la sanità che non a livello nazionale, a parte il fatto che poi è impossibile, a fronte di quanto ho detto, ritornare indietro su questa scelta. Però è una questione di equità. Quindi l’equità è garantita sì, da eguali risorse, ma anche da eguali gestione delle risorse e sanzioni per chi le risorse non le gestisce come le dovrebbe gestire. È una questione anche di responsabilità e la responsabilità non è sempre dell’altro, di chi mi sta vicino, di chi mi sta sopra… ma la responsabilità è di ciascuno di noi. Quindi io credo che chi veramente vuole cambiare le cose non si deve fermarle e osservare gli altri sul bordo del fiume; deve lavorare utilizzando la propria leva di responsabilità a qualunque livello sia, garantendo la solidarietà, perché questo è un valore della nostra società, è il valore della società buona che esiste in Italia e che esiste in tutte le Regioni e deve combattere i valori negativi che ci sono. Questo è quello che dobbiamo fare.
Come conseguenza ci sarà, da un punto di vista economico, la devoluzione delle entrate, la misurazione dell’efficienza come… cioè: bisogna misurare e bisogna farsi misurare e l’introduzione dei costi standard… – bisogna dare atto anche a Sacconi, quando faceva il Ministro del Welfare e aveva anche la Sanità, di aver introdotto il concetto di parlare di costi standard – e andare a incrociare il dato della spesa rispetto alla qualità erogata. L’esito immediato sarà che, ovviamente, alcune Regioni che sono il Benchmark (questo è l’esempio se prendiamo come Benchmark la Lombardia), alcune Regioni non ci staranno dentro i costi standard; ma il problema è che l’evoluzione del processo, che stava andando verso la giusta strada – a mio parere, è un parere personale – si è incrociato con il problema della manovra finanziaria. Siamo in un momento economico, in Europa, in Italia, con il 120% di incidenza della spesa pubblica sul PIL, che ci porta a dover risparmiare necessariamente, ma sulla sanità si sta scaricando un grande impegno. Allora, le Regioni… quando io sento il dottor Lucchina preoccupato – che è una delle Regioni che ha sempre gestito al meglio i conti, che ha erogato servizi di qualità con gestione oculata delle risorse – che ha paura di non farcela, allora sì mi preoccupo, perché allora dico: che cosa succede nelle altre Regioni se è preoccupata la Lombardia? A fronte del fatto che la crescita, come finanziamento, è stata determinata in modo che non sia legata alla domanda di salute, ma ai soldi disponibili. Questo è il problema. Quindi delle soluzioni innovative bisogna trovarle, perché non possiamo continuare a dire di poter dare tutto a tutti nel tempo. E vedete, qui ci sono alcuni dati relativi all’evoluzione: qui c’è la parte che ha dato di più, perché il prezzo dei farmaci è tra i più bassi in Italia rispetto agli altri Paesi; si è trattato di un vero e proprio il taglio dei prezzi, ma la spesa sanitaria continua a salire.
Arrivo alla conclusione dicendo: ci sono i tetti e sappiamo che i tetti potrebbero essere rimodulati nel prossimo anno, con la manovra economica o con una diminuzione del tetto della territoriale oppure con un pay-back da parte dell’industria sui farmaci ospedalieri. Però il problema grosso è che difficilmente riusciamo a calcolare la spesa netta, perché la spesa netta – lo diceva il dottor Lucchina ieri in un altro incontro sulla ricerca farmacologica – deriva anche dal fatto che i farmaci innovativi sono oggi rimborsati con un meccanismo che restituisce alle strutture, che hanno comprato i farmaci innovativi, quelli che non hanno avuto successo o condividono il rischio rispetto ai potenziali pazienti che non rispondono al trattamento. Quali sono le ricette? Secondo me, il nuovo piano sanitario nazionale, che è in fase di approvazione in Parlamento, già indica la via verso l’efficienza e l’efficacia (se riprende la crescita economica di questo Paese); i costi standard sono ineludibili, governo clinico anche; bisogna cominciare a fare rete: reti cliniche, applicate – lo dico qui: ci sono Regioni che hanno applicato molto le reti cliniche, come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, ma Regioni che non sanno ancora che cosa siano le reti cliniche – la prevenzione e la responsabilizzazione del cittadino, per promuovere la propria salute, promuovere l’innovazione e la ricerca in questo Paese, perché questo fa bene alle generazioni future; garantire un equo accesso alle cure e la riorganizzazione delle cure primarie, dell’assistenza primaria sul territorio. Gli ingredienti sono questi, a mio parere, però vorrei sottolineare una cosa: etica e responsabilità di chi lavora, opera e amministra la sanità. Senza questo non possiamo andare da nessuna parte e quindi fare sicuramente dei sacrifici, ma fare dei sacrifici a garanzia della vita e a garanzia della migliore salute ottenibile in questo Paese, per le generazioni anziane e per le generazioni giovani, in futuro. Grazie.

MARCO BREGNI:
Grazie dottoressa Panfilo, ci ha offerto qualche dato su cui riflettere. Non possiamo più dare tutto a tutti, anzi qui rischiamo di dare poco a tutti e niente a qualcuno. Quindi chiediamoci se il federalismo in sanità può in qualche modo ovviare a questo grosso problema. Quindi partiamo con la seconda tornata di interventi; do la parola al dottor Sandro De Poli di GE.

SANDRO DE POLI:
Grazie Marco. Signore e signori, ringrazio della possibilità di poter intervenire a questa tavola rotonda e volevo utilizzare la raccomandazione del moderatore e cercare di portare un contributo molto pratico. Penso che abbiamo avuto degli interventi estremamente validi fino adesso, che hanno dato una serie di spunti di riflessione importanti. Adesso cerco di portare, magari, un contributo con la prospettiva vista dall’industria di quelli che sono alcuni degli elementi che abbiamo discusso fino adesso. Abbiamo visto sulla presentazione della dottoressa Panfilo la diapositiva che parlava, nel 2001, dell’inizio del processo di regionalizzazione della sanità; in buona misura, dal punto di vista della gestione, dal nostro punto di vista, come industria, questo coincide con una gestione di tipo federalistico della sanità, dal punto di vista del fatto che ogni regione decide al suo interno che tipo di cure fornire alla sua popolazione, all’interno dei LEA, e come. Quello che andrà a cambiare, come avete visto, è il sistema di finanziamento: come le Regioni verranno finanziate, per fornire queste cure, ancora una volta all’interno del rispetto dei livelli essenziali di assistenza. Per cui possiamo già dire, da un punto di vista operativo, una buona esperienza di gestione federalistica l’abbiamo già avuto in questi ultimi anni. Il prossimo passo sarà un passo molto significativo. Abbiamo visto Regioni che spendono molto meno di altre come spesa pro-capite e pensiamo che queste ulteriori evoluzioni verso un federalismo vero, completo in sanità, non debba mettere a rischio, per motivazioni di economia gestionale, la qualità delle cure. È chiaro che un federalismo sanitario non dovrebbe essere visto come un qualcosa che aggrava la burocrazia, i costi, ma dovrebbe essere visto come facilitatore dei processi di azioni in sanità e un qualcosa che permetta di migliorare la domanda di salute, con una migliore focalizzazione sui bisogni, e le conseguenti risposte. Una delle grosse preoccupazioni che abbiamo come azienda, è che un sistema sanitario federalista, completamente a regime… – abbiamo visto prima: le Regioni più grosse sono tipicamente quelle più efficienti dal punto di vista della spesa e se uno guarda, se non altro per reputazione, alla qualità delle cure rese, (esse) sono anche le migliori, se non le migliori in assoluto, tra le migliori come qualità delle cure rese stesse. La grossa domanda che noi abbiamo è: in un sistema federalista, assoluto, dove si parla di costi standard applicati, come faranno le piccole Regioni, a gestire una sanità di livello? E tipicamente le Regioni piccole sono quelle che oggi… – lo vedete con i picchi di Bolzano, che è la Regione con la spesa più alta pro-capite in Italia e non è un caso: sono pochi abitanti… a parte che possono probabilmente permettersi di spendere tanto pro-capite, ma essendo pochi abitanti non possono spalmare il costo del sistema sanitario locale su un numero di persone importante. Una riflessione che può avvenire a questo punto è, in prospettiva, se non possa essere necessario (probabilmente dovrà esserlo) pensare a formule di cooperazione, di associazione, di alleanza, fra le Regioni piccole, per poter meglio condividere processi, metodologie di lavoro, metodologie di cura, che possono permettere la compatibilità con il nuovo quadro economico.
Un’altra considerazione che vediamo un po’ dissonante in un contesto federalista, come si sta materializzando, è che si sta assistendo – e questo è un tema di cui avevamo parlato qualche mese fa con il dottor Lucchina, casualmente – ad un aumento delle gare centralizzate nazionali, che, in un contesto federalista è un paradosso – il fatto che una regione debba essere obbligata ad attingere ad una gara Nazionale, per poter soddisfare ai suoi bisogni di tecnologia nel campo dei beni e servizi in generale.
Un altro grosso elemento di riflessione e preoccupazione, in qualche misura, è questo: aziende come quella che rappresento (una azienda nel campo della tecnologia), quanto pronte sono a questo passaggio, a questa accelerazione nel campo del federalismo nella sanità? Questo perché, ancora una volta noi siamo abituati a funzionare con i meccanismi attuali. Se il quadro di riferimento cambia, quanto tempo ci metteremo come aziende ad imparare questo nuovo quadro di riferimento, a elaborarlo e ad allineare il nostro modo di funzionamento a un qualcosa che potrebbe cambiare in maniera anche significativa dal punto di vista del modo di funzionamento? Un altro elemento importante per noi, che vediamo come un possibile ostacolo, è che un federalismo efficace deve prevedere regole chiare e distribuzione delle responsabilità. Oggi noi operiamo come aziende in un sistema nel cui quadro di riferimento vediamo regole poco chiare, interpretate talvolta in maniera arbitraria e che finiscono, come estrema ratio, in situazioni di conflittualità estrema, che si manifestano tipicamente in ricorsi al TAR, decisioni che vengono prese e non implementate per mesi, se non per anni o addirittura decisioni prese e cancellate dal TAR. Riteniamo che questo possa introdurre un fattore di difficoltà ulteriore che va considerato e apprezzeremmo il fatto che venga considerato a priori all’interno di questo ragionamento.
Due considerazioni: in generale – il quadro normativo che cambia – noi aspettiamo che cambi… se deve cambiare, cambi velocemente, in modo tale da potere cambiare auspicabilmente una volta sola anche noi, per poterci allineare a questo quadro di riferimento, cosa che – ripeto – nel sistema attuale, che sembra caratterizzato da una certa tendenza a movimenti un po’ a destra, un po’ a sinistra, da una situazione un po’ ondivaga, non è sicuramente il quadro auspicabile.
Un’altra considerazione importante ancora in un quadro federalista: abbiamo parlato di LEA che è sicuramente un denominatore comune all’interno della Regione, però può essere, deve essere confrontato con il fatto che ogni Regione possa avere indicatori sanitari diversi delle prestazioni. Questo è un qualcosa che da un punto di vista industriale auspicheremmo non succedesse, è necessario che ci sia una omogeneità nella misura degli indicatori di performance, perché sennò a questo punto siamo obbligati a operare in venti Regioni in Italia, in venti modi di funzionamento diversi, cosa che assolutamente non possiamo permetterci dal punto di vista della struttura del funzionamento della società.
Un’altra considerazione legata all’avvento del federalismo sanitario completamente implementato in Italia: – questo, se volete, è uno spunto di riflessione che abbiamo visto e vissuto, collaborando in una iniziativa con la Regione Lombardia – esistono situazioni federaliste in altri Paesi d’Europa – per esempio, l’anno scorso è nata una collaborazione tra Regione Lombardia e Catalogna – che riteniamo essere potenzialmente di grandissimo interesse, sicuramente il dottor Lucchina è la persona più qualificata per esprimersi in merito (noi siamo stati solo spettatori di un evento che è successo in Spagna) e pensiamo che uno scambio di esperienze di questo genere possa essere di grandissimo valore nella crescita di un sistema pienamente federalista. Non dimentichiamo che la Spagna per esempio ha un federalismo sanitario completamente implementato, da una discreta quantità di tempo. In Spagna, praticamente, ogni Assessore alla Sanità regionale è, a tutti gli effetti, un Ministro della salute, nel suo piccolo.
Un’altra considerazione importante – ancora una volta metto tutti questi elementi sul tavolo che sono tutti elementi di riflessione, non abbiamo necessariamente delle risposte -: come federalismo sanitario e ricerca scientifica e gestionale possono coniugarsi, possono unirsi assieme? Chiaramente bisogna entrare nel sistema federalista per capire quali possono essere da una parte gli ostacoli di sistema, dall’altra parte quali possono essere le opportunità di accelerazione, invece, per implementare un sistema virtuoso che permetta di poter fare meglio ricerca all’interno di un sistema federalista.
E poi una considerazione che forse ci poniamo oggi, perché siamo in una fase -pur avendo l’esperienza della regionalizzazione della sanità – in cui ci poniamo in un contesto prospettivo di federalismo sanitario, è: qual è l’obiettivo che ci poniamo? Una sanità più efficiente? Più efficace? Cure migliori? Portare tutta l’Italia ad uno standard comune? Chiaramente questo rischia di essere un elemento… nel momento in cui si dice: i LEA sono alla base, poi ognuno fa quello che vuole o può, c’è il rischio che venti Regioni partano tutte in venti direzioni diverse, cosa che probabilmente non è assolutamente un qualcosa di auspicabile. Di conseguenza a questo punto – torniamo al punto evocato prima – gli strumenti di valutazione delle performance sanitarie diventano fondamentali.
Un’altra considerazione dal punto di vista dell’industria: noi vediamo in queste trasformazioni – e lo dico credendolo genuinamente – che tutte le opportunità di cambiamento possono portare ad un cambiamento migliorativo significativo. Noi siamo una azienda di tecnologia (e l’abbiamo già presentato su questo palco negli anni passati), di tecnologie che permettono di portare capacità diagnostiche lontano dall’ospedale, lontano dal centro diagnostico, permettono di portarle sul territorio, permettono di portarle a casa del paziente; anche questa capacità – e ancora una volta, Regione Lombardia è stata pilota in una serie di queste iniziative per vedere di capire, prima di altri, come poteva esserci un contributo positivo dato da queste sperimentazioni – va inserita all’interno del nuovo meccanismo di federalismo sanitario. E con tutto questo – e questa potrebbe essere una interessante collaborazione dell’industria con in vari sistemi sanitari regionali – potremmo identificare l’opportunità di ristrutturare i modelli di implementazione e di efficienza dei percorsi diagnostico terapeutici. Noi siamo fortemente convinti della possibilità di potere aumentare gli standard, spendendo meno soldi. Con questo chiudo il mio intervento, vi ringrazio per l’attenzione e ripasso la parola al moderatore.

MARCO BREGNI:
Grazie Sandro e adesso sentiamo il professor Costantino Passerino che è il direttore generale della Fondazione Maugeri che, se non sbaglio, è una Fondazione che è presente in più Regioni, quindi il problema del federalismo loro se lo sono posti.

COSTANTINO PASSERINO:
Buongiorno a tutti e grazie dell’invito quest’anno al Meeting che ha dato molti spunti ovviamente su materie diverse che riguardano e che sono le più importanti, quelle dello spirito, che però coinvolgono ovviamente anche una parte importante della nostra progettualità. Il federalismo è un concetto molto vasto ed è un concetto che parte da alcuni contenitori ideologici che sono quello americano, quello tedesco, quello svizzero. Abbiamo visto prima come la sanità in Europa sia modellata con un sistema solidaristico; il sistema americano consiste nell’individualistico, nel tempo il sistema americano si è sempre più avvicinato a quello europeo, il sistema europeo costa, grosso modo la metà di quello americano. Sta di fatto però, e questo è un dato molto importante, che la parola federalista non è stata introdotta dagli stati ma uno dei movimenti culturali più grossi d’Europa è stato il federalismo europeo, che ha pervaso quasi un secolo di storia e che ha dato origine all’Unione europea. Esso era tutt’altra cosa, ed è tutt’altra cosa rispetto a quello che noi leggiamo quotidianamente sui giornali del federalismo, e allora come tutti faccio una riflessione, perché evidentemente come in passato c’erano le vie italiane, cioè stiamo cercando la via italiana al federalismo, e allora se cerchiamo la via italiana al federalismo bisogna riflettere su tutto, bisogna dirci tutte le cose, bisogna dirci che l’Italia ha 150 anni, che ha avuto la questione meridionale, che adesso, come è stato detto anche prima, adesso c’è la questione settentrionale e quella meridionale, ci sono dei problemi nazionali, non dello Stato ma nazionali, che vanno ovviamente chiariti, perché come dicono a Napoli il pesce quando puzza comincia a puzzare dalla testa, allora il federalismo, così come lo stiamo concependo oggi, a mio modo di vedere, esige, come tutti gli altri federalismi, uno Stato forte. Bauman, un grande personaggio ripreso anche nel titolo del Meeting, dice che gli Stati sono sempre fondati su due cardini, il potere, cioè fare le cose e la politica, cioè immaginarle e organizzarle. La riforma sanitaria italiana, che è la legge 502-517, è stata fatta all’inizio degli anni novanta, prevedeva già che le Regioni avessero competenze in materia di amministrazione, legislazione e attività in materia sanitaria. La riforma della Costituzione della 117 ha detto che la Sanità è materia concorrente, quindi vuol dire di competenza delle Regioni. Bisogna però prendere atto di un fatto, che la Regione Lombardia nel 1996 ha fatto la legge 31 e si è adeguata alla 502, la maggior parte delle Regioni italiane si sono adeguate alla 502 a partire dall’inizio degli anni 2000, alcune non lo sono ancora oggi, allora è chiaro che esiste una grossa differenziazione tra le Regioni in materia di Sanità, se non vogliamo avere diciannove Sanità diverse, bisogna che lo Stato entri in materia di Sanità e quindi di distribuzione delle risorse. Ricordo e sottolineo che la Sanità è i due terzi dei bilanci di tutte le Regioni, almeno, e che le Regioni italiane oggi ricevono il loro fondo, diciamo, per testa, non per regione, e che quindi tutto sommato in tutti questi anni in cui il fondo sanitario grosso modo è stato diviso così, hanno a disposizione pari risorse. Ma è chiaro che oggi come oggi il problema è proprio che il fondo sanitario nazionale sia diviso per testa e non per regione. Entro nel merito della questione: è sotto gli occhi di tutti che un problema sanitario come l’immondizia non è risolto, perché è un problema sanitario, non è un problema…quindi esistono dei grossi problemi da risolvere, come l’organizzazione degli ospedali, come la rete delle emergenze, come tutto quanto. Nessuno può negare che se ha un problema, in talune Regioni del sud Italia non riceve lo stesso trattamento che ha in Regioni del nord Italia. Cito sempre la Lombardia perché sono di parte, ma comunque sia, è che il modello lombardo non può essere trasferito alle altre Regioni. Perché? Perché le Sanità non sono il problema, come i farmaci non sono il problema che decidiamo oggi e l’effetto ce lo abbiamo domani; le varie Sanità regionali sono il frutto di un’Italia che si è formata in 150 anni, della cultura e delle risorse disponibili e anche economiche delle varie Regioni. Ho sentito più volte, anche in altri dibattiti del Meeting, che sono le forze sociali che si devono fare avanti, che le risorse non ci sono, che le risorse sono poche, che i problemi vanno risolti. Allora bisogna ricorrere alla società, ma ricorrere alla società vuol dire ricorrere anche alla politica, quindi come diceva giustamente Bauman, bisogna immaginare e organizzare. Ecco, tutto questo io lo vedo non facile nella realtà attuale. Non è basandosi su dei concetti, mi dispiace di doverlo dire, ma non illudiamoci che l’inserimento dei costi standard risolva il problema, caso mai i costi standard faranno vedere quali sono i problemi. Grosso modo, però, li sappiamo già e non facciamo finta di non tener conto che comunque facciamo parte dell’Unione europea, che ha dato alcune direttive, per esempio sulla la libera circolazione dei pazienti, la libertà delle cure, che addirittura in talune delle Regioni italiane oggi non viene del tutto applicata o si vorrebbe non applicarla più, il che mi fa abbastanza paura. La parola federalismo, quindi, innesca tutta una serie di problematiche che riguardano anche e soprattutto lo Stato. Io sono convintissimo che in assenza di uno Stato forte noi faremo un federalismo di tipo regionale e quindi avremo leggi sempre diverse, avremo… se non ci mettiamo una pezza, o se non cominciamo a ragionare che questo è un periodo di transizione e ci organizziamo per arrivare a… allora ci vuole uno Stato che pianifichi il passaggio della Sanità al federalismo sanitario; che non si illuda, come si è illuso di fare in tre anni l’introduzione dei DRG, quando ancora oggi ci sono alcune Regioni che non hanno dei loro DRG. Devo dire che all’inizio molte Regioni correttamente si sono rivolte a dei modelli statali che erano universali, perché non ce la facevano, soprattutto le Regioni piccole non erano organizzate per farlo. Ora, che ci siano delle Regioni piccole in Italia non è una novità, che esista la Basilicata non è una novità, e che la Basilicata non avrà sicuramente le stesse possibilità della Lombardia, a meno che non trovino il petrolio… Quindi queste problematiche vanno affrontate e secondo me vanno affrontate dallo Stato, da uno Stato forte e in Italia esiste un organismo che è servito da camera di compensazione, che fino ad adesso comunque ha fatto il suo dovere, che è la Conferenza Stato Regioni e che ha tenuto un po’, in modo diciamo federalistico, i problemi dello Stato e delle Regioni soprattutto in Sanità. Ripeto la Sanità è due terzi dei bilanci, quindi la Sanità deve essere…tenete presente comunque che c’è un altro fatto su cui dobbiamo riflettere, la globalizzazione, che è una cosa si liquida in termini sociologici ma in termini economici è molto forte. Stamattina sul giornale c’era scritto che cominciano gli attacchi alla Germania, alle borse tedesche, quindi anche la certezza della Germania forte sta crollando, la speculazione internazionale può attaccare dappertutto, il che vuol dire che non esiste un mondo a compartimenti stagni, in cui noi facciamo il federalismo in Italia e poi ci dimentichiamo del resto. Noi dobbiamo fare i conti con la globalizzazione che esiste, con società multinazionali molto forti che lavorano in tutto il mondo e che quindi dicono la loro in campo internazionale, su cui l’Italia comunque deve fare i suoi conti. Esiste una società italiana che è quello che noi vediamo tutti i giorni e che ha delle grosse differenze che non possono essere colmate chiudendosi in Regioni, a meno che non si decida, e allora non parliamo più di federalismo, che non esiste più una nazione, ma esistono degli stati che sono indipendenti. Quando si parla di secessione si parla di questo, allora se noi siamo una nazione e siamo uno Stato dobbiamo organizzarci, dobbiamo quindi costruire … e quindi il futuro del federalismo in Sanità passa, secondo me, attraverso uno Stato forte. Diceva il moderatore prima di parlare di esperienze personali, io lavoro con otto Regioni, tre sono del sud e cinque sono nel nord, tutto quello che vi ho detto è tranquillamente riscontrabile, quindi ci sono modi di approcciare il problema che è legato alle realtà culturali delle diverse Regioni. Scherzavo prima, ma qualche volta la parola Sanità fa rima con criminalità, è due terzi del bilancio, è chiaro che lì ci guardano tutti, è inutile che facciamo finta di non sapere che c’è una parte dell’Italia che non è controllata dallo Stato. Lo dicono i giornali, lo dicono tutti, e quindi se non è controllata non è controllata e quindi su tutte queste cose bisogna che lo Stato ci entri, ma ci entri lo Stato. Le Regioni sono competenti in campo sanitario da un punto di vista amministrativo, legislativo, ma il controllo del territorio, il controllo della nazione o è un compito tipicamente statale, che consisterà in un chiamarti a fare sempre di più, più andrà avanti l’integrazione europea. L’integrazione europea, a mio modo di vedere, è necessario che vada avanti, perché in un processo di globalizzazione verremo sicuramente superati da altre aree del mondo, l’Europa sarà superata da altre aree del mondo che si stanno affacciando, dal famoso gruppo, Brasile, Russia, India e Cina, che da un punto di vista economico si stanno sviluppando molto, e in modo molto forte. Abbiamo parlato di federalismo, ma il federalismo non a caso è una partita importante che però deve tenere presente tutto quello che al federalismo afferisce. Grazie.

MARCO BREGNI:
Grazie prof. Passerino, passo la parola al nostro oratore conclusivo, il dottor Carlo Lucchina.

CARLO LUCCHINA:
Grazie, chi mi ha preceduto ha già dato ampie spiegazioni, personalmente anche seguite con grande interesse, sul problema del federalismo in Sanità. Con voi io adesso vorrei tornare all’oggi, al momento in cui stiamo vivendo e per la precisione da qui alla fine del 2014, quando qualunque sia il governo che ci sarà in questo Paese, si declineranno tutti gli impegni contenuti nelle manovre recenti, perché se non cominciamo da qui, perdiamo il senso del pratico, o meglio del pragmatico più che del pratico, perché? Perché sul federalismo in Sanità la discussione si è concentrata da subito sui costi standard, operazione assolutamente meritoria, ma operazione che non coglie il segno fino in fondo del federalismo in Sanità, perché nella Sanità c’è certamente il costo standard, ma prima del costo standard c’è il fabbisogno standard e il fabbisogno standard, nel rispetto di un vincolo costituzionale, altro non è che un accordo politico di chi governa insieme ai suoi interlocutori istituzionali, che decidono e determinano in quel momento storico, l’anno, due o tre anni, quante risorse ci vogliono per soddisfare il principio costituzionale della tutela della salute, punto. Quindi, quando il sento che il costo standard vorrebbe dire un recupero rispetto al fondo sanitario nazionale di X miliardi, comincio ad agitarmi, perché è pericolosa la confusione. Il Ministro Calderoli ieri correttamente faceva l’esempio delle siringhe, io che ho seguito abbastanza da vicino tutta l’evoluzione dell’analisi della valutazione del costo standard e quindi manifesto anche pubblicamente la mia ammirazione e il rispetto per coloro che hanno lavorato su questo costo standard, sottolineo però che mi sarebbe piaciuto anche magari contribuire a determinare il costo standard per patologia. Perché la siringa è importante, ma mi piacerebbe sapere alla fine che cosa mi costa una appendicite a Bormio oppure quando è fatta a Latina, è fatta a Taranto ed è fatta a Trapani, perché la siringa è importante, ma siccome parlo a medici e se dovessimo fare le gare centralizzate mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i miei cardiologi, oppure i miei ortopedici sulle protesi all’anca, che come sanno coloro che lavorano in Sanità non sono costi da ridere. Quindi il pericolo che stiamo correndo è di semplificare la questione. Il costo standard è un passaggio, il costo standard viene fatto sui fattori di produzione per il semplice fatto che in questo Paese non abbiamo i dati analitici; il costo standard che determina poi il costo standard nazionale è fatto su rilevazioni analitiche di tre grossi fattori: i ricoveri, la specialistica la fanno gli enti territoriali, c’è fuori però tutta l’assistenza territoriale domiciliare, che vale trenta miliardi del fondo minimo. Diciamo che stiamo costruendo un costo standard su sessantacinque miliardi rispetto ai centosei, quindi importante, positivo, ma certamente un passaggio che va perfezionato. Allora quando qualcuno sostiene che il fondo sanitario è sovradimensionato, secondo me non è in condizione di provarlo, per un motivo principale che vado ripetendo da anni. Chi lavora in Sanità e mi ci metto anche io molto sommessamente, sa benissimo che i bisogni sanitari sono tali e tanti che nel momento in cui ti si rileva una disponibilità di finanziamento di X euro, uno, dieci, centomiladieci milioni, hai una fila di bisogni sanitari inespressi che non finisce mai, quindi è abbastanza improprio parlare di risparmio, parliamo se mai di razionalizzazione per cercare di recuperare risorse che sicuramente siamo in grado di destinare ad altri bisogni sanitari o sociosanitari. Tutto questo passaggio mi fa venire il dubbio che alla fine il problema non è che possa pretendere di conoscerlo solo io. Perché nel momento in cui vai ad analizzare i fattori che concorrono alla spesa sanitaria, non puoi non porti la domanda, a mio parere oggi del tutto attuale, e sempre più nei prossimi mesi, se l’attuale modello organizzativo sanitario nazionale sia ancora validissimo a trentadue anni dalla sua nascita, anzi trentatré tra poco, per la precisione, perché l’833 è del dicembre del settantotto, oppure non vada fatta una riflessione. Perché? Ma lo diceva prima Marina Panfilo: nel ’78 l’aspettativa di vita era 73 anni, nel 2011 settantanove. Facciamo solo questo esempio: nel settantotto le ernie inguinali le ricoveravamo una settimana in ospedale, nel 2011 entrano alle nove di mattina, vanno via alle cinque del pomeriggio. Noi abbiamo ancora un modello organizzativo della medicina territoriale che è del ’78, delle farmacie che sono del ’78, va bene così? No, perché prima di andare a chiedere i soldi ai cittadini come abbiamo fatto… recentissimo esempio di federalismo regionale: le varie Regioni hanno applicato il famoso dieci euro a ricetta praticamente in otto modi diversi, la Lombardia l’ha modulato in un modo, il Piemonte è stato abbastanza vicino alla Lombardia, il Veneto ha fatto una cosa diversa, siamo in Emilia dove hanno messo anche il ticket sui farmaci che loro prima non avevano per cercare di modulare, così ha fatto la Toscana, beh? Non è federalismo? Se è questo il federalismo, per me il federalismo sarebbe 22 ville a schiera, tante quante sono le Regioni, modello Ikea, uguali, chiaro? Dove però ognuno, all’interno della propria villetta fatta così, può farsi l’arredamento che crede; non chiedo mica tanto, datemi lo spazio per l’arredamento. Accade che in Lombardia, non so, si curi una malattia rara e non la si curi in Sicilia; per l’amor di Dio, se non ce la fanno, che vengano pure in Lombardia a farsi curare che li curiamo più che volentieri, ci mancherebbe altro, però santo Dio qualche cosina in più, perché ci vogliamo mettere un quadro un po’ bellino, non so un comò, un mobile, un tavolo da pranzo un po’ particolare, ma funzionale, ce la dovrebbero lasciare… Questo secondo me, in modo molto schematico e semplice, sarebbe il federalismo che io sogno, che non è possibile nell’immediato eh, perché è vero che le risorse diminuiscono, è vero che noi abbiamo le Regioni in piano di rientro. Quando la mia amica Marina Panfilo dice che bisogna recuperare l’efficienza regionale… il Lazio che è in piano di rientro dal 2009 se ce la fa, ce la fa nel 2013 e non nel 2014, la Campania probabilmente arriverà oltre, la Sicilia ce la sta facendo perché è Regione a statuto speciale, stiamoci attenti anche a questi aspetti, come la Provincia di Bolzano; se la Provincia di Varese dove abito fosse una Provincia a statuto speciale, ragazzi, non avete idea, non avete idea… Quindi sono tutte situazioni con le quali dobbiamo fare i conti giornalmente, allora dove sta il problema che è abbastanza immediato? Ogni Regione, vi garantisco, fa l’impossibile per trovare marchingegni per migliorare, ma il modello è questo. Noi arriveremo a fine 2012 a porci la domanda: diminuiamo i servizi o diminuiamo la qualità dei servizi? Diminuiamo la qualità dei servizi quando io ho i medici massacrati da richieste di risarcimento, dove ormai il costo delle polizze assicurative è diventato spaventoso, al punto tale che una compagnia di assicurazione che aveva parecchie polizze con la Sanità è fallita recentemente. Diminuiamo le prestazioni? E’ la stessa cosa che diminuire la qualità, perché poi chi non viene assistito, oltre al problema etico sociale, ti denuncia? O mettiamo mano al modello? Sempre Marina Panfilo in una sua slide, faceva vedere com’era l’incidenza della spesa ospedaliera. Allora vi parla il Direttore generale di una Provincia che da sempre, eh di una Regione scusate, che da sempre è accusata di essere ospedalocentrica – vedrete i dati ufficiali del 2010, quando sono pubblicati scoprirete che non è così, ma fa niente – ma ci si dimentica a mio parere un altro dei problemi che non possono non essere considerati nei costi standard, è che ormai la Sanità è un concetto assolutamente restrittivo, parziale e non rispondente alla realtà dell’assistenza che facciamo. Noi oggi facciamo Sanità, sociosanità sociale contemporaneamente, perché quando nelle nostre medicine interne non riusciamo a dimettere le persone perché non sanno dove andare, non faremo mica Sanità? Facciamo assistenza sociale, abbiamo un ginepraio di esenzioni sui ticket della farmaceutica e della specialistica che io quando le leggo per la Regione Lombardia provo un leggero senso di vergogna, perché sono incomprensibili, cioè c’è dentro di tutto. Io vorrei capire se dobbiamo parlare di costo sanitario o se non è la volta di riuscire a far riflettere le persone che la Sanità è come l’acqua, cioè l’acqua è un bene pubblico primario si o no? Perché se non beviamo, se non ci laviamo etc. rischiamo seriamente la nostra salute eh, l’acqua la pagano tutti come prodotto o no? Chi è in stato di indigenza, chi è in stato di fragilità e ha diritto al rimborso glielo rimborsi, ma questa commistione, secondo me, non la teniamo più, cioè non ce la facciamo più noi ad essere quelli che verificano anche il reddito del nucleo familiare, non ce la facciamo più, non ce la facciamo più a capire che nel socio assistenziale l’indennità di accompagnamento invece di essere vincolata al pagamento della retta della struttura, nel momento in cui la persona è ricoverata, è lasciata nelle mani del nucleo familiare che potenzialmente può anche trarne una rendita. Allora vi ho fatto tre esempi di modello organizzativo, non mi fate entrare per favore sull’argomento del modello organizzativo territoriale, se no ancora una volta passo come colui che vuole ammazzare i medici di medicina generale, cosa assolutamente falsa, anche se qualche volta mi fanno innervosire, lo ammetto.
Però, il modello della medicina territoriale è il modello del ’78, in Lombardia noi stiamo sperimentando, sottolineo il verbo sperimentare, il CRAK, chronicle relating group, praticamente la RG dei cronici assistenziali. Chiedendo ai medici di medicina generale, ieri con Nicola Sanese ho avuto la conferma di essere stato nel giusto, perché un medico di medicina generale ha chiesto di parlarmi perché era preoccupato, gli ho risposto, bene sono contento, perché ho stimolato qualche medico di medicina generale, adesso apriamo il confronto. Perché se mi manca il sostegno in questo sistema della medicina territoriale, andiamo senza una gamba, abbiamo una sedia con tre gambe; se i farmacisti non ci seguono sui nuovi modelli di natura organizzativa, abbiamo una sedia con due gambe e mezzo, nessuno è in grado di tenere in piedi una sedia con due gambe e mezzo, ce ne vogliono quattro. Questo però si fa fatica a capire e allora qual è la prospettiva? Vi ripeto ancora una volta, noi abbiamo il segmento temporale davanti da qui al 2014, a normativa vigente noi sappiamo che nel 2014 il fondo sanitario nazionale rispetto al 2011, vuoto per pieno per essere semplici, diminuisce di sei miliardi. Ognuno di voi nella propria Regione chieda qual è la quota di accesso del fondo per la Lombardia, vale un miliardo. Come li troviamo? Chiudendo gli ospedali? Ma il presidio sanitario territoriale ci vuole comunque; non assumendo? Ho capito ma i parametri di accreditamento rispetto dei tempi di intensità assistenziali ci vogliono. Facendo le gare centralizzate? Perfetto risparmiato una volta, poi standardizzi questo e gli altri costi aumentano. E’ stato opportunamente ricordato che la farmaceutica in questi anni è quella che ci ha aiutato a tenere il sistema grazie alla diminuzione dei prezzi, perché se andate a vedere i dati, il numero delle ricette, il numero dei farmaci sono in costante aumento. Li troviamo tutti con le entrate? Dove? Chi vi parla è un estremo difensore delle tasse di scopo, per esempio. Io che fumo, la quota sulle sigarette l’avrei messa da un pezzo. Non solo su quella, ad onore del vero, ognuno di voi faccia il conto degli stili di vita che oggettivamente sono pericolosi per sé e per gli altri, io ci metto anche compresi i comportamenti non rispettosi del Codice della strada, e anche di alcune attività sportive, e poi faccia l’elenco di queste situazioni; ma ammesso e non concesso che si arrivi lì, non è possibile trovare sei miliardi di entrate, che tra l’altro vorrebbe dire non avere neanche l’aumento del tasso d’inflazione programmato da qui al 2014, quindi sei miliardi diventano più o meno otto, nove miliardi. E secondo voi, dove continuiamo a tagliare? Quello che a me fa rabbia e poi veramente concludo perché mi sto dilungando un po’ troppo, è constatare come quando sono al Ministero e si parla dei piani di rientro, e sto nel Lazio, perché è una Regione che conosco bene: bisogna chiudere gli ospedali, su Roma non riesci a chiudere un ospedale, hai chiuso il S. Camillo per miracolo, San Giovanni scusate, per miracolo. Non riesci a chiuderlo perché la gente, perché il problema del riordino della rete ospedaliera, e concludo, è prima di tutto un problema culturale, perché noi siamo un Paese che da decenni ha abituato le persone che non si sentono bene a qualunque ora del giorno e della notte, Natale e Pasqua, l’ultimo e primo dell’anno compreso, a sapere che c’è un punto dove se vai lì, ti puoi anche arrabbiare se aspetti qualche ora, o parecchie ore, però alla fine qualcuno ti guarda e ti dice cosa hai, che è il Pronto Soccorso. Prima di riuscire a fare una manovra di riordino dei Pronto Soccorso, bisogna partire cercando di convincere la cultura delle persone, dei cittadini, che quando non stanno bene non è necessario che vadano al Pronto Soccorso, ma contemporaneamente gli devi dare un’alternativa, valida, credibile, della quale loro abbiano fiducia. Tutte operazioni veramente complicate. Secondo me ce la faremo ancora una volta, perché per esperienza diretta so che in momenti come questi gli operatori sanitari danno il meglio di se stessi, brontolano, si arrabbiano, rivendicano, scrivono, però alla fine abbiamo una garanzia che quando c’è lì una persona che ha bisogno di un qualcosa, perché non sta bene, uno dei nostri c’è sempre. Grazie.

MARCO BREGNI:
Grazie, grazie a tutti i relatori. Adesso sappiamo che secondo la Direzione Generale Sanitaria l’unico sport concesso ai cittadini lombardi è il ping pong.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

26 Agosto 2011

Ora

15:00

Edizione

2011

Luogo

Sala Neri GE Healthcare
Categoria
Incontri