PAROLE INCROCIATE

Presentazione del libro di Maria Pia Morelli, Imprenditrice e Giornalista (Ed. Marsilio). Partecipano: l’Autrice; Andrea Pontremoli, Amministratore Delegato Dallara Spa; Andrea Stella, Fondatore Associazione Lo Spirito di StellaOnlus. Introduce Raffaello Vignali, Vice Presidente Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati.

 

MODERATORE:
Peccato che la contemporaneità di tanti incontri abbia tolto pubblico a questo incontro che, secondo me, è uno dei più belli di quelli che si fanno in questo Meeting. E’ uno dei più belli, non lo dico perché è una frase di circostanza ma perché oggi presentiamo un libro in cui si racconta la storia di protagonisti. Come potrete sentire dalle parole degli amici che sono qui con noi, si capisce bene appunto cosa voglia dire questo titolo “O protagonisti o nessuno” dove il protagonista non è né il divo, né il Narciso, come giustamente è stato detto ieri, ma appunto, un uomo, una donna, che vive fino in fondo la sua condizione, la sua umanità, stando nella realtà, affrontando la realtà per come è, senza lamentarsi ma mettendo tutto se stesso. Mettendo tutto sé stesso da tutti i punti di vista, dal punto di vista delle energie, dal punto di vista delle capacità, dal punto di vista della tensione ideale che è quella che fa alzare tutte le mattine per costruire. E io devo ringraziare innanzitutto Maria Pia Morelli, anche perché, fra l’altro, ha fatto anche la gentilezza di intervistare anche me in questo libro. Immeritatamente, fra l’altro, mi ha molto colpito anche l’introduzione che fa alla mia intervista in cui racconta di quello che l’ha colpita venendo qui al Meeting in questi anni. Io ho finito la mia introduzione perché i protagonisti di questo incontro sono loro. Volevo solo fare un saluto al mio amico e collega Massimo Calearo, veramente un amico. Abbiamo tutte e due cambiato ruolo; dicevamo prima, tanti di quelli che sono qui in questi mesi hanno cambiato ruolo ma una cosa è sicura che l’amicizia continua, se continua in un lavoro comune. Quindi, darei innanzi tutto la parola a Maria Pia, che ci introduce al perché di questo libro. Poi le chiederei un commento, dopo che avremo sentito il racconto, la testimonianza, di Andrea Stella e di Andrea Pontremoli che sono due delle persone che sono state intervistate nel libro, le cui mi hanno sempre colpito tantissimo.

MARIA PIA MORELLI:
Grazie. Buongiorno a tutti intanto. Partirei dicendo che trovo molto azzeccato, bellissimo il tema che è stato scelto anche quest’anno in occasione della ventinovesima edizione del Meeting per l’Amicizia Tra i Popoli, “O protagonisti o nessuno”. E come giustamente diceva Raffaello, è un concetto che a ben guardare è molto presente nel mio libro, perché racconta appunto storie di protagonisti. E tra queste ci sono anche Andrea Stella, Andrea Pontremoli e, naturalmente, Raffaello Vignali. Storie che ho additato ad esempio, proprio per indicare come evitare di essere nessuno. Però vorrei mettere subito in chiaro una cosa, non si tratta di situazioni strettamente elitarie, perché tutti possono sfruttare occasioni, circostanze, incroci magici, situazioni, per poter diventare qualcuno, o magari soltanto anche per poter essere se stessi, dire di essere se stessi. Perché, secondo me, è giusto che si sappia che, molte volte, a essere nessuno o a farci diventare dei nessuno, il più delle volte è un’operazione che conviene ad altri. Oddio, ci sono anche dei signori nessuno per scelta, il più famoso di tutti è sicuramente Ulisse che con l’astuzia ha salvato la sua vita e quella dei compagni accecando Polifemo, ma quello di Omero è un altro nessuno, resta un personaggio unico. Invece nella vita di tutti i giorni, nella nostra quotidianità, credo che si debbano tenere gli occhi ben aperti proprio per evitare di fare la fine di Polifemo e si debba avere il coraggio, l’orgoglio per andare avanti, per scendere nell’agone, cercando di metterci la faccia, proponendosi con un volto e affrontando il quotidiano con un grande senso di responsabilità, diciamo come hanno fatto i protagonisti del mio libro e questo significa anche, per me, avere la capacità di ammettere e di riconoscere i propri errori. Perché anche in questo modo credo che nella vita si diventi protagonisti o, per meglio dire, citando Gandhi “a confessare le proprie manchevolezze si diventa più grandi”, è un modo per crescere, per essere migliori. E questo è un po’ per diventare anche protagonisti di se stessi, e questo è un po’ quanto hanno fatto i protagonisti del mio libro. Ciascuno di loro racconta una storia emblematica, che però mi piace sottolineare che si tratti di storia italiana. E in un momento come quello che stiamo attraversando, in cui ci viene più facile piangerci addosso, è consolante sapere che, in realtà, credendo in se stessi, come hanno fatto i personaggi di “parole incrociate”, si può essere effettivamente artefici della propria vita, naturalmente sempre all’insegna del proverbio sempre verde “aiutati che il ciel ti aiuta”. E, come dice giustamente Raffaello Vignali nel suo bel libro “Eppur si muove”, citando Mark Twain, “non sapevano che fosse impossibile, allora l’hanno fatto”. E’ più facile a dirsi che a farsi? Probabilmente sì, però perché non provarci? E quindi ecco perché “Parole Incrociate” racconta un po’ la storia di personaggi che hanno saputo trasformare un sogno in realtà o sono addirittura stati capaci di reinventarsi una “second life”, tra virgolette, perché comunque si tratta di una seconda vita nel mondo reale. Qui ci sono quattro esponenti che hanno saputo riadattarsi alle circostanze che cambiavano, io non da ultima, perché viviamo in una realtà complessa, difficile da interpretare, dove non c’è nemmeno più quel positivismo di fine ottocento che assicurava un domani luminoso e felice grazie ai progressi della tecnica. Una tristezza diffusa caratterizza la nostra società contemporanea, che è percorsa da un sentimento di precarietà. E quindi siamo passati da un futuro promessa a un futuro minaccia, Baruch Spinoza diceva: “viviamo in un’epoca delle passioni tristi”. Ed è vero perché il mondo occidentale si trova ad affrontare una crisi diversa da altre a cui aveva saputo adattarsi, si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra società. Mai come in questo momento c’è bisogno di modelli positivi, modelli che ci possano dare dei suggerimenti, delle indicazioni, ci possano offrire strumenti migliori per affrontare con spirito critico e dialettico la società che cambia. E qui abbiamo alcuni esempi sicuramente molto autorevoli. Mi fermerei qui per il momento. Grazie.

MODERATORE:
Diceva Maria Pia che nei momenti di disorientamento valgono i testimoni, ed è vero. Adesso entriamo proprio nel vivo del racconto, comincerei da Andrea Pontremoli che ha fatto un percorso particolare….

ANDREA PONTREMOLI:
Non so da dove partire, se partire dal fondo o dall’inizio, perché ieri – io cerco sempre di imparare un po’ dalle persone che hanno più esperienza – ieri ho incontrato una persona e gli ho detto: “quanti anni hai?” E lui mi fa: “ma vuoi sapere quelli che ho passato o quelli che devono ancora passare? Perché se guardiamo quelli che devono ancora passare sono ancora minorenne” e, in effetti è un modo di guardare la vita molto interessante, no? Io per farla breve nasco per caso negli Stati Uniti, perché sono figlio di emigranti, probabilmente Maria Pia ha colto questo aspetto, che sono di origini molto umili, sono figlio di un mugnaio e ho lavorato nel mulino con mio papà fino a vent’anni, poi ho cominciato ad avere una passione. Io ho tre passioni grandi: una è la musica, la seconda è l’elettronica e la terza sono le macchine da corsa, la velocità. E mio padre mi ha sempre insegnato di seguire le mie passioni, e allora le ho seguite tutte e tre. Sono partito con la musica, facendo il disc jockey in una discoteca, e lo sto ancora facendo, l’ho fatto anche sabato sera e mi ha dato da vivere per tanto tempo, anche adesso non è male insomma. Suonavo anche qua vicino, sono stato alla Snoopy di Modena insieme a Vasco Rossi; pensate, lui che è un signore che ha fatto la sua strada, è però rimasto sempre lì. Poi l’elettronica, ho studiato l’elettronica e sono finito in IBM, per caso. Perché in IBM? Io a quel tempo ero stato assunto sia dall’IBM che dall’Olivetti e mio padre voleva che io andassi a lavorare in Olivetti, perché c’è questo mito di Adriano Olivetti eccetera, diceva: tu devi fare questa strada. Io in realtà ho scelto l’IBM per un motivo molto semplice, che l’Olivetti era di Ivrea la IBM era a Milano, io sono di Parma, e siccome Milano è più vicina a Parma rispetto a Ivrea, la scelta strategica è stata fatta così, perché io avevo sempre il pensiero di andare in discoteca poi il sabato sera, di essere vicino. E in IBM ho incominciato proprio dalla base, tecnico di manutenzione, riparando i personal computer in giro per Milano con la mia valigetta. E, un po’ per volta, facendo tante esperienze, tanti sacrifici, tanta voglia di imparare, tanta curiosità, sono arrivato ad essere il numero uno della IBM Italia, Presidente Amministratore Delegato di 15.000 persone, una bellissima esperienza, un’azienda fantastica, veramente un’azienda fantastica, ho imparato tantissimo, mi ha insegnato tantissimo. E otto mesi fa, ho fatto un’altra scelta: da 15.000 persone sono passato a un’azienda di 160 persone, perché? Perché mancava una passione che è quella delle macchine da corsa, e adesso faccio macchine da corsa. Questa azienda, anche se la conoscono in pochi, per adesso, è la prima azienda al mondo costruttrice di macchine da corsa. Però non ci facciamo tanta pubblicità anche perché non ci serve molto. Perché nel mondo delle corse vale solo il tempo sul giro, se sei veloce le tue macchine le vendi, se non sei veloce non le vendi: sta regola qua. Quando Maria Pia ha fatto il libro ero ancora in IBM, quindi mi aveva preso per quell’aspetto. Però c’è anche un’altra connotazione, molto importante, che è quella del mio attaccamento al territorio dove ho vissuto, dove sono cresciuto, perché sono convinto di una cosa: nonostante la poca o tanta carriera che io ho fatto nella mia vita o che farò, io penso che il vero valore me lo abbia dato la famiglia e me lo abbia dato il territorio dove sono cresciuto, che mi ha dato i valori iniziali su cui poi ho basato la mia vita. La pianta la raddrizzi da piccola, non la raddrizzi quando è grande. L’amicizia, la solidarietà, in un paese, in un piccolo territorio sono un modo di essere, un modo di vivere, te li mettono in testa così e tu cresci così e come diceva qualcuno, adesso non mi ricordo più, forse un grande personaggio, diceva: vedi la tua vita è come un barattolo; aveva preso i suoi ragazzi e gli aveva detto: “c’è un bel barattolo” e riempitolo di sassi: “ragazzi guardate questo barattolo è pieno di ciottoli?”, “no, non è ancora pieno”, poi preso del ghiaino più sottile, lo versa dentro in mezzo ai ciottoli e dice: “e adesso?” “Adesso è pieno!”. Prende della sabbia e dice: “adesso come è?” “Adesso è pieno”. “Eh no!” Prende l’acqua e, “eh no!” E il messaggio qui qual è? E’ che tu prima devi mettere dentro i valori importanti, i ciottoli, perché se prima metti i valori di riempimento tipo la sabbia, poi i ciottoli dentro non li metti più. E questa consapevolezza di avere valori forti all’inizio è quello che mi ha spinto. Io tengo molto alla mia famiglia, ho cinque figlie, e voglio dare a loro quello che ha dato a me la mia famiglia: questi valori di base che poi ti permettono nella vita di affrontare qualsiasi sfida. Quindi non potrò pretendere che le mie figlie rimangano lì nel paesino eccetera, gireranno sicuramente il mondo, però andranno via con questo bagaglio. E il mio territorio purtroppo, per fortuna non lo so, è un posto bellissimo, si chiama Bardi in provincia di Parma, bellissima valle, terzo posto in Italia per estensione, però ha il problema demografia: siamo tredici abitanti per chilometro quadrato, poco più dell’Amazzonia e, purtroppo, è destinata a peggiorare la cosa perché i morti sono otto volte i nati. Quindi se anche tutti fanno cinque figli come me, non ci arriviamo. Qui l’unico modo per trovare la crescita di questo territorio è quello di creare uno sviluppo partendo dai valori che abbiamo su questo territorio. E allora mi sono messo in testa, già sei sette anni fa, di ricreare uno sviluppo sostenibile per questo territorio, devo dire che la cosa sta funzionando molto bene. Ho usato la tecnologia informatica di base, partendo da una considerazione: chi lavora di intelletto, col cervello, probabilmente in futuro cercherà un alta qualità della vita. L’alta qualità della vita lì per fortuna ce l’abbiamo, perché andando via la gente, nessuno ha portato più niente. Quindi costruendo su questa base, abbiamo portato connessione ad alta velocità, abbiamo ristrutturato dei palazzi, dove facciamo la sede, dove ci sono questi incubatori: chi ha un’idea di business, un’azienda, può venir lì, gli diamo la connettività ad alta velocità, gli diamo la locazione dove loro possono venire a lavorare e partono con le loro idee, senza costi iniziali. Questa cosa è per portare immigrazione; noi siamo un paese di emigranti, adesso proviamo a portare degli immigrati. Però devono essere immigrati che, come dicevo prima, lavorino con il cervello, perché quelli che lavoravano di braccia sono andati via perché non c’era il lavoro di braccia; lì l’unica industria è il Parmigiano Reggiano. Questo sistema ci ha permesso di portare lì settanta persone che lavorano su una popolazione di 2.500 abitanti, non è poco. Ma la cosa importante è che le settanta persone sono arrivate da fuori, attratte da questa idea, addirittura una di queste aziende che è nata l’hanno chiamata “Regalami il tuo sogno S.r.l”., sono arrivate in tre e adesso sono in ventidue. E arrivano persone che hanno come bagaglio i figli, che è quello che hanno in banca, i ragazzi, e quindi su questo stiamo costruendo. Io ho una figlia, la più piccola che ha sei anni, quando è nata aveva due compagni di classe in prima elementare. Cioè sei anni dopo sarebbero stati due bambini. In realtà adesso sono tredici, quindi vuol dire che ne sono arrivati nove, anzi undici da fuori. Questo probabilmente ci porterà a creare lo sviluppo, questo ha portato cinque aziende, che si sono create lì, e intorno a queste cinque aziende è nato un po’ il servizio alla qualità della vita, e ne sono nate altre dodici di aziende che alzano il livello di qualità della vita: i vari agriturismo, la beauty farm, l’ippovia e tutte queste cose qua. Questo modello cerco di costruirlo, non abbiamo ancora finito, e di esportarlo in giro per l’Italia, perché di paesi come questo in Italia ce ne sono almeno quattromila: quelli che hanno meno di cinquemila abitanti. Questo mio attaccamento alla valle mi ha poi fatto fare questa scelta di andare in questa azienda che fa macchine da corsa che è in questa valle, che lavora con il know-how, perché lì sono tutti ingegneri aeronautici, per la maggior parte, e costruiamo auto da corsa, ma il fare la macchina da corsa dal punto di vista materiale è di pochissimo il valore, il valore è come la fai e che vinca. Quello è il vero valore e quella è la costruzione su cui stiamo portando avanti lo sviluppo della valle. Io andavo a parlare dalla grande multinazionale l’IBM, andavo a spiegare l’innovazione in giro per l’Italia e trovavo tutti questi imprenditori che dicevano: “sì, parli bene tu perché sei parte di una multinazionale americana, avete miliardi di dollari da buttare, da investire in ricerca, noi siamo qui in un’azienda di quindici persone…” e allora per essere coerente, ho detto: “Allora lo faccio in prima persona”. E questo è il mio modo anche per portare quel poco o tanto valore che posso alla mia valle, alla mia azienda. Poi sono diventato anche imprenditore, visto che il proprietario, l’Ingegner Dall’ara, mi ha dato la quota dell’azienda e quindi passo da manager a imprenditore, anche professionalmente è una crescita e a questo punto proviamo a vedere se, portando valore alla mia valle, portando valore alla mia azienda, si riesce a portare anche un po’ di valore per l’Italia. Io sono convinto che, come italiani, e ne ho girate tante di aziende italiane, noi siamo fantastici come singoli, ma siamo un disastro quando ci mettiamo insieme. Perché non abbiamo questo concetto del lavorare insieme per creare un qualcosa di più grande. Allora, forse me lo ha messo in testa mio padre, forse me l’avrà messo in testa l’IBM, però sto cercando di costruire intorno a questo concetto il portare avanti anche un progetto per l’Italia. Perché veramente, se noi giocassimo bene, se giocassimo tutti per un obiettivo comune veramente, e ve lo dico io perché ho visto i mondo, non ce ne sarebbe più per nessuno. Quindi, dalla mia semplice storia vi sto cercando di raccontare i perché che ci stanno dietro. Questo è lo spunto che volevo lasciarvi anche guardando il titolo della cosa, perché una delle ultime cose che volevo dirvi visto il “O protagonisti o nessuno”, è che la cosa peggiore che vi può capitare nella vostra vita è essere indifferenti, cioè che tu ci sei o non ci sei non se ne accorge nessuno, tu puoi essere odiato o amato, ma essere indifferente è la cosa peggiore che ti può succedere. E questo è un modo di essere di una singola persona ed è il modo di essere di un sistema. Io non voglio essere indifferente.

MODERATORE:
Sono tanti spunti.. Dico solo questo, che l’esperienza di Andrea Pontremoli dimostra che quando uno è vivo, quando uno è protagonista, quando uno ama la realtà, la realtà che ha intorno, con pochissimo può far rinascere un paese. Il problema è appunto che un uomo può cambiare il mondo dov’è, se vive con la tensione che diceva lui, se non è indifferente. A parte che il fatto è che uno riparte quando capisce appunto che c’è qualcuno che lo guarda con occhi veri, cioè quando si accorge che c’è una stima su di sé. Questo è fondamentale.
E adesso la testimonianza di Andrea Stella che è una testimonianza particolare. Io quando l’ho letto, quando Maria Pia mi ha mandato il libro, son rimasto veramente colpitissimo, perché appunto questo un po’ smentisce quello che dice Andrea Pontremoli, perché può succedere anche dopo tredici anni….

ANDREA STELLA:
Buongiorno a tutti. Io il cambiamento ce l’ho avuto imposto. Io ho 32 anni, otto anni fa, mi laureo in giurisprudenza, amo e amavo viaggiare, avevo appena finito un periodo di studio all’estero in Spagna; è Luglio, faccio un colloquio in uno studio di diritto legale e mi dicono: quando cominci? Io dico: No guardi, io ho il premio di laurea che è un viaggio. Dove vuoi andare? Io volevo andare in oriente, non ho avuto il coraggio di dirglielo. Questo direttore di questo grosso ufficio legale mi dice: ma perché non vai a Miami, ripassi l’inglese, ripassi lo spagnolo. E io per far conciliare un po’ le cose, il divertimento, vedere un posto nuovo, ripassare l’inglese, lo spagnolo… mi sembrava esistenziale in quel momento lì farlo perché se no chissà la mia carriera lavorativa che sviluppo avrebbe avuto. E sono andato a Miami. Dopo cinque giorni ero in una città vicino a Miami, un posto molto sicuro, vigilato, una strada chiusa con un ingresso e un’uscita a 500 metri, torno all’auto che ho preso in affitto, vedo quattro persone mascherate, mi fermo, non dico nulla, mi sparano. Mi han preso fegato, polmone, colonna vertebrale. Quindi io mi sono svegliato dopo 35 giorni di coma indotto, avevo rischiato di morire e mi han detto: guarda, tu non camminerai più. E’ stato un passaggio notevole, particolare nel senso che io ero convinto di tornare a casa il 17 di settembre e il 17 di settembre pomeriggio essere in studio a Padova, a lavorare. Il mio primo pensiero, svegliato dal coma è stato: ma io cosa faccio qui? Cioè io non mi ero reso conto di tutta questa situazione. Ovviamente l’inizio è stato difficilissimo perché son passato da 50 giorni di ricovero in America a 5 mesi i di ospedalizzazione in Italia. Non sono neanche passato a casa…io abito a 20 km da Vicenza, in provincia, a Tiene, e sono finito in un ospedale. Immaginate: l’idea che avevo prima era quella che il mio mondo del divertimento sarebbe finito, perché io mi sarei messo a lavorare e quindi avrei lavorato venti ore al giorno ed ero contento di farlo. Adesso mi dicono: devi fare cinque ore di palestra al giorno per passare dal letto alla carrozzina. E io gli ho detto: scusate, non c’è nessun problema, io mi ammazzo. La psicologa dell’ospedale mi dice: guarda che puoi fare questo, quello, quell’altro…Io le dico: ascolti, io ho tanto rispetto, lei non è in una sedia a rotelle, porti pazienza, non può capire quello che io vivo, scriva che io voglio ammazzarmi, in 45 secondi è finito il colloquio e lei ha scritto: tendenze suicide e così la cosa è andata avanti. Poi in realtà confrontandoti in un ambiente in cui magari ci sono tante persone più sfortunate di te, perché magari hanno delle condizioni fisiche peggiori, magari non hanno più la fidanzata, il fidanzato, il marito, non hanno i genitori, inizi a vedere le cose diversamente. Io avevo dei genitori con un grande cuore, con delle possibilità economiche, avevo una fidanzata che è stata molto importante, mi è stata molto vicino, avevo degli amici veri e mi lamentavo quindi con i miei amici veri, con la mia fidanzata e facevo un po’ più fatica a lamentarmi con chi magari era mio compagno di letto che aveva il problema di comprarsi una carrozzina. Il suo problema erano i soldi per comprarsi la carrozzina. Mio padre, ero ancora in coma, dopo due giorni aveva ordinato l’ascensore. Ecco, io ho avuto un padre che aveva tre caratteristiche: denaro, capacità tecniche perché fa il designer di lavoro, e reazione pazzesca positiva all’incidente. In questa reazione all’incidente, nonostante rifiutassi un po’ tutto, lui mi proponeva tante cose, tra queste anche la barca a vela. E lì io ho un po’ detto: senti, se proprio devo…- perché eravamo proprio al “se proprio devo” – , se proprio devo, però io non voglio tornare nella tua barca a vela, io vorrei noleggiare una barca in cui con la mia sedia a rotelle posso fare le cose che facevo prima, cioè muovermi, se voglio andare in bagno andarci a solo, non voglio essere trasportato dentro ed esser portato dentro lì come un pacchetto. E ho mandato una e-mail a 200 agenzie di noleggio, convinto che esistesse una barca che avesse queste caratteristiche. Non ho trovato nulla, tanto che poi abbiamo contattato l’amico Adriano Aureli che è qui, che saluto e che ringrazio, che ci ha portato addirittura da Ferretti, dal più grosso costruttore di barche al mondo, per vedere cosa si poteva fare. E anche grazie all’aiuto di Aureli e di Ferretti abbiamo costruito, grazie alla possibilità economiche della mia famiglia, un catamarano in un cantiere italiano che si chiama “Matteo e Cecco” di 17 metri e mezzo. Un catamarano che doveva servire per le mie vacanze. Costruendolo, siccome mio padre fa il designer di mobili, ci ha messo veramente tanto amore, non ho mai visto così tanti rendering su una barca, avremo speso più di rendering, di computerizzazione che di produzione della barca stessa, ma questo è uno scherzo ovviamente. Però l’amore che ci ha messo nel fare questa cosa ha fatto sì che la barca diventasse più bella della barca precedente, che guadagnasse uno spazio in più. La barca normalmente costruita dal cantiere aveva normalmente quattro cabine doppie, quattro bagni e due posti equipaggio. Quindi vedevamo come tante cose sarebbero state più semplici da risolvere se ci fosse stata una comprensione e una conoscenza di come farle. Io viaggiavo, andavo in Inghilterra, ho visto tre ragazzi in carrozzina che facevano la spesa, dodici signore anziane con degli scooter a quattro ruote che entravano nei negozi. Ho pensato a mia nonna a 82 anni che ancora al tempo andava in giro in automobile e la patente gliela abbiamo tolta noi, perché potrebbe guidare, fa due incidenti all’anno ma non importa .. allora dico: vedi adesso mia nonna è rinchiusa in casa, non può muoversi, se avesse questo scooter potrebbe muoversi. Manca lo scooter. No, non manca lo scooter; lo scooter costa meno di un motorino, costa 2500 euro che son quelli con le ruotine piccole. Manca la possibilità di utilizzarlo. Ma allora, se è possibile fare una barca perché non è possibile fare una città, che non serve solo a me, serve a mia nonna, serve a una mamma con un passeggino, serve a tutti. Allora è nato il desiderio di raccontare questa iniziativa. E’ nata un’associazione che si chiama “Lo Spirito di Stella”, come la barca, e attraverso dei progetti noi portiamo avanti questo messaggio: tu puoi cambiare, anche di fronte a un cambiamento tu lo puoi affrontare. Io ero convinto che se non fossi andato in vacanza a Miami e fossi andato Katmandu dove volevo andare, la mia vita lavorativa in quello studio non avrebbe avuto il corso che avrebbe dovuto avere. Ho deciso di far cosa? Intanto una scuola vela, a Rimini, che dà ogni anno la possibilità a 700 persone disabili e accompagnatori di vivere una giornata di mare. Non imparano ad andare in barca a vela, è una giornata solo. Però il fatto di poter salire da soli, di poter andare in bagno fa sì che uno provi. Poi torna a terra e dice: vedi però il mio limite l’ho spostato più avanti. Gli viene voglia di fare anche altro. Ci sono anche dei modi per continuare a far vela in modo gratuito, con barche differenti, però uno deve cambiare un po’ le sue abitudini, cambiare un po’ la sua mentalità e le sue barriere. Io ero pieno di barriere, barriere mie, psicologiche. Credo poi che modificare un’intera città permetterà a tanti disabili di uscire, permetterà di abbattere barriere culturali. Quando uno vede un disabile al supermercato che fa la spesa, che fa un’attività normale, lo considererà normale al terzo giorno. In Inghilterra nessuno ti guarda; in Olanda se tagli una coda, a me una signora mi ha richiamato, mi ha detto: vai dietro. Ha ragione, ha perfettamente ragione. Bisogna dare la possibilità a tutti di fare le stesse cose, poi uno viene giudicato con dei diritti e dei doveri. Io son stato fermato dalla polizia, mi hanno chiesto i documenti, ho detto che ero disabile e mi hanno lasciato andare perché siamo italiani alla fine… Questo è un comportamento che deriva dalla poca conoscenza. Questa scuola serve a dare uno stimolo psicologico. La scuola però non permetteva di modificare quella che era la progettazione. Abbiamo deciso di andare dove? Nelle università, nelle università di architettura e ingegneria e spiegare a uno studente che il telecomando della televisione è stato inventato perché l’inventore pensava a un disabile che non poteva alzarsi. Gli sms sono nati per i sordomuti, oggi mandiamo più sms che telefonate. La Jacuzzi è nata prima per la comunicazione facilitata dei problemi di disabilità comunicativa e oggi ne parliamo come il maggior lusso che possiamo avere in casa. La Jacuzzi è un’azienda che è nata per risolvere il problema di uno di figli Jacuzzi ed è diventata un’azienda, leader mondiale, che ha inventato un mercato, quello del benessere legato all’acqua. Con questa barca quindi cerchiamo di parlare di città, di parlare di come modificare la vita di tutti i giorni. Abbiamo lanciato un concorso di idee che è alla terza edizione e che quest’anno è stato fatto con Autogrill. Perché Autogrill? Perché Autogrill è già a posto dal punto di vista delle barriere architettoniche. In Italia c’è una legge. Ma secondo me, se lasciamo alla legge il tutto creiamo una cosa molto sterile. Un architetto fa un palazzo poi dice: cavolo, la legge sulla sicurezza, allora devo far questo, la legge sui disabili, devo far questo; è un intervento ex post. Studiarlo prima, risolvere questa cosa, permette di ottenere oggetti migliori. Un anziano che si muove è un anziano che non è un peso per la società oltre che essere una persona felice. Ecco è un po’ come l’esempio che faceva Andrea Pontremoli prima: quante cose si possono poi rimodellare! Un paese può ricostruirsi, riorganizzarsi, dare addirittura possibilità di immigrazione per chi ha un’alta qualità della vita; magari manca la possibilità di fare mano d’opera però ha un’alta qualità della vita, quindi si fa un lavoro di tipo differente. Autogrill ha deciso di fare un concorso per riprogettare i suoi arredi (il bancone cassa, il bancone bar, i servizi igienici). Autogrill ha come mission quella di servire la clientela. Siccome Autogrill ha un progetto triennale di rifacimento di 300 su 350 esercizi commerciali, questo concorso cascava a pennello. 450 persone hanno partecipato, architetti importanti, studenti, le parti generali le hanno vinte due studentesse di 21 e 24 anni. Oggi questi immobili vengono realizzati, quindi, secondo me, muovendo le idee si possono fare tantissime cose, ma affrontandole non come un problema, come un problema annoso, ma come una opportunità., Questa è la differenza. Sempre in quest’ottica io ho detto: Vicenza ha 150 ricoveri all’anno, allora perché non costruire tre abitazioni di 65 mq, con due camere e due bagni, cucina e salotto, cioè due case piccole, come si costruiscono oggi, ma perfettamente fruibili? Cosa fare con queste case? Dare la possibilità di chi deve andare a casa, e casa sua non è accessibile, perché dopo sei mesi di ospedale non sei ancora riuscito a sistemarla, e vivere temporaneamente, gratuitamente sei mesi in questo spazio e copiare un modello progettuale, capire se per lui è meglio la vasca da bagno o la doccia. Queste case saranno costruite l’anno prossimo nel comune di Bassano del Grappa e daranno la possibilità alla Unità Ospedale di Vicenza e anche ad altri ospedali della regione, daranno la possibilità agli studenti di copiare un modello. Quello che faccio con questa associazione è portare avanti questi progetti, questi messaggi. Non vi ho detto che con questa barca nel 2004 son dovuto tornare a Miami, abbiamo attraversato l’oceano, la gente l’ha considerata come una cosa pazzesca. C’era anche un altro ragazzo disabile che non era mai salito a bordo prima dell’incidente, faceva il cuoco, è tornato a casa ed ha aperto un ristorante. C’era Mauro Pelaschier, Giovanni Soldini per la prima parte, quindi due velisti noti e famosi, ma noi a bordo facevamo esattamente le stesse cose, perché potevamo muoverci. Cosa vuol dire questo? Che per me è molto più semplice attraversare l’oceano in barca che Milano con un autobus, io mi sento un eroe quando attraverso Milano con l’autobus, Roma o un’altra città. Deve essere possibile farlo nelle nostre città. Certo, se uno vuole andare ad un ristorante e pensa sempre che non può andare ai servizi igienici, mangerà malvolentieri oppure lavorerà malvolentieri in ufficio se la sua preoccupazione è andare in bagno. Grazie

MODERATORE:
Ringrazio tantissimo Andrea Stella perché è proprio vero che quello che accade lo si può guardare in molti modi. Quello che è successo a lui a 24 anni per uno può essere la fine, per un altro come lui può essere l’inizio, dipende sempre da come si guarda la realtà. La questione vera è proprio questa, se uno sa guardare la realtà perché vuol essere protagonista, quindi è attento al particolare, è attento al suo bisogno, a come la soluzione al suo bisogno può essere una risposta per tutti., Allora costruisce. Prima di salutarci volevo chiedere a Maria Pia se vuole fare lei due commenti

MARIA PIA MORELLI:
Intanto le persone che ho intervistato, le ho intervistate perché appartengono alla cerchia delle mie amicizie, quindi in questo sono stata agevolata ed è una cosa che mi ha arricchito molto, mi ha anche reso migliore, mi ha fatto vedere la vita in un modo un po’ diverso. Con Andrea ho un rapporto particolare e la sua è sicuramente, tra le tante, una storia molto toccante. Però le storie che ho raccolto hanno tutte un comune denominatore, perché sono intrise di ideali, di valori, senza i quali una esistenza che abbia senso, che abbia significato non potrebbe giustificarsi. Queste persone, che comunemente vengono definite di successo, dimostrano che, perché il successo sia tale, bisogna metterci tanta buona volontà, tanto impegno, tanto sforzo di assunzione di responsabilità, capacità di rischio, creatività e tutto questo premia. Certo, come giustamente ha scritto Innocenzo Cipolletta nella Prefazione, il problema sarà dare una valenza collettiva a questo patrimonio umano, perché a ben guardare forse questa rappresenta l’unica grande ricchezza dell’Italia, perché l’Italia che non ha materie prime, che non ha giacimenti petroliferi, il tesoro dell’Italia sono gli uomini, sono gli italiani. Io condivido totalmente quello che scrive Cipolletta, parafrasando la celebre affermazione pronunciata da Massimo D’Azeglio, “fatta l’Italia ora occorre fare gli italiani”, mentre secondo lui oggi questa frase può essere cambiata, anzi facilmente cambiata in “fatti gli italiani ora occorre fare l’Italia”, perché gli italiani di valore, di spicco ci sono nei settori più svariati, quello che manca invece è il senso della nazione, il senso di appartenenza condiviso, che porta al rispetto reciproco ed è anche la premessa per poter crescere e migliorare non solo come singoli, ma proprio come paese. Quindi mai come in questo momento bisogna abbandonare le valutazioni superficiali e i discorsi generici ed appellarci proprio all’intelligenza delle persone e quindi, io non ho la verità in tasca ed non voglio insegnare niente a nessuno, però da qualsiasi parte la si guardi, questa Italia deve recuperare a tutti i livelli la dimensione etica che le è venuta meno. Senza principi e regole morali un paese è come una casa senza fondamenta, basta non soffio per renderla instabile, per renderla insicura .In ogni caso credo sia giusto essere fiduciosi, soprattutto per le giovani generazioni. Io il libro l’ho dedicato ai ragazzi, che rappresentano con i loro sogni, i loro ideali, le loro aspettative quello che di migliore c’è nel nostro futuro e proprio per fare in modo che i nostri figli abbiano il diritto di poter sognare e credere che il loro sogni si possano avverare e così, e questa è una espressione che mi viene bene, dopo le Parole Incrociate forse sarà anche il caso di incrociare anche le dita, sperando che qualcosa cambi e cercando di essere in prima persona gli artefici di questo cambiamento. Tutti noi viviamo in un equilibrio diverso, siamo tutti alla ricerca di un nuovo equilibrio e diciamo che dobbiamo anche necessariamente raggiungerlo, perché paradossalmente a restare fermi si rischia l’instabilità. Il fenomeno della globalizzazione impone di saperci mettere in gioco, di non restare ancorati a situazioni di staticità. Sono un po’ vecchie regole che hanno accompagnato la storia dell’uomo, devo dire, come diceva Seneca, che la saggezza non ci viene dalle esperienze che si sono fatte, ma da quelle che si ha in animo di fare. Devo dire che loro tre sono grandi testimoni di questa filosofia ed anch’io cerco di darmi da fare per conquistare quel minimo di saggezza necessaria per vivere, così ho affiancato alla figura di imprenditrice quella nuova di giornalista-scrittrice. Questo è l’augurio che rivolgo anche a voi, al laborioso popolo del Meeting, che è un grande animatore di una kermesse così viva, ricca di spunti, di suggerimenti, di fatti, di idee proprio perché per tutti ci sia la possibilità di beneficiare degli incroci che la vita sa offrire per una opportunità di crescita e di miglioramento. Grazie di cuore.

MODERATORE:
Due considerazioni velocissime. La prima la prendo da una cosa che scrive Maria Pia alla fine quando, parlando appunto di come è nato questo libro e cosa ha significato per lei, dice: “io però ho ben presente il volto di quei ragazzi a cui in particolare dedico questo mio lavoro”, poi cita tutti i nomi, una lunga fila: Massimiliano, Veronica, Massimo, Carlo Alberto…fa tutto l’elenco: “sono giovani pieni di aspettative, qualità e talenti e rappresentano il futuro della società, ma che per costruirlo hanno bisogno soprattutto di bravi maestri”.
Questo libro, secondo me, è un esempio dei più interessanti di cosa vuol dire rispondere a quella che giustamente, sempre di più, ci si accorge essere la vera emergenza di questo paese, che è l’emergenza educativa.
La seconda considerazione che voglio fare è questa. Spesso si parla di sviluppo, di quali sono le condizioni dello sviluppo, di cosa si dovrebbe fare oppure si pensa che lo sviluppo sia il frutto di strane congiunture astrali dell’economia e della finanza internazionale. E’ vero che queste cose ci sono e che condizionano, non è che la crisi dei subprime non coinvolga il mondo, però come la luna c’entra quando nascono i bambini, e ancora oggi le ostetriche degli ospedali fanno i turni sulla base dei cicli della luna, però non è la luna che fa nascere i bambini, ci vuole altro e allora io penso in realtà che la ricetta dello sviluppo sia molto semplice. Di casi, di esperienze reali di gente protagonista della realtà l’Italia è piena. Noi abbiamo avuto due casi spettacolari, basterebbe semplicemente partire da qui; servire e mettersi a disposizione di chi sta costruendo, di chi è protagonista. Questo io credo, lo dico anche per il nuovo ruolo che svolgo adesso col mio amico Massimo e col mio amico Giorgio Orsini che vedo lì, credo sia anche il compito della politica, che è veramente servire quello che di positivo c’è e che grazie a Dio in questo paese è veramente tanto.
Grazie e buon proseguimento.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2008

Ora

11:15

Edizione

2008

Luogo

Sala Mimosa B6
Categoria
Incontri