Criticità e soluzioni possibili per l’assistenza sanitaria in Italia

Redazione Web

Rimini, 22 agosto – «Siamo il paese più vecchio del mondo insieme al Giappone. Come poter assistere questa massa di anziani che sempre più premono nel Paese?». Questa la questione che Roberto Bernabei, presidente ItaliaLongeva ha lanciato al centro del dibattito tenutosi in Arena Meeting Salute C3.

Dopo un breve video esplicativo delle tecniche di intervento e riabilitazione in Inghilterra, Francia e Belgio, Bernabei ha provocato i suoi interlocutori: «In questi tre paesi c’è una certa fluidità dall’ambulanza fino all’eventuale assistenza domiciliare. Qui in Italia è un po’ più complicato. Credo anche che ci siano delle situazioni nobili e altre molto meno nobili. Ai nostri ospiti il compito di delineare criticità e soluzioni».

Cosimo Cicia, Comitato centrale FNOPI: «Sono cambiati i bisogni di salute, si va verso la cronicità, per questo dobbiamo cercare di dare a queste persone dignità innanzitutto e continuità assistenziale. Da un nostro studio risulta che l’80% degli italiani ha richiesto, perciò, l’istituzione dell’infermiere di famiglia o di comunità. Si può ottenere ciò senza aumento delle spese per la sanità pubblica. Deve comunque esserci sinergia, collaborazione tra le varie professioni sanitarie: la cosa più importante è l’ascolto ai bisogni dei cittadini». Cicia ha lanciato un grido di allarme per la grave carenza di infermieri e l’interruzione dei servizi: «La parte politica deve dare questa risposta».

Cristina Rossi, direttore infermieristico SOS Continuità Assistenziale, Dipartimento Infermieristico e Ostetrico ASL Toscana Centro, ha ribadito: «L’infermiere può davvero essere un punto di riferimento. Abbiamo messo in piedi il sistema dell’infermiere di famiglia, consapevoli che l’attenzione alla comunità ci chiedeva delle risposte diverse: dovevamo allontanarci un po’ dalla dimensione tecnicistica e cominciare a prendere in considerazione tutta quella parte di bisogni territoriali che molto spesso abbiamo sottostimato. Ci sono problemi di cronicità, anzianità, ma anche disabilità, fragilità, isolamento sociale», ha continuato. «Serviva un approccio più complessivo per trovare una risposta sanitaria ma anche un sostegno: l’infermiere come avamposto per un gruppo di popolazione, ossia capace di ascoltare, intercettare, ma anche essere un facilitatore per i problemi di quel gruppo. Questo vuol dire avere una presa in carico vera, una personalizzazione, una fidelizzazione del rapporto ma soprattutto una conoscenza approfondita del gruppo di popolazione seguito e delle persone con i loro problemi e le loro storie. Indispensabile poi il confronto con il medico curante».

Giovanni Leoni, Vice Presidente FNOMCEO ha asserito che «il futuro è il mantenimento del paziente a domicilio. Il medico deve avere un rapporto professione e vita privata compatibile con quelli che sono i ritmi normali. Il medico portato in condizioni a rischio per quanto riguarda riposo, turno di reperibilità, azione, anche se molto motivato, dopo un certo periodo di tempo sceglie un’altra strada, magari il privato o il privato convenzionato, oppure continua nella sua specialità ma non fa più quelle urgenze ed emergenze, o ancora preferisce trasferirsi all’estero. Data la richiesta italiana dobbiamo garantire ai nostri giovani medici e infermieri condizioni di vita adeguata».

Claudio Cricelli, Presidente SIMG (Società Italiana Medicina Generale e delle Cure Primarie), ha messo in luce un altro problema: «Con l’invecchiamento, l’Italia longeva appunto, possono succedere molte cose, se non ci diamo da fare oggi e non ci organizziamo oggi. Il problema non è se siamo vecchi, ma se siamo vecchi e malati. Tra circa vent’anni ci saranno in proporzione molti più vecchi che giovani. Le persone campano di più, si ammalano di più, sviluppano malattie a lunga durata, perché queste malattie croniche durano più a lungo e quindi dobbiamo innanzitutto concentrarci sul trascorrere più anni in salute e sulla presa in carico precoce dello stato di salute senza alcuna discontinuità. Occorre», ha concluso, «rinforzare la sanità pubblica e la medicina delle popolazioni attraverso le Cure Primarie e la Medicina Generale e Territoriale. Ricordiamoci però che non si può governare la salute se non regoliamo il modo in cui viviamo, respiriamo, ci alimentiamo, ci muoviamo… ».

Stefania Saccardi, Assessore Sanità Regione Toscana non ha avuto dubbi: «L’allungamento della vita di per sé è un fattore molto positivo, vuol dire infatti che la qualità della vita è migliore, il sistema socio-sanitario è migliore. Questo però si porta dietro la necessità di ripensare il sistema sanitario per prendere in carico e dare una risposta a tutti i problemi descritti in precedenza. Bisogna fare i conti con l’aumento delle richieste e il calo delle risorse, e quindi non avere paura dell’aumento delle spese sanitarie. A volte l’Europa è il luogo in cui trovare risorse e misurarsi con le sfide con gli altri paesi, come nel filmato introduttivo. Per questo abbiamo iniziato a utilizzare il Fondo Sanitario Europeo per quanto riguarda la riabilitazione e l’assistenza una volta usciti dall’ospedale». Ha poi aggiunto: «Per quanto riguarda il sovraffollamento e la lentezza nei pronto soccorso, bisogna che il territorio sia aperto nei confronti dell’ospedale, ma anche che l’ospedale sia aperto nei confronti del territorio: abbiamo messo in piedi dei percorsi di Fast Track per l’ammissione in ospedale che bypassino il pronto soccorso, anche perché il pronto soccorso è il luogo dove è meno possibile controllare la spesa».

Sonia Viale, Assessore Sanità Regione Liguria ha così concluso l’incontro: «La nostra regione è la più anziana d’Italia e d’Europa e perciò deve affrontare una sfida importante, anche culturale. Ho cercato con forza il dialogo con la Medicina Generale e i pediatri di libera scelta, perché o si trova una sintesi oppure diventa difficile costruire ex novo un altro modo per fare la medicina di iniziativa. Bisogna lavorare sull’identità dei singoli presidi ospedalieri. Per quanto riguarda invece la figura dell’infermiere di comunità, ritengo che sia necessaria una preparazione specifica adeguata e sia possibile un dialogo molto fruttuoso».

 

(C.R.)

 

 

 

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