La fatica di essere giovani

Redazione Web

La fatica di essere giovani

Rimini, 22 agosto 2022 – “La fatica di essere giovani” non è proprio un titolo che fa appeal, ma, insieme a quello dell’emergenza educativa, è un tema centrale al Meeting di Rimini. Ne hanno parlato Alberto Bonfanti, presidente di Portofranco; Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano; Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello Svi-luppo e dell’Educazione all’Università degli Studi di Padova; Dario Odifreddi, presidente Piaz-za dei Mestieri e presidente Consorzio Scuole Lavoro; e Stefano Gheno, presidente Cdo Ope-re Sociali.
L’incontro è stato moderato da Elisabetta Soglio, giornalista del Corriere della Sera, respon-sabile dell’inserto Buone Notizie-L’impresa del bene, con il saluto di apertura di Stefano Bo-lognini, assessore allo sviluppo città Metropolitana, Giovani e Comunicazione della Regione Lombardia.
«Il nostro presente è condizionato da due elementi», ha affermato Lucangeli, «dal nostro passato ma anche dal futuro, che ci porta a desiderare. Se smettiamo di avere questa forza propulsiva non sarà faticoso vivere per i giovani, sarà faticoso esistere per tutti noi. Con la pandemia è emerso un malessere che però c’era già. Anche nel sistema educativo. Ecco che ritrovarsi qui a capire cosa significa essere giovani è rimettere a tema innanzitutto che tu mi stai a cuore».
«Non dovrebbero esistere l’autolesionismo, il desiderio di non vivere più, il disturbo dell’umore», ha continuato la relatrice, «ma queste cose c’erano già prima della pandemia. Un sistema educativo intrappolato non si rinnova, e l’autolesionismo dei giovani che restano a casa e diventano interlocutori dell’intelligenza artificiale è una normalità che va guardata. Non censurata. Oggi, ovunque, l’emozione più percepita è l’ansia, accompagnata da solitu-dine anche se viviamo nell’era in cui c’è una iperconnessione. Oltre all’ansia, c’è l’apatia. I giovani oscillano tra ansia, solitudine nelle relazioni, e apatia».
«Quello che sento», ha affermato la psicologa, «è che questo tempo è vicino al limite. Noi dovremmo riappropriarci di un personale gusto di vivere. Solo così è possibile comunicare la gioia di vivere. E dovremmo smettere di giudicare, senza rinunciare a correggere. Non do-vremmo aver paura di correggere i giovani, che è diverso dal giudicare. Noi siamo incorsi in questo grave fraintendimento, ma correggere è aiutare a trovare una strada».
Nel dialogo, ha preso poi la parola don Burgio, interpellato su come sono i ragazzi del carcere minorile. «La scuola è da sempre un’emergenza», ha esordito il cappellano, «ma i nostri ra-gazzi, che rifuggono l’autorità, ci chiedono al tempo stesso una testimonianza». Burgio ha ri-portato le parole di una canzone trap che ha scritto un ragazzo del carcere: “Non so dirti ti amo perché nessuno me l’ha mai insegnato”, e ha sottolineato come si riparta da quel “vieni a vedere” che è una proposta. Gli adulti sono tali nella misura in cui, guardando e abbrac-ciando questi ragazzi, indicano loro una strada da percorrere.

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