LA MOSTRA – L’avventura del reale

Agosto 2020

di Giuseppe Bianchini

 

Una delle due mostre allestite al Palacongressi in questa speciale edizione del Meeting, “Vivere il reale”, nasce da un lavoro condiviso tra il professor Carmine Di Martino e un centinaio di universitari con il desiderio di confrontarsi con la frase di Heshel scelta come titolo. Il confronto parte dal capitolo decimo de Il Senso Religioso di don Luigi Giussani in cui l’espressione di Heschel è citata.

Sia la frase del filosofo ebreo, sia il percorso della mostra hanno come alveo la natura della esistenza dell’uomo e delle sue domande.

Come si destano le domande ultime. Itinerario del senso religioso.  Con questa frase inizia la mia avventura davanti al primo pannello. E’ una ragazza che mi rivolge questa domanda, come se fosse sua.

Il rischio che quella delle domande esistenziali della vita, diventi una operazione di puro intellettualismo è enorme. Lo abbiamo visto nella storia della umanità.

Anche scrivere di una mostra può essere un’operazione analoga, perché il tentativo è sempre quello di voler trovare la logica narrazione della genesi dell’opera, o il filo rosso che lega ogni scansione di pannello.

Sarebbe stato proprio così se non avessi incontrato lo sguardo della giovanissima universitaria, che si è accorta della mia incertezza nell’atrio che introduceva ai pannelli.

Veronica, questo è il suo nome, ha negli occhi la luce della sua giovinezza; ma non solo. E’ una giovinezza viva e coinvolgente. In lei la mostra offre immediatamente la sua chiave ermeneutica. Ci troviamo davanti a un caffè con un gruppo di ragazzi universitari, ancora assieme a Veronica, che tra domande e risposte aprono il panorama del loro legame con il Meeting, della loro amicizia e poi su come sono approdati alla mostra in questione.

Dicono che l’idea della mostra è nata prima della pandemia e si è vista subito uno stacco. “inizialmente era sembrato un approccio troppo intellettualistico e didascalico” racconta Francesco Saverio studente di medicina a Bologna. Improvviso, l’arrivo del Covid stravolge immediatamente l’impostazione, e la forma dell’allestimento. Veronica racconta di una ragazza di Siena che proprio per la pandemia si è accorta della fioritura dell’albero che da sempre era davanti alla sua finestra.

“Innanzitutto, per farmi capire, provoco una immaginazione. Supponete di nascere, di uscire dal ventre di vostra madre all’età che avete in questo momento, nel senso di sviluppo e di coscienza così come vi è possibile averli adesso. Quale sarebbe il primo, l’assolutamente primo sentimento, cioè il primo fattore della reazione di fronte al reale?” Luna, dell’Università Bicocca, cita don Giussani e aggiunge “Ma quando ci accade una cosa del genere? Come immaginare di trovarsi in una posizione del genere e guardare le cose come fosse la prima volta senza farlo diventare un film mentale?” e continua con grande potenza espressiva “Il Covid ha contribuito a questa presa di coscienza”, “Le cose possono non esserci e invece ci sono, e alcune di esse particolarmente mi attraggono; se penso a mia madre, alla quale tengo, mi chiedo anche del mistero della sua esistenza” riferisce ancora Luna. “Prima mi stupisco della realtà e immediatamente mi stupisco anche di me, come Leopardi: ed io che sono? “.

Così siamo proiettati nel giudizio che Giussani da nel Senso Religioso “Vivere intensamente il reale” e su due decisive direttrici: per stare davanti al reale ci vuole qualcosa, un “ignoto”, che sorpassi il reale essendone il punto attraente, e per stare davanti a questo ignoto senza decadere ci vuole una compagnia umana che di questo ignoto porti già le tracce.

Come Veronica, Luna, Francesco Saverio, Agnese e Novella, i giovani universitari che prendendo un caffè hanno mostrato la “carne” della mostra.