Un popolo fatto di ogni singola persona

Agosto 2020

di Oscar di Montigny

Viviamo in un sistema sferico nel quale ogni pensiero, ogni emozione, ogni azione impatta su tutti e su ciascuno dei sette livelli delle nostre esistenze. Quelli che definisco 7P: Person, cioè ogni individuo. People, l’Insieme, l’umanità. Partnership, tutte le relazioni. Profit, il frutto che dobbiamo produrre. Prosperity, la ricchezza non solo materiale ma intellettuale ed emotiva. Planet, la nostra Madre Terra che abbiamo in prestito dai nostri figli. Peace, l’attitudine umana di mettersi “in relazione con” e non “in contrapposizione a”.

Come possiamo riappropriarci della consapevolezza di essere il Popolo di questo Pianeta?

La nostra identità individuale va ben oltre i limiti del nostro corpo: prende forza dai corpi e dalle menti degli altri e ne restituisce altrettanta. Ma l’Altro, il diverso, può anche fare paura, e la nostra spinta verso di esso può essere interrotta, deviata. Può subentrare la distrazione indotta dalla comunicazione contemporanea e dalle manipolazioni di chi, come ci racconta la cronaca, sfrutta cinicamente le paure per portare avanti un’agenda d’odio.

Forse la rappresentazione più concreta ed evocativa di queste paure è la proliferazione di muri che sta attraversando tutto il pianeta.

Elisabeth Vallet, dell’Università di Montreal, ha provato a censirli e con il suo studio ci consegna la fotografia di un mondo attraversato da 40mila chilometri di barriere artificiali. Una quantità bastante a coprire l’intera circonferenza della nostra Terra.

Molti di noi ricordano il muro per eccellenza, quello che divideva in due Berlino, il simbolo della libertà negata. È stato abbattuto trent’anni fa nel tripudio generale. Quando avvenne, nel 1989, il mondo festeggiò la fine di quel simbolo come se attraverso di esso finissero tutti i mali e le oppressioni del mondo.

Qui al Meeting possiamo vedere un muro, quello progettato dalla Commissione Europea, che parla di integrazione, di cooperazione, di obiettivi di sviluppo comune. Ma in questi anni sono decine i muri innalzati in occidente e nel resto del pianeta, con tutt’altri scopi. Undici muri furono costruiti nel mondo tra il 1947 e il 1991, anni di guerra fredda, sette tra il 1991 e il 2001, ventidue tra il 2001 e il 2009. I restanti, fino a un totale di 70, negli ultimi 10 anni, e altri 7 sono stati già finanziati e in via di completamento.

Per fare cosa? Per fare in modo che gli Altri non entrino in quella che rispettivamente consideriamo casa nostra. Questo perché consideriamo casa nostra solo un minuscolo angolo della nostra dimora comune Madre Terra che invece nella sua interezza fatichiamo a ritenere tale, vista la leggerezza con la quale vi camminiamo sopra offendendola e mancandole di rispetto.

Ma un mondo diviso è un mondo semplificato, più debole, più nervoso e cattivo. Gli scambi e gli incontri rendono le cose complesse, e dunque forti, coese. E la gratitudine che possiamo trovare negli altri, nella scoperta di appartenere a un Tutto, ha il potere di abbattere anche quei muri che abbiamo nella testa, e che sono la premessa di quelli fisici.

Per comprendere meglio i muri che costruiamo nelle nostre teste, nelle nostre mentalità, non dobbiamo fare altro che guardare quel che accade sui social network. Facciamoci caso, guardiamo con attenzione con quale lessico lanciamo in rete i nostri messaggi carichi di livore. Facciamolo aiutare dalla mappa che da qualche anno ci consegna Vox, Osservatorio Italiano sui diritti, che in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano, analizza come interagiamo sui social media. All’inizio del progetto, che è partito nel 2015, l’Italia che ne usciva era profondamente diversa da quella attuale: gli odiatori, che pure esistevano già, erano nascosti, protetti e resi forti dall’anonimato che appunto la Rete garantisce. Si accanivano soprattutto contro le donne e contro le persone omosessuali. L’edizione odierna mostra invece un Paese di haters carichi di rabbia che si accaniscono soprattutto contro migranti, ebrei, musulmani, e ancora contro le donne, tronfi e orgogliosi del proprio diritto di odiare, spesso con un linguaggio comune mutuato dalla politica.

Un “odiatore” su tre si scatena contro “lo straniero” dimenticando comodamente e spesso artatamente che in un’unica casa comune nessuno è straniero. Al Meeting avete ideato una mostra, “Essere viventi”, che ci ricorda che gli organismi viventi, anche al livello biologico più elementare, sono caratterizzati dalla capacità di interagire con ciò che li circonda. A maggior ragione, la nostra individualità di persona esiste nel momento in cui si inserisce dialetticamente nell’insieme della collettività. Un Popolo fatto di ogni singola Persona.

Allora chiediamoci individualmente e collettivamente: nella nostra sfera di influenza, chi e cosa vogliamo essere davvero?