Il lavoro che verrà. Il lavoro o la vita?

Redazione Web

Il lavoro che verrà: La sostenibilità sociale del lavoro

 

Rimini, 25 agosto 2021 – A cura di Fondazione per la Sussidiarietà e con il sostegno di Philip Morris Italia, Bayer SpA, in sala Ravezzi si è arrivati alla conclusione di questo ciclo di incontri parlando di lavoro sostenibile, cioè rispettoso dei tempi della persona. Hanno partecipato: Gian Carlo Blangiardo, presidente Istat; Roberto Giacchi, amministratore delegato di ItaliaOnline; Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico; Marco Hannappel, presidente e amministratore delegato Philip Morris Italia; Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà. Hanno condotto: Massimo Bernardini ed Enrico Castelli.

«Quando il lavoro rende dignitosa la vita?». Con questa domanda Bernardini avvia i lavori e presenta una video intervista al presidente del Gruppo Arvedi, che illustra alcuni passaggi importanti della sua azienda: «Abbiamo fatto una riconversione industriale verde senza licenziamenti; l’Europa ci faceva comprare quote di CO2 che avevano un prezzo sempre crescente, abbiamo quindi raggiunto con la riconversione gli obiettivi 2030». Castelli chiede quindi a Hannappel come sia possibile smettere di produrre sigarette entro l’obiettivo dichiarato del 2030 per un’azienda come la Philips Morris. Il presidente replica: «Le sigarette sono il nostro core business, ma non sono un prodotto sostenibile. Abbiamo deciso di sostituirle con prodotti alternativi, ma abbiamo colto anche l’occasione per fare una trasformazione sostenibile di tutti i nostri sistemi produttivi a partire dalla sede di Crespellano, dove abbiamo investito circa un miliardo di euro».

Questa transizione ecologica avrà delle ripercussioni sociali? Il ministro Giorgetti spiega che «per i vari passaggi sono stati stabiliti dei tempi. Abbiamo quindi il tempo per prepararci, perché alcuni lavori non si faranno più e i lavoratori coinvolti dovranno riconvertirsi. Ho sempre chiesto che questa transizione avvenga per tutte le aziende in modo simmetrico e in modo da non creare concorrenza sleale».

Bernardini chiede poi se lo smart working possa considerarsi un’esperienza solo positiva. Secondo Giacchi «le aziende che hanno investito moltissimo sul digitale sono quelle piccolissime, ma il digitale se da un lato crea flessibilità, dall’altro ha anche un aspetto potenzialmente negativo: un grande investimento chiede all’azienda di essere poi performante, e questo rischio ha un risvolto sociale».

Bernardini a questo punto mostra una video intervista alla presidente della rete spagnola per lo sviluppo sostenibile, che dice: «L’ambiente non è un pilastro isolato, ma è il cuore di tutto lo sviluppo. Occorre creare un’occupazione verde e una transizione giusta». Osservando che la transizione giusta ha una chiara connotazione sociale, Bernardini cede la parola a Blangiardo: «Noi di Istat da dieci anni abbiamo un indicatore globale, il BES, “benessere equo e sostenibile”, che è costituito da molti altri indicatori, che nel complesso misurano il benessere delle persone. Questi indicatori ci servono per una valutazione media ma anche per cogliere gli aspetti differenziali del territorio, i suoi avanzamenti e le sue regressioni». Interviene Vittadini: «Il BES è importante, perché, se usassimo solo il PIL per misurare il benessere, non coglieremmo lo stato di benessere della popolazione. Un Paese con un despota che tiene in povertà la sua gente potrebbe avere lo stesso PIL di un paese florido, ma non coglieremmo le differenze di benessere. Il BES ci fa vedere cosa funziona e cosa no, ad esempio ci dà indicazioni sulle carenze educative».

In un altro video vengono mostrate due realtà in cui solo donne si sono unite per fare impresa nel campo agroalimentare e Bernardini chiede quanto sia utile il digitale in esperienze come queste. Giacchi sostiene che «il digitale può essere divisivo, perché richiede competenze, ma può essere positivo in quanto acceleratore di inclusività anche verso la diversità di genere». Castelli presenta poi un video della Fondazione per la Sussidiarietà che mostra che da un lato le aziende cercano professioni specialistiche in continua evoluzione e dall’altro che queste figure non si trovano sul mercato. Perché la Fondazione per la Sussidiarietà ha fatto un report sul lavoro? Vittadini risponde: «Lavoriamo per vivere, se non si lavora non si è uomini; dobbiamo investire quindi su personalità, educazione». Rilancia Giorgetti: «Dobbiamo formare lavoratori imprenditori di se stessi, con personalità. Ad esempio l’e-commerce con cui spediamo in tutto il mondo il marchio italiano fa perdere posti di lavoro, ma è grazie allo spirito imprenditoriale che si sviluppa e ne crea altri. Lo dico sempre che l’economia e lo sviluppo economico non passano dal ministero».

Bernardini chiede, infine, come ci si stia attrezzando per il cambiamento continuo di competenze professionali richieste. Conclude Hannappel: «Abbiamo investito in un centro di formazione dove le persone vengono formate in tre fasi distinte: prima dell’impiego, all’inizio dell’impiego e quando sono senior». Riassume Giacchi: «Viviamo costantemente in deficit di competenze e le persone che troviamo sono poche e subiscono un alto turn-over, ma queste competenze sono quelle che creano valore aggiunto».

(A.L.)

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