SITUAZIONE, RISORSE, ATTRATTIVITÀ DEL SISTEMA ECONOMICO ITALIANO

Dialogo con Giovanni Tria, Ministro dell’Economia e delle Finanze. Interventi introduttivi di Alberto Brugnoli, Professore di Economia Applicata all’Università degli Studi di Bergamo e Direttore Scientifico Fondazione per la Sussidiarietà; Fabrizio Palermo, Amministratore delegato e Direttore generale di Cassa Depositi e Prestiti. Modera Bernhard Scholz, Presidente Cdo.

Situazione, risorse, attrattività del sistema economico italiano

Dialogo con Giovanni Tria, Ministro dell’Economia e delle Finanze. Interventi introduttivi di Alberto Brugnoli, Professore di Economia Applicata all’Università degli Studi di Bergamo e Direttore Scientifico Fondazione per la Sussidiarietà; Fabrizio Palermo, Amministratore delegato e Direttore generale di Cassa Depositi e Prestiti. Modera Bernhard Scholz, Presidente Cdo.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Buonasera, benvenuti a questo incontro, sulla situazione del sistema economico italiano e sulle sue risorse e sulle sue attrattive attuali e potenziali. Questo nostro incontro sarà suddiviso in due parti: iniziamo con due interventi introduttivi, che parleranno del sistema delle piccole medie imprese nel nostro Paese, e poi dell’investimento nella crescita. Seguirà poi il dialogo col ministro Giovanni Tria, che saluto e che ringraziamo per la sua presenza fra di noi. Presento e saluto anche Alberto Brugnoli, professore di Economia applicata all’Università di Bergamo e direttore scientifico della Fondazione per la Sussidiarietà, e Fabrizio Palermo, amministratore delegato e direttore generale Cassa depositi e prestiti. Cominciamo con il rapporto che ha realizzato la Fondazione Sussidiarietà sul contributo delle piccole medie imprese allo sviluppo sostenibile: è stata una ricerca con diverse Università, con diverse associazioni. Cominciamo subito con la prima domanda ad Alberto Brugnoli: «Quali sono le principali sfide che il sistema economico italiano si trova oggi ad affrontare?».

 

ALBERTO BRUGNOLI:

Grazie presidente, grazi a tutti, buonasera ministro, grazie a tutti e grazie a lei. Considerati i tempi, sarò veramente telegrafico. Dal nostro osservatorio abbiamo individuato alcuni fenomeni importanti a livello internazionale e poi alcune specificazioni sul contesto nazionale. Le quattro grandi sfide che l’umanità tutta a affrontando a livello planetario, ci sembra possano essere riassunte in queste: la prima riguarda il mutamento del quadro antropologico, con la crisi delle evidenze più elementari e i valori più fondamentali della convivenza. Vado veramente per flash, mi scuserete. La seconda ha a che fare con l’impatto dei temi legati alla sostenibilità ambientale: normalmente a questi ci si riferisce con l’etichetta “green economy”, che ha come driver fondamentale tutti i processi di transizione energetica, la denominiamo “decarbonizzazione”, processi che vedono l’abbandono delle fonti fossili (carbone, petrolio e gas), e l’introduzione delle fonti di energia rinnovabile. La terza grande sfida concerne gli effetti che derivano dall’incrocio fra Big Data e sistemi intelligenti, è il fenomeno che va sotto il nome di “digitalizzazione”, soprattutto per gli impatti che ha con le nuove forme di organizzazione territoriale che prendono nome di “smart city”, città intelligenti, o “smart land”, territori intelligenti. Infine la quarta grande sfida a livello internazionale è senz’altro quella della dinamica demografica che vede sostanzialmente una popolazione ancora in crescita, mediamente più istruita, con aspettative di vita sempre più crescenti e quindi che pone tutti i temi dell’invecchiamento attivo, di nuovi bisogni e dei processi di migrazione. Ecco queste le quattro grandi sfide a livello planetario. Nei contesto italiano, in qualche modo ulteriormente potenziate da alcuni aspetti, tipicamente nostri e di altri sistemi, ma sicuramente tipicamente nostri, dal punto di vista demografico tutto il tema della ridotta natalità, che comunque ha un forte impatto sul nostro Paese e non solo; da un punto di vista economico, la bassa produttività del nostro sistema che ci vede comunque fanalino di coda tra i paesi Ocse ormai da diversi decenni, la disoccupazione soprattutto giovanile, in particolare nel mezzogiorno; dal punto di vista finanziario, lo stato delle variabili di finanza pubblica, il rapporto debito/Pil e le diatribe sul rapporto deficit/Pil; da un punto di vista politico-istituzionale, lo scollegamento spesso tra il livello politico-istituzionale e la realtà economico sociale. Infine, dal punto di vista sociale, una forbice tra quelli che sono i dati reali e quello che spesso è il percepito da parte della popolazione italiana, forbice che è sempre più rilevante e significativa.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Sicuramente torniamo sullo squilibrio della finanza pubblica. Di fronte a queste sfide, come sono posizionate le nostre imprese?

 

ALBERTO BRUGNOLI:

Innanzitutto noi abbiamo collocato le nostre riflessioni dentro l’orizzonte dello sviluppo sostenibile. Quindi non è più possibile parlare di sviluppo se non in termini di sviluppo sostenibile. L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite nel 2015 ha definitivamente fissato per tutti i Paesi aderenti alle Nazioni Unite 17 progetti di sviluppo sostenibile che riguardano tutti. È dentro questo orizzonte che ha senso parlare anche di diversi sistemi. Sviluppo sostenibile è quello che soddisfa i bisogni delle generazioni presenti, senza compromettere la possibilità di soddisfacimento dei bisogni di quelle future. A noi piace questa definizione di bisogno sostenibile, perché punta sui bisogni delle persone e fa capire che al centro di concetto di sviluppo sostenibile ci sono le persone e perché guarda a tutte le generazioni senza lasciare indietro nessuno. In qualche modo ci sembra che si possa guardare allo sviluppo sostenibile come a una riedizione di quanto nella tradizione umana, da Aristotele in poi, è stato chiamato “bene comune”. Quando guardiamo allo sviluppo sostenibile è interessante guardarlo così, anche se ogni cultura porta poi le proprie definizioni, ma ormai costituisce un terreno su cui è possibile dialogare con tutti. Questo è particolarmente rilevante. Bene, in questo contesto due minuti per dire che le piccole e medie imprese e i corpi intermedi nei quali esse si aggregano sono gli attori chiave per portare i territori nei quali sono inserite su percorsi di sviluppo sostenibile. In Europa le piccole e medie imprese sono circa 23 milioni e 850mila, il 99,9% del totale dei settori non finanziari, occupano 93 milioni di addetti. In Italia sono circa 4 milioni e 450mila, dati Istat, il 99,9% delle imprese dei settori non finanziari occupano tredici milioni di addetti. Hanno superato brillantemente la crisi del 2008. Occorre considerare però che stanno seguendo diversi modelli e percorsi di sviluppo molto differenziati. Dimostrano differente vitalità, differenti capacità di rafforzarsi normalmente in relazione a due grandezze: la prima, il proprio territorio di appartenenza, la seconda, le proprie specificità in termini di risorse, conoscenze, competenze e abilità. Comunque occorre dire che la produttività all’interno del settore è molto differenziata. Il ruolo delle medie aziende, di questo specifico segmento all’interno delle piccole e medie imprese, è particolarmente rilevante in un contesto di sviluppo sostenibile. In Italia giocano un ruolo importante sia come aggregatori di ampie filiere a forte base territoriale, sia come attivatori di diverse decine di centinaia di piccole e medie imprese, che collaborano nella realizzazione dei loro prodotti. Ultima battuta sulla relazione tra piccole e medie imprese, modelli territoriali e sviluppo sostenibile. In Italia e in Europa sono tre i modelli territoriali che si stanno affermando: il primo è quello delle aree di industrializzazione diffusa, che sono sostanzialmente le aree figlie e nipoti dei nostri distretti industriali. Il secondo modello di sviluppo territoriale è quello dei sistemi urbani, che è sempre più rilevante ma che è totalmente diverso dai sistemi e dalle aree di industrializzazione diffusa. Il terzo è quello delle aree ad alta valenza culturale. Le piccole e medie imprese sono ormai decisive in tutti e tre i modelli territoriali. Occorre tenere fortemente in conto le differenze tra questi modelli per concepire delle polis adeguate.

 

 

BERNHARD SCHOLZ:

Ultima domanda rispetto alle policies dell’Italia, cosa emerge come priorità?

 

ALBERTO BRUGNOLI:

Noi abbiamo chiaramente identificato sempre trasversalmente questi elementi che vi ho dato. Corrono trasversalmente lungo tutto il rapporto che è caratterizzato da dodici capitoli più puntuali. Abbiamo individuato chiaramente degli investimenti non più rinnovabili che ineriscono ai sei capitoli fondamentali di ogni sistema territoriale. Innanzitutto investimenti sul capitale umano, soprattutto per quanto riguarda le competenze dei giovani e sul capitale sociale soprattutto in relazione con gli agenti più importanti del territorio. Il capitale economico finanziario è poi importante per favorire l’accesso al credito e alle funzioni commerciali, così come la deburocratizzazione, il capitale infrastrutturale di trasporto e di connettività, il capitale ambientale per il patrimonio naturale, culturale e agricolo, il capitale istituzionale per rafforzare il presidio del ciclo di polis di progetto. Trasversalmente si impongono ricerca e sviluppo applicate ai temi rilevanti. Queste le policies in generale. Ci sono poi quattro priorità. La prima è la promozione della cultura sussidiaria. Noi pensiamo che questo Paese debba tornare fortemente a promuovere la cultura sussidiaria, non solo questo Paese ma questo Continente. Forse il Pianeta tutto. Perché la cultura sussidiaria favorisce il coinvolgimento e la partecipazione di tutti gli attori della società. Offre motivazioni adeguate per perseguire uno sviluppo sostenibile, agganciandosi ai desideri fondamentali di ogni persona, favorisce la collaborazione, l’inclusione, la solidarietà, riduce le disuguaglianze e il conflitto tra i diversi attori, permette di perseguire, al livello di policy, le migliori strategie di Governo e di governance multilivello sia verticale, tra i diversi livelli delle pubbliche amministrazioni, sia orizzontale, nel coinvolgimento dei diversi attori. Promuovere la cultura sussidiaria innesta i corpi intermedi, perché i corpi intermedi svolgono fondamentali compiti che altri non svolgono. Offrono servizi per lo sviluppo sostenibile, hanno senz’altro una funzione di rappresentanza ma soprattutto aiutano a educare i desideri dei singoli e a farli tendere verso il bene comune. Infine promuovere la cultura sussidiaria favorisce gli attori sistemici cioè quegli attori che ci sono e nei differenti territori si sanno muovere con un orizzonte di sviluppo sostenibile. Non tutti gli attori si muovono così, ma ce ne sono nei territori che si muovono così. Sono pubblici, sono privati, sono singoli, sono aggregazioni di soggetti, sono corpi intermedi che sanno aggregare attorno a sé risorse umane e finanziarie per muoversi su percorsi di sviluppo sostenibile. Bisogna tornare o sempre più promuovere questi attori sistemici. Termino, con le altre tre priorità: promuovere la cultura sussidiaria come prima priorità, promuovere i giovani, le piccole e medie imprese giovani, in particolar modo attraverso il raccordo tra formazione e lavoro. Qui io cito una frase del rapporto Ocse dell’anno scorso che dice come un percorso di istruzione e formazione di un bambino che ha iniziato a frequentare nel 2018 il primo anno di scuola primaria e quindi concluderà gli studi secondari nel 2031, potrà servire a prepararlo per lavori che non sono ancora stati creati, per tecnologie che non sono state ancora inventate, per risolvere problemi che non immaginiamo ancora, perché questo è dove ci sta portando l’evoluzione tecnologica in brevissimo tempo. I percorsi formativi devono essere pensati avendo in mente questo: che chi studia oggi non ha in mente sicuramente, non avendolo neanche i professori, che tipo di lavoro andrà a fare e con che tecnologie potrà confrontarsi. Allora è molto importante assicurare, innanzitutto è una questione culturale, il valore formativo del lavoro e quindi la sfida dell’apprendistato. Terza priorità, piccole e medie imprese, collaborazione e internazionalizzazione: questo è un crocevia fondamentale per lo sviluppo del sistema paese. Quarta e ultima priorità riguarda l’importanza dell’accesso al credito; le piccole e medie imprese, italiane e non solo, hanno spesso trovato, quasi sempre trovato, nei prestiti bancari l’unica fonte di finanza esterna, e a condizioni peggiori rispetto alle altre imprese di più grandi dimensioni. Occorre quindi ripensare, rilanciare, modelli di business bancari, riconsiderando un nuovo ruolo anche per i confidi nella veste di intermediari, per i consulenti che pilotano le piccole e medie imprese nel reperimento di soluzioni di finanziamento sul mercato, che ormai è rivoluzionato dall’innovazione digitale. Affianco del finanziamento bancario, i finanziamenti non bancari. Occorre tornare, insistere sul sostegno a lungo termine della struttura patrimoniale delle imprese, insistere su fonti di finanziamento con accesso a nuovi canali. Guardiamo con molto interesse al ruolo che Cassa depositi e prestiti saprà assumere nel prossimo futuro, come attore del territorio. Grazie e scusate la velocità.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Grazie per la capacità di sintesi e di chiarezza. È già stato accennato al ruolo, alle aspettative nei confronti della Cassa depositi e prestiti, che è una società per azioni controllata per l’ 83% dal ministero dell’Economia e delle finanze, e per il 16% dalle Fondazioni bancarie. C’è una cosa strana nella percezione, visto che prima abbiamo detto che in Italia la differenza tra realtà e percezione è molto elevata, della Cassa depositi prestiti, perché è come se fosse la banca di salvataggio, quando c’è qualcosa che non funziona e l’impresa è in default, arriva la Cassa depositi prestiti. Di fronte però al vostro piano triennale di un investimento per 200 miliardi, mi sembra veramente una percezione non del tutto congruente.

 

FABRIZIO PALERMO:

Innanzitutto buon pomeriggio, ringrazio gli organizzatori per questo invito, saluto il ministro. Cassa depositi e prestiti, come diceva lei, purtroppo soffre da tempo di questa anomalia, di essere percepita come un soggetto, soprattutto a livello giornalistico, di un soggetto che interviene in situazioni problematiche, quando in realtà è soprattutto un’istituzione, un’istituzione partecipata dal ministero del Tesoro e dalle Fondazioni bancarie, che oggi si avvia a raggiungere i 170 anni di età; è un’istituzione che si basa su un concetto semplice e molto vicino al territorio, ovvero raccogliere il risparmio postale attraverso gli uffici postali a livello capillare, per poi reinvestirlo nella quotidianità delle persone, finanziando, attraverso gli enti pubblici, scuole, strade, autostrade, ospedali, tutto quello che fa parte della quotidianità. Questo è un percorso iniziato tanto tempo fa, che ha subito delle evoluzioni, tenendo conto anche ovviamente dell’evoluzione del contesto economico, ma che non l’ha mai snaturata, cioè rimane un’istituzione, come dico io, “finanza a km zero”, perché non esiste comune dove non ci sia un ufficio postale che raccoglie e poi reinveste a livello locale.

Questo si è andato sofisticando. Cito tre numeri: noi oggi abbiamo 430 miliardi di attivo consolidato, raccogliamo attraverso i canali del risparmio postale 250 miliardi, abbiamo 26 milioni di clienti. Noi gestiamo il risparmio innanzitutto privato, con una logica finanziera di attenzione al ritorno economico finanziario, attenzione ad ogni singolo investimento ma con una logica di sostenibilità che è insita nel concetto stesso di nascita della Cassa depositi e prestiti. C’è attenzione anche a quello che è il sostegno e lo sviluppo del Paese, sostegno che con questo piano industriale abbiamo portato sempre più verso il territorio, per cui sono molto contento di questo evento, perché l’obiettivo del piano è riavvicinare Cassa depositi e prestiti al territorio. Noi portiamo il buon libretto postale, ognuno di noi se lo ricorda come quello della nonna, che oggi abbiamo reso digitale. È un prodotto finanziario oggi molto attuale, che ci consente oggi di investire nella quotidianità. Cassa è presente, anche attraverso le sue partecipate, in quella che è la vita, dal finanziario alle infrastrutture elettriche, dalle infrastrutture del gas alle scuole. Noi finanziamo una scuola ogni due giorni, pochi lo sanno, per cui finanziamo la formazione scolastica. Mi sono ritrovato in molti dei temi sollevati nella ricerca, perché Cassa storicamente ha questo tema della circolarità, ha questo tema anche del creare rete con una logica privatistica di mercato.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Quali sono le vostre strategie di investimento?

 

FABRIZIO PALERMO:

Il piano industriale che abbiamo approvato a dicembre punta su quattro direttrici. La prima è l’impresa. Impresa significa per noi sostenere tre ambiti. Innanzitutto l’innovazione. Siamo il principale soggetto finanziatore del venture capital oggi in Italia e adesso stiamo lanciando il Fondo Nazionale Innovazione, dove non è tanto il tema delle risorse che mettiamo a disposizione, ma il collegamento tra innovazione e settori industriali, perché se l’innovazione non ha uno sbocco industriale, questa innovazione non riesce a crescere. Questo lo facciamo perché noi abbiamo un portafoglio di partecipazione di 30 miliardi, siamo il più grosso azionista, essendo parte del ministero del Tesoro, di aziende industriali, investiamo oltre in 500 aziende in tutti i settori merceologici. Creando questo contatto, crediamo di dare un boost sull’innovazione. Secondo aspetto è la crescita, crescita domestica e internazionale. Crescita domestica per noi significa investire sulle filiere, significa essere affianco anche delle grandi aziende, significa investire anche sulla crescita internazionale. Adesso stiamo facendo un lavoro di ritorno sul territorio, perché Cassa era un soggetto molto presente a Roma ma non presente sul territorio, con una logica che non vuole essere bancaria, vuole essere di presenza selettiva, con una logica di raccolta delle informazioni, combinando un canale fisico con un canale digitale, che oggi abbiamo completamente rinnovato e che abbiamo reso accessibile a tutte le aziende. Ultimo aspetto è l’accesso al credito. Noi lavoriamo col sistema bancario, abbiamo fatto proprio qualche settimana fa un accordo proprio su questo, perché noi crediamo molto nel trovare della diversificazione per fare leva sul sistema bancario, per facilitare l’accesso al credito anche delle medie e piccole imprese. Poi c’è il mondo delle infrastrutture, dove noi siamo presenti non più solo con una logica di finanziatore, ma abbiamo voluto fare qualcosa in più, abbiamo creato una comunità interna che supporta soggetti pubblici e provati, in una strutturazione di progetti. Cassa ha assunto degli ingegneri per aiutare nella strutturazione di progetti infrastrutturali, perché ci eravamo resi conto che fare la parte finanziaria non basta più. Su questo noi affianchiamo le pubbliche amministrazioni in tutti i progetti, spesso collegati a temi di sostenibilità, di energie rinnovabili; abbiamo lavorato anche con le aziende del gruppo lanciando nuove iniziative. Terzo aspetto, cooperazione. La cooperazione internazionale è un’attività che si è aggiunta negli ultimi anni, negli ultimi due anni, in cui noi siamo il fondo che è del ministero degli Esteri, per la cooperazione. Inoltre abbiamo messo risorse per finanziare progetti, spesso promossi da aziende anche italiane, in Paesi in via di sviluppo, per promuovere lo sviluppo con una logica di sostenibilità, non solo in Italia ma anche in quei Paesi. Ultimo aspetto, lavoriamo con le aziende del gruppo, creando sistema, perché chiaramente noi siamo un grosso azionista, ma far lavorare insieme queste aziende significa creare opportunità. E questo lo stiamo facendo, sono partite tante iniziative, alcune anche con l’Eni, con grosse realtà, in cui stiamo creando nuove aziende che investono ad esempio nella conversione dei rifiuti, tutti temi collegati al mondo della sostenibilità.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Lei ha accennato alla dimensione internazionale, in altri Paesi, ad esempio in Francia o in Germania, esistono enti con un ruolo analogo. Voi lavorate insieme, anche perché oramai le imprese sono internazionalizzate, soprattutto a livello europeo?

 

FABRIZIO PALERMO:

Assolutamente sì, noi collaboriamo molto coi nostri omologhi, sia i grandi cioè Francia e Germania, sia con realtà simili a noi, ad esempio in Tunisia, in cui abbiamo fatto un’iniziativa molto interessante sul money transfert, mettendo in comunicazione i nostri sistemi con i loro e consentendo il trasferimento di risorse tra questi due Paesi per creare sviluppo a livello locale.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Ultima domanda: l’Italia è un paese mono-fatturiero, un paese di turismo, un paese che lavora molto sulla moda, sull’agroalimentare. Voi stabilite per i vostri investimenti delle priorità o rispondete semplicemente alle richieste che vengono fatte?

 

FABRIZIO PALERMO:

Noi chiaramente valutiamo gli investimenti in base alle priorità, presenti già in alcuni settori, spesso lavoriamo in forte collaborazione con aziende già del gruppo, perché su questo, la nostra presidente, è già abbastanza variegata. Sul turismo lanciando un tema di formazione nel campo del turismo. La stessa cosa la stiamo facendo con aziende industriali del gruppo, ma chiaramente collaboriamo anche con aziende fuori dal gruppo, per esempio con tutta la filiera della difesa, con Leonardo, su cui stiamo investendo molto perché riteniamo che quello sia un settore di eccellenza. Queste linee sono poi dettate dal nostro consiglio di amministrazione.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Grazie mille, grazie Fabrizio Palermo, grazie Alberto Brugnoli. Chiedo al signor ministro di raggiungerci sul palco. Grazie di nuovo signor ministro per la sua presenza, cominciamo il nostro dialogo con una sua impressione rispetto a quello che ha sentito. Abbiamo parlato della spina dorsale del nostro Paese, delle piccole e medie imprese, abbiamo parlato di investimenti importanti, perché senza investimento non c’è crescita e di crescita ne abbiamo tanto bisogno.

 

GIOVANNI TRIA:

Si mi ha fatto molta impressione la prima relazione, l’importanza della piccola e media impresa e quest’idea di sussidiarietà che io credo sia molto importante. Credo, però, che forse vada ripensata per ricollocarla nel mondo odierno, caratterizzato da dei processi ormai avanzati di globalizzazione, caratterizzati dall’iper-connettività. Cosa significa questo? Significa anche che una piccola impresa, e non parliamo della media impresa, possa immediatamente connettersi globalmente. Ora l’iper-connettività crea molti beni pubblici globali, ma crea anche dei processi di disuguaglianza ed iniquità. La piccola media impresa può connettersi con il mondo globale e sfruttare questa opportunità, questa è una gran cosa, ma porta anche al fatto che a volte può fare a meno del territorio. Crea infatti un processo di disintermediazione. Si parlava prima del ruolo dei corpi intermedi, ora bisogna capire cosa sta avvenendo in questo processo di disintermediazione, che in qualche modo ha un effetto grande sulle società, creando legami deboli tra le imprese e tra le persone, anche a livello globale, rompendo quei legami forti che tenevano in piedi e coese le nostre società. Questo significa che forse dobbiamo vedere come ricreare tutto questo, tenendo conto del mondo globale e significa quindi che noi dobbiamo pensare a politiche che non possono partire solo dal locale, ma anche ripensare le grandi politiche a livello globale. Perché i poli sono due, altrimenti potremmo avere delle complicazioni nel tentativo di raggiungere i giusti obiettivi che sono stati indicati.

 

 

BERNHARD SCHOLZ:

Signor ministro, abbiamo sentito parlare di investimenti con risorse private. Lei ha sempre sostenuto la grande importanza di investimenti con risorse pubbliche. E questo viene spesso messo in contraddizione con le risorse pubbliche che ci sono, cioè viene detto di aumentare il deficit per poter investire. È necessario fare deficit per fare investimenti pubblici? La crescita dipende proprio da un aumento del debito? Siamo in questa contraddizione?

 

GIOVANNI TRIA:

La crescita dipende dagli investimenti. Il problema è che nel mondo c’è ampia liquidità e anche in Europa. C’è un eccesso di liquidità, ma non ci sono gli investimenti. Questo perché sono aumentate le opportunità di investimento, ma anche il rischio di investimento e torniamo a questo processo di globalizzazione che dà opportunità, ma aumenta i rischi. Ciò accade anche nei settori più innovativi. Questo significa anche che noi dobbiamo creare delle condizioni per una maggiore profittabilità dell’investimento privato e quindi io sono un sostenitore di investimenti pubblici, certamente non in sostituzione, ma l’investimento pubblico deve portare ad aumentare il rendimento dell’investimento privato e quindi portarlo con sé. Questa è la cosa fondamentale. Non c’entra con il deficit. Può c’entrare con il deficit. Il deficit è uno strumento di politica economica, non bisogna demonizzarlo, ma bisogna vedere per che cosa lo si fa. Il problema in Italia, per esempio, degli investimenti pubblici, non è certamente quello della mancanza di fondi. I fondi ci sono e ci sono da anni, ma non vengono utilizzati, perché c’è una difficoltà di realizzare questi investimenti. Il problema che si pone è: perché allora non si fanno questi investimenti pubblici? Io credo che ci siano due questioni fondamentali. Da una parte dobbiamo cambiare le regole, abbiamo poco tempo per questo, ma per esempio questo inverno avevo lanciato (come anche ministero dell’Economia e finanza) la proposta che per un periodo tornassimo alla Direttiva europea sugli appalti pubblici. Significa eliminare quello che in gergo viene chiamato il gold-plating, diciamo questa sovrastruttura di regole che abbiamo messo intorno alla Direttiva europea. Ma questa è una parte del problema. L’altra parte del problema è stata forse anche citata, cioè la capacità della pubblica amministrazione del settore pubblico di progettare in modo corretto. L’altro aspetto della questione è dunque incrementare la capacità tecnica di progettazione e di implementazione dei progetti, a livello pubblico nazionale e locale. Io credo che questa capacità tecnica sia stata progressivamente quasi distrutta negli ultimi decenni e vada ricostruita.. Sono due questioni. Devono essere messe insieme, dopo di che il problema del deficit si porrà se e quando avremo esaurito i fondi che abbiamo stanziato, che sono fermi. Stiamo lavorando su questo.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Quindi sono fondi fermi che non vengono utilizzati perché…

 

GIOVANNI TRIA:

In parte non vengono utilizzati. Quest’anno un po’ di investimenti sono stati messi in moto a livello locale. Sono stati dati dei fondi ai Comuni che sono stati i primi a muoversi, ma appunto bisogna agire da una parte sulla parte normativa sul codice degli appalti, che spesso blocca tutto. Bisogna ricreare questa capacità tecnica della pubblica amministrazione, che deve nuovamente essere capace di fare e non solo di far fare agli altri quello che non è più capace di fare lei stessa e quindi non è più in grado neppure di controllare coloro che essa incarica di fare.

 

 

BERNHARD SCHOLZ:

Questo farebbe parte della riforma della Pubblica amministrazione…

 

GIOVANNI TRIA:

Io non credo alle grandi riforme. Concentriamoci su alcuni aspetti specifici. Il punto centrale dell’Italia è far ripartire crescita. Io credo che per attrarre investimenti sia necessario far ripartire gli investimenti di infrastrutture materiali e immateriali, creare l’ambiente quindi, per cui gli investimenti privati possano trovare maggior rendimento. L’altro grande problema è il rischio legale. In tutto il mondo gli investitori ci dicono che ci sono molte opportunità in Italia, ma la paura è del rischio legale, cioè abbiamo bisogno di una riforma della giustizia. Il rischio legale viene visto non soltanto come lentezza delle procedure, ma anche come imprevedibilità e facilità con cui si passa da procedimenti amministrativi a civili e penali. Questo rischio viene visto in Italia, non viene visto in altri Paesi. Quindi, forse, dobbiamo pensare a questo.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Questo è un punto che rende l’Italia poco attrattiva per gli investitori…

 

GIOVANNI TRIA:

Questa è una delle questioni centrali che vengono poste dagli investitori internazionali e ovviamente non è che gli investitori italiani pensino diverso da quelli stranieri. Vanno ad investire all’estero e non in Italia, se non si risolvono questi problemi.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Un altro punto a cui guardano i mercati finanziari internazionali è il nostro debito. Lei ha sempre sostenuto che l’Italia è comunque un’economia solida, che il debito è sostenibile e che lo spread corrisponde poco alla realtà dei fatti. Se guardiamo anche il bilancio italiano, c’è sempre un avanzo primario, abbiamo più entrate che uscite. Quindi di per sé potrebbe essere sostenibile, però il debito c’è. Di fronte a questo debito si pone la domanda se riusciamo a ridurlo. Per ora tutte le spending review, tutti gli sforzi per ridurre la spesa corrente si sono fermate. C’è una speranza o lasciamo inevitabilmente alle future generazioni questo fardello?

 

GIOVANNI TRIA:

No, c’è una speranza. Il nostro debito percentuale Pil, ovviamente, è molto alto e in ogni caso negli ultimi anni si è sostanzialmente stabilizzato, anche rispetto a un anno che ha avuto dei momenti di difficoltà, mi pare che abbiamo pienamente la fiducia dei mercati. Da venti anni l’Italia ha un surplus primario, il che significa che sono vent’anni che non c’è una finanza allegra. La questione del debito è di ottenere una discesa lenta del debito che dipende da tre variabili: dal tesso di crescita, dal tasso di interesse che si paga sul debito e dallo stock. Nel mondo abbiamo una situazione in cui i tassi di interesse che si pagano sui debiti sono inferiori ai tassi di crescita. Ora c’è un momento particolare di rescissione economica. L’Italia in questo momento non ha questa condizione, per cui se il tasso di crescita nominale è superiore al tasso di interesse medio che si paga sul debito, il debito scende, ma siamo in condizione di stabilizzarlo sostanzialmente. Il problema è far ripartire la crescita, ma non si fa ripartire la crescita soltanto creando nuovo debito, si fa ripartire la crescita affrontando i problemi che ho citato, ovviamente insieme a tanti altri che non abbiamo tempo di affrontare. La questione del deficit non deve essere, non è un tabù, il deficit è uno strumento, non è un fine certamente, come a volte sembra, bisogna vedere quando è conveniente fare deficit e quando non è conveniente fare deficit. Una famiglia in genere si indebita per acquistare la casa, ma non si indebita per pagare l’affitto, lo può fare magari soltanto per un mese o un anno, non può pensare di avere un affitto troppo alto e coprirlo col debito. Oltretutto le decisioni sul debito non sono unilaterali. Fare deficit e fare debito significa che da una parte c’è un debitore e dall’altra parte c’è un creditore, significa chiedere soldi a prestito e ci deve essere qualcuno che è disponibile a darlo a condizioni accettabili, se ha fiducia. In questo momento, noi, grazie a una prudente conduzione della nostra politica di bilancio, abbiamo questa fiducia, ma abbiamo la fiducia se il debito che noi chiediamo di sottoscrivere ai nostri creditori viene utilizzato in modo oculato e se serve non per finanziare spesa corrente.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Lei è riuscito ad evitare la procedura di infrazione a Bruxelles, è riuscito a convincere la Commissione con questi argomenti o ce ne sono stati anche altri?

 

GIOVANNI TRIA:

Beh, più che argomenti sono stati i fatti. Paradossalmente noi quest’anno abbiamo approvato delle misure che questo Governo voleva portare avanti, alcuni le approvano, alcuni no, questo fa parte della diversità di opinione sulle policies, ma allo stesso tempo abbiamo mantenuto i conti in ordine in un anno che è stato molto difficile, di stagnazione. È stata fatto, quest’anno, dopo tanti anni, il primo aggiustamento della struttura di bilancio. La fiducia dei mercati è stata riconquistata progressivamente in base ai fatti: attualmente paghiamo sul nostro debito decennale un interesse pari a 1,5, dal punto di vista storico un tasso bassissimo anche se superiore a quello degli altri paesi europei. Grazie a questo noi possiamo affrontare la conduzione della nostra politica di bilancio in modo abbastanza tranquillo, anche se ovviamente abbiamo di fronte delle decisioni complesse.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Di fatto, in questo momento, lei ha sottomano la preparazione della legge finanziaria, una legge di primaria importanza, che è anche molto attesa per alcune problematiche che forse affronteremo subito dopo, ma ci troviamo in una situazione di transizione: c’è una crisi di Governo. Lei quindi sta preparando una legge della quale non si sa ancora come va a finire l’iter della discussione parlamentare, dell’approvazione. Però, a prescindere da queste incognite, quali sono i capi saldi che secondo lei dovrebbero realizzarsi in questa legge?

 

GIOVANNI TRIA:

Abbiamo lavorato finora, insieme al ministro del Tesoro, ai vice ministri, alle due parti politiche in modo costruttivo per vedere i vari tasselli da mettere insieme. L’obiettivo è stato dato dal Parlamento, che ha chiesto di mantenere gli obiettivi dei saldi di bilancio pubblico, ma anche di non ricorrere all’aumento previsto dell’iva. Ora, l’aumento dell’iva è stato deciso a copertura di spese che sono state decise, non nasce dal nulla.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Nel 2011.

 

GIOVANNI TRIA:

Le spese per il 2019, e per il 2020 diciamo, ma voglio dire che nel frattempo, già nel corso dell’anno, purtroppo, anche in una situazione di stagnazione, abbiamo riguadagnato degli spazi di manovra fiscale, perché le proiezioni tendenziali ci parlano di un deficit più basso di quello che prevedevamo. Poi, stiamo cercando quali sono le spese correnti che possono essere ridotte e utilizzate per non procedere all’aumento dell’iva, almeno non pienamente, e dall’altra parte, per cercare di ridurre la pressione fiscale. È ovvio che già la riduzione dell’iva è una riduzione della pressione fiscale, anche se, si deve evitare un aumento della pressione fiscale. Spesso ripeto che una cosa è discutere sulla pressione fiscale, una cosa è discutere sulla composizione della pressione fiscale, su qual è il prelievo più conveniente, perché in qualche modo un gettito tributario è necessario. Stiamo lavorando in questo modo e evidentemente poi, a settembre, si prenderanno decisioni politiche sulla destinazione delle risorse. Fare una legge di bilancio, fare una manovra, significa soltanto decidere la destinazione delle risorse. Quindi questo sarà evidentemente compito delle forze politiche che saranno al Governo, adesso è incerto, diciamo, alla fine di settembre. Questo è un po’ il quadro. Si sono fatte manovre in passato anche più forti e le decisioni sul livello di deficit dovranno essere prese considerando anche qual è la situazione economica, quale sarà alla fine di settembre. Purtroppo ci troviamo in una situazione economica non buona, come a tutti noto, ma è una situazione che vede una Germania che sta entrando in recessione e tutta l’Europa di conseguenza è in forte rallentamento. L’Italia ha subito lo stesso shock che ha subito la Germania, e quindi stiamo su un livello di quasi stagnazione. È difficile avere un andamento divergente in senso positivo, ma non l’abbiamo avuto divergente in senso negativo, voglio dire che, paradossalmente, anzi non paradossalmente, l’economia italiana ha mostrato una resistenza di fronte a questi shock. Noi crescevamo ad un tasso inferiore dell’1% della media europea, dell’1,5% rispetto alla Germania, adesso la distanza è molto minore. Le previsioni sono solo previsioni, ma insomma si parla di una distanza intorno a poco più di zero, intorno allo zero. Non è una recessione endogena, quando il mondo va in crisi e l’Europa scende, ovviamente l’Italia non è un’isola, ma stiamo resistendo a questo. Il modo migliore di resistere è usare bene le nostre risorse e puntare su riforme necessarie a favorire gli investimenti e fare gli investimenti.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Quindi c’è il grande tentativo di disinnescare le clausole di salvaguardia che chiederebbero poi un’Iiva per 23 miliardi.

 

GIOVANNI TRIA:

Si io direi, più in generale, che è necessario ridurre la pressione fiscale.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Allora, parliamo un attimo della riduzione della pressione fiscale. Una domanda al ministro, al professore. Perché uno dei temi più discussi è la composizione, come lei ha accennato, delle imposte. Ci sono le imposte dirette e quelle indirette. Tanti economisti, e penso anche lei, sostengono che è meglio ridurre le imposte dirette e aumentare quelle indirette.

 

GIOVANNI TRIA:

Sì io penso che sia preferibile. La scelta di politica fiscale, la composizione del prelievo è chiaramente la scelta politica per eccellenza e quindi spetta alle forze politiche. Dal punto di vista tecnico-scientifico, io credo che non ci sia dubbio che in questo momento è preferibile ridurre la imposizione sui redditi, Irpef, cuneo fiscale, quindi avere più spazio per questa riduzione con imposte indirette, cioè spostare la pressione fiscale dalle persone alle cose. Questo significa anche avere la cosiddetta svalutazione fiscale, perché tutti pagano l’iva, anche i beni importati, mentre noi togliamo dai costi di produzione il cuneo fiscale, cioè la parte di prelievo fiscale che entra nella determinazione dei salari reali. Non credo, come sempre si dice, che l’aumento dell’iva peserebbe sui consumi. Se l’aumento dell’iva viene compensato dalla riduzione delle altre tasse, dell’Irpef, non credo che si avrebbe un impatto inflazionistico come in passato si diceva, anche perché noi stiamo cercando, noi e soprattutto la Banca centrale europea, di avere un impatto inflazionistico e quindi questo favorirebbe l’economia.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Noi abbiamo parlato di diversi problemi, anche molto domestici, poi abbiamo però tutto uno scenario internazionale, nel quale si è scatenato improvvisamente e imprevedibilmente una guerra commerciale. Si parla di dazi, si parla di protezionismo, cose che sembravano superate. Quali sono i possibili effetti di questi nuovi scenari sul sistema economico italiano?

 

GIOVANNI TRIA:

L’impatto è abbastanza forte, perché non è soltanto, ovviamente, sull’Italia, ma innanzitutto c’è un impatto sull’economia globale, poi ovviamente sull’economia europea e sull’economia italiana e lo stiamo vedendo. In questo momento non si tratta soltanto di dazi. La guerra commerciale sulla tecnologia sta mettendo in discussione quelle che sono le chiamate, le catene globali, del valore. Il che significa che se io faccio un progetto di investimento, molti input intermedi, anche di altre tecnologie, e di ogni tipo, mi permettono di comprare nelle varie parti del mondo per produrre. Se si mettono in discussione queste catene su cui è cresciuta l’economia globale degli ultimi decenni, ed è cresciuta la produttività negli ultimi decenni, si interrompono i piani di investimento. E quindi c’è un’ incertezza che si sta riflettendo sui programmi di investimento e sta determinando un rallentamento dell’economia globale, un rallentamento dell’economia europea e italiana. Ora, di fronte a questo il mondo cambia. E si pone un problema anche di mutamento rapido di quelle forme di sviluppo, come quello tedesco, basato solo sulle esportazioni, che di per sé non può essere se non temporaneo, perché non ci può essere un Paese sempre in surplus e gli altri in deficit permanente. Questa questione si pone oggi al centro dell’Europa e anche in discussione nel mondo. Nello scorso autunno, in tutte le riunioni internazionali del fondo monetario si discuteva dei pericoli di una crisi finanziaria, e quindi del consolidamento finanziale della prudenza fiscale. Da quest’inverno e poi sempre più in primavera, si discute invece del pericolo di una crisi economica. Come sostenere l’economia? Nell’ultima riunione del G7, esplicitamente i governatori delle grandi banche centrali, oltre ad annunciare politiche monetarie espansive, chiedevano politiche di bilancio che fossero accomodanti e aiutassero la politica monetaria. Questa discussione ormai è in corso anche in Europa. E quindi il problema italiano è di partecipare a queste discussioni in Europa. Quest’anno è in discussione il cambiamento delle politiche economiche, delle politiche industriali, delle politiche della concorrenza, delle politiche degli investimenti a livello europeo, e nella direzione che noi per tanti anni abbiamo sostenuto. Noi dobbiamo essere presenti lì, ed è anche per questo motivo che io penso che è inutile, con mesi di anticipo, parlare di livelli di deficit. La discussione sta cambiando, il problema di fissare il livello di deficit dipende dall’accoglienza dei mercati finanziari, di chi deve darci soldi in prestito, e dipende dalla nostra necessità e di colpo possiamo utilizzare le risorse aggiuntive, in caso. Ma tutto ciò va discusso in quest’ambito più ampio. Il mondo sta cambiando, anche l’Europa sta cambiando, e noi non possiamo ignorarlo, non possiamo discuterne come se ne discuteva appena un anno fa, perché stanno cambiando anche, ovviamente, le idee.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Secondo lei che conosce oramai molto bene lo scenario europeo, queste pressioni internazionali porteranno ad una maggiore coesione a livello europeo o porteranno una maggiore tensione?

 

GIOVANNI TRIA:

Questo è difficile dirlo. Io ho visto quest’anno un processo di disgregazione dell’Europa, che non viene dal dibattito italiano. C’è una parte degli Stati europei che non vuole procedere nel processo di integrazione e che si oppone chiaramente, in alcune politiche nazionali e impedisce nei fatti di promuovere politiche a livello europeo, che invece sono sostenute solo dalla Francia, dall’Italia, ma anche dalla Germania. Non era così soltanto poco tempo fa. Io spesso dico che, nei fatti, i sovranisti sono i Paesi del nord, non sono i Paesi del Mediterraneo. Ma, come dicevo, quello che accade nel mondo e di conseguenza in Europa, porta nuove idee, porte a mettere in discussione delle situazioni che si erano anche incancrenite. Io spero che sia possibile ricostituire delle politiche europee a partire dalle politiche di bilancio, dalle politiche di investimento. Non bisogna avere tabù, ma bisogna muoversi in modo prudente. Io ho sempre sostenuto che, ad esempio, dobbiamo anche superare i tabù di monetizzazione della spesa per gli investimenti. Ma solo quella a livello europeo. Sono stati usati degli aggettivi secondo me impropri per definire il carattere delle manovre. Si è parlato a volte di manovre coraggiose o meno coraggiose. Io penso che il coraggio sia una bella cosa, ma implichi l’attitudine ad affrontare il rischio. Ed è una virtù degli imprenditori. Perché gli imprenditori rischiano i propri capitali, i propri soldi. Quando si va nel settore pubblico, trovo improprio l’aggettivo, perché l’idea di fare i coraggiosi con i soldi altrui, non lo vedo connesso molto al coraggio. Forse ci vuole responsabilità nell’utilizzo dei soldi degli altri.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Un’ ultima domanda riguarda la modalità con la quale si comunica, si parla di questi temi. L’economia incide sempre di più anche sulla vita politica, sulla vita sociale di un Paese, e non sono temi facili da comprendere. Spesso c’è una riduzione di questa complessità a due, tre concetti, anche molto semplificanti. Come possiamo arrivare a una comunicazione più reale?

 

GIOVANNI TRIA:

Sì, esiste un grosso problema di percezione, perché è facile far passare delle narrative su cose che non esistono. Basta una firma che Giovanni Tria sostiene una cosa, e se Giovanni Tria non risponde immediatamente, questo diventa una specie di verità, magari non l’ha mai detto. Nessuno troverà mai, per esempio, una mia dichiarazione su livello del deficit, a cui si dovrà arrivare con questa manovra. Ci saranno fatti oggettivi, ma non si è mai discusso di questo. È un problema complesso, io credo di non avere la soluzione, anche perché ho una certa età, e sono legato anche a vecchi modi di operare a livello accademico, lo riconosco. Una volta arrivai in un convegno sulla leadership e sul rapporto tra i leader e il popolo. Arrivai tardi, mi chiesero due parole, e dissi solo questo: «Il problema è che sembra che attualmente l’élite non abbia nulla da dire, e non trovi una soluzione, quindi noi dobbiamo trovare soluzioni per un mondo che è cambiato». Uno di questi problemi è questo.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Grazie, signor ministro. Penso che lei abbia contribuito a fare un po’ di chiarezza su tanti temi anche difficili. Ringrazio ancora Fabrizio Palermo e Alberto Brugnoli, vi auguro una buona serata, un buon proseguimento del Meeting e vi invito a considerare che anche questo Meeting ha un suo bilancio con le sue entrate e le sue uscite. Se volete contribuire affinché il Meeting possa prosperare e dare un contributo anche alla cultura, alla vita sociale politica di questo Paese, dove vedete un cuore rosso, potete fare una donazione. Grazie mille.

Trascrizione non rivista dai relatori

 

Data

23 Agosto 2019

Ora

19:00

Edizione

2019

Luogo

Salone Intesa Sanpaolo B3
Categoria
Incontri