«La libertà è una scelta personale»

Redazione Web

«La libertà è una scelta personale»
Il giornalista russo Archangel’skij a confronto con giornalisti e politici sul futuro dell’Europa

Rimini, 21 agosto 2022 – Che Europa avremo al termine della guerra in Ucraina? Ci sarà un terreno comune sul quale ritessere un dialogo fra Stati e popoli? Che cosa sta mettendo in luce la guerra all’interno delle nazioni europee e della Russia stessa? A questi interrogativi si è cercata una risposta, nell’Auditorium Intesa San Paolo D3, nell’incontro intitolato “La forza della libertà e la riconquista della pace”. Introdotti da Bernhard Scholz, presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS, sono intervenuti: Aleksandr Archangel’skij, scrittore, conduttore tv, giornalista; Giovanni Di Lorenzo, direttore Die Zeit; Maurizio Molinari, direttore di Repubblica; Marina Sereni, vice ministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Sereni ha delineato le conseguenze della «gravissima emergenza umanitaria in Ucraina»: milioni di persone fuggite dal Paese (160mila rifugiate in Italia), altrettante migrate all’interno dell’Ucraina; grave crisi alimentare nei Paesi che dipendevano dagli approvvigionamenti di cereali russi e ucraini. «Noi continuiamo ad essere a fianco dell’Ucraina», ha ribadito la vice ministra, «e collaboriamo anche con quegli Stati che non sono proprio nel nostro campo a proposito di questa guerra, perché rifiutiamo l’idea di uno scontro dell’Occidente contro il resto del mondo». Sereni ha voluto ricordare che l’emergenza umanitaria non riguarda solo l’Ucraina e che ci sono tanti altri fronti aperti: nel Medio Oriente come in Africa, in Siria, in Afghanistan. «La Cooperazione Internazionale italiana è presente in tutto il mondo, grazie anche alla collaborazione insostituibile delle Osc, le organizzazioni delle società civile, che danno un contributo prezioso».
Ad Archangel’skij il compito di raccontare la Russia davanti alla guerra. Lo scrittore e giornalista, contrario all’invasione dell’Ucraina, appena cominciate le ostilità è rientrato subito nel suo Paese e ha preso a girarlo in lungo e in largo per sapere che cosa pensava la gente. Ha incontrato contadini, autisti di autobus, impiegati, imprenditori, insegnanti, intellettuali e ha trovato una Russia che non vuole o non riesce a rendersi conto «della portata delle cause e delle conseguenze di quanto sta accadendo». Anche i contrari, che costituiscono un terzo della popolazione, «guardano agli eventi in modo semplicistico, al più parlano di decisioni sbagliate». Certo, ci sono politici e giornalisti che rischiano anni di galera, ma l’impressione è quella «di un immobilismo, di una bonaccia; di gente che forse si sta adattando psicologicamente alla situazione». Ma qualche cosa si avverte. Nelle città russe come nei villaggi non c’è l’euforia del 2014, dopo l’annessione della Crimea, e non si avverte più, se non nei piccoli centri, il patriottismo imperiale; la “Z” campeggia solo sugli edifici pubblici; tranne rare eccezioni, nessuno scrittore di rilievo si è dichiarato favorevole alla guerra. In molte scuole, gli insegnanti rispettano la neutralità e non fomentano scontri fra studenti. Quanto alla chiesa ortodossa, il patriarca Kirill, secondo Archangel’skij, non è seguito da tutti. «Una lettera che esaltava la pace», ha raccontato, «è stata firmata da centinaia di sacerdoti e a Pasqua nelle chiese si è pregato per la Russia». Ci sono dunque motivi per nutrire ottimismo sulle persone, anche se, per lo scrittore, è difficile fare analisi e pronostici. «Quanto accade dimostra che nel mondo degli uomini la legge dei grandi numeri non funziona», ha aggiunto. «L’autista di provincia può rivelarsi un grande pacifista e l’agiato abitante di una metropoli un acceso sostenitore della violenza. È una scelta personale, non una legge ferrea. Questo è molto importante, perché se è vero che la singola persona è più facile da vincere fisicamente, è però certo che è più difficile da superare moralmente».
Per Di Lorenzo, in Germania la guerra è stata uno choc per la sua generazione, abituata «a pensare alla pace come ad un diritto naturale», e il Paese, con un conflitto a 800 chilometri da Berlino, ha rivissuto il dramma rimosso della seconda guerra mondiale. Ma i tedeschi hanno dato prova di grande solidarietà. Sugli aiuti militari c’è stato un rovesciamento di posizioni. I Verdi, pacifisti per definizione, «sono i più decisi a mandare armi pesanti in Ucraina, sostenuti dal 90% dei loro elettori; mentre i più contrari sono i partiti dell’estrema destra e dell’estrema sinistra». Secondo il giornalista, ci attendono tempi molto duri, che accentueranno la diseguaglianza sociale e su questo, secondo lui, si basa la strategia russa per destabilizzare i Paesi europei: «Tutto dipenderà dall’unità nei singoli Paesi e fra i Paesi del nostro continente»
Molinari, dopo aver ribadito che Putin nega l’esistenza stessa dell’Ucraina e la sua identità, si è detto convinto che il presidente russo, e non il popolo, sia il responsabile di quanto accade e dei crimini commessi. «Liliana Segre», ha raccontato, «mi ha detto: “Maurizio, ancora una volta tutto dipende da una persona sola”. Il nostro nemico non è il popolo russo, ma Putin». Ci sarà la pace, secondo il direttore di Repubblica, solo quando la Russia punirà i crimini commessi in Ucraina e ripristinerà lo stato di diritto, «come fecero Germania e Francia all’indomani della seconda guerra mondiale». Per Molinari in Italia «c’è un’opinione minoritaria contraria ad armi e sanzioni, una posizione che alcuni leader politici hanno fatto propria». Il giornalista è convinto che Putin, «con una ingerenza mai verificatasi nel nostro Paese, stia lavorando per far sì che l’Italia sia la prima nazione a dire basta ad armi e sanzioni».
Ma potranno tutti i protagonisti di questa tragedia tornare a parlarsi? C’è un punto dal quale ripartire per ritessere una convivenza dopo l’odio e la distruzione? Archangel’skij e il direttore di Die Zeit, non hanno dubbi: la cultura. Di Lorenzo si è detto contrario «ad ogni sanzione culturale verso gli artisti russi, perché la cultura può unire», ed ha plaudito alla decisione del maestro Muti di far esibire, recentemente, a Salisburgo un cantante russo.
«Se ci sarà un incontro», ha affermato il giornalista russo, «sarà soltanto sul terreno della cultura. Il dialogo fra le chiese è venuto meno, così come quello in campo scientifico. Certo anche la cultura avrà i suoi problemi per le traduzioni, le mostre, le tournée, ma in molti casi la cultura può fare a meno delle istituzioni, perché si basa sui rapporti personali e può sopravvivere anche senza la libertà e sa abbattere le cortine di ferro. La storia, e quella russa in particolare, insegna che le chiese e la filosofia hanno sempre respirato attraverso la cultura». Archangel’skij ha ricordato come Pasternak abbia scritto “Il dottor Živago” sotto Stalin e l’abbia potuto pubblicare in italiano, all’estero, dopo la morte del dittatore. «Era il suo romanzo cristiano e filosofico e in quel momento sembrava che non dovesse servire a niente. In quello stesso anno, a Milano, padre Scalfi in collaborazione con don Giussani dava vita a “Russia cristiana”, un progetto religioso, culturale e umanitario». Sembravano due cose inutili, eppure «“Il dottor Živago” fu letto da milioni di persone e una rinascita cristiana cominciò. L’impossibile, l’inutile si rivelò la scelta più sensata».
(D.B.)

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