CON QUALI ENERGIE COSTRUIRE IL FUTURO?

Con quali energie costruire il futuro?

Partecipano: Fulvio Conti, Amministratore Delegato e Direttore Generale Enel; Federico Golla, Amministratore Delegato Siemens Italia; Stefano Saglia, Sottosegretario di Stato allo Sviluppo Economico; Paolo Togni, Presidente Associazione VIVA; Giuliano Zuccoli, Presidente del Consiglio di Gestione di A2A. Introduce Paola Garrone, Docente di Economia dei Servizi e delle Reti al Politecnico di Milano e Responsabile Dipartimento Public Utilities Fondazione per la Sussidiarietà.

 

PAOLA GARRONE:
Bene, benvenuti a tutti, diamo inizio a questo nostro incontro dal titolo “Con quali energie costruire il futuro?”. Aspettiamo solo un attimo che abbiano finito anche i fotografi e iniziamo questo incontro che affronta un tema importante, un tema che attrae l’interesse dell’economia, della politica, ma anche di tutti noi, di chiunque è attento alle opportunità di sviluppo per la vita delle persone, delle famiglie e anche per la competitività delle imprese. E’ il settore dell’energia. noi oggi abbiamo la possibilità di farci aiutare dai nostri relatori a comprendere alcune delle sfide che attraversano e si intrecciano in questo settore. Il tema del costo della fornitura dell’energia, quindi la necessità di ridurre il costo, in particolare per l’energia elettrica, per megawattore; il tema dell’affidabilità, della sicurezza degli approvvigionamenti per un Paese come il nostro che dipende per i propri consumi di energia in misura importante, l’80% dalle importazioni: un tema evidentemente importante e complesso. E tutta la problematica ampia, sempre più al centro dell’attenzione, dell’impatto dei consumi e della produzione di energia sull’ambiente. La possibilità di avere un settore affidabile, un costo ragionevole dell’energia e nello stesso tempo un rispetto per l’ambiente, per le risorse, per il mondo in cui viviamo.
Prima di tutto voglio ringraziare i nostri ospiti, protagonisti di primo piano del sistema dell’energia in Italia e nel mondo e anche amici del Meeting. Comincio, alla mia destra, con il prof. Togni, presidente dell’Associazione VIVA, un’associazione che si occupa di promuovere la cultura sui temi dell’ambiente. Segue poi l’ing. Golla, Amministratore Delegato di Siemens Italia; l’Onorevole Stefano Saglia, Sottosegretario allo Sviluppo Economico e animatore dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà; il dott. Fulvio Conti, Amministratore Delegato di Enel. E infine l’ing. Giuliano Zuccoli, Presidente di A2A e di Assoelettrica. Li ringraziamo per aver accettato di essere con noi questo pomeriggio. Prima di dare a loro molto rapidamente la parola, volevo introdurre quelli che saranno i due temi che abbiamo scelto, gli snodi che costituiscono un punto importante di passaggio in questo percorso verso le energie del futuro, come dice il titolo del nostro incontro. Sono due temi in qualche modo diversi, ma che avremo la possibilità di vedere come rispondano anche a logiche comuni.
Il primo tema è quello delle rinnovabili. Il secondo tema, su cui poi magari avremo occasione di chiudere l’incontro, è quello dei criteri con cui vengono scelti i siti per le infrastrutture energetiche, il problema della localizzazione. In particolare, di impianti importanti ma anche complessi, con aspetti di attenzione, come ad esempio gli impianti di nuclelocalizzazione, due punti importanti che stanno affrontando sia gli uomini dell’industria che gli uomini della politica, temi su cui c’è un cammino in corso. Allora, parto dal primo dei due punti, il tema delle rinnovabili, cioè le tecnologie che permettono di produrre, in particolare l’energia elettrica, a partire da fonti non esauribili: pensiamo all’eolico, al fotovoltaico, al geotermico, alle biomasse. Sappiamo che in qualche modo hanno trovato una nuova spinta nell’ultimo decennio, all’interno del grande tema, della grande sfida del cambiamento climatico. Ora, non è questo il momento di entrare nel merito della teoria del cambiamento climatico: altri lo fanno senz’altro meglio di me. Ad esempio, due anni fa c’è stata qui al Meeting una bella mostra, molto equilibrata, sull’evidenza a favore di questa teoria e anche sui punti di incertezza. Ora però questa teoria stabilisce un legame tra l’uso dei combustibili fossili per la produzione di energia – quindi gas, carbone, prodotti derivati dal petrolio – e la concentrazione dei cosiddetti “gas serra”, con effetti attesi, che già in qualche modo si stanno manifestando come cumulativi nel tempo, a lungo termine, particolarmente seri, di cambiamento delle proprietà dell’atmosfera dal punto di vista climatico: temperatura, eventi climatici estremi, siccità, grandi piogge.
Ecco, il ruolo delle rinnovabili ha trovato nuova giustificazione in questo quadro. Ora, nel nostro Paese son stati fatti, in questi ultimi due anni, passi importanti: siamo ormai al 24, 25% di produzione dell’energia elettrica con fonti rinnovabili, compreso l’idroelettrico, il vecchio, caro idroelettrico. C’è stato un aumento importante, ci son stati dei provvedimenti, delle misure come il conto energia per il fotovoltaico che è stato rinnovato, il piano energetico nazionale. Ma al tempo stesso ci sono delle perplessità, prima di tutto per il costo: in media, diceva il Presidente delle Autorità nel riferire al Parlamento a luglio, tre volte il costo del megawattore prodotto con fonti convenzionali. L’utilizzo del terreno per usi alternativi, in particolare per questo tipo di tecnologie, va in qualche modo in conflitto con l’uso del terreno per scopi agricoli, per scopi turistici. C’è quindi un aspetto problematico. Infine, la competizione a livello globale: ci sono alcuni Paesi importanti, come l’India, come la Cina, che non aderiscono agli accordi internazionali per la mitigazione del cambiamento climatico, che non si sono impegnati a delle quote da rinnovare. Su questo l’Unione Europea, con il pacchetto che stabilisce per il 2020 una quota di produzione dell’energia ottenuta con le fonti rinnovabili, ha assunto un impegno. Ma, ad esempio, anche gli Stati Uniti hanno messo in qualche modo un fermo alla proposta che era stata fatta di creare degli obblighi di quote per le rinnovabili.
Il primo giro di tavolo che vorremmo fare è proprio su questo tema importante, in particolare sulla sostenibilità delle rinnovabili, sull’obiettivo del 2020: venti per cento di tutto il sistema dell’energia di produzione utilizzando le rinnovabili. Direi di partire dagli uomini d’azienda, dell’industria, che hanno una conoscenza intima di queste problematiche. In particolare, chiederei prima di tutto al dottor Conti, all’ingegnere Golla, all’ingegnere Zuccoli, di darci la loro visione di questo problema, partendo proprio dal dottor Conti. Enel, lo sappiamo, è un’impresa importantissima in Italia, non solo storicamente, oggi ha tantissimi impianti idroelettrici, il termoelettrico, impianti rinnovabili. E’ presente in 23, 24 Paesi, anche nell’esercizio di impianti nucleari, di centrali nucleari: un’impresa a tutto tondo nel mondo della produzione elettrica. Do allora la parola al dottor Conti, Amministratore Delegato di Enel.

FULVIO CONTI:
Grazie alla professoressa Garrone, ma soprattutto grazie a voi, veramente un grazie sentito da parte mia, di essere così numerosi nel primo pomeriggio ad ascoltare un tema che non necessariamente è un tema facile o divertente, quindi i miei complimenti. L’augurio che vi posso fare è che, al termine di questa riunione, non vi siate pentiti di aver passato qui in questa sala oggi pomeriggio. I temi che ha posto la moderatrice sono particolarmente rilevanti, per il nostro futuro, per l’oggi e per il domani, per il mondo che vogliamo lasciare ai nostri figli. Un mondo che sicuramente avverte la necessità di diversificare per migliorare lo sfruttamento delle risorse naturali che il buon Dio ci ha lasciato su questo pianeta, per consentire uno sviluppo sostenibile, per consentire uno sviluppo il più possibile armonico. Ma allo stesso tempo, senza alcun dubbio, con la possibilità, la necessità di avere fonti di energia primarie e secondarie a più basso costo e accessibili a gran parte della comunità. Oggi, ancora oggi, nel nostro pianeta ci sono più di un miliardo e trecento milioni di persone che non hanno accesso a quella che noi stiamo consumando in questo momento come energia elettrica. Ancora oggi, abbiamo quindi l’esigenza di sviluppare tecnologie e sistemi logistici particolarmente impegnativi, per favorire uno sviluppo ordinato di tanta parte del mondo.
In quei Paesi fortunati, come possiamo definire il nostro, che hanno evidentemente sviluppato un’industria di produzione e trasformazione di energia primaria e di energia secondaria, il problema si pone in maniera diversa, il problema è quello di garantire il più possibile l’indipendenza energetica. Oggi noi importiamo circa il 90% di tutte le energie che consumiamo nel nostro Paese, qualsiasi energia, per il trasporto, per l’illuminazione, per il riscaldamento, per il funzionamento ordinario delle nostre case e delle nostre imprese. È una delle cifre più alte in assoluto ma non ci accontentiamo di questo: siamo anche il Paese che importa più energia trasformata, anche di elettricità. In questo momento noi importiamo all’incirca il 15, 16, 17%, a seconda delle ore del giorno, di energia elettrica da Paesi con noi confinanti come la Francia, la Svizzera, la Slovenia. Questa energia che importiamo oggi è prodotta da centrali nucleari, che noi paghiamo come se fossero centrali di tipo tradizionale, quindi, trasferendo non soltanto il costo ma anche un profitto verso colleghi francesi, svizzeri o sloveni che hanno avuto la fortuna di mantenere una tecnologia e uno sviluppo a loro beneficio.
Ecco perché è importante il tema che sollevava la moderatrice: come uscire da questo paradigma sbagliato e pensare che sia possibile coniugare uno sviluppo ordinato e sostenibile, per noi e per i nostri figli, senza dover fare ricorso a tecnologie che oggi consideriamo invasive o non architettonicamente corrette o addirittura, in qualche caso, nocive? La risposta sta nell’equilibrio che tutti gli altri Paesi a noi vicini hanno saputo conservare in questi anni: l’equilibrio sta nello sviluppare tutte le tecnologie possibili, cercando di aumentare la capacità autonoma di generare energia con le risorse disponibili e cercando di ottenere energia a più basso costo, attraverso tecnologie innovative o comunque tradizionalmente esistenti e funzionanti, come ad esempio il nucleare, per ottenere questo vantaggio di ampia disponibilità e di basso costo. Sulle energie rinnovabili, inserite come devono essere all’interno di un organismo ordinato e armonioso di sviluppo, non credo che ci sia molto da discutere. In discussione, come sempre, è il modo in cui queste tecnologie vengono utilizzate. Ogni tecnologia di per sé è innocente, salvo l’utilizzo che se ne fa. Se se ne fa un utilizzo sbagliato o se si sbagliano le misure a favore di un certo tipo di tecnologie, evidentemente si crea una distonia, si crea un’asimmetria, per cui qualcuno è stato invogliato ad investire in una tecnologia solo perché remunerata, mentre sarebbe più comodo e facile poter guardare ad altre tecnologie esistenti.
Cerco di spiegarmi: come già ricordava la professoressa Garrone, è sotto gli occhi di tutti che le energie rinnovabili costano più delle energie tradizionali. È un fattore moltiplicativo che va da tre, quattro, cinque volte, a seconda del tipo di fotovoltaico, fino a poco più di due volte e mezzo, due volte sulle tecnologie più innovative come le eoliche. Ci sono anche delle rinnovabili che costano meno o uguale alle fonti fossili tradizionali, ad esempio l’idroelettrico. Lo conosciamo molto bene, nelle valli appenniniche e alpine, l’abbiamo sfruttato per cento e più anni ed evidentemente continuiamo a farlo. Bisogna mettere un grosso costo iniziale per la diga e i vasi delle turbine, poi c’è un basso costo che paga il canone dell’acqua e si devono mantenere certi deflussi minimi di calibro per mantenere l’agibilità del torrente, del fiume. Il resto è sostanzialmente gratuito. C’è ad esempio la geotermia, il vapore della terra: ci sono aree d’Italia dove la geotermia è abbondante: bisogna avere una competenza specifica, una competenza mineraria, ma per fortuna dell’Italia da centodieci anni l’Italia produce energia sfruttando convenientemente i soffioni boraciferi della zona del monte Amiata e continuerà a farlo per i prossimi decenni. Non solo. Va sviluppando anche una tecnologia che può essere esportata in giro per il mondo. E queste sono due tecnologie cosiddette rinnovabili che costano come il carbone, come il gas, anzi, addirittura qualche volta anche meno.
Poi esistono le nuove tecnologie, e sono quelle del fotovoltaico, sono quelle del solare a concentrazione, sono quelle delle biomasse: nuove tecnologie che si affacciano e che hanno oggi un costo particolarmente significativo. Su base 2009, noi cittadini abbiamo dovuto contribuire pagando una piccola quota della bolletta che paghiamo tutti i mesi, all’incirca per due miliardi e duecento milioni di euro, per finanziare queste sovvenzioni che vengono date a noi stessi come cittadini o a noi come imprese, nel momento in cui decidiamo di utilizzare il fotovoltaico piuttosto che le biomasse. Ha senso questo? Beh, non ha senso se due miliardi e duecento milioni vanno a finire nelle tasche di qualcuno che se ne approfitta e basta. La chiamiamo imprenditoria, evidentemente è ingiusto: ma se invece due miliardi e duecento milioni venissero spesi con la logica di incentivare la ricerca, l’innovazione, il miglioramento tecnologico, per arrivare ad avere lo stesso costo che potremmo ottenere attraverso l’utilizzo del carbone, questo avrebbe molto più senso. Ecco, se posso imputare al sistema italiano qualcosa che non funziona nello sviluppo delle rinnovabili, è questa asimmetria, questo errato calcolo che viene fatto per favorire alcune tecnologie che a volte non sono effettivamente positive.
Penso che il mio amico Stefano Saglia l’avrà sentito mille volte, questo tema: penso ad esempio ad alcuni incentivi che vengono dati a chi, furbescamente, dico io, si costruisce un meccanismo perverso attraverso il quale coltiva delle palme di cocco in Indonesia, le comprime, le pressa in Indonesia, ne estrae dell’olio, lo mette su una nave, lo fa arrivare qui in Italia, lo mette su un’autobotte, lo porta in cima ad una montagna dove ha un impianto di generazione di energia elettrica, e noi gli paghiamo un congruo, circa quattrocento euro a megawattore, quindi quaranta centesimi a kilowattore, di contributi. Bilancio energetico negativo, bilancio ambientale negativo. Ecco, questo è un esempio distorto di come possono essere applicate queste normative.
Conclusione per la prima parte: è necessario sviluppare tutte le tecnologie, certamente rinnovabili, se concepite in una logica che possa consentire di arrivare entro breve alla parità di costo rispetto alle fonti tradizionali. Sono essenziali per diminuire l’impatto di anidride carbonica immessa nell’atmosfera, essenziali per aumentare la nostra capacità di essere autonomi, indipendenti e non esposti ai rischi geopolitici di approvvigionamento del gas, che è il fattore predominante di produzione di energia elettrica nel nostro Paese. Non è l’unico rimedio, quello del rinnovabile, c’è bisogno di fare tutte le altre cose, c’è bisogno anche di un utilizzo più opportuno dei combustibili fossili. L’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che saranno comunque per l’80% ancora, nei prossimi trenta anni, il motore principale dello sviluppo di energia a vantaggio di tutti i Paesi esistenti e di quel miliardo e trecento milioni di persone che oggi non hanno ancora accesso a fonti di energia. E io aggiungo, necessariamente anche facendo ricorso alla tecnologia nucleare, che – se avrò l’occasione ci tornerò nella seconda tornata – è assolutamente fondamentale per realizzare questo equilibrio, questa soluzione dell’equazione energetica e di un’energia più abbondante e a più basso costo, ambientalmente amica. Grazie per il momento.

PAOLA GARRONE:
Grazie. Do ora la parola all’ingegner Golla, Amministratore Delegato di Siemens Italia. Siemens, lo sappiamo, è una grande, grandissima impresa presente in duecento Paesi nel mondo. E’ presente in Italia da tanto tempo, centocinquant’anni, no, solo centodieci, ha una presenza che non è mai stata rapace, ma profondamente radicata, con un importante contributo di sviluppo, di innovazione tecnologica, di sinergia col resto del mondo industriale italiano. Tre divisioni, una riguarda l’energia. Prego, ingegnere.

FEDERICO GOLLA:
Grazie professoressa. Cercherò di riprendere dal punto di vista dell’industria che sviluppa e opera nel mercato dell’energia tanti punti totalmente condivisibili, citati prima dal dottor Conti. Innanzitutto, un elemento di riferimento: il futuro ci riserverà consumi di energia decisamente superiori a quelli attuali, per due fenomeni incontrastabili. Il primo è quello dell’aumento della popolazione, da sei a nove miliardi di persone sul pianeta. L’altro è quello stimato dell’aumento di consumo pro-capite, da sette a dieci GJ. Questo ci serve a dire, innanzitutto, che va considerato come un progresso: il consumo dell’energia è legato allo sviluppo, è legato allo sviluppo dei Paesi emergenti, è legato allo sviluppo anche del nostro Paese. Quindi, questi dati di fondo ci portano a dire che noi, come industria, dobbiamo e vogliamo investire nelle tecnologie delle energie. Le rinnovabili sono ovviamente una parte, il fossile è destinato probabilmente a ridursi ma non a scomparire, e il nucleare è destinato – quantomeno nei Paesi che sapranno adottare un piano, non direi coraggioso, ma di lungo periodo sul nucleare – anche a crescere.
Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, non vi è dubbio che ci sia oggi un problema di costo, un problema di sovvenzioni. La domanda lecita è: “Chi paga per questa energia prodotta?”. Ma allo stesso modo non vi è dubbio che ci siano energie che saranno sempre più presenti in futuro. Ma non perché sono rinnovabili in quanto rispondenti ai criteri di Kyoto o agli accordi di Copenaghen. Sarebbe insensato, non logico, non credibile, una volta caduta la prima delle energie disponibili, dimenticarsi delle energie rinnovabili. Dopo farò un cenno a un progetto che io amo molto: produzione dell’energia solare termodinamica nel Sahara. Sarebbe folle oggi trascurare le strutture delle energie rinnovabili solo perché costano più delle energie prodotte dal fossile. Noi dell’industria sappiamo bene che lo sviluppo, nelle economie di scala, porta ad un abbassamento drastico dei costi per unità di prodotto, per unità di soluzione. Ne discutevamo prima, durante la colazione. Qualcuno diceva: sì, queste cose le dicevate venti anni fa! Certo, c’è sempre il momento in cui si arriva a un break e l’industria trova le ragioni per continuare.
Una cosa è certa e la voglio dire molto chiaramente, parlo per noi dell’industria, in generale, ma parlo soprattutto per la mia azienda: non abbiamo mai sviluppato e non svilupperemo mai tecnologie nuove con costi elevati, perché esistono sovvenzioni dello Stato. Sarebbe una logica limitata, una logica di breve periodo: avendo, come ricordava la professoressa, la fortuna di operare su 190 o 200 Paesi nel mondo, ovviamente abbiamo una visione globale che poi si cala e si declina più o meno nei Paesi in cui operiamo. Come Siemens Italia però è mio dovere e compito interpretare la politica del Governo, i piani energetici del futuro. Tornando alle energie rinnovabili, sono le energie del futuro ma anche quelle del presente. Oggi ci confrontiamo già con le eoliche, si guarda al Nord Europa e si vede un’estensione del fotovoltaico. Ovviamente, le condizioni al contorno sono diverse; l’ambiente, l’estetica, l’architettura, tutto quello che contribuisce a una scelta non è mai black and white, non esiste, in questi programmi di sviluppo dell’energia, il piano energetico perfetto o l’energia perfetta che viene prodotta in modo estremamente pulito, al costo più basso e senza disturbare l’ambiente.
Esiste sempre il criterio del buon senso, che è calare le competenze tecnologiche, le necessità del Paese, in quelle che sono le priorità del territorio. E’ evidente che l’Italia, soprattutto la parte meridionale, si caratterizza per una concentrazione, una capacità di irradiazione del sole diversa da quella dei Paesi nordici. Per contro, abbiamo meno vento, e quindi le rinnovabili di oggi sono basate sulla situazione attuale. Le rinnovabili del futuro saranno altre. Abbiamo citato prima il solare termodinamico: stiamo studiando il movimento delle maree che non riguarderà certamente l’Italia ma, in modo preponderante, la parte oceanica e il deserto. Lasciatemi spendere un minuto, perché è un anno che mi occupo di questo progetto che ritengo affascinante, anche dal punto di vista concettuale e intellettuale. Il deserto è sempre stato visto come un’area ostile, come le grandi foreste. Il deserto era il confine verso il nulla, era la siccità, al massimo qualcuno poteva apprezzarlo facendo un giro in jeep o un safari fotografico, ma nessuno ha mai pensato, fino a poco tempo fa, che forse poteva essere la risorsa per definizione dell’energia. Grazie alle radiazioni solari nella fascia del Nord Africa, in poche decine di chilometri quadrati si potrebbe produrre il 20% o – teorizzando all’estremo – il 100% dei fabbisogni dell’energia. Non sarà possibile farlo in questa scala, ovviamente, ma sarà possibile produrre energia nel deserto, sarà possibile trasferirla, perché la tecnologia dei cavi sottomarini ad alta tensione ci permette di trasferire con perdite limitatissime l’energia prodotta dalla fascia nordafricana al nord dell’Europa. E’ possibile desalinizzare, è possibile creare una situazione che – oltre a produrre energia in modo pulito dal sole, che in queste zone non manca – permette anche di far crescere quelle popolazioni, in situazioni che oggi sono regredite per effetto della mancanza di acqua.
Questo è solo un esempio: l’ho citato perché lo trovo particolarmente affascinante e più di lungo periodo, ma credo che per definizione i piani energetici di un Governo, di un Paese, le instabilità politiche mettano a rischio qualche piano di lungo periodo. Credo che chi si occupa di energia debba guardare a 20, 25 anni, non possa valutare il costo attuale, le sovvenzioni attuali, quelle che sono le realtà del momento. Questo è business as usual, come si dice, quello che domani sarà, sarà frutto – e mi auguro che la nostra industria possa contribuire – di investimenti, di ricerca, anche di lungimiranza e di piani di lungo periodo che ovviamente non possiamo fare da soli. Li dobbiamo fare con i Paesi, nei Paesi dove operiamo, con i gestori con i quali ogni giorno ci confrontiamo. Grazie.

PAOLA GARRONE:
Ingegner Zuccoli, presidente di A2A. A2A, lo sappiamo, nasce dalla storia delle imprese municipali di Milano e di Brescia nel settore dell’energia, nel settore dell’ambiente. E’ una impresa che oggi coniuga il servizio alle persone con un’efficienza industriale, una storia di presenza importante nel settore dell’energia, nell’idroelettrico, nel termoelettrico. E’ tutt’oggi presente in progetti di sviluppo industriale-tecnologico importante. Ingegner Zuccoli, la parola a lei.

GIULIANO ZUCCOLI:
Grazie è sempre per me un piacere venire a Rimini per questo appuntamento annuale importante, perché la percezione che se ne ha è che qui si possa parlare fuori dai denti, senza timore di essere male interpretati e senza timore, se si canta fuori dal coro, di essere ripresi pubblicamente. Quindi, ribadisco l’importanza di questo incontro, anche perché noi dobbiamo fare informazione; i nostri concittadini devono giustamente pretendere da noi un trasferimento di conoscenze per poter poi prendere posizione e quindi decidere. Il settore dell’energia ha molto a che fare con i cambiamenti in corso nelle nostre società, con lo stesso modo di vivere della gente, in tutto il mondo, certamente nei paesi industriali e sviluppati, ma soprattutto nei paesi che sono emersi come nuovi protagonisti dello sviluppo, Cina, Brasile, India.
Se il cuore dell’uomo – come dice il bel titolo di questa edizione 2010 del Meeting – spinge a desiderare cose sempre più grandi, è chiaro che molte di queste cose, nel prossimo futuro, hanno a che fare con l’energia. Negli scorsi anni, qui a Rimini, abbiamo toccato molte problematiche di attualità: dalla liberalizzazione dei mercati ai costi dell’energia, dal nucleare alle energie da fonti rinnovabili e alla sostenibilità ambientale. Negli ultimi mesi, l’attenzione si è concentrata sulla vasta problematica attinente le energie rinnovabili. In particolare, sul tema del rapporto costi benefici. Per dirla in breve: è vero che il futuro ci imporrà ancora le fonti di energia tradizionale, ma ci propone con sempre maggiore impellenza anche le fonti rinnovabili. Le statistiche ci rivelano però che la maggior quantità di energia di questo tipo in Italia è ancora prodotta dalle “vecchie” centrali idroelettriche. Il resto, sia eolico che fotovoltaico, ha crescite brillanti, ma un peso quasi trascurabile nella nostra bilancia energetica.
Il Governo ha però accettato l’obiettivo della UE di raggiungere una quota del 17% entro il 2020 sul totale della nostra produzione elettrica. A chi spesso mi domanda se un tale obbiettivo sia realistico, io rispondo che, certo, può essere realistico. Ma rappresenta una sfida notevole di cui bisogna avere consapevolezza. Quello che è più corretto chiedersi è: quanto costa raggiungere quell’obiettivo? E soprattutto: chi sarà chiamato a pagare? Perché, se devono essere le bollette dei consumatori finali a reggere lo sforzo, può anche essere un obiettivo realistico, ma da evitare assolutamente. Con il miraggio di guadagni facili, scatenati da vari sistemi di incentivi, si è continuato a creare bolle (basti pensare, in Europa, all’esempio della Spagna) e dis-economie, che poi si scaricano inevitabilmente sui consumatori. Questo è da evitare.
C’è inoltre un fatto industriale da evidenziare. Stiamo assistendo, nel settore delle rinnovabili, alla nascita di operatori che nulla hanno a che fare con la tecnologia, con la tradizionale competenza elettrica, e che sono meri investitori. Questo vuol dire inquinare con altre logiche, più finanziarie che industriali, un settore dove c’è bisogno invece di una componente industriale e imprenditoriale qualificata. L’odierno sistema degli incentivi alle rinnovabili, favorisce una “non presa di rischio” da parte del singolo operatore, e una scarsa responsabilità. Perciò bisogna mettere mano a una “riforma generale” degli incentivi alle rinnovabili. Possibilmente evitando di buttare, con l’acqua sporca, anche il bambino. Va, cioè, preservata l’industria sana e seria che in questi ultimi anni si è sviluppata con standard europei e accertata competitività, e penso a tutte quelle imprese che finora hanno investito nel nostro Paese una cifra vicina ai 10 miliardi di euro! Come i produttori di Assoelettrica hanno ben chiarito, noi siamo d’accordo con il Governo: il sistema degli incentivi va riformato. Ed oggi non è più un discorso generico, essendo stato elaborato un Piano di Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili che già ha raccolto l’apprezzamento dell’associazione dei produttori riuniti in Assoelettrica.
In particolare, il Piano individua dettagliatamente:
il contributo che i tre settori coinvolti (elettricità, calore, trasporti) dovranno assicurare per il conseguimento dell’obiettivo nazionale del 17% entro il 2020;
quelle che sono le misure di sostegno per il conseguimento degli obiettivi;
i criteri per la sostenibilità dei biocarburanti e bioliquidi;
le modalità per avviare progetti di cooperazione internazionale;
afferma che il monitoraggio del Piano sarà affidato al GSE che gestirà un apposito sistema italiano di monitoraggio delle energie rinnovabili (SIMERI).
Tuttavia, il Piano per molti aspetti appare come un documento embrionale che contiene linee di principio che dovranno essere meglio specificate per renderle attuabili o rafforzate affinché producano effetti concreti. Manca, quindi, una visione strutturale che sia in grado di eliminare le criticità attuali – prima fra tutte, quella attinente ad una pianificazione degli interventi di potenziamento della rete elettrica -, gettando le basi per una piattaforma regolamentare che sia equa, efficace e sostenibile.
Assoelettrica ha già avuto modo di segnalare – e nei prossimi mesi lo farà con maggiore forza – alcuni aspetti particolarmente rilevanti che avrebbero meritato un’analisi più approfondita o un diverso approccio. In particolare, sono state avanzate proposte riguardanti i consumi finali di energia e obiettivi per le energie rinnovabili. Sono proposte che nelle prossime settimane Assoelettrica renderà pubbliche con un suo specifico contributo al miglioramento del Piano di Azione Nazionale; proposte puntuali che possano rendere più efficace il Piano di Azione. Rinviando però a quel documento le proposte specifiche, voglio concludere facendo ancora due osservazioni a livello internazionale e locale.
A livello di cooperazione internazionale, il Piano individua correttamente, nei meccanismi flessibili, un’importante opportunità per il raggiungimento dell’obiettivo del 17% a costi contenuti, grazie allo sviluppo di progetti in Paesi che presentano condizioni più favorevoli rispetto al nostro e che dispongono di un surplus di capacità di produzione da fonti rinnovabili. Essi dovrebbero essere tenuti in considerazione alla luce dei limiti e dei costi associati allo sviluppo nazionale delle tecnologie. La possibilità di sviluppare progetti in altri Stati Membri tramite i joint projects o di trasferire virtualmente energia dal conto di uno Stato Membro ad un altro rappresenta un’opportunità per l’industria italiana di realizzare progetti all’estero e per il sistema Paese di ridurre il rischio di sanzioni conseguenti al mancato raggiungimento dell’obiettivo. Particolare interesse dovrebbe essere rivolto allo sviluppo di sistemi di incentivazione congiunti nei Paesi in cui sono già presenti sistemi analoghi al nostro (ad esempio Albania o Romania) e di progetti di sviluppo congiunto anche con altri Stati rispetto a quelli individuati nel Piano (ad esempio la Spagna e la Bulgaria per quanto riguarda i Paesi della CE e gran parte dei paesi dell’Africa del Nord, come Tunisia, Egitto, Marocco, o del Medio Oriente per quanto riguarda i Paesi Terzi).
A questo riguardo, sembrerebbe comunque necessaria una maggior cautela nel computare flussi di energia in importazione attraverso nuove linee di interconnessione da realizzare su base merchant. L’effettiva realizzazione di tali collegamenti dipenderà infatti da diversi fattori, tra cui la sostenibilità economica e finanziaria delle iniziative, che per loro stessa natura potrebbero comprometterne la fattibilità.
A livello locale, invece, voglio indicare l’esperienza di una Società come A2A, che opera prevalentemente su un territorio come la Lombardia, molto sensibile ai temi dell’innovazione e dell’ambiente. Nelle città dove è presente (Milano, Brescia, Bergamo, Varese, ecc.), A2A sta applicando un sistema fortemente integrato tra le varie fonti: tanta energia idroelettrica, ma anche cogenerazione, teleriscaldamento e raffreddamento prodotti da impianti climatici con pompe di calore ad acqua di falda, da termo-utilizzatori che bruciando rifiuti producono non solo calore, ma anche energia elettrica, ecc. Questa integrazione passa attraverso reti sempre più intelligenti, smart grid, essenziali per realizzare infrastrutture sul territorio come, ad esempio, i sistemi per la ricarica delle auto elettriche, che ben presto molti operatori automobilistici cominceranno a produrre in serie. Su tutto questo, bisogna che gli operatori diano il meglio della loro esperienza per assicurare qualità e convenienza a tutti i clienti, con l’occhio attento soprattutto alle imprese.
Inutile ricordare infatti che il sistema imprenditoriale italiano sconta un gap energetico rispetto a molti Paesi concorrenti. Bisogna che tutti gli sforzi siano rivolti ad alleviare i costi energetici delle imprese. E’ sufficiente mettere in confronto il nostro con i Paesi europei dove l’energia costa meno per vedere come l’Italia sia l’unico Paese quasi interamente dipendente da idrocarburi importati, che incidono fortissimamente sui costi di produzione, mentre gli altri hanno carbone e nucleare per equilibrare. In attesa del nostro mix ideale, non ci resta che augurare che vengano realizzati presto e bene i programmi avviati, primo fra tutti quello per il ritorno al nucleare, che coraggiosamente il Governo ha deciso. E nel frattempo trovare il modo di massimizzare l’efficienza energetica, tema che interessa non solo le imprese, ma tutti i cittadini che hanno una consapevolezza del ruolo centrale che ormai l’energia ha nella nostra vita quotidiana.

PAOLA GARRONE:
Grazie. Come sappiamo, il prof. Togni è il Presidente dell’Associazione VIVA, associazione che ha come obiettivo la promozione della cultura del confronto e della conoscenza dei temi ambientali, un settore in cui spesso c’è una certa sbrigatività nelle informazioni, a volte anche un uso strumentale. Quindi, ci interessa avere il suo punto di vista, a volte provocatore ma che senz’altro ci permette di conoscere meglio l’oggetto del nostro dibattito. Prego.

PAOLO TOGNI:
Io sono di gran lunga la persona dotata di maggiore massa, qui a questo tavolo, però anche come peso specifico, rispetto ai temi accennati, ma anche quello che ha la massa minore, perché abbiamo ascoltato rappresentanti di poderosi complessi finanziari, industriali, sociali, che hanno espresso le loro indicazioni. Aspettiamo di sentire il Governo che, anche in tempi magri come questi, è il soggetto dell’Amministrazione, e quindi ci dirà cose determinanti. Molto più modestamente, io farò alcune considerazioni sul rapporto fra consumi energetici e qualità dell’ambiente. Poi ci mettiamo qualche postilla. Innanzitutto, da duecento anni a questa parte, da quando è cominciata l’età industriale in senso proprio, il consumo energetico pro-capite nel mondo è aumentato di circa settecento volte. Questo dato va moltiplicato per almeno un altro fattore venti, perché tanto è stato il miglioramento in efficienza nell’uso dell’energia. Quindi, rispetto ai nostri trisnonni di duecento anni fa, noi consumiamo quattordicimila volte più energia.
Come è possibile? E’ possibile perché non c’è più l’energia animale, praticamente scomparsa. Il carbone che veniva utilizzato in maniera assolutamente poco sofisticata, e quindi con bassi rendimenti, la torba che ormai non si usa più. In questo periodo, però, c’è una tabella a fianco dei consumi energetici; è quella della situazione ambientale, quella della qualità della vita umana, perché l’ambiente è qualità della vita umana oppure è una grandezza che non interessa nessuno. La durata della vita umana è più che raddoppiata. Nel mondo, la percentuale di persone che non dispongono di adeguata alimentazione è fortemente diminuita, oggi siamo intorno al 10%; è il minimo storico. Lo stato dell’ambiente nei Paesi industrializzati, almeno da cinquant’anni è in costante miglioramento. Se facciamo le rilevazioni sulla qualità dell’aria a Milano, a Roma, a Napoli, dove vi pare, in questo periodo, troveremo che, rispetto alle rilevazioni fatte negli anni ‘50-‘60, avremo la sostanziale sparizione dei composti dello zolfo, la fortissima riduzione del benzene, la resistenza dei composti dell’azoto che sono più tosti da ridurre: ma insomma, anche lì qualcosa si sta facendo. L’unico punto su cui non possiamo dire che siamo migliorati sono le polveri sottili.
C’è un motivo? Certo che c’è un motivo: abbiamo cominciato a misurarle da dieci anni a questa parte. Prima non si misuravano, e quindi non sappiamo quante ce ne fossero in atmosfera. Tenete presente che, per quanto riguarda le polveri sottili, la Direttiva europea è fatta coi piedi per quanto concerne il Governo italiano, perché è stata costruita sulle esigenze dei Paesi del Nord, dove la maggiore ventilazione e la piattezza delle montagne consentono che le polveri vengano disperse rapidamente. Cosa che per esempio a Milano non è possibile, perché Milano è in una conca, l’aria ha poco movimento, eccetera. Ma questo riguarda le formalità stupide (e anche qualcosa di peggio) di alcuni punti della legislazione europea.
Noi abbiamo una situazione in cui: molta più energia, molta più salute dell’uomo e dell’ambiente. È chiaro che non possiamo pensare di smettere, questo è un andamento che deve continuare. La condizione per il progresso è energia abbondante e poco costosa, non c’è niente altro. Come si fa per far fronte a questa situazione? E i Governi mondiali, stanno facendo le cose utili per risolvere questa situazione? Io sono anarchico, secondo me non stanno facendo niente di buono. Perché ritengo – non sono l’unico, ma mi assumo tutte le responsabilità – che l’anidride carbonica non sia un inquinante. So con certezza che le migliaia e centinaia di migliaia di miliardi di euro destinati a combattere le emissioni in atmosfera vengono utilizzati senza nessun passaggio di valutazione del rapporto costi-benefici. Credo che Conti, Zuccoli, Golla non spendano nemmeno una lira nelle loro aziende senza dire: “Questa lira comporta questo risultato e quindi alla fine di dieci anni mi sono venute due lire”. Loro non lo fanno perché sono persone serie. I Governi nel mondo lo fanno, perché evidentemente non considerano questo dato.
In questo contesto, è chiaro che bisogna trovare un sistema perché l’energia possa essere prodotta in quantità sufficiente, a prezzo adeguato e utilizzata per lo sviluppo del mondo. Abbiamo visto che il protocollo di Kyoto, grazie a Dio, è stato un fallimento. Non so voi, io ho la certezza che il 20-20-20 sarà un altro fallimento: il 20-20-20 è la scadenza del 2020, un’invenzione bizantina dell’Unione Europea che non ha senso, a mio parere. Però un sistema lo si può costruire solamente nell’articolazione delle fonti: su questo dobbiamo essere tutti d’accordo. L’Enel ha in funzione due (la seconda quasi in avvio) centrali a carbone pulite, che praticamente non producono inquinanti all’esterno dell’area di produzione: perché non usare anche in Italia più carbone, quando per esempio la percentuale di carbone usata nel mondo è molto più alta di quella Italiana? Certo, le centrali tradizionali a idrocarburi, a gas, un po’ di inquinamento lo fanno. Però, parliamoci chiaro, i dati di oggi sono veramente prossimi allo zero. E’ chiaro che dove si produce, trasporta o consuma energia, un po’ di inquinamento non può non esserci, non fosse altro quello termico. Posso dire una bestemmia? Credo che il nucleare in Italia non si farà mai, perché non c’è sufficiente capacità amministrativa per portare a conclusione le pur ottime idee che si sono manifestate in questo periodo.
Quindi, anche le fonti rinnovabili vanno utilizzate; certo, non pagando a piè di lista compensi stratosferici a quelli che producono, ma remunerando nel modo corretto, sulla base di un’analisi industriale seria, le spese, gli impegni e gli investimenti che i singoli imprenditori (quelli seri, che non sono tutti, forse non sono neanche la maggioranza) fanno in questo settore. Ma intanto, le risorse esistenti, gli idrocarburi, il carbone stanno consumandosi. L’ho visto scritto in un testo di dementi prodotto dal Club di Roma, che nel 1990 sarebbe finito il petrolio nel mondo. Siamo al 2010, non solo non è finito ma credo che ci siano più riserve accertate di quante ce n’erano nel 1990. Quindi, credo che per un paio di secoli, potrete -io no – andare avanti in questo modo. Ma nel frattempo gli uomini avranno trovato nuove soluzioni. Il Padreterno non sottomette nessuno a prove tali che non possano essere superate. Essere pessimisti è un atto di blasfemia, è una bestemmia. Ricordate le parole di Gesù Cristo nel Vangelo, quando parlava degli uccelli del cielo e dei gigli del campo? Non voglio citare di più perché lo dovete sapere. Allora, lavoriamo e, con l’aiuto di Dio, supereremo tutte le difficoltà.

PAOLA GARRONE:
Chiudiamo questa prima parte del nostro incontro con l’intervento dell’On Saglia. L’On. Saglia è Sottosegretario allo Sviluppo Economico, è autore e promotore di numerosi provvedimenti, anche di un Progetto di Legge di riordino del settore e di strumenti importanti: il Conto Energia, il Piano Energetico Nazionale. Senz’altro, ci può dare una prospettiva di insieme su questo importante tema. Prego.

STEFANO SAGLIA:
Grazie. Ci sono due cose che mi hanno colpito in questi giorni, guardando i giornali anche se ero all’estero: la prima è un editoriale sul primo quotidiano economico nazionale, intitolato: La politica del buon senso. Non si riferiva all’energia ma alle questioni relative alle indagini fiscali. Però è interessante come possiamo richiamare un primo punto di questo nostro scenario energetico, che è la politica del buon senso. I politici non dovrebbero essere né scienziati ne futurologi o astrologi. Dovrebbero essere dei signori che si fidano delle notizie che gli vengono dall’industria e dalla scienza, dalla ricerca, e che in base a queste notizie assumono delle decisioni. Per cui, la politica energetica non può che essere una politica del buon senso. Tutte le tecnologie di cui si è sentito parlare oggi hanno dei pregi e dei difetti, ma sono necessarie per arrivare alla soluzione del problema energetico, che non è una soluzione unidirezionale ma fatta di molte componenti, cioè di tutte le fonti energetiche di cui oggi disponiamo e che, grazie alla tecnologia, siamo capaci di imprigionare, trasportare e diffondere.
Questo è il punto: oggi, purtroppo, nello scenario politico, di buon senso non sempre se ne vede. Mi fa però ben sperare, anche se sembra paradossale, proprio il dibattito di questi giorni. Se penso alla discussione parlamentare che c’è stata attorno, ad esempio, alla Legge Sviluppo, la legge che in questa legislatura ha contraddistinto la politica energetica in tutti i suoi settori e tutte le fonti è stata condivisa non solo dalle forze di maggioranza e quindi dal Popolo delle Libertà in tutte le sue articolazioni, dalla Lega, ma anche dall’UdC, proprio nel suo punto più controverso, che è quello del ritorno a una politica nucleare nazionale. Questo mi fa pensare che, forse, se si guarda dentro alle cose e non alla ritualità della politica, alla liturgia della politica, si trovano più punti di contatto per andare avanti a fare delle cose che sono necessarie al Paese. Perché, se la politica energetica è di buon senso, se c’è una maggioranza parlamentare ampia, addirittura oltre a quella che è la maggioranza che sostiene il Governo, per fare la politica energetica, il terzo componente è avere una prospettiva di medio-lungo termine.
Buon senso, stabilità politica e prospettiva di lungo termine: questi tre fattori sono alla base di una politica energetica. Oggi si possono fare: in silenzio, in questi mesi, li abbiamo impostati; non solo perché molti provvedimenti sono stati assunti, ma perché credo che questo Governo abbia, se non altro, abbandonato un po’ una certa polemica da parte degli ambientalisti, l’ha lasciata all’angolo nel momento in cui ha dimostrato che anche temi come quelli delle fonti rinnovabili non vanno affrontati da un punto di vista ideologico ma da un punto di vista molto pratico. Allora, qual è l’energia che ci dobbiamo aspettare? Innanzitutto, dovremmo avere una politica energetica di medio, lungo periodo, che sia il più possibile condivisa e quindi non venga rimessa in discussione ogni anno o ogni semestre. Per questo, anche se sembra paradossale visto il dibattito politico di oggi, noi lavoriamo in una prospettiva al 2020, al 2030, con uno scenario al 2050. Se abbiamo una visione della politica industriale, energetica e ambientale del nostro Paese, queste sono le prospettive. Abbiamo imparato a conoscerle non dalla politica ma dalle imprese. Quando vai a vedere gli Outlook, le presentazioni delle grandi compagnie energetiche mondiali – questo incontro ce lo insegna -, non ci sono piani industriali a tre anni ma prospettive addirittura fino al 2050.
Perché queste scadenze? Una è il 2020, che ci siamo auto-imposti come Unione Europea. Io condivido le tesi del prof. Togni, che lasciano molta criticità su questo obiettivo, però, essendo anche uomo di Governo, ho il compito di attuare politiche alle quali uniformarci. Per uniformarci, è necessario adottare decisioni che, in alcuni campi, sono addirittura tardive, rispetto a obiettivi ambiziosi come quelli del 2020. Per cui, un appuntamento è certamente quello del 2020: dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera, dobbiamo aumentare la quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, dobbiamo ridurre i consumi energetici. Il 2030, a detta di tutti gli osservatori internazionali, è il punto, tra il 2020 e il 2050, in cui si toccherà il picco della produzione di petrolio, che è un po’ il punto di riferimento di tutte le fonti energetiche, sicuramente del gas. Per cui, non possiamo avere un Paese con una politica energetica che non tenga conto di quale sarà l’andamento del prezzo del petrolio, che influenza tutto il resto delle fonti energetiche, nel momento in cui le riserve mondiali raggiungeranno un punto di non ritorno, un punto oltre al quale, probabilmente, non si potrà andare. Non che finisca il petrolio: Togni parla del 2200, ma sicuramente per un secolo ce ne sarà ancora.
Resta che arrivi a un momento nel quale le riserve accertate mondiali hanno raggiunto il loro punto di non ritorno. Queste sono le prospettive che abbiamo di fronte. Sono le prospettive che ha un Paese occidentale moderno, che sta nel G8, che ha una responsabilità nazionale e internazionale e quindi deve utilizzare tutte le fonti disponibili. È assolutamente incontrovertibile che le fonti rinnovabili, ad eccezione dell’idroelettrico, non diano un contributo in termini di quantità di energia prodotta, così significativo da poter sostituire altre fonti. Per questa ragione, noi pensiamo che gas, carbone, nucleare e fonti rinnovabili siano ognuna un ingrediente del mix energetico del Paese; nessun Paese moderno e industrializzato può rinunciare ad alcuna di queste fonti. Poi, la risposta che deve dare la politica, consapevole che alcune fonti costano di meno e altre costano di più, è tenere insieme l’energia, l’ambiente e l’industria. Se ti fai queste tre domande: conviene per l’energia, conviene per l’ambiente, conviene per l’industria, e la risposta è sempre affermativa, allora conviene utilizzare quella tecnologia.
Tutte le tecnologie disponibili, quindi, sono utili, alcune hanno bisogno di sussidi: certamente, la consapevolezza da parte dei cittadini deve essere ampia nel momento in cui ognuno di noi sussidia delle fonti. Noi abbiamo deciso, al contrario di altri Paesi – forse troppo in silenzio, avremmo dovuto propagandarlo di più -, di fare una cosa che piacerà a tutti, soprattutto al mondo delle imprese di produzione, abbiamo scelto di non ridurre in maniera drastica i contributi al solare. Abbiamo rinnovato per altri tre anni il Conto Energia per il solare fotovoltaico; perché abbiamo visto una possibilità di crescita per un sistema imprenditoriale, con tutti i limiti, tutti i difetti che può avere una nascita impetuosa e anche disordinata, a volte persino truffaldina. Ma non si può sempre buttare via il bambino con l’acqua sporca, altrimenti in Italia non si fa più nulla.
Abbiamo visto che lì c’era qualcosa di interessante; che forse valeva la pena di essere sussidiato proprio perché incominciava a muoversi un mondo. Allora, siccome oggi non possiamo più permetterci il lusso di vivere con un ambiente salubre ma senza lavoro, dobbiamo anche tenere conto di quali tecnologie possano offrire un’opportunità di lavoro, un’opportunità di sviluppo. Crediamo che nel solare ci possa essere e abbiamo deciso di rinnovare per tre anni i contributi, riducendoli del 20%, proprio perché vogliamo che sia sostenibile anche sul piano economico, non solamente sul piano ambientale. Ma non abbiamo fatto per esempio la pazzia che è stata fatta in Spagna, dove tutti ci dicevano, ci martellavano: “Quanto è brava, quanto è bella, la Spagna!”. A un certo punto, la Spagna si è resa conto di avere installato troppi impianti solari e di dover ridurre del 30, 40% gli incentivi e i sussidi. Questo vuol dire distruggere un settore, cioè farlo innalzare in maniera vertiginosa per poi distruggerlo. La stessa cosa sta avvenendo in Germania: ieri, la seconda notizia, rispetto alla politica del buon senso, erano gli industriali tedeschi che hanno detto al Governo: “Caro Governo, smettila di sussidiare le fonti rinnovabili perché devi invece aumentare di 15 anni la vita media degli impianti nucleari”. E’ una cosa che ti fa pensare.
Sono estremizzazioni. Per tanti anni abbiamo avuto dei punti di riferimento, anche in Europa, a Bruxelles, ci dicevano: “Voi che siete lenti…”. Forse la nostra lentezza è stata anche utile per capire che le fonti rinnovabili vanno sussidiate, che deve essere un sussidio omogeneo, non deve esserci una guerra, una competizione tra le fonti,. Anche perché io credo che l’appuntamento storico che noi abbiamo da qui al 5 dicembre è il recepimento della terza Direttiva sulle fonti rinnovabili, all’interno della quale potremo fare ordine. Questo è un Governo che ha fatto, oltre al Conto Energia, anche le linee guida per le fonti rinnovabili. Dopo sette anni abbiamo fatto un documento, d’accordo con le Regioni, per dire: “Queste sono le regole, dalle Alpi alla Sicilia, per dare le autorizzazioni”. Non è che ogni Regione si sveglia e si inventa qualcosa.
Come dicevo prima – vado concludendo -, abbiamo bisogno di una politica del buon senso, di una politica trasversale, di una politica energetica di lungo periodo. Non sono i politici a scegliere la tecnologia ma è la scienza, la ricerca che dà loro le risposte: poi i politici le programmano sul territorio, e la programmazione deve essere efficace. Il dott. Golla di Siemens non ha fatto riferimento a un aspetto molto importante: ho sbirciato nei suoi appunti e glielo rubo. Recentemente mi è capitato il grande onore di rappresentare il Governo a Washington, alla Conferenza Ministeriale convocata dal Presidente Obama, dove si è fatta tanta demagogia sull’energia pulita: era quasi un appuntamento per cercare di bilanciare tutta la vicenda della BP per quanto è accaduto nel Golfo del Messico, la marea nera. Però da lì siamo usciti con un progettino che riguarda le smart grid, le reti intelligenti che hanno Enel e alcune aziende molto importanti, dove l’Italia è leader insieme alla Corea, per tutti i paesi dell’OCSE, i 28 Paesi più industrializzati del mondo. Siamo leader nel trasferimento tecnologico di queste conoscenze e di questa opportunità, cioè le reti intelligenti, dove occorre l’energia elettrica, in una direzione e nell’altra: è questo forse il cuore della soluzione del problema energetico. Non solo le fonti energetiche, ma anche il trasporto dell’energia, in modo che ci sia la possibilità di interloquire tra produttore e consumatore e avere quindi una prospettiva con l contatori intelligenti. Mi ha colpito, stando a Washington, il fatto di trovare imprese americane importanti che ti guardano con rispetto, perché il nostro Paese, le nostre aziende hanno messo nelle case oggetti che negli Stati Uniti non esistono.
Quindi, è giusto non essere pessimisti, confidare nella Provvidenza, anche perché siamo capaci di stimolarla, la Provvidenza: abbiamo però bisogno di una strategia. Noi pensiamo che, al di là delle alterne vicende della vita politica del nostro Governo, siano stati piantati dei semi che ci daranno delle piante e dei frutti molto significativi. Ripeto, nelle rinnovabili, nel nucleare, nel gas, nel carbone, senza alcun timore di alcuna tecnologia, nella misura in cui la scienza e coloro che ne hanno le capacità possono offrire alla politica le soluzioni tecnologiche. Consapevoli, naturalmente, che il consumo dell’energia elettrica è destinato a crescere, non fosse altro anche perché si trasferirà inevitabilmente nel sistema della mobilità, essendoci programmi importanti per quanto riguarda l’auto elettrica e la mobilità sostenibile. Grazie.

PAOLA GARRONE:
Ci avviamo a chiudere questo confronto. Prima, permettetemi due parole che riassumano le risposte che sono emerse da parte degli interventi, in una prospettiva di lungo termine. Questo è un settore in cui non si può ragionare sul breve, ci vogliono sguardo lungimirante e prudenza. Quando gli incentivi non sono sprecati? Quando sono investiti per lo sviluppo, per rendere le cose fattibili. E cosa sono i benefici per le rinnovabili? Le diversificazioni, i mix, una maggiore indipendenza, la riduzione dell’inquinamento, la possibilità di affrontare anche altri aspetti e possibilità che non si possono chiudere dentro i confini nazionali. Chiudiamo il nostro incontro sul tema della localizzazione delle infrastrutture e dei prossimi impianti nucleari, il deposito dei rifiuti radioattivi su cui ci sono contenziosi e Regioni che si sono opposte. Quali sono i criteri, e come si può accrescere un dialogo con gli interlocutori locali? Darei la parola al dott. Conti per affrontare questo tema.

FULVIO CONTI:
Prima di affrontare il tema delle localizzazioni ritengo utile fare una sintesi. In realtà, dobbiamo parlare del lungo periodo perché gli investimenti hanno una durata di 60 anni ma impiegano più di 10 anni per entrare in funzione. Quindi, c’è bisogno di tanto capitale, spirito imprenditoriale e coraggio, nonché la fermezza di un bilancio solido. In questa logica, i colleghi hanno citato diversi punti. Bene, tra tutti i punti ce n’è uno che dice che Enel è la numero uno nello sviluppo delle fonti rinnovabili, dei carboni puliti e delle nuove tecnologie che saranno a disposizione dei nostri figli. Però, perché questo accada, c’è bisogno di un Governo centralmente molto forte, in grado di dare garanzie e condizioni di affidabilità. Pensate voi a un progetto nucleare che, a un cambio di Governo, viene buttato via. Che cosa succederebbe? Che ognuno di noi sarebbe chiamato a pagare le conseguenze di una atarassia amministrativa che poi esplode, Regione per Regione, con una serie di provvedimenti molto diversi uno dall’altro. Ad esempio, in Puglia, per aprire una centrale può bastare una DIA, come se dovessimo imbiancare casa, mentre qui ci vuole una VIA, con 1/3 delle domande. Quindi, il nucleare è una parte della soluzione. Grazie.

PAOLA GARRONE:
Darei ora la parola all’ing. Zuccoli; poi chiederei all’on. Saglia una parola conclusiva, dal punto di vista del Governo, su questo tema della scelta, in particolare dei siti.

GIULIANO ZUCCOLI:
Vorrei lasciare sinteticamente qualche riflessioni a chi ci sta ascoltando, in merito alla prima parte. Ci sono tre cose che possiamo fare: 1) “Cari amici, prima di chiudere la porta, spegnete la luce, quando uscite”; 2)”Cari ingegneri, ricordate che se migliorate il rendimento e l’efficienza delle macchine si risparmia un mucchio di carburante”; 3) “Cari tecnici, ricordatevi che una legge delle leggi dell’universo, ineludibile, è l’aumento dell’entropia, e allora, se questo è un aspetto negativo, diamogli un aspetto positivo”. All’interno di questo contesto andiamo a recuperare, se possiamo, tutta l’energia possibile. La nostra azienda ha le idee molto chiare: non è solo un problema di energia elettrica, è un problema di ridurre l’inquinamento da riscaldamento, quindi useremo il calore dell’acqua di falda per riscaldare la città. Siamo convinti che la mobilità del futuro debba essere con auto elettriche. Nucleare: la scelta degli insediamenti è tutta da fare, perché è lì che si confronteranno la logica del governo centrale con gli interessi particolari, è lì che si confronterà l’interesse generale con l’interesse particolare, è lì che si dimostrerà se, finalmente, il nostro Paese sarà sdoganato da una logica ideologica che lo ha portato a non essere neppure preso in considerazione, mentre prima era il primo operatore del settore nucleare. Quel passaggio diventa importante, chi lo deve fare? Lo deve fare il Governo. Non lo può fare il Comune o l’amministrazione locale: noi chiediamo al Governo, con insistenza, che al più presto definisca le metodologie di selezione del sito, perché da lì poi potremo costruire il passo successivo.

PAOLA GARRONE:
Grazie. Come ho detto, lascerei la parola all’On. Saglia. Gli altri due relatori possono dire una battuta su questo tema, prima di lasciare la parola al Governo che è stato più volte evocato.

FEDERICO GOLLA:
Gli studi di mercato ci dicono che il nucleare sul lungo termine avrà una quota di mercato dell’energia prodotta tra il 20 e il 25%. Questa è la conferma della necessità che l’investimento sul nucleare sia uno degli elementi fondamentali dello sviluppo.

PAOLO TOGNI:
Non sempre il Governo negli ultimi anni, in materia di energia, è diventato molto affidabile nella visione retrospettiva. Il conforto in questo momento è che Stefano Saglia, fra quanti nel Governo si sono occupati di energia in questi ultimi venti anni, è il più preparato e il più serio, fra l’altro anche il più simpatico: quindi, gli affidiamo con confidenza il nostro futuro.

PAOLA GARRONE:
Dopo questa introduzione, prego, Onorevole.

STEFANO SAGLIA:
Il professor Togni conforta, perché prima ha detto che in Italia il nucleare non si farà mai perché l’amministrazione pubblica non è affidabile. Però sono sicuro che, se fosse ancora in servizio nell’amministrazione pubblica, come è stato per tanti anni, sicuramente combatterebbe nella stessa direzione in cui combatto io. Questo mi conforta, non sarebbe fra quelli che frenano. Noi abbiamo fatto un provvedimento che è il Decreto Legislativo che riguarda la localizzazione, entro ottobre presenteremo nel Consiglio dei Ministri la strategia energetica nucleare. Entro l’inizio del 2011, pensiamo di poter dare un quadro stabile di regole, che significa anche definire quali sono le garanzie, sia attraverso un intervento da parte dell’Autorità sull’energia elettrica e sul gas, sia da parte del Governo: un quadro necessario per le imprese che investono, non perché si debbano dare sussidi per fare il nucleare, ma perché siano date delle garanzie di contesto che mettano al riparo coloro che fanno investimenti così importanti, nel momento in cui ci fossero delle decisioni diverse o degli intoppi non imputabili agli operatori.
Io resto ottimista, nella misura in cui mi capita di andare all’estero e di vedere qual è il contesto in cui sia le centrali nucleari, sia le centrali a fonti rinnovabili, trovano un consenso o un dissenso. Non è che l’Italia sia un Paese dagli altri. C’è un problema costituzionale, che non possiamo risolvere adesso. Ha ragione Zuccoli, le competenze energetiche dovrebbero essere statali, ma proprio perché questa Costituzione nella seconda parte è stata modificata in maniera sbagliata, il Governo ha dovuto inserire l’intesa con le Regioni. E allora, è giusto quello che diceva prima Togni, che deve essere una responsabilità condivisa. 0 è una missione per il Paese fare energia per i cittadini, o altrimenti si assumano tutti le loro responsabilità. Non è un problema solo del Governo, è un problema anche delle Regioni. E in Italia le centrali nucleari si faranno, così come le centrali fotovoltaiche, se c’è un’intesa fra il Governo e le Regioni, o le Regioni interessate.
Mi ha confortato il fatto che la Corte Costituzionale abbia rigettato il ricorso presentato dalle Regioni, proprio perché il Decreto, così come lo abbiamo voluto scrivere, è estremamente garantista nei confronti dell’intesa con le Regioni. Quando una Regione avrà preso coscienza di quelli che sono i benefici che si possono ricevere ospitando una centrale, dal punto di vista industriale, economico, finanziario e anche ambientale, credo che la strada sarà molto più semplice da percorrere. La stessa cosa può avvenire per il deposito di scorie, per quanto riguarda il nucleare: sono posti estremamente sicuri e certamente non nocivi alla salute dei cittadini.
Guardate, capita sul territorio di dibattere con amici delle Associazioni degli Agricoltori che ti dicono: “Adesso basta con questi pannelli solari, che mi occupate tutto il territorio e mi fate uscire dai prezzi dei terreni agricoli”. Ormai capita anche questo, quella che non va accettata è la dittatura della minoranza, perché molto spesso, a fronte di una qualche decina di cittadini che, con il megafono dei media, alzano qualche cartello, ci sono migliaia di cittadini silenziosi che invece desiderano avere risposte sul piano occupazionale e sul piano ambientale. Quindi, credo che, con un po’ di ottimismo e di buona volontà, questo Governo o chi seguirà potrà tranquillamente realizzare questi programmi.

PAOLA GARRONE:
Grazie. Chiudo l’incontro con due cose: la prima è un ringraziamento sincero che rinnoviamo ai nostri relatori. La risposta all’interrogativo di questo incontro, “Quali energie per costruire il futuro”, è venuta da uomini di azienda, uomini di Governo, uomini della società, che hanno uno sguardo appassionato al servizio – il settore dell’energia è un servizio alle persone, alle famiglie, alle imprese – e al tempo stesso uno sguardo appassionato e lungimirante allo sviluppo industriale-tecnologico. Ci sono energie per costruire il futuro e tutte le opportunità perché l’importante tradizione che il nostro Paese ha nel settore dell’energia si rinnovi su sentieri nuovi ed anche inediti. Poi vi ricordo che oggi alle 17, all’Auditorium B7, ci sarà un incontro importante: “Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio alla divinità del figlio di Dio Gesù Cristo?”, con il Cardinale Erdö, il Metropolita Filaret e il giornalista Fontolan che farà il moderatore, quindi proseguono gli incontri del Meeting. Grazie e buona sera.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

23 Agosto 2010

Ora

15:00

Edizione

2010

Luogo

Sala Neri
Categoria
Incontri