Un viaggio di quarant’anni. Relatività generale e buchi neri supermassivi

Redazione Web

Un viaggio di quarant’anni. Relatività generale e buchi neri supermassivi

Rimini, 24 agosto 2021 – «Oggi visiteremo un luogo lontano», promette Marco Bersanelli, professore di Fisica e Astrofisica all’Università degli Studi di Milano, «non solo perché si trova a 30mila anni luce da noi, ma perché nelle sue vicinanze spazio e tempo si comportano diversamente da come ne facciamo esperienza quotidiana». Introduce così, collegato da Berkeley, Reinhard Genzel, premio Nobel per la Fisica 2020, direttore del Dipartimento di Astronomia infrarossa e sub-millimetrica, Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics, Garching, Monaco: «Ha al suo attivo vasti studi astrofisici, ha indagato su nuclei galattici attivi e sulla formazione stellare, lavora in ogni campo dell’astronomia sperimentale, ha ricevuto decine di prestigiosissimi premi, e nel 2020 il Nobel per la Fisica, per la scoperta al centro della nostra galassia di un singolo oggetto compatto supermassivo». La presentazione è coronata dallo scrosciante applauso del pubblico, che dà il suo benvenuto al relatore.

«Il mio viaggio riguarda la nostra galassia», esordisce Genzel. «Essa conta cento miliardi di stelle, ha gas e polveri, ruota e vi nascono due stelle l’anno. Un viaggio che dura da quarant’anni e che si inserisce in una storia che ne ha almeno cento, mosso da una domanda fondamentale: quello che le teorie prevedono esiste davvero?»

Il viaggio inizia dopo gli anni ’60. A miliardi di anni luce da noi si andavano scoprendo i quasar, oggetti immensamente più attivi delle stelle, candidati ad essere riconosciuti come manifestazione dei buchi neri, la cui forza di attrazione è tale da non permettere nemmeno la emissione della luce. Gli immediati dintorni di un buco nero, il cosiddetto “orizzonte degli eventi”, si possono descrivere con la relatività generale. «Il problema della fisica», annuncia calmo Genzel, «è vedere ciò che non si può vedere».

Non resta che indagare gli effetti della gravità sulle orbite degli oggetti vicini, ma i quasar sono troppo lontani per questa analisi fine. Dagli anni ’70 ai ’90 si cercano candidati più vicini. Ve ne sono vicino al centro della nostra galassia, la via Lattea, osservabili con l’infrarosso. Hanno nubi di gas in movimento, ma è come studiare dalla Terra una moneta da un euro che si muove sulla Luna. Dopo i primi studi si giunge però a stimare che la massa di questi oggetti è intorno a due milioni di masse solari, e che è distribuita in modo costante in un raggio piccolo. Sono decisamente candidati ad essere buchi neri.

Il passo successivo è studiare il moto non delle nubi di gas, ma delle stelle. Ma i telescopi degli osservatori astronomici risentono delle turbolenze dell’atmosfera, ponendo un grosso problema ordine tecnologico. «Ci siamo fatti la nostra stella finta», dice sorridendo il premio Nobel, «proiettando un raggio laser su e giù per 90 chilometri di altezza, registrandone la distorsione ad opera dell’atmosfera, e utilizzandola in modo adattivo per correggere la visione dei telescopi». Così si è giunti alla stima della velocità delle stelle del nostro campo di indagine, che è di circa 7mila km al secondo.

Con tali velocità, ha finalmente senso cercare di confermare che si tratta di buchi neri indagando gli effetti relativistici della massa centrale (invisibile ma di due milioni di soli) sul moto delle stelle vicine. In particolare ce n’è una, la stella S2, che però si muove come una monetina da un centesimo alla solita distanza terra-luna. Non avendo un telescopio sufficientemente potente, con un progetto europeo ne abbiamo messi in rete quattro vicini, con collegamenti interferometrici. Con telescopi ciascuno da 8 o 10 metri di specchio abbiamo ottenuto una risoluzione da 10 a 25 volte maggiore, che è come avere un singolo telescopio con lo specchio da 120 metri. L’orbita della stella dista da noi 27000 anni luce ed è grande all’incirca 120 volte la distanza terra-sole, ma S2 è diventata indagabile ogni giorno. L’indagine degli effetti relativistici, che nel 2002 sembrava una fantasia, poteva essere svolta, tanto più che nel 2018 la stella S2 avrebbe completato un’orbita completamente osservata.

Una volta descritto il potenziale gravitazionale in cui S2 si muove, gli effetti relativistici (spostamento verso il rosso e precessione di Schwarzschild) hanno trovato conferma. «Il buco nero c’è, dopo quarant’anni di indagine lo possiamo affermare».

Ma non è finita, c’è altro da fare. «Buchi neri e galassie sembrano essere in simbiosi. Pare esserci una proporzione tra la loro massa centrale e la grandezza della galassia. Nei prossimi vent’anni studieremo il ritmo di comparsa dei quasar nella vita della galassia. Per ora accontentiamoci della simulazione, realizzata con supercomputer, che vi propongo: la vita di una galassia fino alla formazione del “suo” buco nero che ne modera lo sviluppo». Ancora in prospettiva, occorrerà «studiare gli effetti della relatività generale su scala quantistica, ed analizzare le singolarità presenti al centro dei buchi neri».

Serve tecnologia: «Presto», conclude Reinhard Genzel, «il progetto LISA metterà in orbita tre satelliti-telescopi, collegati in rete come abbiamo fatto qui sulla superficie terrestre per formarne uno enorme. Potremo testare i dettagli gravitazionali di altri buchi neri».

Il pubblico è in silenzio, letteralmente rapito dalla vertiginosa realtà presentata, e in molti fa eco la meraviglia del padre della relatività generale, Einstein, “che l’universo si faccia comprendere”.

(A.C.)

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