UNA DONNA, LA GENTE, UN BRAND: UNA AZIENDA

UNA DONNA, LA GENTE, UN BRAND: UNA AZIENDA

Partecipa Cristiana Tadei, Brand Manager Calliope (Gruppo Teddy). Introduce Marco Aluigi, Vice Direttore e Congress Manager Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli.

 

Ore: 19.00 MeshAREA TALK Intesa Sanpaolo B1
UNA DONNA, LA GENTE, UN BRAND: UNA AZIENDA

Partecipa Cristiana Tadei, Brand Manager Calliope (Gruppo Teddy). Introduce Marco Aluigi, Vice Direttore e Congress Manager Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli.

MARCO ALUIGI:
Buonasera a tutti e grazie di essere qui per il quarto incontro della serie dei dialoghi di Mesh AREA. Ieri sempre nello stesso spazio, proprio qui, era intervenuto Andrea Pezzi e il giorno prima Gianni Letta e oggi abbiamo qui con noi per il tema (nell’area dedicata al lavoro e nella giornata dedicata al lavoro perché sapete che ogni giorno Mesh AREA ha un tema specifico dedicato ai temi del lavoro) di oggi “l’esperienza del lavoro nelle imprese”, Cristiana Tadei, Brand Manager Calliope, che vi chiedo di accogliere con un grande e caloroso applauso.

CRISTIANA TADEI:
Buonasera a tutti.

MARCO ALUIGI:
Ti chiamerò Chicca d’ora in poi.

CRISTIANA TADEI:
Mi sento un po’ più a mio agio con Chicca già Cristiana mi sembra la mia mamma.

MARCO ALUIGI:
Aldous Huxley, autore di libri fantastici, scriveva che nella vita reale non c’è alcun uomo medio, le statistiche e i numeri sono indicatori più o meno capaci di restituire a chi li legge uno scenario reale. Nel 2017 il governo italiano inserisce nel suo annuale documento di economia e finanza 18 indicatori di benessere. Tra questi ci sono voci come: speranza di vita in buona salute alla nascita, eccesso di peso, indice di efficienza della giustizia civile ecc. La tematica dell’esperienza di lavoro, invece, quella che affrontiamo oggi, non è da affrontare con numeri e dati statistici ma con le storie che testimoniano un cambiamento. Le generazioni di prima, quelle passate, ritenevano che il miglioramento di un’esperienza lavorativa riguardasse i benefit, invece i ragazzi oggi che entrano nelle imprese esaltano il fatto di essere protagonisti della propria vita come valore principale. Ovvero non è più solo il guadagno il metro del proprio impiego ma anche la possibilità di un percorso umano e professionale in continua evoluzione. Gli statistici infatti non credono all’esistenza dell’uomo medio, una figura passiva indistinta ma dicono che esistono le persone. E questo è il motivo per cui abbiamo qui la Chicca, una donna, l’agente, un brand, un’azienda: ti do la parola Chicca.


CRISTIANA TADEI:
Innanzitutto buonasera. Abbiate pazienza se ogni tanto l’emozione mi tradirà e mi giocherà qualche brutto scherzo. Anzitutto sono qua per l’amicizia che mi lega a chi mi ha chiamato e, in secondo luogo, banalmente perché io ho una storia molto normale proprio di donna che lavora e di mamma e spero che raccontare questa storia possa aiutare chi, come me, ogni giorno deve affrontare situazioni complesse ma perché semplicemente deve pensare al lavoro, ai figli e a tutto quello che questo comporta. Vi do un attimo il contesto dell’azienda in cui lavoro e di cosa fa la Teddy, che magari non tutti conoscono e in che mercato opera e perché lo fa e soprattutto del perché, con una certa serenità di fondo, abbiamo deciso di avventurarci in questa sfida che prevede tanti imprevisti, che prevede tanti ostacoli, perché il mercato in cui operiamo è un mercato veramente complesso.

MARCO ALUIGI
Lanciamo il video del Gruppo Teddy.

CRISTIANA TADEI:
Questo è quello che fa la Teddy, ma giusto per darvi un orizzonte e per stare subito con i piedi per terra, noi competiamo con concorrenti che sono anche quaranta volte più grandi di noi, per cui la realtà che andiamo ad affrontare è veramente complessa ed articolata. Vi sparo subito un altro video, così vi faccio vedere, cioè cerchiamo di capire le radici da cui nasce questa azienda e vi faccio vedere un brevissimo stralcio, perché da lì si capiscono tante cose, di un’intervista fatta a Vittorio, che è il fondatore dell’azienda, il mio babbo, in cui si capisce l’anima e la stoffa dell’azienda. Da lì poi partiamo, perché senza capire da dove nascono le cose poi è anche difficile capire il presente.

VIDEO

DOMANDA:
Si fa l’imprenditore perché si vuole esprimere qualcosa o perché manca qualcosa alla propria vita?

VITTORIO TADEI:
Tutte e due le cose.

DOMANDA:
In che misura lei vive questo rapporto tra un più e un meno?

VITTORIO TADEI:
Io credo che è la maniera di essere più contento perché tanto non fa felice un uomo il possesso delle cose ma la ragione per cui le fa

DOMANDA:
Un giovane che arriva alla Teddy oggi, quale è la prima cosa che dovrebbe imparare?


VITTORIO TADEI:
Imparare il significato del lavoro, il significato di un’azienda. Se questo giovane lavora, lavora perché c’è stata una generazione prima di lui che ha lavorato, ha sgobbato e gli ha procurato un posto di lavoro. Così per solidarietà dovrebbe fare la stessa cosa nei confronti di quelli che vengono dopo lui. Questa è la cosa che dovrebbe imparare.

DOMANDA:
Quando ci siamo visti l’altra volta mi ha dettoche bisogna sempre cambiare. Oggi quale è il cambiamento che pensa per la Teddy?

VITTORIO TADEI:
Abbiamo già iniziato, perché è far diventare tutti quelli che lo vogliono imprenditori di se stessi. Ragionare in tutti i settori, in tutti i reparti come ragiona un imprenditore.

DOMANDA:
Nella sua vita chi le ha insegnato qualcosa?

VITTORIO TADEI:
Io ho avuto due maestri: don Oreste Benzi e Gigi, mio figlio.
Il segreto della Teddy secondo me è che sono tutti coinvolti in un progetto grande, in un sogno grande, che è quello di costruire una grande azienda che guadagni molto per creare occupazione e una parte degli utili destinarli ad opere sociali sia in Italia che all’estero. Che si possa dare un senso ed un significato alla propria vita e costruire un’azienda dove ogni cinque persone io possa dare il lavoro alla persona che ha bisogno. Queste cose qui me le ha insegnate mio figlio. Ecco perché io sono convinto che la Teddy vada avanti ancora per i prossimi cinquant’anni.
Chi ha preparato una cosa così? Io no: qualcun Altro.
[Fine del Video]

MARCO ALUIGI:
Chicca, ecco una delle cose che, se non erro, il tuo babbo Vittorio diceva a voi figli, a voi che vi siete implicati direttamente nell’azienda: vi ha educato ad essere amministratori e non padroni. Cosa vuol dire?

CRISTIANA TADEI:
Anzitutto rivedere, dette da lui, certe cose mi commuove sempre, prima di tutto rivederlo adesso, perché già lì si vedevano i primi segni di una malattia che poi ce lo ha portato via, perché lui in realtà quando ci diceva queste cose era molto più energico, molto più grintoso, molto più leone rispetto a come lo vedete lì, in versione più pacata. Tutte queste cose, tra cui questa di essere “amministratori e non padroni”, era un refrain che lui costantemente ci diceva e che nel tempo io mi trovo addosso per riscoprirlo come mio in tutta la sua potenza. In particolare, lui ci diceva sempre che il fatto di non essere padroni comporta che uno senta che l’azienda gli è stata donata. Infatti quando uno ha una cosa non propria, la tratta molto meglio di una cosa propria, perché sa che ad un certo punto qualcuno gli chiederà il conto e allora la vuole conservare, la vuole trattare bene, la vuole ingrandire, la vuole rendere meglio di come era perché prima, perché poi qualcuno gli chiederà di restituirla. È questo un po’ il senso dell’essere amministratori.

MARCO ALUIGI:
Ma come è iniziata questa storia con la Teddy per te? Hai sempre avuto il sogno di continuare quello che in qualche modo tuo papà aveva iniziato?

CRISTIANA TADEI:
Sinceramente no. Non ci pensavo proprio. Rivedendo questo aspetto, l’altra cosa che appunto mi commuove molto è come lui abbia sempre presente chi sono i suoi maestri. L’avventura di Giobbe trattata quest’anno dal Meeting mi ha aiutato a comprendere come la radice della Teddy stia proprio nel rapporto doloroso che il mio babbo ha avuto con suo figlio. Mio babbo ha avuto quattro figli, io sono la quarta, il terzo era maschio e, come tutti i babbi imprenditori, gli era venuto naturale di pensare alla continuità della propria azienda con il figlio maschio. Le cose non sono andate così perché mio fratello si è ammalato, ma questa cosa, nonostante una prima ribellione, ha davvero delineato il dna della nostra azienda, le ha dato una propria fisionomia. Stare davanti con serietà a questo dolore molto grande, è stata l’opportunità per lui di fare l’azienda in questo modo. Diciamo che per lui è stato così. La mia esperienza è stata diversa. Quarta figlia, un po’ ribelle, penso a tutto, finito il liceo, tranne che andare a lavorare in Teddy, anche perché, essendo un’azienda familiare, come tutte le aziende familiari ti sfiniscono un po’, perché a pranzo e a cena c’è sempre gente che lavora in Teddy che viene a mangiare e non si parla d’altro. Io sinceramente non ne potevo più, per cui scappo a Milano, faccio giurisprudenza, lì incontro quello che sarà il mio futuro marito e sinceramente non mi faccio neanche il problema del dopo. Faccio giurisprudenza e, mano a mano che la faccio, mi appassiono a quello che faccio.. Quindi mi sono iscritta a Giurisprudenza in Cattolica con le idee non tanto chiare di fare “giuris” e basta. Dopo di che mi fidanzo e finita giurisprudenza avevo semplicemente il desiderio di sposarmi e tornare a Rimini.

MARCO ALUIGI:
Semplicemente? Non è una cosa così semplice oggi.

CRISTIANA TADEI:
Beh, il mio era abbastanza acceso come desiderio di farmi una famiglia.

MARCO ALUIGI:
Sarà contento tuo marito in prima fila.

CRISTIANA TADEI:
E sinceramente di farmela a Milano non mi andava proprio. Allora inizio a ragionare in un rapporto sempre molto schietto con mio babbo. Dico: «Va beh c’è la Teddy, perché no?» Inizio ad incuriosirmi di questa cosa e lui mi dice «va bene, ma prima di entrare bisogna che un minimo di strumentazione te la fai. Fai giurisprudenza, non hai un’idea di cosa voglia dire venire in azienda e così mi fa iscrivere ad un master in Bocconi: dodici mesi di inferno, perché voleva dire in dodici mesi fare quello che normalmente in Economia aziendale si fa in tre/quattro anni, per cui passo dodici mesi in cui veramente studiavo mattina, pomeriggio, sera e notte. Dopodiché, finito questo anno di inferno, mi sposo e torno a Rimini. Anche qui, l’altro aspetto che poi mi sono ritrovata sempre addosso, è stato semplicemente quello di andare dietro a degli indizi che la realtà mi porgeva davanti.

MARCO ALUIGI:
Spiega meglio questa cosa degli indizi.

CRISTIANA TADEI:
In maniera molto semplice e a volte anche molto banale. Desideravo sposarmi, non desideravo stare a Milano, tornare a Rimini, l’ipotesi più concreta era che c’era una realtà bella e io non potevo fare finta di niente. E questo era un indizio talmente evidente che non potevo non tenerne conto. Ma al tempo stesso il dato di realismo era: non sai niente, ti fai un anno di master.

MARCO ALUIGI:
E i discorsi di quando eri bambina e sempre sentivi parlare di azienda nel frattempo?

CRISTIANA TADEI:
Stavano lì. Stavano lì nel cassetto, perché l’altro aspetto è quello che ti dicevo appunto, nel fare ho iniziato a interessarmi della mia realtà. Mio babbo mi ha messo in amministrazione che, se ci penso adesso, mi viene l’orticaria, mi ha messo a mappare tutti i processi dell’azienda e l’ha fatto in maniera evidentemente molto intelligente. Mi ha detto: «Così in breve conosci tutta la complessità della tua realtà aziendale». Ma la cosa che ho detto prima, è che nel far questo, che se ci penso è la cosa più distante da quello che sto facendo adesso, di nuovo c’era questo fatto, che veramente, mano a mano che ti appassioni e che entri dentro le cose, ti appassioni sempre di più, ci entri sempre più dentro. È per quello che la vita è sempre molto più semplice e molto più dolce di quello che in realtà uno si immagina, anche nella scelta universitaria, nella scelta lavorativa. Non c’è un lavoro ideale, ma c’è un uomo e una donna che si appassionano nel fare bene quello che fanno. Almeno nella mia esperienza è sempre stato così. L’altra cosa è che mi sono un po’ fatta guidare dalle mie attitudini, perché è vero che io nasco da un babbo imprenditore, ma nasco anche da una mamma stilista e questo è un combinato disposto che mi ha fatto così come sono.

MARCO ALUIGI:
Un buon corredo genetico.

CRISTIANA TADEI:
Sì, i due erano due persone veramente opposte, però diciamo che li ho visti confrontarsi nella vita concreta. Detto questo, questa mia attitudine e l’essere amante delle cose belle mi ha fatto poi accettare nella mia vita professionale delle sfide che mai avrei immaginato. Perché? Che cosa succede?

MARCO ALUIGI:
Che cosa succede? A un certo punto tu inizi a fare tutto il tuo percorso, papà ti manda in amministrazione e l’azienda inizia ad ingrandirsi. C’è bisogno forse di qualcuno che inizi a guardare l’immagine, cosa succede?

CRISTIANA TADEI:
Sono successe tre cose fondamentali che mi hanno poi piano piano convinto e affascinato sempre di più rispetto anche a quello che dicevamo del fatto che uno anche se fin da piccolo si sente dire determinate cose, finché non le fa proprie, rimangono lì, rimangono nello zaino dietro, ma non sono esperienza.

MARCO ALUIGI:
È come il titolo del Meeting dell’anno scorso: “Quello che tu erediti dai tuoi padri riguadagnatelo per possederlo”.

CRISTIANA TADEI:
Quindi abbiamo sbagliato Meeting.

MARCO ALUIGI:
No. Ci siamo connessi a quello dell’anno scorso in un modo molto interessante, secondo me. Vai.

CRISTIANA TADEI:
Poi nella realtà, semplicemente nella quotidianità e nella trama del lavoro di tutti i giorni, ci sono tre cose che fondamentalmente mi hanno convinto e affascinato. Innanzitutto che la Teddy possa essere per me come per ciascuno di quelli che vi lavorano, ma principalmente per me, l’occasione per vivere il mio sogno, perché non c’è cosa più frustrante e lo capisco bene da figlia, che vivere il sogno di un altro. Non è che è perché ti è stata affidata una cosa, immediatamente ti può entusiasmare se non la fai tua.

MARCO ALUIGI:
Tu dici: vivere il mio sogno. Vittorio dava un’importanza del tutto particolare a questa cosa del sogno. Ce la spieghi meglio?

CRISTIANA TADEI:
Vivere il mio sogno voleva dire per me innanzitutto prendere sul serio i miei desideri che principalmente erano di contribuire a custodire questa cosa, a conservarla, a ingrandirla. Quello che a me soprattutto ha convinto, è che la Teddy non fa altro semplicemente che puntare sull’innato desiderio che ognuno di noi ha, come me, di costruire qualcosa di bello, di costruire qualcosa di utile, di costruire qualcosa di grande. E non solo questo, ma uno nel costruire qualcosa di grande – ed è questo il mio sogno e penso quello di ognuno di noi – ha il desiderio di essere decisivo nella costruzione di quel sogno. Protagonista. Ha il desiderio di metterci quella virgola, quell’accento, quella cifra particolare che renda quel sogno suo. È per quello che piano piano mi sono sempre di più affascinata della mia azienda. Vi faccio un esempio molto semplice, dove sono stata oggetto di questa imprenditorialità diffusa. Entro in amministrazione, faccio i processi, per cui sto un po’ fuori dalle dinamiche commerciali, quelle un po’ più di business, a un certo punto partecipo ad una riunione e un dirigente – l’azienda nel frattempo si stava ingrandendo e iniziavamo ad avere sempre più negozi, ma i negozi erano concepiti semplicemente come delle scatole dove buttare dentro merce e luoghi dove qualcuno potesse comprare, ma senza cura – inizia a dire: «Va beh, siamo a questo punto, ci sarebbe davvero bisogno che qualcuno si occupasse dell’immagine dei negozi. Tu Chicca, che hai un po’ di gusto estetico, perché non te ne occupi tu?». Io lo guardo e all’inizio penso «questo è matto. Cosa vuole?». Poi ci ripenso perché compresi che mi corrispondeva. Ecco, lì ho visto proprio un esempio di quella imprenditorialità diffusa, di quella libertà del dirigente di chiedermi di coinvolgermi e mia di accettare. Sentivo che il mio desiderio di costruire qualcosa di grande, qualcosa di bello se non avessi messo le mani in pasta per davvero, sarebbe rimasto generico, astratto. E così ho iniziato molto semplicemente ad occuparmi prima di “Terranova” e poi, vedremo, di “Calliope” in senso stretto.

MARCO ALUIGI:
Il titolo dicevamo era una “Una donna”, una giovane ragazza, l’approfondiamo verso la fine, no parliamo della “gente”. Tu prima hai parlato di cultura dell’imprenditorialità diffusa, forse non tutti lavorano nel settore aziendale, cosa vuol dire imprenditorialità diffusa, cosa vuol dire la gente all’interno di una azienda come la Teddy, come la considerava tuo papà, come la considerate voi oggi, cosa vuol dire questo slogan, se è uno slogan, «diventa l’imprenditore di te stesso», cioè i vostri collaboratori devono essere gli imprenditori di se stessi nella vostra azienda?

CRISTIANA TADEI:
Paradossalmente qui si esprime un po’ il paradosso e l’unicità dell’azienda, perché mentre a noi, figli, ci è chiesto di essere amministratori e non padroni, a chi lavora invece in Teddy gli viene proposta la possibilità di essere loro gli imprenditori. Perché? Perché l’unica cosa che può muovere davvero un’azienda non sono tanto i processi perfetti, che tanto sono difficile da realizzare, o sistemi perfetti, che altrettanto è difficile porli in essere, ma sono persone accese nel loro desiderio, sono persone che concepiscono l’azienda davvero come se fosse la propria.

MARCO ALUIGI:
E come fa uno a concepire l’azienda come se fosse la propria quando a chi possiede l’azienda è stato detto: l’azienda non è vostra? Questo è un bel paradosso in effetti.

CRISTIANA TADEI:
E rimarrà un paradosso. Nel senso che a noi sono chieste certe cose, a chi lavora con noi è chiesto esattamente il contrario, ma sentendo l’azienda propria, sprigionerà tutta la propria forza, tutta la propria creatività, tutto il proprio entusiasmo per far sì che questa duri nel tempo. È questa l’imprenditorialità diffusa: permettere quella virgola, quell’accento che possa far sì che i risultati dell’azienda dipendano da quell’accento lì, dipendano da quella virgola lì.

MARCO ALUIGI:
E secondo te cosa unisce queste due cose?

CRISTIANA TADEI:
Domanda difficilissima. Cosa unisce non lo so. So cosa unisce noi, nel senso di cosa unisce me a loro. Cosa ci unisce? L’operare con la stessa imprenditorialità. Un esempio di quello che ti dicevo prima e che ha permesso sempre di più di concepire l’azienda davvero nostra è questo. Noi siamo cresciuti con il mio babbo, uno molto di sostanza e, quello che vi dicevo prima, mi sono presa la responsabilità dell’immagine dei marchi, consapevole di essere cresciuta in una casa – grazie al cielo mia mamma non era così – dove il mio babbo ha sempre detto: «Di immagine si muore». Io ho sempre sentito queste cose, le ho messe nel cassetto, ma una volta che mi è stata data la responsabilità di quella cosa lì, ho dovuto davvero confrontarla con la mia esperienza e quindi ho preso quello che mi diceva mio babbo «non puntare tutto sull’apparenza» e l’ho fatta ancora più mia, nel senso che di immagine si muore, ma di bellezza si vive. Di far fare una esperienza bella al nostro cliente si vive. Per cui quello che noi proponiamo a chi lavora con noi è lo stesso lavoro che devo fare io e che devono fare i nostri collaboratori. Non è diverso.

MARCO ALUIGI:
È questo quello che vi unisce.

CRISTIANA TADEI:
Il fatto che ognuno di noi deve rifare proprie le cose che ci diciamo, è questo quello che ci unisce. Perché ognuno di noi, come dire, può essere protagonista. Io penso che sia questo quello che ci unisce.

MARCO ALUIGI:
Tu prima parlavi di una passione che è quella che muoveva il tuo babbo ed è una passione che ti sei ritrovata sempre di più in azienda. Per Vittorio il fine ultimo dell’azienda non era nemmeno il prodotto, lui dice che avreste potuto anche fare bulloni. È così anche adesso?

CRISTIANA TADEI:
No, assolutamente no, guai: io i bulloni non li farei mai. Nel senso che, come vi dicevo prima, ho un certo modo di concepire l’azienda come imprenditorialità diffusa; secondo, la possibilità per me di realizzare ed esprimere i miei talenti e le mie passioni. Per cui per me è molto diverso fare i bulloni o fare abbigliamento, ma grazie al cielo che è così e grazie al cielo, infatti, che io sono figlia di mio babbo, ma anche di mia mamma che faceva un altro mestiere. Per lui il fine ultimo era realizzare il sogno, quello che avete sentito prima, era costruire una azienda grande che guadagnasse tanto per avere gli utili necessari prima di tutto per l’azienda stessa e poi per il mondo intero, perché attraverso il lavoro uno possa dare un senso alla propria vita. E questo era il fine ultimo. Io sono cosciente che il fine ultimo e quindi questo sogno lo posso realizzare e realizzare bene, solo vestendo in maniera bella le persone. È per quello che ho accettato dal 2013 quest’altra sfida, che era quella di prendermi la responsabilità ultima e intera di un marchio, che è il marchio di Calliope. Era un marchio che stava facendo un po’ fatica a prendere una propria fisionomia e anche lì ho deciso, come precedentemente, di lanciare ancora di più il cuore al di là dell’ostacolo, anche con una certa inadeguatezza, perché comunque tante volte ti senti certamente inadeguato e anche non all’altezza di quello che poi devi fare.

MARCO ALUIGI:
Ecco questo è proprio il nesso con il tema del Meeting di quest’anno. Il tema del Meeting di quest’anno è: “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice”. Tu hai detto: ho fatto delle scelte, mi sono trovata a fare delle scelte con un po’ di incoscienza, a buttare anche il cuore oltre l’ostacolo e questo ha determinato una mossa, una mossa personale, che ha iniziato a cambiare la realtà che avevi attorno. Questa è una piccola ma grande testimonianza di quello che il titolo del Meeting vuole dire. Racconta meglio cosa ha voluto dire prendersi la responsabilità di un brand come Calliope che, ricordiamo, è uno dei quattro brand della Teddy (gli altri sono Miss Miss, Terranova e Rinascimento).

CRISTIANA TADEI:
Premetto che, appunto, una dose di incoscienza nelle decisioni c’è sempre, c’è una dose di incoscienza, c’è una dose di assunzione di rischio e quindi di non avere in mente già prima quelli che saranno tutti gli aspetti della scelta che andrai a fare. Detto questo c’è anche un desiderio di dare un po’ la tua cifra, di capire se la tua ipotesi imprenditoriale si possa confrontare e resistere nei confronti del mercato attuale, che come abbiamo visto è molto complesso. Per cui, come dire, quello che a me ha sollecitato ad accettare questa ulteriore sfida è stato proprio questo e quindi non solo prendere una cosa che …, non solo custodire una cosa che mi era stata donata, ma di darle una nostra fisionomia e di confrontare questa fisionomia tutti i giorni con i dati della realtà che sono il nostro consumatore. Ok, noi abbiamo una ipotesi, ma poi tutti i giorni la dobbiamo confrontare.

MARCO ALUIGI:
Spiega questa cosa del consumatore, perché voi avete tutta un’idea particolare, qual è?

CRISTIANA TADEI:
È un’idea molto semplice. Innanzitutto il nostro cliente è quello che ci paga lo stipendio tutti i mesi e che chiamiamo Marinella. Un’idea molto semplice, perché se non c’è nessuno che compra le nostre cose, noi chiudiamo. Quindi il nostro cliente deve essere quello che noi abbiamo in mente quando pensiamo a tutte le nostre attività. L’altra certezza è che uno nasce nudo e muore vestito, per cui da qualche parte qualche cosa compra. Detto questo, la cosa bella della nostra seconda generazione è che abbiamo voluto far venir fuori tutto il valore del marchio e il valore della coerenza del marchio, che vuol dire: creare una collezione in base a certi valori che il marchio vuole esprimere, comunicare questa collezione in base a quegli stessi valori, scattare delle foto con i valori sempre in mente, creare il design di un negozio con la stessa logica e far sì che tutte queste cose siano collegate da questo medesimo filo rosso. Questo per me ha voluto dire prendermi la mia sfida imprenditoriale, però ripeto, è una sfida imprenditoriale che è molto fluida, perché mille volte succede che fai delle ipotesi e poi il cliente ti bastona e allora torni indietro e allora le modifichi, e alloro lo ascolti, tuttavia se c’è quella imprenditorialità diffusa che dicevamo prima, che ognuno di noi si sente l’azienda come propria, tutte le volte che viene bastonato dal cliente, poi si chiede il perché e l’errore fatto tante volte ha molto più senso che le vittorie ottenute. Perché quando prendi le bastonate, in realtà, ci vai molto più a fondo, capisci il perché e nel capire quel perché non te lo scordi più, è un patrimonio dato a consuntivo. Diversamente quando le cose vanno tutte bene, è più facile che ti scordi del perché.

MARCO ALUIGI:
Quanto è importante in un’azienda come la vostra, in un brand come quello di Calliope, ma più in generale per il gruppo, diciamo così, l’attenzione alla realtà? Voi siete nel segmento del fast fashion, quindi tendenze che cambiano velocemente, vestiti che si adeguano, collezioni molto veloci, le cose che cambiano. Quant’è importante cogliere il dettaglio, il momento, nel processo che tu segui?


CRISTIANA TADEI:
Il dato di realtà è quello da cui devi partire, perché ripeto, se poi tu ti fai tutta una tua costruzione di come dovrebbe essere il marchio, di come pensi che sia più bello o più brutto e poi di fatto il tuo cliente non lo apprezza, vuol dire che la realtà ti dice un’altra cosa, per cui tu dal dato di realtà, dalla conoscenza del tuo cliente e dei suoi desideri e delle sue richieste, è da lì che devi partire. È da lì che devi partire anche per poter intercettare sul mercato quelli che saranno i trend futuri, non puoi non partire dalla realtà, perché noi nel mercato e nella realtà ci dobbiamo stare e non solo cinquant’anni come diceva Vittorio. La sfida nostra, alzando un po’ la posta, è di poterci stare cinquecento anni, per cui dalla realtà non puoi scappare, perché è quella che poi alla fine ti fa fare i conti, ma è anche il bello, perché la realtà ti educa. Quel consumatore che ti compra o non ti compra, ti dice in maniera progressivamente sempre più chiara, come vuole le tue collezioni, come vuole che tu le abbini. Perché se tu stai attento, riesci a capire quali sono gli abbinamenti che lui desidera e quelli che non desidera, da una parte; dall’altra parte, a volte noi ci montiamo un po’ la testa, facciamo moda e abbiamo un po’ la pretesa di educare il nostro consumatore. Però se ci montiamo troppo la testa, lui ce lo dice immediatamente.

MARCO ALUIGI:
Qual è la cifra del brand Calliope, per identificarvi?

CRISTIANA TADEI:
La nostra cifra, la cosa che ci siamo detti, il nostro brand vuole fare vivere al nostro cliente un’esperienza di bellezza, ma di una bellezza non come notoriamente viene proposto nel mondo della moda, in un modo molto appariscente, ma in una maniera assolutamente spontanea e naturale. Il live the beauty è un po’ lo slogan che ci siamo dati e questo deve permeare le nostre collezioni, come accogliamo il cliente, ma in maniera assolutamente naturale, perché la bellezza…

MARCO ALUIGI:
È questa la coerenza di cui parlavi prima tu?

CRISTIANA TADEI
Sì. Che questa bellezza possa essere, come dire, una cifra di cui ti accorgi quando entri dentro il nostro sito, di cui ti accorgi quando entri dentro un nostro negozio, una bellezza contemporanea, una bellezza fresca, una bellezza attuale, ma che allo stesso tempo deve essere una bellezza possibile per te, adesso.

MARCO ALUIGI:
Parliamo di altre due cose, velocemente e poi dopo vediamo se poi c’è spazio per una domanda o due domande dal pubblico, se qualcuno pensa di volerle fare. La prima cosa: il rapporto che aveva tuo padre con i suoi dipendenti e come è adesso, visto che tu hai parlato di seconda generazione, giustamente, dato che siete voi in questo momento al timone. E com’è la gente, la seconda parola del titolo di questo dialogo di ‘stasera?


CRISTIANA TADEI:
Questo è in realtà un altro aspetto che a me ha sempre molto affascinato e a volte anche un po’ infastidito, se devo essere sincera: il rapporto che aveva il mio babbo con i suoi collaboratori, perché per lui non erano dipendenti ma erano veramente… collaboratori è poco, erano figli. E a parte che venivano sempre a pranzo e cena, fino a non poterne più, ma a parte quello, quel che mi ha sempre incuriosito e di cui sono stata assolutamente oggetto anch’io, è che proprio come un babbo, li ha lanciati nel mondo ad affrontare sfide grandi. Non li ha fatti mai accontentare, li ha sempre sfidati su questo desiderio. Vi racconto un esempio che non è del mio babbo, ma è di quelli che ha tirato su il mio babbo, per fari capire come in realtà questa cosa ha generato a sua volta uomini che desideravano trattare gli altri così. Succede che nel 2006, il mio babbo a un certo punto, pensa alla propria successione e come ogni buon imprenditore, ci pensa in anticipo. Aveva settanta e rotti anni e ci pensa in anticipo, però non riesce a dare un nome a questa successione, perché io e mia sorella, io in particolare, avevo i bimbi molto piccoli e fra l’altro quattro, per cui mi sentivo assolutamente presa – soprattutto in questa prima fase – da questo ruolo di mamma, ma ben volentieri presa. E quindi non me la sentivo assolutamente di accettare una responsabilità così strabordante rispetto alla mia realtà prevalentemente di mamma di quel momento. Stavo lavorando in azienda – secondo me ero ancora al terzo figlio, il quarto non era ancora nato, e si sentiva, aleggiava nell’aria l’idea che il mio babbo stava pensando alla propria successione, e cosa succede? Succede che alla spicciolata vengono i dirigenti da me, ognuno veramente con storie diverse (uno lavorava in commerciale, uno in amministrazione, uno da un’altra parte) bussano alla mia porta e mi dicono: «Ma perché non chiedi a tuo marito di venire in azienda e di provare a intavolare questo processo di successione?». Il mio babbo non sapeva niente.

MARCO ALUIGI:
Tra l’altro tuo marito è qui e si sta ancora chiedendo perché ha accettato…

CRISTIANA TADEI:
È stata una cosa per me incredibile. Veramente non ci potevo credere, perché è stata la prova provata di come questi, sfidati sul loro desiderio di costruire qualcosa di grande e di bello che durasse oltre loro, volessero più bene alla continuità dell’azienda che alla propria poltrona. A me questa cosa ha veramente spiazzato. E ha spiazzato anche mio marito. Il mio babbo non glielo avrebbe mai chiesto, per una questione di discrezione, nel senso che già c’ero io invischiata e di invischiare anche lui non se la sentiva. Dopo di che, però, dopo tutta questa processione, gliel’ha chiesto e Ale stesso, mio marito, è rimasto davvero affascinato, si è convinto di questa cosa. Probabilmente ciascuno di loro avrebbe potuto prendere quel ruolo e farlo anche bene, ma probabilmente avrebbe rischiato di spaccare qualcosa, di spaccare se non altro l’unità tra di loro. Per cui hanno deciso di fare un passo indietro e di chiedere questa cosa a mio marito, anche qui con un rischio enorme, perché Ale lo conoscevano, avevano intuito che c’era del buono, ma era tutto da verificare. Hanno fatto un passo indietro e hanno deciso di chiedere questa cosa ad Alessandro. Non solo i miei dirigenti. In questa scelta anche mia sorella mi ha molto colpito, perché coscientemente abbiamo deciso entrambe di fare un passo indietro e di fare il bene dell’azienda.

MARCO ALUIGI:
… e di continuare il sogno. E com’è lavorare con tuo marito?

CRISTIANA TADEI:
Non mi sono preparata su questo. Fare l’amministratore delegato è bellissimo, è la vita quotidiana che a volte è molto più faticosa… Ma no: in realtà lavorare con mio marito … da una parte abbiamo la fortuna di non lavorare gomito a gomito e quindi questo è comunque una fortuna…

MARCO ALUIGI:
La giusta distanza …

CRISTIANA TADEI:
Esatto. Però allo stesso tempo c’è una stima tale e paradossalmente da quando Ale è con noi, ci ha fatto fare alcuni passi avanti. Noi abbiamo una scuola d’azienda che si chiama “Teddy 500” (appunto nella speranza di poter durare 500 anni), in cui facciamo dei percorsi di formazione, per cui tutta l’eredità che ci è stata lasciata dal nostro babbo è oggetto di formazione, di studio, per farla diventare sempre più nostra. Per cui in realtà lavorare con mio marito, partendo da questa stima e da questo allineamento sui valori di fondo, in realtà è una figata, non vorrei portarmi sfiga, ma è così.

MARCO ALUIGI:
L’ultima cosa che ti chiedo e che in realtà penso che sia molto interessante e molto meno banale di quello che tu Chicca pensi: cosa vuol dire essere una donna, essere una mamma, essere una manager nel 2018 con quattro figli? Cosa vuol dire con questo ruolo di grande responsabilità che hai da giocare tutti i giorni nell’azienda, cosa vuol dire cercare di essere una mamma premurosa, una brava mamma, una mamma, cosa vuol dire essere una moglie? E c’è anche da dire che non sono tantissime le manager con una famiglia e con così tanti figli, quattro è un buon numero.

CRISTIANA TADEI:
In realtà su questo aspetto è sempre un po’ difficile rispondere perché non c’è una risposta. E come ognuna di noi, mamme, lavoratrici, sa, non c’è una risposta, non c’è un punto di equilibrio, anzi, io nasco in una famiglia assolutamente maschilista e nelle prime riunioni a un certo punto, il mio babbo, davanti agli altri, mi diceva: «Vai a casa che hai una famiglia», e io diventavo bordeaux. Per cui nasco in questo contesto qua. Sono ben felice di essere mamma, per quello che ti dicevo, nel senso che davvero il mio primo senso di realizzazione è fare la mamma. Però nel tempo mi ha sostenuto sempre una grande certezza che spero che i miei figli confermino, un’ unica grande certezza che io ho visto sperimentata su di me. Mio babbo era uno che non c’era mai, però l’unica cosa di cui i figli hanno veramente bisogno, e che lui ci ha permesso, è di vedere dei genitori felici, dei genitori che si impegnano con coraggio tutti i giorni nelle sfide quotidiane. Io penso che i figli abbiano bisogno di questo, di vedere i genitori che vivono la vita con gioia, uniti, che non si spaventano davanti alle difficoltà. Io sono certa che vedendo genitori felici, genitori, certi che affrontare le sfide della vita dà spessore alla propria umanità, sono certa che i figli sentano nascere una speranza anche in loro. Detto questo poi c’è tutta la complicazione di essere una donna, di fare le riunioni e di pensare ai figli da andare a prendere a scuola o che si sono ammalati. Questo fa un po’ parte della complicazione dell’essere donne, ma allo stesso tempo educa a lavorare su più livelli, che solo noi donne siamo in grado di fare. Mi prendono sempre in giro perché riesco ad incastrare la parrucchiera, l’estetista mentre vado a far la spesa, e così via.


MARCO ALUIGI:
Bellissimo, se c’è una domanda o due domande e qualcuno la vuol venire a fare, molto volentieri.

DOMANDA:
Buonasera, prima dicevi che ogni decisione porta inevitabilmente con se un po’ di incoscienza. Io mi chiedevo: quando l’incoscienza diventa fare un passo più lungo della gamba, nell’inseguire un proprio sogno? Quando si passa dal rischiare all’azzardare? Grazie.

CRISTIANA TADEI:
Un po’ quello che dicevo prima, nel senso che, partire dalla realtà, dai dati della realtà è la cosa fondamentale. Detto questo uno poi si assume il rischio nel senso che ha un’ipotesi da verificare con i dati della realtà e l’incoscienza sta nel fatto che quando uno prende una decisione, inevitabilmente non conosce tutti i contorni, e mano a mano che l’approfondisci capisci se questo rischio è un rischio che può reggere l’impatto con la realtà o è semplicemente un azzardo. È chiaro che in una realtà aziendale questo è un po’ più semplice: uno perché non sei da solo e quindi questo rischio che tu ti assumi lo confronti costantemente con le persone che insieme a te si devono assumere questo rischio. Il fatto che tu non sei da solo ti fa costantemente correggere la tua ipotesi. La cosa principale è proprio la verifica di questa tua ipotesi con la realtà. È lì la cartina tornasole.

MARCO ALUIGI:
Un’altra domanda, direi l’ultima a questo punto e dopo chiudiamo il nostro dialogo.

DOMANDA:
Buonasera. Piccola premessa. Ho conosciuto la Teddy trent’anni fa, ne sono stato anche un fornitore, avevo sfiorato un debitorio, poi ho fatto altre strade e questa sera davvero sono quasi emozionato da una bellissima storia che ho sentito raccontare da te, una bellissima storia di capacità imprenditoriale italiana basata sui valori della Cdo. Io sono anche dirigente della Cdo, quindi sento veramente appieno tutto quello che hai raccontato. La domanda è questa: hai raccontato di esser riusciti a creare questa condizione dove, e lo dico sempre anch’io, tu sei titolare dell’azienda quando sei fuori dell’azienda, quando sei dentro, sei uomo d’azienda. E siete riusciti, dall’altra parte, a creare questa condizione per la quale i vostri collaboratori, i vostri colleghi vivono in proprio la loro autonomia imprenditoriale. Sicuramente li avrete istruiti con delle logiche, che ti chiedo, se è possibile, di esplicitare, ovviamente rimanendo nei limiti di quello che potrai raccontare. Grazie.

CRISTIANA TADEI:
Spero di aver capito bene la domanda. Allora ci sono due aspetti: uno è quello che vi dicevo prima, nel senso che nel prezzo del biglietto, come dire, nel prezzo del proprio stipendio ci sta che uno può esprimere al massimo le proprie competenze ma senza coinvolgersi fino in fondo e questo, come dire, è un vivere il lavoro solo a metà. È per quello che noi li sfidiamo su quest’altro aspetto, perché invece, nello stesso prezzo, tu puoi vivere una sfida imprenditoriale che ha tutto un altro sapore. Nello stesso prezzo puoi sentire l’azienda come tua e sentendo l’azienda come tua sprigioni una creatività che non ha eguali, da una parte. Dall’altra parte è chiaro che, molto concretamente, queste non sono solo chiacchiere, per cui ci sarà anche un piano di incentivi diffuso, dove ognuno, contribuendo alla realizzazione dei risultati aziendali, possa davvero partecipare come socio, quindi non solo a livello ideale, ma anche a livello molto concreto.

MARCO ALUIGI:
Così hai fatto capire ancora meglio cos’è questa imprenditorialità diffusa di cui ci hai parlato prima. Io vorrei davvero ringraziare Cristiana, la Chicca, per questa serata, perché il Meeting è grande quando è il Meeting, cioè quando dà la possibilità di incontrare qualcuno e lei stasera non ha fatto il compitino, il compitino ce l’aveva sotto, ogni tanto guardava, ma è stata se stessa e ha permesso a voi di incontrarla e ha fatto venire fuori il cuore che pulsa in lei, la passione, quello che c’è nell’azienda in questo momento, come il sogno sta andando avanti. Quindi mi sento di farle tanti complimenti.

(trascrizione non rivista dai relatori)

Data

22 Agosto 2018

Ora

19:00

Edizione

2018

Luogo

MeshAREA TALK Intesa Sanpaolo B1
Categoria
Arene