DALL’AMICIZIA ALL’AZIONE, DALL’AZIONE ALL’AMICIZIA. GIUSEPPE TOVINI

Presentazione della mostra. Partecipano: Edoardo Bressan, Docente di Storia Contemporanea all’Università degli Studi di Macerata; Giuseppe Camadini, Presidente Fondazione Tovini. Introduce Raffaello Vignali, Curatore della mostra.

 

MODERATORE:
“Dall’amicizia all’azione. Dall’azione all’amicizia”. Questo è il titolo che abbiamo voluto dare a questa mostra su Giuseppe Tovini, ed è un titolo che è preso da una bellissima introduzione che fece l’allora Monsignor Montini alla più completa biografia di Tovini fatta da padre Cistellini; e proseguiva questa frase dicendo appunto: “dall’amicizia all’azione. Dall’azione all’amicizia”. Diceva: “In questa circolazione di carità nacquero le opere, ed ebbero, questo c’insegna la vita di Tovini, ed ebbero, piccole o grandi che fossero, fortunate o fallite, valore apologetico, cioè di difesa del cristianesimo, e virtù rappresentativa, cioè valore di testimonianza”. E dice “dove questa venne meno, di quelle opere si spense il fulgore e si attenuo l’efficacia”. Questo è il tema che abbiamo voluto porre in questa mostra, che dice anche dello scopo di questa mostra.
Perché una mostra su Tovini? C’è un’occasione storica, perché quest’anno ricorrono i dieci anni dalla beatificazione di questo grande protagonista del movimento cattolico dell’ottocento, ma che riproponiamo perché ha tanto da dire oggi. Il motivo vero è proprio questo: Giuseppe Tovini è esattamente quello che forse di più, all’interno del movimento cattolico, ha avuto sempre chiaro lo scopo dell’opera; dove lo scopo dell’opera è appunto innanzitutto la testimonianza a Cristo. Questo è quello che colpisce di Tovini, cioè di un uomo talmente preso da Cristo che è libero di affrontare qualunque situazione, di vivere una vita unita: avvocato, padre di dieci figli, marito (sono bellissime le lettere alla moglie ad esempio), creatore di opere nei più diversi settori (creatore di banche, ma poi ce ne parlerà il Dottor Camadini), di scuole, di riviste per insegnanti, di giornali, di mutue, di casse rurali. C’è da rimanere stupiti di come, in poco meno di vent’anni, sia riuscito a fare tante opere. Ma appunto, Tovini è oggi uno che ha molto da dire a chi fa le opere. Questo è il motivo di questa mostra e i destinatari di questa mostra sono innanzitutto quelli che fanno le opere. Lo scopo di questa mostra è di essere, l’incontro con una persona, l’incontro con lui. E se posso fare una nota personale, è l’incontro che ha colpito me. Perché leggendo Tovini è impossibile, leggendo la sua vita, i suoi interventi, le lettere a sua moglie, è impossibile non cambiare. Pensare oggi di fare le opere ignorando duemila anni di cristianesimo, soprattutto ignorando quella grande stagione di opere che è stata la seconda metà dell’ottocento, sarebbe un delitto, ma innanzitutto per noi stessi. Perché appunto, come diceva Don Giussani, “prendere sul serio la tradizione cristiana, prendere sul serio la Chiesa come storia, ecco il primo dovere della nostra coscienza, e quindi il più urgente dovere della nostra vita culturale, perché da questa sarà generato il nostro lavoro sul mondo”.
Ma anche Monsignor Montini in quella bellissima introduzione ricorda che quando c’è questa coscienza, “anche in piccole e borghesi vicende come quelle in cui opera Tovini questa modesta storia ebbe i tesori di dottrina, di virtù, di grazia, ebbe gli intenti, ebbe gli ideali e gli eroismi, ebbe la visione grande del popolo da salvare, della Chiesa da servire, del regno di Dio da difendere e dilatare, ebbe i suoi santi”.
Anche vivendo la realtà che ci è data di vivere, si può scrivere una delle grandi pagine della storia della Chiesa. Questo è l’insegnamento che offre Tovini oggi. Questo è il motivo per cui abbiamo proposto questa mostra.
Io chiedo scusa se sono stato lungo, volevo solo semplicemente prima di introdurre i due nostri relatori, ringraziare quelli che hanno dato una mano significativa nella costruzione della mostra, anche tutte le persone che hanno lavorato a questa mostra in quest’anno; volevo salutare anche tutte le personalità che sono presenti in sala. I nostri due relatori sono due personalità già note al Meeting, perché sono amici che hanno già partecipato al Meeting.
Li introduco secondo l’ordine degli interventi. Innanzitutto il professor Edoardo Bressan, che insegna Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze della Formazione all’Università di Macerata. I suoi studi hanno riguardato le istituzioni sociali tra settecento e novecento, fino ai recenti sviluppi del Welfare state, con particolare attenzione all’azione caritativa del cattolicesimo lombardo e italiano. È più arduo presentare il Dottor Giuseppe Camadini. Ha un titolo fondamentale che è quello di essere Presidente della Fondazione Tovini, ma ha tanti altri titoli che io spero di non dimenticare, ma soprattutto è sostanzialmente uno di quelli grazie ai quali possiamo dire che esiste una attualità di Tovini, oltre che nel messaggio anche nella realtà, perché è stato uno di quelli che ha portato avanti le opere che Tovini ha fatto nascere. Questo è incontestabile. Lascio innanzitutto la parola al professor Bressan.

EDOARDO BRESSAN:
L’Onorevole Vignali ci ha parlato del punto di partenza, delle motivazioni della bella mostra che potete vedere; anzi direi di più, di questa avventura in cui mi ha coinvolto, per questo lo ringrazio, come lo ringrazio delle parole di presentazione e dell’occasione che mi offre di essere qui questa sera. Il Dottor Camadini ci farà vedere il punto di arrivo, l’esito dell’esperienza di Tovini. Io mi limito a riprendere alcuni aspetti di questa vicenda di amicizia e di azione, di azione e di amicizia, che ha il suo punto d’avvio in Valcamonica, e che ha il mondo però, l’Italia, il mondo, come orizzonte; quasi che da parte di Tovini venga ripresa l’antica tradizione alpina di partire avendo sempre però nel cuore la propria comunità, le proprie radici, i volti delle persone care e degli amici. Certo in quegli anni si trattava di un viaggio difficile, metaforicamente si intende. Ma per lui, Tovini, e per gli uomini di quella generazione, la difficoltà era veramente ardua; che cosa voleva dire essere nati nel 1841? Voleva dire diventare giovani durante il Risorgimento, durante il travagliato compimento dell’unità nazionale e diventare uomini maturi dopo i fatti compiuti del 1870 e dopo la legge delle Guarentige del 1871, entrando in scena più tardi, ma con forte e inevitabile condizionamento dovuto a queste circostanze. E’ storia nota, la storia della questione romana, del papa rimasto prigioniero in Vaticano grazie ad un dissidio che si risolverà soltanto con i Patti Lateranensi del 1929 e non dimentichiamolo, sarà solo Pio XI a benedire da pontefice la folla dalla loggia esterna della Basilica di San Pietro. Ed è la storia al tempo stesso dei cattolici che rimangono lontani dalla vita politica nazionale in seguito al Non expedit, né eletti né elettori, anche qui fino ai primi del prossimo secolo, fino all’età giolittiana, è la frattura che accompagna la nascita della nuova Italia, del nuovo regno, è il cuore diviso fra cittadini e credenti, che conosce sia l’aspetto territoriale legato alla Santa Sede, una Santa Sede che già con Pio IX e poi con Leone XIII si proietta in una dimensione sempre più internazionale, sia l’aspetto relativo alla presenza della chiesa in Italia non meno importante. Su questo terreno si concertano paradossalmente il vecchio giurisdizionalismo, il controllo dello stato sulla chiesa attraverso i placet e l’exequatur, che impedivano o ritardavano la presa di possesso delle diocesi da parte dei vescovi e il nuovo secolarismo con una politica duramente anti-clericale che coinvolgeva la scuola, gli ordini religiosi, i beni ecclesiastici, più tardi le opere pie, sia pure, certo, con una diversità di accento tra la destra storica e le componenti più radicali della sinistra, quelle che poi si affermano verso la fine del secolo diciannovesimo. E’ in questo senso che si comprende il confronto, lo scontro, fra Tovini ed una personalità come quella di Giuseppe Zanardelli, un uomo di grande rilievo politico nazionale, l’autore della riforma elettorale del 1882, del nuovo codice penale. Un confronto leale, sicuramente Zanardelli riconoscerà le doti umani e cristiane di Tovini alla fine, ma un confronto vero, aspro. E quello che occorre notare, a questo punto, dopo aver ripreso brevemente, come fa la mostra, il contesto all’inizio, è la risposta dei cattolici. Ecco, i cattolici non si fermano alla contestazione dello stato liberale, alla denuncia di una situazione sia pur grave, sia pur gravissima in certi casi. Ed è qui che si colloca la nascita del movimento cattolico, dell’Opera dei congressi, dell’intransigentismo cattolico, quello che risponde positivamente alle ragioni del non expedit, che nasce negli anni 70 con i congressi di Venezia e di Firenze, e che poi conosce questo grande sviluppo, questa esplosione negli anni 80/90 dell’Ottocento. Senza, questo è importante, senza un progetto ideologico da contrapporre ad altri o a quella che era l’ideologia liberale, ma con una preoccupazione: quella di rispondere alla situazione del momento. Una situazione difficile, grave. E’ l’Italia della crisi agraria, l’Italia degli squilibri creati dalla prima industrializzazione, è l’Italia che conosce il dramma dell’emigrazione. Per rispondere a tutto questo a partire da un’esperienza di fede vissuta, bisogna porsi come obiettivo la costruzione di una presenza nella società; questo è il punto, una presenza nella società che si allarga, che abbraccia diversi ambiti di intervento. Pensiamo a quella straordinaria fioritura di opere, in particolare quelle create da Tovini, di cui la mostra ha conto: le attività economico sociali, il Mutuo soccorso, la beneficenza, il Credito popolare, la Banca, la Cooperazione, le colonie agricole, l’associazionismo operaio, gli albori di un sindacato, tutto ciò che nel 1891, con parole profetiche e rivelatrici, Leone XIII fa suo e incoraggia e invita i cattolici ad andare avanti, a continuare. Bellissima è nella mostra l’immagine di Leone XIII, andate avanti, vincerete, continuate con la vostra battaglia. E poi il grande tema dell’educazione, l’educazione che è la difesa della scuola cattolica, ma è anche altro, è la libertà di insegnamento, è la difesa dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica, è l’associazionismo studentesco e magistrale, è il progetto di una Università Cattolica per i cattolici italiani, che mancava e sarebbe mancata ancora per un po’ di tempo e che Tovini già intravide. E poi ancora, il grande risalto dato al problema della comunicazione: i giornali, le riviste, le riviste specializzate; pensiamo appunto alle riviste pedagogiche, magistrali, ma anche a quelle dedicate al problema sociale, agrario. E infine, ma solo così in una sommaria elencazione, il tema della difesa dei corpi intermedi, a partire dalla famiglia intesa come sviluppo naturale della persona. E’ una difesa che si traduce in un impegno civile in tutti i campi e in tutti i sensi, e, non dimentichiamolo, in una puntuale responsabile intensa partecipazione alla vita amministrativa. I comuni, le province, sono società naturali, precedono lo Stato: per i cattolici, come lo stesso Pontefice avrebbe ribadito, è un dovere e non soltanto un diritto quello di esserci. Ed è qui allora che questi cattolici ritrovano le libertà liberali, chiedendo allo stato di difenderle davvero, in un senso non utilitaristico o individualistico, ma per il bene del popolo e nel rispetto dei suoi valori, come ci ha richiamato prima sua Eminenza il Cardinale Bagnasco. Certo, c’è una diversità di accenti nel mondo cattolico, in taluni casi ci sono chiusure, c’è la difficoltà a far proprio questo nuovo orientamento, ma ci sono appunto anche le aperture coraggiose e sono quelle dei più, e ci sono gli aspetti forse più particolari, quali per esempio, e cosi posso dire le peculiarità di Tovini, del cattolicesimo bresciano, io direi in primo luogo questa volontà di costruzione di una cittadinanza, di una cittadinanza condivisa in cui i cattolici non sono più fratelli minori rispetto ad altri, ma sono cittadini come gli altri. Ecco, questo è il frutto di quella passione civile, di cui ha parlato Giacomo Scanzi, che anima profondamente il cattolicesimo bresciano, Tovini, i suoi amici, per i quali la forma del non expedit da né eletti né elettori diventa non a caso preparazione dell’astensione; preparazione già, però con un impegno fattivo e vivo nel momento. L’obbiettivo è la cittadinanza, i giornali. Come si chiamano questi giornali? Il cittadino di Brescia, ma poi Il cittadino di Monza, di Macerata, è un elemento ricorrente. E direi un secondo aspetto altrettanto importante: la partecipazione alla vita nazionale è, come diceva Giorgio Rumi, essere Guelfi, ecco questo Guelfismo del cattolicesimo bresciano. Tovini risponde molto duramente all’accusa rivoltagli dal giornale di Zanardelli del 1882 di essere antipatriota, antitaliano; Tovini dice che si può amare da parte dei cattolici la libertà e la dipendenza del pontefice, amando anche la grandezza della patria italiana. Questo è un punto importante: i cattolici sono cittadini italiani e questa è la loro collocazione in uno scenario in cui ormai urgono tutte le istanze e tutte le esigenze legate ad un grande processo di modernizzazione economica e sociale. Se vogliamo, in tutto questo si può ravvisare il legame con l’eredità rosminiana, con quella ispirazione che lui aveva fatto sua al collegio, al collegio Mazza e che proprio portava a questo, portava alla condivisione di un destino nazionale comune e di una comune cittadinanza per tutti.
Allora, e concludo, il problema per Tovini non è quello, in realtà successivo, di un ipotetico partito cattolico, ma di una testimonianza nella società, nelle forme e nei modi possibili, che contribuisca con la sua chiarezza, con la sua esemplarità, oggi riconosciuta dalla chiesa con la beatificazione di dieci anni fa, che contribuisca con tutto questo – e sono parole di Tovini – “al bene verace e stabile sia dell’Italia sia della società, da credenti, da cittadini, da uomini appassionati della giustizia”.

MODERATORE:
Ringrazio il professor Bressan per il suo appassionato oltre che competente intervento, che ha ricostruito il contesto in cui questi uomini, e Tovini in particolare, operarono. Lo ringrazio anche per il contributo che ha dato al lavoro della mostra.
La parola ora al dottor Camadini che ci dirà qual è l’attualità di Tovini oggi.

GIUSEPPE CAMADINI:
I – Il “tema” del «meeting».
Questa è una intitolazione che può essere soggettivamente, intimamente stimolante, cioè volta a far assumere uno slancio operativo nella vita, per affermarvisi in modo efficace, emergente, attivo e fors’anche esemplare – invitando a non rimanere o cadere nell’anonimato.
Ma è una intitolazione che può esser anche provocatoria, sul piano sociale, contestatrice del modo d’essere della vita contemporanea, ove – anziché l’essenza – solo l’effettualità spesso appare comunque premiante, senza che sia riservato il dovuto riguardo all’ordine, alla gerarchia dei valori.
Ma può rilevarsi e rivelarsi altresì che nell’intitolazione vi sia in effetti – opportunamente voluta – una equivocità intrinseca, affinché essa svolga la sua avvolgente suasività, la sua capacità di logico stringente condizionamento, inesorabilmente sospingendo a considerare anche le drammatiche contraddizioni che caratterizzano il vivere, oggi, al fine di indurre ad orientarne l’interpretazione in rapporto al credo evangelico: al Cristo.
II – La centralità del tema.
Si può constatare, allora, che ancora una volta il “Meeting” sappia andare, così, al cuore dei problemi, cogliendo un aspetto essenziale del vivere dell’uomo contemporaneo: cioè, riesca a stigmatizzare le dissociazioni presenti, manifeste o latenti nella vita quotidiana, nell’esistenza comune; le contraddizioni fra l’essere e l’apparire, fra ciò che si dovrebbe essere e ciò che di fatto si è.
Il dramma investe la coscienza di ciascuno.
Non si può eluderne l’urgenza.
Esso ognora riemerge e torna ad intaccare la nostra capacità di valutazione critica, riverberandosi e ricadendo immediatamente sulla vita di ciascuno, d’ogni giorno, d’ogni momento.
Le proposizioni della filosofia relativista, materialista, supportata dal problematicismo e dal fenomenologismo, rodono dall’intimo l’integrità esistenziale dello spirito e del pensiero contemporaneo.
III – Il «meeting» e Tovini.
Al riguardo cosa può dire, oggi, Giuseppe Tovini ?
Che la vita merita d’essere vissuta in pienezza di umanità, ma nella fede, praticandone, con personale coerenza, anche comunitariamente, le implicazioni etiche, secondo il Vangelo.
IV – Tovini e Brescia.
Mi ero trovato talora a pensare, fra me e me – forse indotto in questo timore da un non sopito senso di rammarico quale bresciano e camuno –, che Giuseppe Tovini – nonostante la sua elevazione a beato, – tale proclamato da Papa Wojtyla in Brescia il 20 settembre 1998 – fosse per lo più, invero, di fatto, se non dimenticato, da molti sottovalutato, e – pur infondatamente – considerato “datato”.
Ciò, nonostante che – grazie anche alla Fondazione a lui intitolata, (sorta e operante in Brescia, per merito di un’altra grande anima santa, il bresciano Vittorino Chizzolini che della “causa toviniana” fu per decenni il vero postulatore) – quella memoria sia stata peraltro ininterrottamente tenuta viva, soprattutto proponendone l’esemplare testimonianza ai giovani, e specificatamente a quelli ospiti della Famiglia Universitaria facente capo alla citata Fondazione; e ciò si è fatto poiché convinti, che esiste in Giuseppe Tovini un preciso, valido, luminoso riferimento; tuttavia essendo, talora, quasi rassegnati a considerarne l’eco come per lo più ristretto nel nostro ambito provinciale.
Sicché quando venne a trovarmi l’On. Raffello Vignali, per confermarmi, a nome del “Meeting”, la determinazione assunta di ricordare Tovini, come esempio significativo a rappresentare, in questa sede, di fronte a così qualificato uditorio, l’esigenza di una forte presa di coscienza da parte della nostra cattolicità, non solo in Italia, delle proprie responsabilità e potenzialità di fronte alle esigenze emergenti dalla crisi della fede nel nostro popolo, un senso quasi di stupore, ma anche di vivo compiacimento intimo, mi colse.
Ciò rammento, si badi bene, non per far emergere il pur comprensibile sentimento di bresciana locale affezione alle cose – per così dire – famigliari, ma per manifestare la sensazione, e l’auspicio che qualcosa di virtualmente assai più grande si possa dischiudere anche da questa “riscoperta” di Tovini, nel contesto di una quotidianità che da taluno si afferma come “post-cristiana” e “post-moderna”, in una indistinta rincorsa di un futuro che rischia di far cadere l’esistenza umana come immanentisticamente appiattita su utilitarismo, consumismo, materialismo, ove gli ideali stanno nella ricerca del potere, del danaro, nella istintualità del sesso, nell’edonismo, comunque.
Si rifugge la realtà del dolore e della morte, così inibendosi la comprensione della realtà della vita; e ci si immerge nelle alienazioni della droga, e del permissivismo indiscriminato così credendo di superarne le anomalie, sino a cercare la legittimazione “civile” delle irrazionalità ad esse intrinseche, come, ad esempio, per l’aborto e per l’eutanasia.
V – «Meminisse iuvabit»
Gioverà quindi ricordare Tovini, anche tramite ma al di là dell’aspetto documentaristico, (peraltro così ben curato con creativa originalità – e me ne compiaccio – nella mostra qui allestita) se sapremo cogliere l’eloquenza viva del messaggio ancora attuale che vi scaturisce.
Invero «Meminisse iuvabit» .
Gioverà quindi andare alle fonti dell’ispirazione toviniana.
Devo premettere che sono ben consapevole della mia personale inadeguatezza di fronte all’impegno che mi è stato proposto, e quasi vorrei scusarmi di ritrovarmi qui; ma ancora una volta i promotori hanno anticipato il ringraziamento per una accettazione non espressa come l’avessi manifestata. Devo altresì premettere che le mie parole anche ove esprimano opinioni evidentemente personali riveleranno una certa rapsodicità di contenuti, risultandomi assai arduo dare un aspetto sistematico e organico a considerazioni che toccano, che debbono necessariamente toccare, contestualmente, passato e presente.
VI – La necessarietà del richiamo alla storia.
Per cogliere il significato vero del ruolo proprio svolto dai protagonisti nella storia è necessario avere presente la prospettiva in cui si colloca la loro esistenza.
Ma soprattutto è necessario identificare a quali valori essenziali si sia ancorata la loro vita, quali intenti reali abbiano perseguito, quali risultati conseguiti.
Il che è vero anche per i “contemplativi itineranti” nel mondo, di cui si dice nel “Santità sociale in Italia” di Giorgio Rumi. Egli, richiamando la spiritualità nella Chiesa italiana, fra Leone XIII e Pio XI, giustamente sottolinea come all’azione precedette l’intensità della vita religiosamente vissuta, ed evoca come emblematiche le figure di Maddalena di Canossa, di Armida Barelli, di Agostino Gemelli e di Giuseppe Tovini.
Scrive in premessa:
«Tra Otto e Novecento affiora una sorta di riscoperta di San Benedetto, una conciliazione tra opus Dei e opus manuum, un giusto apprezzamento delle potenzialità trasformatrici dei singoli e del lavoro collettivo, una santità della vita ordinaria, non più quindi segregata dal Tempo storico, ma tesa invece a farlo meno difforme dalle speranze insite nella propria ispirazione. E’ un’attenzione al moderno che evita puntualmente la separatezza come la subalternità, che ignora l’anatema ma non indulge certo nel mimetismo. Sono dei grandi italiani dediti alla riconsacrazione del Paese, alla riscoperta del suo fondamento cristiano: una storia ancora tutta da scrivere. La loro memoria va sottratta al culto particolare dei rispettivi devoti estimatori e restituita invece alla coscienza collettiva, povera ormai di fermenti di spiritualità e perciò sempre più incerta ed ansiosa sul senso ed il valore del proprio destino.»
VII – L’essenza della testimonianza di Tovini.
Così anche per Tovini pare necessario ricercare e cogliere, al di là degli aspetti contingenti, i temi di fondo che ne hanno caratterizzato la testimonianza; e cioè – come già enunciato – : la fede cattolica, la coerenza morale e l’impegno operativo – mosso all’azione nell’amicizia, socialmente praticata e generosamente vissuta, in reale e leale comunitarietà, e per il tramite di concrete istituzioni, le opere.
Un’ispirazione dinamica: dalla fede e dalla coerenza morale alle istituzioni, in spirito di amicizia, di carità.
La fede in Dio Padre, rivelatoci da Gesù Cristo, nello Spirito Santo, come la Chiesa ci fa conoscere e praticare, secondo la Parola dei Profeti, del Vangelo, sino a noi trasmessa da Pietro, dagli Apostoli e dai loro Successori.
Non paia pleonastico l’affermarlo, poiché qui sta il fondamento di tutto Tovini: nella fede, una fede semplice, vissuta in integra autenticità; una fede apertamente professata.
La fede che ci apre alla comprensione del mistero, tramite la luce che la Grazia, partecipataci dai Sacramenti, penetra e si espande nel nostro intelletto e nel nostro cuore, così essendo una fede personale.
La fede che ci accomuna come fratelli, perché tutti figli di Dio, così divenendo noi il popolo di Dio.
La fede del popolo di Dio.
VIII – La fede popolare di allora e quella di oggi.
Ed allora viene immediato e spontaneo il chiedersi, pensando a Tovini ed al suo tempo: ma fino a che punto la fede, la fede nell’ambito della cattolicità di oggi, è ancora una fede realmente sentita e vissuta da noi come popolo, ed in modo coerente ?
In che misura la fede popolare di oggi, in quanto sussiste, non è talora, se non spesso, più fenomeno di esteriorità, di tradizionalità ambientale, di generica sentimentalità istintiva se non di formalistica adesione a un incerto sentire populistico, piuttosto che atto cosciente di personale testimonianza ? Si avverte talora la percezione come della manifestazione di un credo non autentico; non quel Credo che ha trovato solenne affermazione, con il pronunciamento che Papa Paolo VI ha formulato e idealmente presentato al mondo intero, il 30 giugno 1968, chiamando ad accoglierlo esponenti qualificati delle più varie componenti dell’intera umanità , in occasione della storica chiusura dell’ «anno della fede».
Quando Tovini operò, egli – e quanti con Lui si accomunarono in quella stagione creativa – agì anche come espressione di un popolo fedele, un popolo in verità che era forse in buona parte ancora analfabeta nelle lettere, ma non nella fede.
E’ sempre necessario – come accennato – allargare lo sguardo retrospettivamente, cogliendo come spirò il vento dei tempi passati per essere aiutati a cercare di scrutare, in quanto possibile, quelli venturi.
Giacomo Scanzi, nella sua preziosa biografia di Tovini, tratteggia una efficace sintesi dei frutti delle precedenti fonti storiche ed in special modo del lavoro compiuto da Antonio Cistellini nonché di quello degli estensori delle ricca “positio super virtutibus” redatta nel corso della causa di beatificazione. In quel volumetto, di scorrevole lettura, l’Autore con puntuale, competente informazione, e scelta documentazione, bene illumina gli eventi storici e individua il fenomeno prima accennato quando, parlando della ascesa al potere – alla fine degli anni 1870 – della seconda generazione della classe dirigente liberale – quella radical-zanardelliana (non si dimentichi che Zanardelli era bresciano) così dice: «credono nel progresso questi uomini nuovi, e combattono tutto ciò che sembra oscurare il cammino di conquista e di emancipazione. Il primo nemico? Il popolo, custode di tradizioni, troppo sensibile alla parola dei preti, al loro sistema di valori.». E soggiunge: «Come deve essere apparso pesante a questa élite degli studi medici e delle università, delle farmacie e dei tribunali, il fardello popolare, con la sua fede radicata, le sue devozioni, i suoi ritmi, le sue superstizioni, la sua fame, le sue gerarchie sociali persistenti nonostante i carabinieri e i prefetti.
La lotta [la lotta, si badi bene, si parla di “lotta”] intorno al processo di unificazione cambia registro. Il problema non è più la legittimità del Risorgimento con venature d’antico regime. La lotta è intorno alla sostanza della nuova nazione, alle idee fondative della nuova convivenza nazionale, alle radici, agli sbocchi. La lotta è – per dirla con Tovini – intorno all’anima della patria» e può dedursene – penso io -, anche al fervore religioso di larga parte del popolo italiano di allora.

Ora non l’avversità di un potere costituito, ma si è piuttosto affermata la penetrazione, per non dire l’aggressione, spesso ben mascherata, di una ondata cultural-mediatica mossa da presunzione di immanentistico vincente pensiero laicista.
IX – La doverosità di un rinnovato impegno di fede.
Comunque, senza ricerca di avversari alibi, a noi oggi compete di cogliere il fatto che un problema essenziale, vero, per la nostra generazione di cattolici è anche quello di nuovamente vivere intensamente la nostra fede personale in modo che essa sia anche comunitaria, fede di popolo; il popolo di Dio, incarnato nel nostro tempo, nella nostra storia.
Talora il contesto sociale in cui si ritrova la nostra umanità pare persino impermeabile alle consequenzialità etiche del Vangelo intrinseche alla visione della vita proposta dalla fede, dalla fede cattolica, e insegnata dagli Apostoli e costantemente dai loro Successori trasmessaci.
Bisogna ben aver coscienza che il comportamento nella vita individuale, soggettiva, famigliare, prima ancora che sociale è presupposto essenziale a che si realizzi, e quindi possa manifestarsi, e parteciparsi, la nostra personalità umana in quanto cristiana.
In assenza di ciò l’azione nostra anziché una attestazione di adesione al Cristo, può finire con l’essere, almeno parzialmente – e si può pensare magari involontariamente – una controtestimonianza.
Certamente non bisogna giudicare il fatto individuale, che va comunque sempre rispettato, se autentico, poiché non bisogna escludere mai sussistenti possibili virtualità e spazi di positività; anzi si deve avere ampia considerazione ed accettazione di ogni disponibilità al bene anche perché nessuno deve presumere di sé, (- io prima d’ogni altro -) né assolutizzare la propria valutazione relativa; tutti possono concorrere – se rettamente motivati – a generare il bene, a costruire il bene personale e comunitario. Ma è pure necessario che si cerchi di cogliere, individuare ed evidenziare il dover essere, affinché l’esistente vi si conformi o, in quanto possibile, adegui.
Così è anche, ed innanzitutto, per la pietà, la devozione a Dio: la preghiera ha da essere il momento più alto della vita, poiché ci protende verso Dio, purché anch’essa sia pura, cioè spiritualmente obiettivata, personale e non individualista . Tovini praticò costantemente il culto all’ Eucarestia e la devozione alla Madonna. Al Congresso Eucaristico di Milano (nel 1895) nel contesto del suo intervento affermò:
«Ricordiamo che per professare francamente la nostra fede ci vuole una forza soprannaturale, che non si può ottenere che da Dio colla preghiera e colla Comunione frequente.»
Fede, coerenza nell’azione e pietà in Tovini hanno trovato una sintesi piena ed altissima.
X – Qualche cenno biografico.
Quest’uomo, nato a Cividate, in Valle Camonica, il 14 marzo 1841, pervenuto felicemente al compimento degli studi anche universitari – grazie a una solida formazione presso l’Istituto Mazza di Verona – e conseguita l’idoneità all’esercizio della professione forense, proveniente da una famiglia piccolo borghese ma di scarsi mezzi economici, superando incessanti difficoltà fisiche e spirituali, personali ed ambientali, divenne avvocato ricercato e stimato, (immotivatamente da taluno – che forse pecca di presunzioni para-forensi o para-accademiche – ritenuto più dotto per processi discussi a tutela e beneficio di opere pie che per dottrina), sposo esemplare e padre di dieci figli, si prodigò con intelligenza e generosità estreme per realizzare una presenza efficace dei cattolici nella società italiana, impegnandosi anche in competizioni elettorali – nei limiti allora ai cattolici consentiti dal “non expedit” – che lo videro Sindaco del paese natio, poi Consigliere Comunale di Brescia e Consigliere Provinciale, promotore di una serie di opere – di istituzioni – volte alla primaria finalità della educazione cattolica, coinvolgendo con sé ampie collaborazioni; egli nella qualità di primo Presidente del Comitato Diocesano Cattolico di Brescia, e poi come Vice Presidente del Comitato Regionale Lombardo dell’Opera dei Congressi, Vice Presidente del Comitato Generale Permanente, e Presidente Generale del III° Gruppo (o Sezione) dell’Opera, cioè quello particolarmente incaricato dei problemi riflettenti l’istruzione .
Fu quindi un fervente cattolico ed un esemplare cittadino.
XI – La battaglia per la libertà di educare.
Ma per fare ciò egli dovette cozzare contro quella dirigenza politica anzi ricordata; la quale, se aveva, e poteva ascrivere a suo prevalente e assai rilevante merito storico l’aver realizzato l’unificazione politica dell’Italia, rivelava al contempo i suoi limiti a fronte dell’emergente realtà delle nuove istanze popolari e sociali.
Ciò, forse perché il Risorgimento liberale aveva per lo più trovato forti ispirazioni in aristocratiche élite ma – di necessità – aveva nascoste inizialmente le sue culle in circoli riservati, quando non, addirittura, talora segreti.
Le citate urgenze popolari emergenti si prospettarono vieppiù come esigenti una concezione della libertà in cui doveva trovare spazio anche il diritto alla libertà di insegnamento come espressione del diritto alla libertà di educazione.
Tovini affrontò allora questa vitale questione con la forza di chi sente di difendere, nella libertà di educazione, e di insegnamento, la libertà stessa dell’uomo, una condizione essenziale per la sua autentica promozione; e così anche la libertà di educazione alla fede, nella fede.
Ancora una volta si rivelava, in effetti, che la libertà pur non essendo in sé un valore assoluto, è tuttavia una condizione di fatto essenziale per la piena promozione e affermazione della persona umana.
Ed il liberalismo, pur dotato – come detto – di tanti meriti, tuttavia evidenziava anch’esso, di fatto, almeno in alcune sue componenti, taluni aspetti di intransigentismo illiberale.
Il divaricarsi della coscienza sociale-politica dalla coscienza popolare-religiosa può portare talora ad aberranti deviazioni storiche.
XII – I drammi della libertà nei tempi successivi.
Non appaia quindi peregrino il menzionare, in questa sede, accostandoci alla considerazione dei tempi successivi a quelli di Tovini, e per ribadire la necessità che non si smarrisca mai la consapevolezza del significato storico degli eventi e della caratteristica di essenzialità della libertà, due testimonianze che ci provengono dal secolo scorso – il ’900 -, il secolo breve ma drammaticamente lungo, segnato da tanto progresso scientifico e tecnico e pur tuttavia, altresì da tanti dolori ed equivoci.
Boris Pasternak il 5 marzo 1933 scriveva da Mosca ai suoi genitori (in Germania, Hitler era cancelliere da due mesi):
«Miei cari mamma e papà,
auguro di tutto cuore, come pochi altri fanno, che sia coronato da successo qualsiasi tentativo di costruire una umanità finalmente umana….
Mi tormenta la stessa cosa nel nostro sistema qui e nel vostro, per quanto possa sembrarvi strano: cioè il fatto che si tratti di movimenti nazionalistici e non cristiani, che corrono l’uguale rischio di scivolare nel bestialismo del fatto e che comportano un’identica rottura con la tradizione secolare misericordiosa, che si nutriva di trasformazioni e di prefigurazioni e non delle mere constatazioni della cieca inclinazione.
Sono due movimenti gemelli, [- si riferisce al nazismo e al marxismo -] di pari livello, dove uno emula l’altro. Il che è sempre più triste. Sono le due ali destra e sinistra, della stessa notte materialistica.»
E sappiamo come finì.
Sappiamo pure quale dramma investì l’Italia con la II^ Guerra Mondiale.
Valga a richiamarci ancora all’essenzialità condizionante del valore della libertà il citare la preghiera di Teresio Olivelli, il martire ribelle per amore, tale manifestatosi provenendo da una generazione che, nella prima giovinezza non aveva mancato di sentire in parte l’influsso del clima fascista, ma – almeno in sue qualificate élites – non aveva mancato altresì poi, tosto, di identificare e prevedere le implicazioni finali che ne sarebbero derivate. Infatti il regime aveva, talora anche con violenza, ridotto al silenzio le voci dissenzienti ed attaccato pure – dopo la relativa bonaccia del periodo concordatario – le organizzazioni cattoliche cercando di condizionarle – specie quelle giovanili – con le proprie strutture (e vi si oppose, forte, la voce di Pio XI, con la famosa lettera enciclica «Non abbiamo bisogno» ).
La perdita della libertà non sempre è, lì per lì, un fatto eclatante, talora può incorporarsi nel contesto sociale gradualmente, in modo strisciante, avviandolo come su un piano inclinato.
Donde l’esigenza di una costante vigilanza, prima interiore personale e quindi anche sociale. Ad evitare il dramma finale, che purtroppo poi non manca quasi mai.
Sia chiaro, non penso che oggi in Italia noi ci si ritrovi su siffatti versanti. Penso invece che – in un contesto purtroppo di transizione non chiara – possano sciuparsi e disperdersi le potenzialità esistenti di uno sviluppo positivo della vita della nostra società. Sviluppo positivo che può realizzarsi solo a condizione che la generazione nuova sappia proporsi un progetto di crescita morale secondo positivi valori di libertà, di pace, e di solidarietà umana, cristianamente ispirati.
Così, resta ancora attuale ascoltare Olivelli, in preghiera:
«Signore Iddio,
quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Se cadremo fa che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti, a crescere al mondo giustizia e carità.
Tu che dicesti: “Io sono la risurrezione e la vita”, rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa.»
XIII – Dopo la II^ Guerra Mondiale.
Venendo quindi ancora più prossimi a noi non possiamo dimenticare altresì le vicende seguite alla penosa conclusione della II^ Guerra Mondiale, dalle cui conseguenze felicemente ci si riscattò grazie primariamente all’azione sociale e politica di onesti cattolici che – nella Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi – seppero trovare forza personale e sociale, anche operativa, per una presenza che fu capace di aggregare pure altre energie, di diversa ispirazione, ma di comune sentire autenticamente democratico.
Si trattò di una battaglia per la libertà, per certi aspetti aspra ed anche amara, ma giusta e vincente; quella battaglia che si impose come premessa per la promozione di una “Ricostruzione”, che fu economica, ma che innanzi tutto dovette essere anche morale.
Sarebbe fuor di luogo cercare di tratteggiare, qui, anche solo sommariamente, quanto accadde poi. Penso debba tuttavia almeno dirsi che la crisi iniziò a manifestarsi quando entro e fuori le forze democratiche – e pure entro la Democrazia Cristiana – emersero inadeguatezze etiche e forti contrapposizioni dialettiche correntizie più motivate da interessi di parte che da idee. Si rivelò ancor vera l’amara constatazione che Giovanni Battista Montini – scrivendo da Varsavia (ove si trovava addetto a quella Nunziatura apostolica) al padre Giorgio, deputato del Partito Popolare, il 15 luglio 1923, all’indomani delle dimissioni di Don Luigi Sturzo da Segretario di quel Partito – aveva annotato in un’ampia lettera, recante acute analisi dei fatti, scrivendo che trattavasi di «un indice della radicale incapacità nostra (di cattolici) a mantenerci coerenti, uniti e forti nell’ambito della vita pubblica italiana» .
Tornando a noi, può dirsi che si trattò – dopo gli anni ’50 – di una ampia dialettica contrapposizione di forze e correnti che generò spinte centrifughe, correlantisi poi con processi contestatori, che all’interno andarono recependo mutazioni o subendo pure interferenze internazionali anche eversive.
XIV – Le emergenti difficoltà.
L’emergere di intransigentismi contrapponentisi tra loro, con il venir meno in molti anche di una autentica tensione morale, portò alla situazione dei nostri giorni. Non avrebbe senso – ripeto – qui ripercorrere le varie fasi succedutesi a partire da Marcuse, dal ’68 in poi – prima e dopo il terrorismo – con la manifestazione di fenomeni di contestazione sociale che potrebbero individuarsi anche come vere e proprie anomalie funzionali rispetto allo stesso sistema costituzionale, ed individuabili e denominabili come panpartitismo, pansindacalismo, pangiurisdizionalismo, volta a volta avocanti ad una parte o all’altra del corpo sociale ruoli eccedenti gli ambiti costituzionali loro propri. Tali fenomeni non mancarono talora di addebitare alla Carta fondamentale carenze che si dovrebbero piuttosto imputare alla azione dei contestatori stessi.
Purtroppo, forse, le conseguenze di quella deriva non sono ancora del tutto finite.
Forse più che le talora invocate modifiche della Costituzione gioverebbe che se ne rispettasse l’ispirazione; poiché le formulazioni, originariamente concepite secondo un alto sentire civile, se sono forse in parte emendabili, rimangono tuttavia sostanzialmente valide.
E’ vero che sono andate mutando profondamente anche le condizioni culturali e politiche internazionali oltre quelle interne.
Ma va detto che ogni intransigentismo è contrario alla democrazia.
E’ necessario saper ricercare e trovare attraverso una rinnovata mediazione culturale una linea di orientamento etico-sociale per quanti intendano impegnarsi per un autentico cammino democratico, confidando che le forze politiche sappiano darsi un assetto, anche interno, di trasparente intelligibilità e credibilità, e di oggettiva funzionalità.
XV – Fra fine Ottocento ed oggi: l’eguale e pur diverso impegno dei cattolici.
Quanto ai cattolici potrebbe osservarsi che essi, a fine Ottocento, ebbero, nella “preparazione nell’astensione”, il criterio per un loro comune orientamento, nel contesto di una temperie storica che li condizionava, entro il «non expedit»; ed il loro comportamento fu sapientemente indirizzato allora alla preparazione di una comune testimonianza sociale e politica, che poi si realizzò prima nel Partito Popolare e quindi nella Democrazia Cristiana.
E’ evidente che se oggi non avrebbe senso, né giustificazione, una non partecipazione alla vita sociale; è peraltro evidente altresì che sono superate le congiunture storiche che condussero allora ai menzionati positivi esiti. E non è pensabile una riviviscenza di esperienze passate, valide ieri, e non più riproponibili. Il ché non fa necessariamente escludere l’eventualità che, in alternativa al bipolarismo che oggi prevale, possa forse laicamente emergere una forza di centro diversamente stabilizzatrice del nostro quadro socio-politico.
Bisogna quindi comunque interrogarsi anche a quali nuove modalità di testimonianza possa essere chiamato, oggi, l’impegno dei cattolici nelle mutate condizioni storiche di vita, onde possano avere rilevanza efficace l’espressione del loro proporsi nella società.
Tutto ciò ritrovandoci in un processo di crescente globalizzazione, qual è in atto, con le interrelazioni divenute così ad un tempo interpersonali ed altresì collettive, a livello universale, nonché con l’insorgenza del multiculturalismo e la compresenza di componenti sociali dalle più diverse origini etniche e geografiche, dandosi luogo a quello che è stato chiamato “meticciato sociale”; sicché la vita nel mondo appare veramente sempre più tendente a quella di un crescente, grande villaggio globale.
La formazione, oggi esigita, (- esprimo opinioni personali, evidentemente -) ha da intendersi pertanto anche come ricerca di una nuova mediazione culturale che di fatto di ciò tenga conto. Comunque non pare che fra i cattolici sia richiesta convergenza in un solo partito.
Piuttosto parrebbe che anche i cattolici – in quanto tali –, in questa fase di evoluzione socio-culturale, debbano cercare di identificare nuovi modi per praticare e perseguire la loro presenza, la loro testimonianza, nelle strutture civili e sociali che la comunità contemporanea esprime e avverte come a sé consentanee; e debbano cercarne anche di proprie. Quindi potrebbero, interrogarsi anche su quali comuni intelligenze di convergenti impegni per la tutela e l’affermazione, in coerenza con la fede, dei valori non transigibili o non negoziabili (che dir si voglia), che sono insiti nella vita contemporanea.
I tempi esigono l’elaborazione di un progetto sociale di ampia prospettiva che tenga conto anche delle evoluzioni e mutazioni internazionali, per superare la difficile transizione in atto.
Mi parrebbe che per i cattolici – senza demotivare specifiche particolari apprezzabili partecipazioni non solo a livello locale anche alla politica attiva – gioverebbe porre speciale attenzione più che a una convergenza partitica ad una compresenza in istituzioni e strutture prepartitiche, così da operare nel tessuto sociale per innervarlo di ispirazioni e di azioni primariamente rispettose delle verità naturali e di quelle rivelate; onde da tali partecipazioni riemergano anche nel plurimo contesto politico presenze partecipative e incitamenti oggettivamente ordinati al bene.
Quindi “partecipazione e preparazione”; una «partecipazione» consapevole in quanto possibile nel contesto che ci circonda, ma altresì «preparazione» per un domani che consenta maggior crescita della comunità secondo animazione cristiana ispirata comunitariamente: quindi dalla comunitarietà alla comunità.
Tutto ciò presuppone una reimmersione nello spirituale del nostro vivere.
Il cattolicesimo attivo di fine Ottocento fu preceduto da un intenso impegno religioso; le vocazioni all’azione si fondarono sulla fede vissuta.
XVI – Le varie modalità della testimonianza nella società odierna: la centralità comunque del problema dell’educazione.
Ecco ancora perché giova, è opportuno, può essere di fatto necessario, recuperare memoria nel nostro passato di chi ci insegna ancor oggi la via maestra del Vangelo.
Giustamente il “Meeting” percorre l’itinerario di tante possibilità concrete aperte alla disponibilità, alla generosità, alla doverosità caritativa nostra: l’assistenza agli ammalati con particolare attenzione ai diversamente abili, l’assistenza ai carcerati, il coordinamento di chi è attivo sul piano produttivo (la possente “Compagnia delle Opere”), nonché proposte già concrete come il Banco Alimentare, il Banco Farmaceutico, il Banco Informatico e così pure esso invita ad allargare lo sguardo verso i più vari e vasti orizzonti degli interessi della ricerca scientifica, nonché di quelli letterari, artistici, sportivi e di ogni possibile attenzione e ricerca umana.
Ma giustamente si pone, cogliendola nel vivo del suo crescere nel contesto anche della vita famigliare, come primaria, l’attenzione al tema della educazione: il problema dei problemi.
Per l’affermazione di questo valore Tovini – come già accennato – si trovò costretto ad affrontare una battaglia perché fosse riconosciuta ai cattolici una piena cittadinanza e specificatamente la loro libertà di educare, nonché quella di liberamente costituire istituzioni educative, quale condizione essenziale di cristiana promozione autentica ed effettiva della persona umana, della famiglia e della società stessa.
Come si è detto, nella successione dei secoli, gli scenari storici mutano e quindi alle esigenze vanno adeguati i mezzi; ma affinché lo spirito umano possa manifestarsi, nella sua autenticità, quale espressione della sua originarietà divina, permane necessaria la condizione – già richiamata – che sia rispettata la libertà. Essa è per lo spirito come l’aria per il corpo.
La difesa della libertà di educazione, e di associazione – nella libertà concreta, non astratta – è infatti fondamentale difesa dell’uomo, della sua dignità.
Non si pensi che quelle nobili battaglie avessero una significazione minore delle stesse drammatiche situazioni che l’umanità ha vissuto in vari tempi, in diversi luoghi; né che le attuali difficoltà implichino minore intensità di impegno tenace e comunitario.
Quanto alle esperienze di quell’epoca fra Ottocento e Novecento, leggiamo infatti nella prefazione (alla vita di Tovini) scritta nel 1953 da Giovanni Battista Montini – il futuro Paolo VI:
«Bisogna che i cattolici italiani non trascurino il culto dei loro predecessori nella lotta per conservare alla nostra trasformata società i tesori della tradizione cristiana, e che abbiano essi stessi coscienza d’essere di tale tradizione eredi, e custodi, e promotori, quasi anelli dell’aurea catena che da Cristo arriva ai tempi nostri e ai venturi si tende.»
Il ché Giovanni Battista Montini ha scritto riferendosi a Tovini. Forse di ciò si dimenticano quanti leggono – e vi sono fra loro anche storici – quelle pagine di storia contrapponendo, infondatamente, alle posizioni di Tovini una linea montiniana, quasi fossero alternative tra loro.
Spesso, anche di poi, è accaduto che si sia alterato l’autentico pensiero di Montini piegandolo a interpretazioni di comodo, non veritiere.
E accade anche, talora, di assistere al fatto che taluno ieri dell’opinione che queste esperienze fossero da ritenersi superate, oggi si ripresentino come se le avessero invece sempre pensate come attuali.
XVII – Sempre sulla libertà di educazione.
Si è detto della battaglia di Tovini per la libertà dell’educazione: una battaglia fisicamente incruenta, ma di vitale tensione, di totale dedizione.
Oggi i problemi paiono spesso stemperarsi in una mediocrità d’atmosfere a cui dà impronte spesso deformanti un sistema mass-mediale in prevalenza condizionato da interessi o ideologici, o economici, che nel presunto affermato diritto del lettore veicolano e spesso accreditano messaggi tutt’altro che rispettosi della verità.
La verità è il valore assoluto cui la libertà dovrebbe servire come ancella.
Il ché dico ben consapevole del positivo ruolo della stampa, in generale dei mass-media, la cui essenziale funzione per lo svolgimento e la crescita della vita sociale è da difendersi e promuoversi, così come l’alta missione del giornalista che si ponga onestamente alla sequela della conoscenza della verità.
Ciò non toglie che sia necessario avere coscienza critica, anche in questo ambito della vita contemporanea, di ciò che di fatto ci circonda.
Gli è infatti che l’uso distorto della libertà, o addirittura la violenza ad essa, impedisce che oggettivamente si conosca, si giudichi e quindi positivamente e validamente si possa agire (ricordiamo la «Mater et magistra» di Papa Giovanni XXIII).
Non a caso, guardando al di là dei tempi e dei confini, vediamo che ove si voglia imporsi, ove al potere si voglia comunque affermarsi, si attenta alla libertà.
XVIII – La spiritualità presupposto necessario all’azione.
Ma tornando a noi, è la spiritualità nostra, di cattolici, che deve saper ritrovare intensità di vissuto sentire e pensare con un costante ritorno alle fonti, che stanno proprio nel Vangelo e nella testimonianza stessa dei Santi che ci hanno preceduto nel segno della fede.
Questo è il salto di qualità che può ancor oggi far riemergere la perenne modernità della Chiesa, come auspica anche l’ultimo Giuseppe De Rita quando parla di «più complesso contemperamento delle polarità di sacralità e santità»; impostazione che forse può difficilmente essere riconosciuta da chi – come Emanuele Severino – ritiene che «nei territori del mondo e nei sensi e nella coscienza dei giovani, sta crescendo l’eco della morte di Dio» . Chi non conosce la realtà non può certo ben valutarla.
Né vi sarà rischio di “omologazioni” quali quelle temute da Alberto Melloni .
XIX – Spiritualità e carità: l’azione nelle istituzioni.
Si è detto che in Tovini l’azione sgorga dalla fede come opera di carità, e che le istituzioni sono frutto, opere dell’amicizia, anch’essa fondata sulla comune fede e sulla coerenza morale, vissute in leale solidarietà.
E’ proprio vero che dall’amicizia scaturisce l’azione, e che dall’azione comune s’accresce l’amicizia.
Si potrà dire infatti che la fede genera amicizie, che a loro volta motivano relazioni da cui scaturiscono le istituzioni, quali strumenti per una efficace azione finalizzata alla promozione del bene comune dell’intera società.
E’ doveroso menzionare che l’opera toviniana è sì frutto in parte assai rilevante del suo impulso personale ma altresì di quello dei molti co-attori e collaboratori, che qui non si possono menzionare, ma il cui apporto fu concreto e determinante.
Gioverà ripetere che le istituzioni sono, di per sé, meri strumenti, non sono il fine; ma di fatto le istituzioni consentono di far si che l’azione frutto di una collegiale valutazione e determinazione abbia una duratura efficacia e possa meritare un oggettivo riconoscimento, ottenga una maggiore tutela della generosità e delle dedizioni soggettive, spersonalizzandole, e così favorendo, una loro maggior caratterizzazione anche al fine di caritatevoli scopi secondo appropriati metodi. (Si ricordi la anzi citata “secolare tradizione misericordiosa” di Pasternak, riferita evidentemente alla presenza nella storia dell’azione caritatevole d’ispirazione cristiana).
L’amicizia è, se pura, e disinteressata, e tesa e praticata per un condiviso, costante impegno di comunitarietà, essa stessa una manifestazione dell’amore, e – se fecondata dalla Grazia, e alimentata dalla preghiera – può divenire manifestazione dello stesso amore divino.
L’amicizia allora diventa il cemento delle buone intenzioni; la forza propulsiva all’azione. In amicizia autentica non si avverte la solitudine.
Altro è l’interiorità soggettiva che costituisce l’irrinunciabile intimo baluardo della nostra coscienza, e del nostro essere spirituale.
Né la comunitarietà dell’azione amichevole sopprime la necessaria caratteristica propria dell’azione, che ha da essere, e non solo individualmente, appropriata nei metodi all’ordine di valori in cui si colloca. Il ché non sopprime altresì lo spazio dell’agire soggettivo, che – se svolto solo al singolare – si priva d’una valenza che è peculiare dell’agire del cattolico.
Evidentemente proprio per la loro relatività, le istituzioni possono logorarsi nel tempo, non corrispondendo più a mutate esigenze sopravvenute, ed in tal caso possono essere giustamente talora anche doverosamente modificate, sostituite o soppresse.
A nuove esigenze corrispondano rinnovate istituzioni, senza dimenticare che crearle può essere faticoso, non si improvvisano; ed è più facile costituirle solo nominalmente, o distruggerle, che, di fatto, costruirle con una duratura operatività coerente.
In tal senso certamente i tempi possono indurre a processi condizionanti o di concentrazioni; però penso non debba smarrirsi possibilmente il valore delle aspirazioni originarie, o delle pluralità delle fonti e delle valide esigenze anche territoriali in esse manifestatesi: circostanze tutte che si rifanno e tendono alle libere operatività e promozione dell’uomo. La verticalizzazione delle strutture e delle istituzioni produttive e dei servizi, anche finanziari, non sempre sono rispettosi di tali esigenze e al fine, quindi, promotori di autentico duraturo progresso.
Insomma non si può prescindere, per un’azione che voglia essere socialmente consolidata, dalla funzione e dal ruolo di istituzioni ben costituite e costruite, e correttamente gestite.
Tovini fu un creatore di istituzioni, curandole con appassionata dedizione ritenendo egli – come affermò nel già citato discorso di Milano del 1895 – che tutte le opere grandi hanno spesso una origine umile e oscura .
Sul piano cultuale ed educativo egli ebbe a promuovere la istituzione del quotidiano “Il Cittadino”, del settimanale diocesano “La Voce del Popolo”, della rivista pedagogica mensile “Scuola e Vita”, del quindicinale “Scuola Italiana Moderna” (che poi, nel 1904, dopo la morte di Tovini, ispirò, motivò e sospinse alla fondazione della stessa “Scuola Editrice”) nonché sul piano economico, la promozione di una cinquantina di Casse Rurali. Egli promosse altresì tre banche di credito ordinario: la Banca di Valle Camonica (1872), la Banca San Paolo (1878) e il Banco Ambrosiano (1895). Ma s’ha da notare che mentre le “casse rurali” nacquero per far fronte alla piaga dell’usura (allora dilagante specie a scapito del popolo in condizioni povere di vita) le ultime tre rispondevano alla ragione fondamentale di legittimamente generare mezzi oltre che per il giusto soddisfacimento dei soci, specificatamente con l’intento dichiarato del sostegno della causa che più di ogni altra stava a cuore a Tovini: quella della educazione cattolica.
Questo fu sempre il Suo intento dominante.
Infatti fu promotore e difensore estremo anche direttamente di istituzioni educative, a partire dall’Asilo S. Giuseppe con le Suore Ancelle della Carità, per l’infanzia, e poi dell’Istituto Cesare Arici per gli studi elementari e medi, riportando in Brescia i Gesuiti, superando enormi difficoltà frapposte, sia sul piano giuridico che economico, dalla dominante forza laicista zanardelliana.
Pensò anche, sin dal 1894, alla creazione di una Università Cattolica – ma la sua vita fu stroncata, a soli 56 anni incompiuti, il 16 gennaio 1897.
Ezio Franceschini – Rettore Magnifico dell’Università del Sacro Cuore – nella solenne seduta di inaugurazione della sede bresciana dell’Ateneo cattolico in apertura dell’anno accademico 1965-66 menzionò esplicitamente questa intuizione di Tovini che lo stesso padre Agostino Gemelli in una testimonianza pubblicata su “Scuola Italiana Moderna”, nel settembre del 1958, aveva ricordato .
Si noti che numerose istituzioni furono pensate da Tovini, e create, – con spiccata sensibilità laicale – secondo il diritto civile, affinché potessero essere considerate ed apprezzate anche da non cattolici per la loro intrinseca validità.
L’impegno per l’educazione, e la correlata attenzione alla famiglia, furono attestate da tutta la vita personale e famigliare di Tovini, affrontate nella sofferenza, tutto avendo operato, a partire, come ricordato, da una disagiata condizione economica famigliare, e nonostante la precarietà della Sua salute fisica, ancorandosi alla Grazia sacramentale, tramite la preghiera.
Un aspetto caratterizzante la personalità di Tovini – perché connotata dall’amicizia – è quello della gratuità delle sue dedizioni.
E’ una caratteristica coessenziale all’impegno umano del cristiano: sintomo della carità stessa, segno di autentica apertura all’altro; per essere oltre il dialogo, nell’amore, di cui la stessa amicizia sia una stilla.
Si vede riflesso così nell’umano – come in un autentico circuito virtuoso – l’amore stesso trinitario divino.
Tovini scrisse e disse: «l’apostolato della preghiera non è altro che l’applicazione più propria della comunione dei Santi».
XX – La gratuità nell’azione.
La gratuità, per essere autenticamente tale, ha da essere pura, cioè disinteressata, e potenzialmente piena, e possibilmente riservata, cioè non condizionata da ottica immanentistica; così sarà tendenzialmente perenne.
Essa è certamente all’origine delle scelte vocazionali autentiche, siano esse per il sacerdozio o la vita religiosa o comunque consacrata, ma altresì certamente per la stessa vita laicale se orientata alla trascendenza. L’autentica vocazione tende all’assoluto e si connota di esclusività. Ha come fondamento una scelta libera, volontaria, tendenzialmente irreversibile.
Forse non sempre, in talune forme di volontarismo contemporaneo, c’è vocazionalità autentica.
Infatti l’autentico volontariato, genera dedizioni totali.
Ma la fonte di ogni azione veramente caritativa è la fede. L’educazione primaria che oggi, come sempre invero, i cattolici debbono coltivare in sé stessi e verso il prossimo; è l’educazione nella fede, alla fede in Cristo Gesù figlio del Dio vivente, nostro Redentore. La fede che nella ragione ha motivi di credibilità, e che la ragione stessa illumina.
Saluto conclusivo
Solo in tale ottica, sia consentito – concludendo – ch’io mi rivolga direttamente, ed in modo speciale, ai giovani qui convenuti – o qui idealmente rappresentati – per indirizzare a loro un sincero apprezzamento ed un affettuoso ringraziamento per il grande contributo che essi recano e potranno recare alla presenza cristiana nella società contemporanea, motivo di fiducia concreta e di speranza nel tempo presente.
Non lasciate che le insinuanti tentazioni che ci circondano condizionino la generosità della vostra dedizione.
Aprite lo sguardo alla ricerca della luce tra le tenebre, la luce che la fede genera, componendo il vostro fattivo impegno con quant’altri condividono – nella comune fede, e nella Chiesa – l’autentica passione per il bene; volgete con determinazione ed in tensione unitiva le vostre energie per la costruzione di una convivenza umana che sia ispirata alla civiltà dell’amore.
Così la testimonianza di Tovini non potrà che dirsi ancor oggi viva tra noi.

MODERATORE:
Gustav Mahler diceva che la tradizione non è adorare le ceneri ma trasmettere il fuoco, è una delle più belle definizioni di tradizione che abbia mai conosciuto e credo che sia il commento migliore all’intervento così ampio approfondito ed anche provocatorio che ha fatto adesso il dottor Camadini.
Insieme ad un’altra parafrasi, di una frase di San Giacomo, il quale dice che la fede senza le opere è morta, ed è vero che la fede senza le opere è morta, però le opere senza la fede possono essere anche peggio.
Questo è la chiusura di quest’incontro, invito chi non l’avesse fatto a vedere la mostra, ringrazio ancora i nostri due relatori professor Bressan, il dottor Camadini sinceramente e di cuore, un ringraziamento a coloro che hanno lavorato alla mostra, ce ne sono diversi in sala e anche a tutti voi, che avete seguito quest’incontro. Vi auguro buona serata.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

24 Agosto 2008

Ora

19:00

Edizione

2008

Luogo

Sala Neri
Categoria
Incontri