Europa, nazioni, regioni. La verticalizzazione del potere?

Redazione Web

Rimini, 22 agosto 2021 – «Le istituzioni sono ancora capaci di mostrare la loro ragion d’essere? Sono in grado di rendere migliore la vita che viviamo? Possiamo ancora fidarci della politica?». Sono le domande con cui Andrea Simoncini, vice presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli e docente di Diritto Costituzionale all’Università di Firenze, introduce il convegno “Europa, nazioni, regioni. La verticalizzazione del potere?”. Interviene David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo e partecipano, in videocollegamento Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale e professore di Global Governance alla School of Government della LUISS Guido Carli, e Massimiliano Fedriga, presidente Conferenza Stato-Regioni, presidente Regione Friuli Venezia Giulia.

L’emergenza sanitaria ha solo accelerato in maniera esponenziale le domande poste in apertura: «Erano già vive dalla crisi del 2008», aggiunge Simoncini, «ma non sono state affrontate per il loro significato profondo. Bisogna stare attenti a non scambiarle con un atteggiamento superficiale di sfiducia verso le istituzioni». L’incontro vuole essere un momento di confronto utile a cogliere la sfida che abbiamo davanti.

«La crisi del Covid costituisce uno spartiacque fra un mondo che ci è noto e una scena nuova. Capiamo che non si può tornare al mondo di prima e viviamo un senso di inquietudine che impedisce ancora di scrivere pagine nuove per un tempo nuovo». È l’esordio di Sassoli, che continua nell’analisi del nostro tempo così pieno di pericoli inediti, ma anche di straordinarie opportunità, perché «tutto quello che abbiamo costruito nella seconda parte del Novecento, sviluppando democrazia e libertà, è chiamato a confrontarsi con  processi globali complessi e rischiosi». Il traguardo di un nuovo umanesimo è possibile, ma non scontato, per questo l’Europa ha bisogno di un pensiero all’altezza della sfida della contemporaneità.

La pandemia ha mostrato con chiarezza quali strumenti sono idonei ad affrontare le nuove circostanze. «Senza l’Unione europea avremmo avuto conflitto fra le nazioni sulla ricerca dei vaccini, sulla politica sanitaria, sull’assistenza a chi si è trovato senza lavoro, avremmo compromesso Schengen e rialzato le frontiere interne» precisa Sassoli, indicando poi i cinque passi fatti insieme: la sospensione delle regole del fiscal compact per studiare nuove regole; l’aumento sensibile del rapporto debito/PIL delle nazioni per difendere famiglie e imprese dallo shock economico e sociale prodotto; una forma di condivisione del rischio tra paesi membri che prima della pandemia era rigidamente esclusa; l’acquisto da parte delle Banche centrali di fino al 25% dei titoli pubblici dei paesi membri, evitando in questo modo che l’aumento del debito si trasformi in crisi degli spread sui mercati finanziari; la condizionalità sull’uso dei fondi. «Le scelte fatte hanno avuto pieno successo. Siamo entrati in terreni inediti e, ora che abbiamo scoperto che gli equilibri macroeconomici reggono, sarebbe una follia tornare indietro».

La questione diventa così politica, perché la vera sfida sarà «prendere coscienza che ciò che è stato fatto durante la pandemia deve diventare la nuova politica economica dell’Unione». La stabilità in Italia ha senso perché serve a consolidare la svolta avvenuta in Europa, e di conseguenza nelle nostre politiche nazionali di bilancio, di investimento, di coesione sociale. Se l’Europa rafforzerà le società e le comunità in termini di sviluppo e coesione, avrà più forza per affermare nel mondo i valori civili e democratici che sono parte della nostra stessa identità.

«È chiaro che la drammatica crisi afghana riguarda anche l’Europa», continua Sassoli. L’indignazione diffusa, i timori legati alle scelte dei nuovi governanti, le coscienze ferite dei nostri popoli rischiano di disperdersi nell’aria senza una assunzione di responsabilità comune dell’Europa. «Dobbiamo sapere che la nostra capacità di risposta dipenderà dal grado di solidarietà che sapremo dimostrare al nostro interno nel costruire politiche europee comuni». L’Italia in tutto questo ha un ruolo decisivo per la conformazione e per il destino dell’Europa e la sua stabilità ne è un pre-requisito nel breve e nel medio periodo. «Il “coraggio di dire io”, per me, chiama ad una forte responsabilità individuale e collettiva», è la conclusione del presidente.

Citando Schmidt e Monnet, Cassese osserva come l’Europa viva di crisi e le soluzioni che verranno date di volta in volta saranno la svolta della costruzione europea. La parola chiave che ha segnato le politiche europee di fronte alla pandemia è “stabilizzazione”, che costituisce per certi versi il punto sorgivo della verticalizzazione. In che cosa consiste la verticalizzazione? Quali sono la sua natura e i suoi effetti nelle democrazie? E come possiamo fronteggiare questa situazione? Cassese sottolinea come il potere si è spostato dallo Stato a molteplici sedi sovra-statali: «Si è “allungato verso l’alto”. In questi consessi però possono partecipare soltanto i singoli, un leader di governo per ogni stato e da qui la verticalizzazione e la personalizzazione del potere. Il ruolo svolto dall’UE come acquirente unico dei vaccini è paradigmatico: si è evitato che gli Stati intervenissero in modo competitivo e disarticolato. All’interno del paese Italia la verticalizzazione riguarda la struttura dei partiti, la loro storia di corpi intermedi ramificati sul territorio. Il partito organizzazione sociale è venuto meno per lasciare spazio ai leader. La verticalizzazione e la personalizzazione hanno qui comportato la crisi di una struttura associativa come garantita dalla Costituzione. Il fatto che uno Stato, tramite i suoi ministri, possa essere rappresentato ai sistemi di governance sovrannazionali è positivo, ma l’aspetto negativo è la perdita da parte dei cittadini del potere prima esercitato attraverso corpi intermedi».

«Come possiamo riequilibrare il rapporto tra base e vertice, società e alti poteri?» chiede quindi Cassese al termine del suo intervento. «Le organizzazioni internazionali dovrebbero coinvolgere non solo i rappresentati dei governi, ma anche le parti sociali interessate nelle diverse tematiche. La partecipazione sociale oggi coinvolge tre volte tanto la partecipazione politica. È su questa che bisogna fare affidamento, sostituendo il ruolo educativo una volta esercitato dai partiti». E conclude: «L’Europa vive di crisi, sfruttiamole! Possiamo fare affidamento sulle istituzioni nel momento in cui queste servono alle persone, e non il contrario».

L’intervento di Fedriga richiama l’attenzione sul tema della stabilità «data dai processi con cui si eleggono le istituzioni democratiche, e non dallo spostamento dei poteri dalle istituzioni democratiche agli organismi internazionali. La stabilità non deve diventare l’alibi per sottrarre potere al popolo, ma deve passare attraverso i processi democratici. In tal senso», continua il governatore, «il modello regionale rappresenta in Italia un modello virtuoso di stabilità, a cui storicamente si contrappone l’esperienza di governo a livello nazionale». Non è tanto una questione di virtuosità del governo, ma di validità del modello. Sicuramente a livello regionale si trova una forma semplificata rispetto a quanto accade a livello nazionale, ma non si può pensare che un sistema così fragile possa garantire credibilità a livello internazionale. Nei consessi internazionali in cui si trova a portare il proprio contributo, il governo italiano spesso è screditato dalla sua fragilità, contrariamente a quanto si impara dalle posizioni di forza in cui si trovano altri Paesi. «Dobbiamo renderci conto che non si può avere tutto questo con i buoni intenti, ma con buone riforme anche costituzionali. Serve che il governo non abbia solo il potere di governare, ma il tempo di governare».

Per questo le regioni possono rappresentare un modello di partecipazione virtuosa. Secondo Fedriga, anche internamente serve guardare con particolare attenzione alla possibilità di delegare maggiori competenze alle regioni, perché, come dimostra la parentesi della pandemia, queste istituzioni stanno tenendo in piedi il sistema, mantenendo le competenze vicine alle esigenze, alle specificità e alle diversità dei territori. «Il governo deve inquadrare gli obiettivi, le regioni realizzare i percorsi per raggiungerli in funzione delle esigenze del territorio. Per realizzare il progetto del PRNN serve un’alleanza istituzionale per mettere a terra la responsabilità di far fruttare il debito per il bene delle generazioni future. Questo vale non solo a livello nazionale ma anche europeo, dove serve maggior spazio anche in quella sede al Comitato delle regioni. È questo ciò che impariamo dal percorso intrapreso per uscire dalla pandemia: non è la responsabilità di governo, ma la responsabilità di una comunità».

(G.L.-E.S.)

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