PIÙ RAPIDI, PIÙ AGEVOLI, PIÙ SOSTENIBILI: QUALI MEZZI PER LA MOBILITÀ?

Più rapidi, più agevoli, più sostenibili: quali mezzi per la mobilità

In collaborazione con Invitalia. Partecipano: Domenico Arcuri, Amministratore Delegato Invitalia; Raffaele Cattaneo, Assessore alle Infrastrutture e Mobilità Regione Lombardia; Altero Matteoli, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti; Mauro Moretti, Amministratore Delegato Ferrovie dello Stato; Roberto Tazzioli, Presidente e Amministratore Delegato Bombardier Transportation Italy Spa. Introduce Emmanuele Forlani, Coordinatore Segreteria Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà.

 

EMMANUELE FORLANI:
Più rapidi, più agevoli, più sostenibili: quali mezzi per la mobilità?
È ormai tradizione che il Meeting dedichi un momento importante, negli incontri all’interno della settimana, ad affrontare il tema delle infrastrutture, il tema dei trasporti, il tema della mobilità. Lo ha sempre fatto sottolineando anche che temi come questi hanno una ricaduta sui cittadini e una rilevanza sui punti di investimento, di sviluppo dell’intero sistema paese.
Sui relatori di oggi, che non avrebbero bisogno di presentazioni, non mi dilungherò, anche per lasciare spazio ai loro interventi. Sono tutti autorevoli e ci aiuteranno ad approfondire questi tre aggettivi: più rapidi, più agevoli, più sostenibili, alla luce dei loro incarichi, della loro esperienza e della loro attività. È evidente, è patrimonio comune che il tema della mobilità ha a che fare col tema della rapidità, della agevolezza, della sostenibilità, con l’assunto che i mercati globalizzati in qualche modo impongono di affrontare anche il tema della lentezza, il mancato investimento in infrastrutture come un elemento che ritarda lo sviluppo di un paese e non solo ritarda l’occupazione, ritarda lo svolgimento della giornata quotidiana di ciascuno di noi, ma ritarda anche lo sviluppo del paese. Di fronte a questi aspetti, di fronte alle scarse risorse a cui il nostro paese evidentemente deve far fronte e quindi al tema degli investimenti, si è aperta in questi anni anche la domanda di quali possono essere gli investitori che sostengono lo sviluppo delle infrastrutture e della mobilità, come pura la domanda sulla comunicazione, ovvero come ed in quale modalità si possa comunicare al cittadino quali sono gli investimenti, quali sono anche i punti di eccellenza del nostro sistema. L’occasione di oggi, nel poco tempo che avranno a disposizione, perché ne servirebbe molto di più, è proprio quella di poter approfondire questi aspetti.
Ringrazio e saluto tutti gli intervenuti, ringrazio i nostri relatori, saluto anche le tante autorità presenti, tra cui il presidente Cardia, cui vanno le congratulazioni di tutto il Meeting per la recente nomina, saluto il presidente Vattani, sempre ospite del nostro Meeting, saluto l’on. Bernini e i tanti ospiti illustri e le personalità che presenziano a questo nostro incontro.
Concludo la mia introduzione lasciando la parola – faremo un primo giro e poi se ci sarà tempo lasceremo spazio per una battuta finale – con un giro di tavolo, durante il quale ciascuno possa sviluppare il proprio intervento partendo dal dottor Tazzioli, che è Presidente e Amministratore Delegato Bombardier Transportation Italy Spa, che è presente anche al Meeting con uno stand che invito ad andare a visitare così si potrà vedere – oltre che ascoltare quello che dirà – quello che fa.
Lascerei a lui di aprire, lascerei a lui di aprire i lavori con le provocazioni che ci siamo detti.
Ricordo infine che l’incontro è stato voluto è sostenuto in collaborazione con Invitalia di cui è qui presente, e lo ringrazio, l’Amministratore Delegato Domenico Arcuri.
Prego dottor Tazzioli.

ROBERTO TAZZIOLI:
Ognuno di noi quando si muove con un mezzo pubblico vorrebbe avere veicoli nuovi, più rapidi, più agevoli, più sostenibili. Il mio contributo a questo incontro, come rappresentante delle imprese di costruzione, – Bombardier realizza, treni, tram, metropolitane ed aerei- è quello di illustrarvi cosa ha già fatto e cosa sta realizzando il nostro settore per mettere a disposizione treni moderni ed innovativi. E tra questi treni innovativi naturalmente metto anche il nuovo convoglio ad altissima velocità – 360 km/h in esercizio, 400 km/h di velocità massima, che Bombardier assieme ad AnsaldoBreda costruirà per Trenitalia a partire dai prossimi mesi e sul quale darò successivamente qualche anticipazione.
Prima di parlare dei mezzi, lasciatemi però fare una premessa sulla situazione che il trasporto pubblico in generale vive in Italia. Il titolo dell’incontro di oggi mi ha fatto ritornare in mente una bella canzone che Adriano Celentano cantava negli anni 60. Il titolo è Azzurro e un frase della canzone dice “il treno dei desideri nei miei pensieri all’incontrario va”. E questa immagine del treno tanto desiderato ma che va all’incontrario, in qualche maniera calza a pennello con la situazione del trasporto pubblico locale in Italia. Perché treni più rapidi più agevoli, più sostenibili, e io aggiungo più belli, esistono, le industrie di settore li costruiscono già e lo stesso vale per gli autobus, per i tram, per le metropolitane leggere e pesanti, – ma il loro impiego sui nostri binari e nelle nostre città rischia di allontanarsi sempre di più nel tempo perché non ci sono e probabilmente non ci saranno le risorse finanziarie necessarie al loro acquisto.
Noi purtroppo andiamo al contrario, rispetto al resto d’Europa, dove, sia pure con le difficoltà dovute alla crisi economica globale esplosa nel 2008, si è compreso quanto sia strategica per la competitività dei singoli Paesi un servizio di trasporto pubblico moderno ed efficiente e si è deciso di investire massicciamente in questa direzione, sia per adeguare le infrastrutture sia per ammodernare le flotte di treni ed autobus.
Voglio fare qualche ragionamento su questo punto: come Paese abbiamo accumulato negli ultimi decenni un ritardo rispetto al resto d’Europa anche a causa di una sostanziale assenza di una vera politica dei trasporti, che è stata spesso affidata ad interventi spot, scoordinati tra loro e talvolta figli di situazioni contingenti ( come non ricordare gli interventi per l’autotrasporto dopo il blocco dei Tir solo per fare un esempio). Allo stesso modo è mancata una chiara politica industriale per il settore. Una situazione che ha coinvolto le infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali ed aeroportuali, così come la governance del settore e che nel tempo ha portato ad una debolezza dell’Italia in questo settore strategico per l’economia nazionale.
Intendiamoci, non voglio negare che negli ultimi anni ci sia stata una certa inversione di tendenza: la realizzazione dell’Alta Velocità ferroviaria è certamente un traguardo importante (ma come italiano mi fa un po’ male ricordare che il primo tratto tra Città della Pieve e Roma fu inaugurato nel febbraio del 1977…) e molto è stato fatto anche sulla rete storica. Ricordo che in pochissimi anni tutta il resto della rete, circa 16.000 km di linee è stato dotato di nuovi sistemi di sicurezza e controllo del traffico, sistemi ai quali ha contribuito anche Bombardier.
Molto rimane da fare per il materiale rotabile, anche se è giusto ricordare il notevole sforzo compiuto in questi anni per il rinnovo proprio del parco locomotive destinate al trasporto regionale. Sono 638 le locomotive elettriche E464, cinquecento delle quali già in servizio mentre le altre sono in corso di costruzione nei nostri stabilimenti di Vado Ligure.
Una buona parte dei mezzi utilizzati da Trenitalia è vecchia di decenni, non più adeguata ai livelli di servizio oggi abituali, e oltretutto onerosa dal punto di vista della manutenzione e delle pulizie, per non parlare della regolarità del servizio. Il problema è come reperire le risorse necessarie alla loro sostituzione. Il materiale rotabile per il servizio regionale e metropolitano è acquistato da Trenitalia con risorse messe a disposizione dal Governo e, in parte, dalle Regioni che già da parecchi anni cofinanziano l’acquisto dei nuovi treni. Soldi che non vanno confusi con quelli stanziati per pagare i servizi offerti. Per gli addetti ai lavori è un fatto noto ma lo ricordo qui per il pubblico non specialista, non c’è paese al mondo nel quale i servizi di trasporto pubblico locale si ripaghino con gli introiti di biglietti e abbonamenti. Ovunque stato e amministrazioni locali intervengono economicamente per rendere possibile un servizio che ha ovviamente un grande peso sociale.
Ma a differenza di quanto accade all’estero qui in Italia si è innescato un circolo vizioso difficile da interrompere: basse tariffe, giustificate da un servizio scadente, e bassi investimenti in materiale rotabile, creano una scarsa qualità del servizio, allontanando gli utenti, almeno quelli che se lo possono permettere. Meno utenti uguale meno introiti e quindi ancora meno risorse. Bisogna cambiare la percezione diffusa che treni e bus siano i mezzi di trasporto mi si passi il termine per gli “sfigati”, studenti pensionati e adesso lavoratori stranieri. Serve l’offerta di un servizio nuovo che possa contare anche su mezzi confortevoli e puliti. Ma come trovare le risorse per comprare questi treni nuovi ? Dicevamo delle risorse finanziarie: oltre alle basse tariffe, anche il contributo statale/regionale che si calcola in centesimi per passeggero chilometro è più basso che all’estero. Qui magari l’ing. Moretti potrà essere più preciso ma in Italia per il servizio di Trasporto Regionale Trenitalia incassa 12,1 centesimi di euro per passeggero/km dei quali 3,6 da biglietto o abbonamento e 8,5 dai corrispettivi dei contratti di servizio, pagati dalle Regioni sostanzialmente con gli appositi trasferimenti dallo Stato. In Francia la cifra è di 19,1 centesimi – rispettivamente 7,9 dalle tariffe e 11,2 dai contributi, in Germania addirittura 21,8 centesimi, 8 da tariffa e 13,8 dai contributi pubblici. Ed inoltre in questi Paesi, Stato Regioni e amministrazioni locali, in varie maniere finanziano a parte l’acquisto dei nuovi mezzi. Ovvio che Trenitalia faccia fatica ad “autofinanziare” il rinnovo del parco rotabile.
Il Parlamento aveva trovato una soluzione grazie ad una proposta di legge, la numero 2128, relatore l’on Michele Meta, che prevedeva l’acquisto dei nuovi treni garantendo un apposito contributo di 300 milioni di euro l’anno per 15 anni al Gruppo Fs e la cui copertura finanziaria era assicurata con l’incremento di un centesimo al litro dell’accisa sui carburanti. Un progetto di legge approvato all’unanimità anche dalla commissione trasporti della camera lo scorso maggio ma accantonato in poche settimane dopo un tira e molla con la Commissione Bilancio proprio sulle modalità di copertura finanziaria. E grande preoccupazione c’è anche per gli effetti della manovra correttiva di questa estate che taglia in modo massiccio i trasferimenti statali alle regioni. Secondo una stima del Sole 24 Ore il principale settore che sarà colpito dal taglio dei trasferimenti è proprio quello del trasporto. Qualche cifra per dare un’idea: la Lombardia avrebbe 279,5 milioni di euro in meno nel 2011 e ben 314,1 nel 2012; il Lazio 192,9 nel 2011 e 216,7 nel 2012, la Campania rispettivamente 206,4 e 231,9.
L’Asstra, l’associazione nazionale che riunisce le aziende di trasporto pubblico locale su gomma e su ferro, ne ha calcolato l’effetto: se le aziende erogatrici di Tpl a causa dei minori corrispettivi, tagliassero del 10% linee e corse, questo provvedimento si trasformerebbe in circa 740mila passeggeri in meno al giorno: tutte persone che dovrebbero ricorrere all’auto per gli spostamenti casa lavoro. Senza contare l’effetto sul numero degli occupati nel settore del trasporto pubblico. Immaginare che con questo scenario Trenitalia, le Imprese locali di Trasporto e le Regioni possano pensare ad investire massicciamente in nuovi mezzi è, temo, solo un pio desiderio.
In più, oltre a questa situazione congiunturale, manca una programmazione non dico a lungo termine ma nemmeno a medio termine, non c’è traccia di piani pluriennali di investimento.
Ecco cosa avviene ad esempio in Francia, dove la crisi economica c’è esattamente come in Italia, ma piani d’investimento sono previsti anche in Germania: lo scorso 13 luglio è stato presentato dal Governo francese il nuovo Piano Nazionale per le Infrastrutture di Trasporto che in estrema sintesi prevede investimenti per trasferire il traffico dalla strada alla ferrovia dell’ordine di 170 miliardi di euro in un arco temporale tra i 20 e 30 anni. In particolare il Piano destina 55 di questi 170 miliardi di euro esplicitamente al trasporto pubblico urbano. Bombardier, in Francia, si è aggiudicata, nei mesi scorsi la gara che Sncf, le ferrovie francesi, hanno bandito per la progettazione e la costruzione di 860 treni per il trasporto regionale valore di circa 7 miliardi di euro, treni finanziati dalle Regioni francesi. Il primo di questi contratti del valore di circa 800 milioni e che riguarda 80 treni è già stato firmato e le prime consegne sono fissate per il Giugno del 2013. Sempre Bombardier si è aggiudicata la commessa di 83 nuovi treni elettrici per le DB Regio, le ferrovie tedesche.
Sono solo due esempi e riguardano le commesse vinte da Bombardier, ma danno l’idea come in tutta Europa ci sia molta attenzione all’investimento in nuovo materiale rotabile e la programmazione sia molto attenta.
Investire in nuovi mezzi, del resto dà dei risultati: è il caso ad esempio della nuova tramvia Bergamo-Albino, inaugurata il 24 aprile dello scorso anno. In 12 mesi ha trasportato la bellezza di 2,3 milioni di passeggeri superando le previsioni più ottimistiche che fissavano la soglia in 1,5 milioni di passeggeri l’anno. Lo stesso è accaduto a Padova, dove è in funzione un sistema di tram su gomma che ha sostituito la principale linea di autobus della città. Anche qui il numero di viaggiatori è aumentato e i nuovi mezzi, moderni, gradevoli ed accessibili sono molto apprezzati. A proposito, mi hanno raccontato che alcuni pensionati abbonati al servizio, nei giorni del gran caldo di luglio viaggiavano avanti e indietro tra i due capolinea del tram per godere dell’aria condizionata.
E l’Uitp, l’associazione che a livello mondiale riunisce tutti i protagonisti del trasporto pubblico, dagli operatori ai “decision makers” dagli istituiti di ricerca alle imprese del settore ricorda che nel valutare i vantaggi dei servizi di trasporto bisogna calcolare anche i benefici indiretti. Il trasporto pubblico efficiente aumenta la produttività del paese, facendo risparmiare tempo e agevolando gli spostamenti casa lavoro, migliora la qualità dell’ambiente e delle città dove viviamo, riducendo rumore, inquinamento atmosferico, e nei nostri centri storici permette un uso più razionale del poco prezioso spazio disponibile. Infine è una leva importante nel recupero urbanistico e sociale delle città. Buoni servizi di trasporto collettivo valorizzano le aree urbane svantaggiate e possono favorire l’inclusione sociale di fasce di popolazione penalizzate.
Sempre secondo i dati elaborati da Uitp il consumo di energia per il trasporto di ogni abitante è da tre a quattro volte minore nelle città dove la maggior parte degli spostamenti sono fatti con il trasporto pubblico od altri mezzi sostenibili. Ma il trasporto pubblico ricorda sempre Uitp, è anche una grande industria che ogni anno crea un valore pari a 150 miliardi di euro in tutta Europa e crea, calcolando le sole aziende ti trasporto, oltre un milione e duecentomila posti di lavoro diretti.
Di qui l’obiettivo, lanciato dall’associazione, di raddoppiare la quota di trasporto pubblico per il 2025. Obiettivo raggiungibile anche offrendo ai viaggiatori mezzi di nuova generazione.
I treni dei nostri desideri, che come dicevamo prima esistono già. Negli ultimi 20 anni l’industria ferroviaria mondiale è cambiata completamente. La tendenza è quella di progettare e realizzare piattaforme modulari dalle quali poi sviluppare i treni secondo le richieste specifiche di ogni committente. Questo per due ragioni: da una parte il costo molto elevato che ha la progettazione e l’industrializzazione di un prodotto come un treno, dall’altro la necessità di contenere i tempi di costruzione e di consegna dei convogli, e contemporaneamente contenerne i costi e disporre di componenti standardizzate e dall’affidabilità accertata. In sostanza una piattaforma permette di realizzare ad esempio treni con il pavimento ad altezza normale o ribassata, con un numero di porte per fiancata diverso a seconda delle richieste, a trazione elettrica o con motore diesel, e con interni disegnati ad hoc sulle richieste del committente.
Se guardiamo il trasporto regionale e metropolitano dal punto di vista del passeggero, i nuovi veicoli sono più spaziosi e luminosi, la dimensione di finestrini tende a crescere, l’accessibilità è migliorata grazie anche a porte di dimensioni più ampie e a spazi interni il più possibile privi di elementi divisori. I colori sono più gradevoli e in generale i mezzi sono più puliti anche perché la progettazione, a partire dai materiali fino alle soluzioni costruttive adottate, tiene conto anche di questo aspetto fondamentale. Incardinare i sedili alla parete anziché al pavimento, ad esempio permette una migliore e più rapida pulizia. Grande attenzione viene posta alla riduzione del rumore, sia quello interno percepito dai viaggiatori che quello esterno. Naturalmente i nuovi veicoli hanno l’aria condizionata e sono dotati di moderni sistemi di comunicazione audio video ai viaggiatori per dar loro la possibilità di essere aggiornati in tempo reale sul viaggio. Si sta diffondendo anche su questi convogli la presenza di prese elettriche ad ogni sedile per caricare cellulari e portatili. Telecamere interne ed esterne oltre ad agevolare il compito del macchinista garantiscono una ulteriore sicurezza ai passeggeri.
Sul fronte tecnico che i viaggiatori percepiscono meno ma che è fondamentale per la qualità e la regolarità del servizio sono stati fatti grandissimi passi avanti. In generale la tendenza è quella di scegliere treni a potenza distribuita, cioè treni in cui tutti o quasi i veicoli siano motorizzati, siano essi a trazione elettrica piuttosto che diesel, rispetto ai convogli tradizionali con locomotiva e carrozze trainate. I treni poi possono essere ad un piano o a due piani e la scelta dipende dal tipo di servizio da svolgere.
Un treno a due piani trasporta quasi il doppio dei passeggeri di un monopiano di uguale lunghezza, ma ha anche delle controindicazioni. L’accessibilità è più difficile soprattutto per le fasce deboli dei viaggiatori e i tempi di incarrozzamento sono più lunghi. Il nostro Spacium il convoglio che presenterò poi nel dettaglio ha risolto anche questo problema e pur essendo monopiano trasporta lo stesso numero di viaggiatori di un treno a due piani.
I treni dispongono adesso di sistemi di trazione che consumando molta meno energia elettrica permettono prestazioni più elevate, è migliorata l’accelerazione e quindi si riduce il tempo di percorrenza fra le fermate, i sistemi di diagnosi a distanza e di manutenzione preventiva permettono di avere mezzi sempre al top dell’efficienza e di ridurre i costi d’esercizio
Moltissimo si fa sul fronte del risparmio energetico ad esempio con soluzioni tecniche che permettono di riutilizzare l’energia rilasciata nelle frenate per disporre di più potenza nelle successive accelerazioni. O sistemi di guida che aiutano il macchinista a dosare la potenza utilizzata in funzione delle prestazioni necessarie a mantenere l’orario. Sembra un dettaglio, ma questo consente una marcia più dolce con minor consumo anche dei freni, delle ruote e minore stress per i binari. Un insieme che nel tempo si traduce in un risparmio economico sia per l’impresa ferroviaria che per il gestore dell’infrastruttura. Anche i tram adottano le stesse innovazioni, ma in più stanno sviluppando sistemi che permettono la circolazione senza la catenaria, il filo elettrico di alimentazione sopra il veicolo. Una soluzione che può essere estesa a tutto il tracciato od utilizzata ad esempio solo nei centri storici dove l’installazione di una linea aerea di alimentazione oltre che più complicato è anche esteticamente poco gradevole. Tram, metropolitane leggere stanno conoscendo una nuova primavera in tutta Europa. E la tecnologia permette in alcune situazioni l’adozione in tutta sicurezza di sistemi completamente automatici, senza guidatore. Un certo interesse sta suscitando anche il tram treno, un veicolo ibrido in grado di circolare indifferentemente lungo i binari tramviari del centro città così come sulle linee ferroviarie suburbane. I pendolari che provengono dalle località intorno alle città non devono così scendere dal treno per prendere un tram o un bus per l’ultimo tratto del viaggio ma raggiungono direttamente il luogo di destinazione. Servizi di questo genere con i tram treno sono già una realtà ad esempio a Kassel in Germania. In Italia sono più difficili da adottare, visto che sono poche le città ad aver conservato una rete tramviaria.
Allargando invece il discorso anche agli altri mezzi ferroviari, una delle innovazioni principali di questi ultimi anni è l’interoperabiltà, cioè la possibilità per elettrotreni e locomotive di viaggiare indifferentemente in paesi diversi. Perché per ragioni storiche, tecniche e politiche, sulle quali ovviamente sorvolo, ogni paese europeo ha sviluppato un proprio sistema ferroviario, spesso incompatibile con gli altri. Se binari e dimensioni massime dei veicoli sono uguali, abbiamo diversi sistemi di alimentazione elettrica e diversi sistemi di segnalamento, sicurezza e controllo.
Una piena liberalizzazione del mercato del trasporto ferroviario è possibile solo con il superamento di queste barriere tecniche e l’industria ferroviaria ha già realizzato locomotive interoperabili, in grado cioè di viaggiare in più paesi. Una opportunità già sfruttata ampiamente nel trasporto merci, il primo settore ad essere liberalizzato, ma che adesso verrà impiegata anche nel trasporto passeggeri a lunga distanza.
I 50 treni ad Alta Velocità per Trenitalia la cui costruzione ci siamo aggiudicati insieme ad AnsaldoBreda, saranno in grado di viaggiare in tutta Europa. Siamo particolarmente orgogliosi di esserci aggiudicati questa commessa, anche perché andremo a costruire un treno di assoluta eccellenza a livello mondiale. Vi do con piacere qualche anticipazione su come sarà dal punto di vista tecnico e da quello del passeggero, questo nuovo treno il V300 ZEFIRO.
Innanzitutto sarà a trazione distribuita, lungo 200 mt. per otto carrozze, bidirezionale, accoppiabile ad un altro treno. Viaggerà alla velocità commerciale di 360 Km/h potendo raggiungere i 400 Km/h ed avrà una forte accelerazione (0,7 m/sec2 allo spunto contro una media di 0,5). questo fattore permetterà al treno sia di essere veloce che di raggiungere celermente la massima velocità con il risultato di ridurre al minimo i tempi di percorrenza.
Sarà sicuro, la sicurezza del V300ZEFIRO non si ferma alle apparenze, parte da lontano garantendo prestazioni di assoluto rilievo in accordo alle più recenti prescrizioni tecniche di interoperabilità. La sicurezza passiva del V300ZEFIRO è garantita da un progetto sviluppato in accordo alle più severe norme Europee; rispetta le più recenti prescrizioni di scenari di crash, con soluzioni tecniche soggette a validazione attraverso specifiche prove sia sui componenti che sulle strutture principali. V300ZEFIRO interpreta la sicurezza anche nel rispetto delle più recenti normative nel campo delle protezioni da radiazioni di campi elettromagnetici (EMC), cosi come la sicurezza passiva ed attiva per la lotta al fuoco/fumi, tra cui il severo D.lg. ottobre 2005 per la Sicurezza in galleria.
V300ZEFIRO garantisce il massimo livello di comfort percepibile dal passeggero in tutte le condizioni di esercizio, anche grazie al sofisticato carrello dotato di sospensione laterale attiva. Per offrire al passeggero un’eccellente permanenza a bordo del treno sono state adottate le migliori soluzioni tecniche in termini di insonorizzazione acustica, climatizzazione ambientale, fruibilità degli spazi a disposizione dei passeggeri, ergonomia del sedile e del sistema di illuminazione a led. Tutto questo per evolvere dal classico trasporto passeggeri in una nuova esperienza di viaggio ad alta velocità, grazie ai servizi evoluti messi a disposizione, quali connettività wi.fi, sistemi multimediali per i passeggeri, prese di corrente per personal computers, illuminazione di lettura al posto. V300ZEFIRO integra soluzioni di ambientazione per i passeggeri dove lo stile fornisce nuovi standard sia in termini di comodità e sicurezza durante il viaggio, sia in termini di ambientazione, utilizzando tecniche di illuminazione a LED tanto flessibili quanto innovative. Anche le aree specialistiche sono state studiate per fornire un ambiente confortevole per il personale di bordo, in modo che possa svolgere in maniera ottimale le proprie attività nelle zone.
È un treno assolutamente innovativo il che significa sviluppare nuove soluzioni che portano benefici globali, a livello di sistema, per l’operatore del servizio, il passeggero ed il gestore della manutenzione. L’equipaggiamento di trazione multitensione è dotato di un controllo per singolo asse motore, per la massima ridondanza possibile. La ridotta resistenza aerodinamica riduce consumo energetico e rumore, con un ridotto impatto ambientale. I carrelli sono dotati di sospensione laterale attiva che massimizza il comfort e la dinamica di marcia, e sono predisposti per un sistema attivo di controllo del rollio della cassa, ovvero del sistema di sospensione secondaria attiva. Il sistema informativo per i passeggeri di ultima generazione fornisce connettività e multimedialità in tempo reale.
La progettazione del treno e dei suoi sistemi è orientata ad un nuovo approccio manutentivo, volto ad ottimizzare la disponibilità del treno e minimizzare i costi.
L’elevata flessibilità, derivante dal concetto di “tubo aperto”, consente, in una lunghezza di treno di 202 metri, di massimizzare il numero dei passeggeri trasportati fino all’ambiziosa soglia dei 600 posti a sedere, accomodati in due classi spaziose e ricche di servizi. La razionalizzazione degli impianti di treno, con tutti gli equipaggiamenti ubicati nel sotto cassa, garantisce una capienza totale ineguagliabile per raggiungere un livello di costo per passeggero estremamente competitivo. Il treno è facilmente riconfigurabile e personalizzabile per potersi adattare nel tempo alle mutanti esigenze di business attraverso la possibilità di modificare il numero di posti e/o classi tramite semplici operazioni in deposito. La flessibilità del treno si manifesta anche nella predisposizione per il servizio commerciale transfrontaliero dall’Italia o direttamente sui corridoi europei ad alta velocità. A tale scopo, V300ZEFIRO è in grado di operare sotto le 4 differenti catenarie europee (1,5 kVcc, 3 kVcc, 15 kVca e 25 kVca) ed è predisposto all’installazione fino ad 8 differenti sistemi di segnalamento (di cui 4 contemporaneamente).
Insomma, l’ing. Moretti avrà un treno ad altissima velocità assolutamente all’avanguardia !
Ma non pensate che questi concetti innovativi e di alta tecnologia siano di dominio esclusivo dei treni ad alta velocità. Voglio infatti, ritornando a parlare di TPL, e per concludere, presentarvi in estrema sintesi il treno di Bombardier “Spacium” per il trasporto regionale e commuter, che è stato sviluppato adottando gli stessi criteri innovativi accennati per il V300 Zefiro.
Grazie.

EMMANUELE FORLANI:
Grazie, il dottor Tazzioli ci ha fornito alcune critiche, alcuni spunti di riflessione e anche qualche testimonianza a esempio di come effettivamente l’eccellenza ci sia e ci sia anche, anche da noi. Io passo la parola a Domenico Arcuri che è Amministratore Delegato di Invitalia, e anche professore di Organizzazione Avanzata alla Luis, al quale appunto chiederei, visto che è alla guida di un’agenzia per lo sviluppo e l’ attrazione degli investimenti, chiederei di aiutarci anche ad affrontare dal suo punto di vista, dal suo punto di angolazione e quindi per l’attività e anche per l’esperienza che ha questi aspetti.

DOMENICO ARCURI:
Grazie. Io cercherò in tempo breve di provare a dare qualche suggestione sulle relazioni che ci sono tra il tema della mobilità e quello dello sviluppo e ancora meglio sulla possibilità, coma dice il titolo di questo incontro, se essere più rapidi, più agevoli e più sostenibili può significare anche trovare delle possibilità per sviluppare il nostro sistema economico, produttivo, sociale. Partirei con una citazione che sembrerà paradossale e molte cose delle quali vorrei dirvi sembreranno paradossali. Jacques Attali, che è un pensatore francese che dice anche delle cose interessanti, ha scritto un libro che si chiama L’uomo nomade del quale mi piace richiamare una frase: “Le Nazioni altro non saranno che oasi in competizione per attirare le carovane di passaggio; saranno abitate soltanto da coloro che non potranno essere nomadi…motori principali della storia, della economia e della politica”. Che cosa vuole dire o che cosa possiamo trarre da questa riflessione? Noi sappiamo tutti che la globalizzazione ha prodotto un’infinità di effetti sulla nostra vita, rispetto al tema di oggi ne ha prodotto soprattutto uno. A mio giudizio, ha separato sempre più spesso il luogo in cui i beni e i sevizi vengono prodotti da quello in cui i beni e i servizi vengono consumati. E quindi apparentemente ha offerto centralità crescente al tema della mobilità, un bene che viene prodotto in un luogo deve essere trasferito in un altro, dove sempre più spesso viene consumato oppure, paradossalmente, ha ridotto la centralità della mobilità. Dicevo prima dell’incontro che vent’anni fa per acquistare un quotidiano, spesso noi dovevamo essere trasportati da un luogo all’altro con qualsiasi mezzo. Oggi per leggere un quotidiano noi abbiamo una tavoletta, facciamo un clic e nel luogo in cui siamo lo leggiamo. La mobilità rispetto a questa fattispecie perde, non serve più spostarci per comprare il giornale. Per converso, noi consumiamo tutti i giorni una quantità di beni o fruiamo di una quantità di servizi che non sono prodotti nel luogo in cui noi siamo e questi beni e questi servizi devono essere trasferiti, devono essere portati dal luogo in cui sono stati prodotti che è sempre più lontano, sempre più spesso più lontano da quello nel quale noi viviamo, al luogo in cui vengono consumati. Veniamo allo sviluppo: nei quattro principali porti del Northern Range, cosiddetto, che sono Anversa, Brema, Rotterdam e Amburgo, le navi che vengono dal Far East ci mettono cinque giorni in più di quanti ce ne metterebbero per arrivare nei porti italiani. Ebbene in questi quattro porti si sviluppa un traffico che è cinque volte o circa cinque volte superiore ai fabbisogni di produzione o meglio di consumo delle nazioni che insistono su questi porti. Arrivano cioè in questi luoghi cinque volte i beni e i servizi, i beni più che i sevizi, che vengono consumati lì; gli altri da lì vengono trasferiti nel resto dell’Europa. Nei porti italiani, benché ci servano quattro o cinque giorni in meno, arrivano a stento i beni che vengono consumati in Italia. L’Italia cioè, nonostante naturalmente abbia una posizione per la quale dovrebbe essere il principale Ab del Mediterraneo, non lo è. Verrebbe semplice dire che questo succede perché l’Italia non ha una sufficiente dotazione infrastrutturale. Io vorrei paradossalmente dire che questo a me non sembra vero. Questo succede non perché, o non solo perché, l’Italia non ha una sufficiente dotazione infrastrutturale, nel merito della discussione sulla quale non mi incammino perché sarei l’ultimo dei presenti, ma succede innanzitutto perché questa dotazione infrastrutturale è poco e male connessa al sistema produttivo o a quel che è rimasto del sistema produttivo che c’è nel nostro paese. Quindi una prima riflessione che va fatta per chi, come me, si occupa di provare a individuare e a implementare traiettorie di sviluppo è: ma noi siamo proprio sicuri che quando un cittadino del mondo viene in Italia e prova a valutare l’ipotesi se fare un investimento e compara il nostro paese ad un altro paese europeo, sceglie l’Olanda piuttosto che l’Irlanda perché l’Italia non è sufficientemente infrastrutturata? Io credo che questa sia una risposta e neanche la principale e non sia completamente vero. Non investe nel nostro paese ma investe in Olanda o in Irlanda perché, anche a parità di dotazione infrastrutturale, in Olanda o in Irlanda la connessione con il sistema produttivo o con il sistema della mobilità successiva è una connessione più evidente, più efficace, come dite voi, più agevole. Quindi che cosa bisogna fare per provare a invertire questa traiettoria, che cosa bisogna fare per far sì che anche la mobilità sia un agente possibile di sviluppo? In Italia tutti sapete che negli anni cinquanta ci furono anni di crescita forsennata del sistema economico, produttivo, sociale, anni che ci portarono, come poi mai è successo, ai vertici della crescita europea. Addirittura, a pensarlo oggi sembra un paradosso, la Lira fu per un anno definita la moneta dell’anno, ma questo è successo perché furono costruite le autostrade oppure perché si producevano le automobili, o forse è successo per tutte e due le ragioni? Il miracolo economico famoso perché è accaduto? Perché noi abbiamo dotato di infrastrutture il nostro paese, oppure perché noi avevamo un sistema produttivo compatibile con la crescente dotazione di infrastrutture? Io credo che sia vero per tutte e due, sia successo per tutte due le ragioni. Continuando il paradosso, se le autostrade fossero state percorse da nessuno, non ci saremmo sviluppati; se avessimo prodotto automobili e non avessimo avuto la possibilità di farle viaggiare sul territorio, non le avremmo vendute. E allora, e questo ha a che fare soprattutto con le zone più disagiate nel nostro paese, quelle nelle quali l’agenzia che io amministro si occupa primariamente, cioè il Sud, che relazione c’è nel tentativo di individuare traiettorie di sviluppo del Mezzogiorno con il tema della mobilità? La dico di nuovo con un altro paradosso: nel Mezzogiorno ci sono un numero di aeroporti assolutamente superiore al fabbisogno reale dei cittadini del Sud. Quindi immaginare che i turisti, primaria leva competitiva del Mezzogiorno, non arrivino nel Sud perché non ci possono arrivare, è immaginare una cosa che semplicemente non è vera. Se voi vi elencate l’elenco degli aeroporti più o meno funzionanti ma esistenti che esistono nel Mezzogiorno, non trovate nel Mezzogiorno nessun area che abbia un raggio chilometrico superiore a quella che esiste in tutti gli altri paesi d’Europa non servita da un aeroporto, addirittura in qualche caso potremmo sostenere che ce ne sono ancora troppi. Allora perché, fatti cento i pochi turisti che arrivano in Italia, soltanto dieci nel 2008 hanno soggiornato almeno un giorno a Sud di Roma e soltanto tre hanno soggiornato in un luogo del Sud diverso dalla Campania e dalla Sicilia? Perché questi luoghi non sono raggiungibili? No, perché non esiste la connessione o non esiste una connessione compatibile tra il sistema dei trasporti e il sistema della mobilità e il sistema dell’offerta locale. Perché non esiste questa connessione è un tema molto complicato, che qui si può fare soltanto, a cui qui si può fare soltanto un cenno. Io racconto sempre un esempio che è frutto della mia esperienza che dura da ormai quasi quattro anni. Quattro anni fa un famoso imprenditore inglese voleva costruire un resort a cinque stelle in Sassonia e un resort a cinque stelle in Sicilia. Dopo quattro anni, in Sassonia ne aveva aperti due, in Sicilia siamo riusciti a fargli inaugurare il suo investimento nello scorso mese di maggio. Perché? E non è una favola, perché aveva progettato un campo da golf, che era assolutamente indispensabile, secondo le nuove leve competitive nel settore del turismo, vicino a questo resort sul mare e aveva ricevuto 36 denunce da una serie di soggetti legittimati a denunciarlo. Sapete perché? Perché una buca di questo campo da golf si riteneva fosse troppo vicina al bagnasciuga e quindi rendeva non realizzabile questo investimento. Noi ce ne siamo occupati dovendolo finanziare, e io facevo a questi interlocutori ripetutamente una domanda semplice: “Ma il bagnasciuga non è di per sé un’entità dinamica e come si fa a dire che un punto fermo è vicino o lontano a una cosa che si muove?”. Quando c’è la marea è troppo vicino e quando non c’è la marea è troppo lontano, e questa è una ragione sufficiente per non far fare un investimento in un territorio bisognoso? Alla fine questo è accaduto, però fin quando nel nostro paese, soprattutto nel nostro Mezzogiorno, sussisteranno questa pluralità di attori, sarà difficile fare qualcosa. Io dico sempre, un po’ scherzando, che nel Sud anche i boyscout, se si impegnano, possono evitare che un investimento positivo venga fatto. Finché non si risolve questa questione, sarà complicato immaginare tra l’altro di connettere il sistema della mobilità alla crescita più complessiva del nostro territorio e questo, e poi finisco, e questo ha a che fare molto con la nostra capacità di attrarre investimenti che arrivano dall’estero. L’Italia prima della grande crisi finanziaria – il 2007 è stato l’anno in cui nel mondo ci sono stati più investimenti diretti esteri rispetto a qualsiasi altro anno nella storia del mondo moderno, poi nel 2008 evidentemente questi investimenti sono crollati per ragioni a tutti note – nel 2007, era nona nella capacità di attrarre investimenti finanziari dall’estero. Un investimento finanziario si realizza quando un soggetto residente in un luogo del mondo acquista un soggetto italiano. Conserva ricchezza? Conserva ricchezza, non genera di nuova ricchezza, dicono quelli che pensano positivo; quelli che invece pensano negativo dicono che utilizza il risparmio italiano per fare investimenti fuori dall’Italia. Noi pensiamo negativo e pensiamo che, quando c’è un investimento finanziario, la ricchezza viene conservata ma certamente non viene creata, non si aggiunge ricchezza a ricchezza. Nel 2007 l’Italia era ventitreesima nei ranking dei paesi capaci invece di attrarre investimenti diretti dall’estero, investimenti diretti si verificano quando un cittadino del mondo fa un investimento, rischia del denaro e crea reddito, occupazione, sviluppo in un altro paese del mondo. Quel che è più interessante è che, fatto cento i pochi investimenti diretti esteri che arrivavano in Italia, due terzi si collocavano in Lombardia, tre quarti in Lombardia e in Piemonte e il 99,4% a Nord di Roma inclusa. Nel 2007 cioè a Sud di Roma non ci sono di fatto investimenti diretti provenienti dall’estero. Perché? Tra le varie ragioni che qui elenco molto sommariamente: la prima, la complessità burocratico-amministrativa di tanti strati che separano il pensare un investimento dal realizzarlo, che peculiarmente in Italia purtroppo sussistono; la seconda la complessità delle norme, il sistema delle leggi relative al lavoro, il sistema delle leggi fiscali eccetera, sicuramente una delle ragioni non primarie ma esistenti, è la nostra relativa connessione tra il sistema infrastrutturale e il sistema dello sviluppo possibile. Grazie.

EMMANUELE FORLANI:
Sono certo che le suggestioni del professor Arcuri – che ringrazio – saranno riprese e fatte oggetto anche, immagino, di riflessione da parte del Ministro e degli interventi politici di fine tavola rotonda. Per altro saluto anche il presidente di SEA Aeroporti di Milano, Bonomi, che sentivo ascoltare attentamente le riflessioni a riguardo anche del nostro sistema aeroportuale, magari sarà un’altra occasione quella in cui poterlo approfondire. Mauro Moretti è ospite veterano del Meeting, nel senso che non so se ha partecipato a tutte le edizioni

MAURO MORETTI:
Non tutte.

EMMANUELE FORLANI:
Però diciamo, diciamo una buona parte. È amministratore delegato di Ferrovie dello Stato dal settembre del 2006. A lui, oltre che appunto approfondire, andare avanti nella nostra riflessione, chiederei anche, aggiungerei anche una piccola, un piccolo tassello, appendice di domanda. Visto che quest’anno abbiamo incentrato il tema di questa edizione, della trentunesima edizione del Meeting, sul cuore – Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore – ecco, ma per chi fa il suo mestiere, per chi si occupa, appunto, tutti i giorni di dover rispondere a un bisogno concreto del cittadino, tener presente questo aspetto, tener presente questo desiderio ha un nesso, è possibile, impossibile? Come lo si può affrontare?

MAURO MORETTI:
Partendo così devo dire che il motto vostro è la questione essenziale di questo momento. Nel riflettere adesso sulle cose che sentivo, mi è venuto in mente quello che mi disse il povero Presidente Cossiga, l’ultima telefonata che mi fece. Avevo inaugurato un pezzo di alta velocità, mi arrivò una telefonata e col suo linguaggio, difficilissimo da comprendere soprattutto al telefono, mi disse: «Moretti, ma lei non è italiano». Adesso, l’ho detto in maniera comprensiva, gli ho chiesto tre volte di ripetere la frase. E gli chiesi: «Ma perché non sono italiano?», «Ma lei non è italiano, perché lei costruisce, lei fa, lei non chiacchiera». Io rimasi stupito di questa cosa, e ci riflettei su questa partita. Devo dire che in questi giorni ritrovo che quelle parole sono veramente sacrosante. Se noi pensiamo anche al titolo di questa tavola rotonda, voi cosa mettete in discussione anche oggi? Due cose, sostanzialmente: come un sistema può reggere producendo servizi di qualità a bassi costi, può guardare al futuro, può essere motore o leva di sviluppo per il futuro. E come non si può fare questo se non c’è un desiderio forte, che prima ancora dal discernimento della ragione venga fuori da una tensione etica a volerlo fare. Tensione che viene fuori dal fatto che… non so, sono rimasto stupito che qualcuno, proprio a questi tavoli ha detto: la classe dirigente – tirandosi fuori, lui! – la classe dirigente di sto paese “deve fare”. Ma, io mi assumo la mia responsabilità, nel mio piccolino, di essere un pezzettino di classe dirigente e quindi in questo senso mi sento in qualche modo in dovere di dire qualcosa che trascini il paese in avanti, verso dei lidi migliori da quelli che abbiamo. Cambio un po’ il senso del mio discorso, ma viene fuori da quello che ho sentito. Ho riletto in questi giorni dei pezzi di libri di storia, periodo ’43-’55. Li ho riletti apposta, lettura dell’estate, perché, come dire, riguardano un momento di passaggio e di crisi come quello che stiamo affrontando. E non vi dico tutta la discussione dei vari signori che si sono avvicendati su quella partita di altissimo livello, per carità, da tutti noi e da voi conosciuti, ma voglio indicare solo alcuni elementi per potere capire come fu fatto il miracolo economico, di cui anche adesso alcuni stan parlando. Ma ragazzi, ma lì non si scherzava! Intanto si parlava di fare delle spese che erano assolutamente essenziali. Il primo discrimine era “cosa serve e cosa non serve, e quello che non serve si abbandona”. Secondo: tassi di produzione che aumentavano del 7 e mezzo, 8%. Perché? Beh, perché eran sorretti da due pilastri enormi: un aumento equivalente di produttività, 8-9 % l’anno, e investimenti pari, scusate se dico questa cifra, al 20, 21% del prodotto interno lordo di ogni anno. Queste sono cose concrete, le altre sono chiacchiere. Come riusciamo noi, nel settore dei trasporti, ma nei settori industriali, a ricostruire questa logica, questa situazione, proiettandola – e questo è lo sforzo ancora maggiore – in un mondo completamente cambiato? Cosa voglio dire con cambiato? Allora i fattori della produzione classici erano: le materie prime, ma intendendo per materie prime le materie prime trasformabili: ferro, rame, argilla, petrolio e così via. Secondo: il lavoro; regole nazionali, diritti nazionali, competizione nulla. Terzo: il problema della finanza, relativamente stabile; grandi risparmi, capacità di potere avere degli attivi da tutti i punti di vista, risorse abbondanti. Quinto: Stato, unico punto di riferimento per regolare. Non c’è più niente di tutto questo. Quindi la cosa che ho detto prima, quei tassi e quelle cifre proiettati in un mondo in cui non c’è più nulla di quello, significa che noi ancora non abbiamo gli strumenti per potere cambiare. Le risorse naturali non sono mica più solamente quelle. Oggi per risorse naturali si intende: acqua, aria, clima e tutto quello che è ambiente. E sono diventate risorse economicamente valutabili. Pensate alle operazioni “verdi” tra virgolette per l’energia, piuttosto che il problema degli inquinamenti e così via. Secondo: non c’è più un mercato nazionale con regole fatte da uno Stato. C’è un mercato globale. Non ci sono più i monopoli, perché sono stati liberalizzati. Lo Stato fa le regole che può di applicazione che vengono decise in Europa, solo spesso in rapporti bilaterali e scendendo ormai dal G2 per andare al G20, per poter andare poi, passando, facendo alle volte finta di passare per il G8. Terzo: la finanza è completamente cambiata. Completamente cambiata. Io faccio distinzione tra quelli che sono gli investimenti nel comprare una banca e gli investimenti nel fare un’industria. Io faccio ancora questa distinzione. Forse sbaglierò, sarà un problema di cuore, ancora una volta, però ritengo che quando uno viene in Italia a pigliarsi una banca, poi quella massa finanziaria di quella banca la mette a disposizione non solamente degli italiani. Se invece uno viene a investire qua, è per produrre, produrre cose, cose nuove, e questo sarà il problema: cosa? A quel punto produce ricchezza qui e crea lavoro qui e crea opportunità di attività qui.
Allora quali sono gli elementi nuovi sui quali ricostruiamo un senso razionale, per potere riavere a disposizione delle masse di investimenti come quelle che venivano fuori, venti per cento l’anno? Adesso non saranno più venti, ma non possiamo stare al di fuori – sto parlando di tutti gli investimenti che si fanno, pubblico o privato in Italia – non possiamo stare a dei livelli sì e no sul 10%, perché stiamo fuori da quelli che sono i parametri dei paesi più avanzati al mondo, sia in Europa – Germania – che naturalmente quelli asiatici, che sono ancora superiori. Secondo: la produttività non può essere quella che abbiamo. Diminuisce ogni anno! Terzo problema: non possiamo più non considerare il problema dell’ambiente come un problema non economicamente valutabile. Io voglio riportarvi quello che è successo – l’avrete letto sulla stampa nazionale, soprattutto internazionale – alla Merkel la settimana scorsa. Sapete che nella manovra che ha fatto ha introdotto il problema dell’ecotassa e tra l’altro ha iniziato a imporre tassazione agli aerei che non hanno tassazione rispetto agli altri mezzi di trasporto. Ha fatto una scelta di campo, in cui trascina un paese verso vincoli economici nuovi per potere suscitare pungolo a creare idee nuove ed in settori produttivi nuovi da poter portare, coma ha fatto in questi anni, in giro per il mondo. Si è beccata la reazione di tutti, di “boiardi”, di Stato e di privati. Da Ackermann di Deutsche Bank al mio amico Grube. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che c’è – questo è il punto – una visione che assume come discrimine strategico stili di vita, stili di uso di risorse, stili di uso e stili di consumo completamente diversi, sui quali si rifonda un’idea di processi industriali, di processi di mobilità, di determinazione di situazioni urbane, di dislocazioni produttive, completamente diversa, scompaginando completamente i tradizionali equilibri che hanno prodotto l’automobile, il camion, le autostrade e così via. Che però, scusate, son diventate commodities, talché le producono in Cina alla metà dei prezzi e alla stessa qualità. Qui dobbiamo cambiare, e qui, grazie a Dio, di cuore non ne abbiamo abbastanza, sempre. Porre il problema della internazionalizzazione dei costi, ad esempio nel settore dei trasporti, vuol dire rendere economicamente vantaggioso un settore rispetto ad un altro. Ovvero: vuol dire ridare comunque valore, riattribuire valore a qualsiasi tipo di servizio. E in quel caso vuol dire ricostruire la logica dell’investimento e dell’intervento nel processo a seconda di questo discrimine nuovo che viene posto. Vi pongo questo esempio per fissar le idee. L’alta velocità in Italia produce che da Milano a Roma ci si mette lo stesso tempo in aereo e in treno. Ormai è assodato. Ma a parità di tempo, la qualità, chi l’ha provata non l’abbandona più, anzi lo dicono i clienti, perché siamo passati ad aver il 55 % della gente che va in treno, dal 35 che avevamo prima, ribaltando completamente la quota modale degli aerei. Ma quello che è l’elemento e che propongo naturalmente a riflessione anche del Ministro e di Cattaneo, cioè alla parte più politica, è: ma perché, se un servizio di qualità equivalente (tempo, comfort,) costa un quarto in termini di valore monetario (perché il nostro prezzo è un quarto di quello aereo, prezzi pieni-prezzi pieni) consuma un quarto di energia! Come si fa a sostenere questa idea positiva di nuovo modo di vedere stili di vita, di consumo e di uso? E come si fa – è questo il punto più critico – a decidere che tutto quello che non sta in questa direzione deve essere chiuso? Faccio ancora un esempio che ho dovuto fare io. Mi son trovato quattro anni fa, quando arrivai a questo posto, a ragionare sul settore delle merci. Il settore delle merci nelle Ferrovie era nel 2006 identico a quello del 1905. Come se il camion non fosse mai esistito! Si continuava a mantenere tutto, anche tutto quello che non era utilizzato mai, o quasi mai, che naturalmente doveva essere gestito, manutenuto, e costava un pozzo di soldi. Quanti esempi infrastrutturali possiamo fare in Italia di cose che non servono più a niente? E che sono soldi che ancora continuiamo a spendere per manutenerli e per gestirli? Con ricchezza prodotta equivalente a zero? Vi faccio questo piccolo paradigma, poi, permettetemi, chiudo questa parte per dir qualcosa sui treni. Ma se noi vogliamo ritornare ad avere quel venti per cento di investimento che ho detto prima, beh, dobbiamo metterci d’accordo sul come raggiungerlo. Adesso la discussione è stata fatta sulla manovra economica, più la parte politica, io la pongo in maniera più schematica e semplice. Ma, scusate, riporto ancora un paradigma delle Ferrovie dello Stato. Noi abbiamo rimesso a posto questa azienda che era in fallimento. Fallimento tecnico: io l’ho ammesso in parlamento, al Senato, non so se c’era anche lei. Dissi: l’azienda Ferrovie dello Stato è in fallimento tecnico, perché il rapporto capitale-debito è quello che è. Come ha fatto? Molti pensano che abbiamo fatto incrementi di prezzi: pochissimi! Abbiamo tagliato i costi operativi. Abbiamo tagliato i costi operativi del venti per cento: più di un miliardo all’anno. Il 20% però di interno lordo, un investimento che si faceva ai tempi del boom, che ci ha permesso di mettere a posto i conti e adesso di cominciare a investire. Altrimenti i treni di cui parlava prima Tazzioli non c’erano mica.
Per quanto riguarda poi il trasporto ferroviario io, lo dico sempre al Ministro, anzi lo sento dire sempre anche da lui, dobbiamo razionalizzare. Abbiamo troppi centri merci, ne bastono dieci in Italia di quelli vecchi; abbiamo troppi porti, ne bastano cinque o sei; abbiamo troppi aeroporti, ne bastano tre-quattro e quelli per le isole. Su questa base allora ha senso investire, anche fare ferrovie in alta velocità fino alle periferie del sud o dell’est e dell’ovest. Ma se manteniamo sempre stratificati i due servizi in concorrenza e tutti quanti hanno bisogno di avere risorse pubbliche e tutti quanti abbassano quello che è la possibilità di creare ricchezza, ci troveremo in quel percorso del quale prima Tazzioli non sapeva dire perché, ma io ve lo dico. Se voi andate in Germania, le tariffe del trasporto locale costano esattamente due volte e mezzo e lo Stato attraverso i Länder dà alla Deutsche Bank due volte quello che pigliamo noi. Perché? Non perché, come dire, quello sia un qualcosa di isolato, un regalo alla Deutsche Bank, perché la politica territoriale lì fatta evita che in parallelo al treno ci siano flotte di autobus sempre pagate dalle regioni in concorrenza con quello, vi siano delle politiche di urbanizzazione che saccheggiano tutto il territorio e pretendono poi – i vari cittadini che ci vanno – di avere dei servizi che costano una miniera di soldi mantenere. Ma il futuro lo vogliamo pensare con il fatto che tutto il territorio italiano sarà costruito di case, o dobbiamo ripensare alla politica di urbanizzazione come hanno fatto tutti i paesi al mondo? C’era l’altro giorno, l’ho sentito in una trasmissione radiofonica, il corrispondente di Le Monde in Italia che diceva: se io parlo di Parigi riesco a dare all’americano il senso della Francia; ma se io parlo di Roma non riesco a dare il senso dell’Italia. L’Italia è fatta di cento cose diverse, ma è fatta di cento cose diverse, a mio avviso molto spesso positive, ma molto spesso anche che non riescono a far sì che questo paese riesca ad assumere quelle masse critiche che servono per potere creare in campo territoriale grandi concentrazioni, in campo industriale grandi imprese, grandi sistemi ferroviari, grandi imprese di servizio. Ecco allora che è necessaria soprattutto la tensione a una vera capacità di innovazione, che faccia sì che questo tassello della mobilità e trasporto si inserisca in un quadro strategico più grande, che pensi al 2030 e sappia prefigurare del 2030, come dicevo, lo stile di vita, di uso, di consumo, e su quello faccia discrimine, su quello che si può fare, ed è sostenibile. Allora forse riusciremo a ritrovare quelle forze che un tempo abbiamo avuto e che hanno dimostrato di sapere fare e sapremo, ne sono convinto, avere le risorse per poter finanziare un nuovo sviluppo, non le risorse a prestito che qualche banca viene a suggerire, perché i prestiti bisogna pagarli, bensì risorse che, investite, siano in grado immediatamente di riprodurre ricchezza per ricostruire quell’elemento di forza industriale che bene o male ancora abbiamo, che dobbiamo sostenere e dobbiamo rivitalizzare. Grazie.

EMMANUELE FORLANI:
Grazie a Moretti anche per le sue ulteriori provocazioni, le mettiamo poi sul piatto degli ultimi due interventi. Prima di Raffaele Cattaneo, confermato da poco nel ruolo di Assessore alle Infrastrutture e Mobilità della Regione Lombardia, prima di dargli la parola, vorrei ringraziare anche per la sua presenza e salutarlo il sottosegretario Mino Giachino, sottosegretario ai trasporti, che è qua con noi. La parola a Raffaele Cattaneo.

RAFFAELE CATTANEO:
Grazie. Innanzitutto fatemi fare una confidenza: ho un obiettivo, quello di riuscire a parlarvi in modo sufficientemente interessante perché la platea rimanga numerosa per l’intervento del Ministro; quindi vi prego di aiutarmi, perché se dopo il mio intervento non resta più nessuno i rapporti col ministro diventano più difficili. Questo è reso difficile dal fatto che, avendo rimesso oggi la cravatta dopo quindici giorni, sono un po’ in difetto di ossigenazione cerebrale e quindi, se dovessi dire delle cose, caro Ministro, un po’ sopra le righe, ti prego di perdonarmi in anticipo, perché è colpa di questo fatto della cravatta e non di una cattiva volontà nei confronti tuoi e di tutto il nostro Governo.
Fatta questa promessa e venendo alle cose serie, cercherò di essere sintetico, ma ho bisogno di inquadrare il problema di cui dobbiamo parlare, e questo secondo me è uno dei problemi più seri che il nostro paese deve affrontare oggi: quello della mobilità. Mi aiuterò con qualche slide che passerò molto rapidamente.
Cominciamo a vedere come ci muoviamo oggi in Lombardia (questi sono dati che valgono per la Lombardia, ma in Italia non è molto diverso). Se si domanda ai lombardi qual è il mezzo prevalente con cui si spostano, più dell’80% dice che usa esclusivamente o prevalentemente l’automobile. Se si domanda loro con quale combinazione di mezzi si spostano, la percentuale diminuisce di poco. L’auto rimane lo strumento prevalente. Perché noi ci muoviamo solo con l’auto? Sì, perché c’è la Ferrari, abbiamo la passione per i motori, siamo tutti amanti della comodità, di avere il sedile che ci porta esattamente dove vogliamo andare… Ma è solo per questo? Credo che ci sia un’altra ragione sostanziale; ci muoviamo prevalentemente con l’auto perché non abbiamo un’alternativa. Questo ha prodotto questa situazione. Ricordo che quando avevo 10-12 anni lessi, non ricordo dove, la statistica che diceva che in Italia c’era un automobile ogni cinque abitanti – eravamo nei primi anni settanta. Negli Stati Uniti c’era un automobile ogni abitante e mezzo; questo era il segno che gli Stati Uniti erano ricchi e gli italiani i più malconci. Da questo punto di vista dovremmo essere felicissimi; siamo diventati il paese che abbondantemente ha superato gli Stati Uniti in termine di dotazione di automobili ogni 100 abitanti; come vedete Roma e Catania sono ai primi posti: 76 automobili ogni 100 abitanti Roma, 67 Catania, più di S. Francisco, poi viene Milano che sta sopra Los Angeles, poi vengono le altre città. Se guardiamo le città europee con cui è più sensato il confronto, Madrid, Berlino, Vienna, noi abbiamo il numero di automobili per ogni 100 abitanti che è circa il doppio di quello che hanno le città europee. Questo non è un segno di ricchezza, è una patologia; vuol dire che nel nostro paese non c’è la possibilità di spostarsi adeguatamente con un mezzo di trasporto. Perché è così? Perché il settore del trasporto pubblico locale – TPL vuol dire trasporto pubblico locale – italiano nel contesto europeo presenta i peggiori indicatori di struttura e di performance, sia nel segmento automobilistico che in quello ferroviario. Guardiamo un secondo questa radiografia che permette di evidenziare alcune cose interessanti. Questa slide riguarda il trasporto su gomma, quindi gli autobus urbani ed extra-urbani. Il nostro sistema è quello che ha le performance peggiori in termini di margine operativo, sei e mezzo rispetto al dieci medio in Europa, quindi un terzo in meno. Meno 21% nei ricavi da traffico per chilometro, meno 50% nei biglietti (poi questo lo approfondiremo) e addirittura meno 56% negli abbonamenti. Un grado di copertura dei costi da tariffe che è il 31% rispetto alla media europea del 52; cioè vuol dire che i biglietti che noi paghiamo quando prendiamo un autobus pubblico coprono meno di un terzo del costo, il 31%. Questo è perché mettiamo pochi soldi pubblici? No, può sembrare paradossale, ma il contributo nel sistema automobilistico, vedremo tra un po’ che in realtà non è così, è il 57% al di sopra della media europea. Quindi il nostro è un sistema che usa, si potrebbe dire spreca, più risorse pubbliche e produce meno efficienza; perché? Perché non è adeguato; ha costi del personale che sono dell’8% in più, costi operativi che sono del 37% in più, grado di concentrazione molto più basso, su questo poi ci torneremo, e grado di produttività inferiore. È un sistema arretrato. È un po’ diversa la situazione del ferro – qui ha ragione Moretti quando ci ricorda questi dati che sono quelli che citava prima sia Tazzioli che Moretti -; questo è quanto costa un passeggero che fa un chilometro su un treno in Italia e in Lombardia e poi in Germania e in Francia. Come vedete sono dati in euro, quindi in Italia e in Lombardia il contributo che viene dato da un passeggero su un treno è di poco meno di 12 centesimi di euro, di cui un terzo circa è ricavo da tariffa, quello che paga il passeggero con il biglietto o l’abbonamento, due terzi è frutto del contratto di servizio, cioè quello che diamo noi regioni a Trenitalia e alle Ferrovie Nord nel caso della Lombardia per svolgere il servizio. Se guardate i dati, c’è un fatto che balza subito all’occhio: che il contributo pubblico, in Germania e in Francia, è superiore al totale del contributo pubblico e privato in Italia. Cioè il solo ricavo da contratto di servizio è più alto di quello che viene assicurato nel complesso nel nostro paese; se a questo poi si aggiunge il ricavo da mercato che è circa il doppio, 7,4 centesimi di euro in Germania, 8,3 in Francia rispetto al 3,6 in Italia, 4,2 in Lombardia, si capisce perché le ferrovie tedesche e francesi vanno bene e quelle italiane meno bene. Anzi bisognerebbe dire: Chapò a Moretti e ai suoi colleghi che riescono, con una contribuzione che è del 50% inferiore a quella dei suoi colleghi francesi e tedeschi, a far funzionare i treni. Questo fenomeno ha un altro rischio; io non sono un difensore estremo del monopolio come è il mio amico Moretti, sono abbastanza dell’idea che un po’ di concorrenza farebbe bene, però quando lui fa notare che aprire alla concorrenza nel nostro paese con questi valori significa consentire ai tedeschi e ai francesi di venire a fare dumping, perché usano in Italia quello che hanno guadagnato in Germania e in Francia o in altri paesi, per poter offrire servizi sotto costo, vincendo le gare e poi creando una posizione di dominanza di cui presenteranno il conto successivamente, questo non è uno scenario così improbabile, anzi è un fatto con cui dobbiamo fare i conti. Procediamo; questa spirale dice quindi qual è il male di cui è afflitto il nostro sistema della mobilità pubblica; le cause di questa situazione sono legate a una spirale negativa che è frutto di una scelta politica, che io credo la politica abbia il dovere di rompere. Qui mi sento un po’ in colpa perché non ci siamo ancora riusciti, però ci stiamo provando. Mi sento un po’ in colpa, tra l’altro, cercate di capirmi, pensate ai miei colleghi assessori della Lombardia; l’assessore alla Sanità che viene al Meeting fa un figurone, la Sanità lombarda funziona perfettamente, quella è un’industria, fa un figurone. Io sono assessore ai Trasporti, sono l’unico che si deve sempre cospargere il capo di cenere; se non me lo ricordo io, me lo ricordano le decine di mail che ogni giorno mi arrivano dai pendolari lombardi che dicono: “Ma vai a casa, cambia mestiere, non sei capace di fare assolutamente nulla”. Però dietro c’è questo tema, che è politico; cioè noi abbiamo costruito la spirale perché è basata sull’idea che il trasporto deve avere tariffe basse, perché è un pezzo di welfare, non è un’industria. Le tariffe basse producono bassi investimenti, cioè non possiamo comprare treni nuovi; i bassi investimenti producono bassa qualità del servizio: con un parco rotabile che ha un’età media di circa trenta anni è difficile fare buoni servizi per i pendolari. Questo produce insoddisfazione dell’utenza, quindi scarsa attività del settore, nessuna spinta all’innovazione e così via. In mezzo a questa spirale c’è un’idea: quella che il trasporto pubblico è un pezzo di socialismo reale; è un pezzo di welfare modello Bulgaria, anzi modello Albania ai tempi di Hoxha. Basse tariffe per offrire bassi servizi. Questa spirale va rotta. Cosa può fare la politica? Credo possa fare tre cose – facciamo un breve sondaggio al volo. La politica può stare ferma; ora questo è quello che probabilmente tutti dicono che non bisogna fare, ma è quello che per lunghissimo tempo si è fatto. Magari vestendolo dell’idea un po’ diciamo liberista, Lassez faire, lassez passer, non facciamo niente, non peggioriamo la situazione. Però molto frequentemente la politica di fronte alle difficoltà del trasporto pubblico ha scelto di non fare nulla. C’è una famosa battuta di Andreotti, che ricorda sempre Mauro Moretti; Andreotti diceva: “Ci sono due tipi di matti: quelli che si credono di essere Napoleone e quelli che pensano di poter risanare le ferrovie”. Mauro Moretti è, come avete visto, un matto del secondo tipo. Però è così; questa battuta dice: “Quello è un tema talmente complicato che meno lo affrontiamo e meglio è”. Non credo che ci possiamo più permettere di stare fermi. Ci sono altre due alternative: la politica può scegliere di intervenire per disincentivare forme di mobilità che ritiene meno opportune; per esempio, l’auto va disincentivata, allora facciamo il repricing, l’ecopass come nel centro di Milano, facciamo le politiche che, bellissimo termine, si chiamano di Traffic calming, che vuol dire: calmiamo il traffico, cioè sostanzialmente impediamo di circolare, costringiamo a circolare a cinque chilometri dai centri urbani. Questa politica si fonda sull’idea che la soluzione si trova attraverso verbi come “vietare”, “pagare”, “bloccare”. Non è che mi trovi proprio a mio agio all’interno di questo paradigma. C’è un’altra possibilità, che è quella di incentivare forme di mobilità che sono più compatibili con l’ambiente e con un sistema moderno. Ma per poter incentivare una mobilità di questo tipo, la devo scegliere liberamente. Questo è il punto che fa la differenza politica nel passaggio da un sistema di socialismo reale concretizzato, come oggi è ancora ahimé quello del TPL, a un sistema diverso. Come faccio a sceglierlo? Bisogna percorrere una strada che trasformi il trasporto pubblico locale in un’industria, come è stato fatto in Europa. Passiamo alla slide successiva, purtroppo mi sono accorto che ne è saltata una che diceva questo: in Europa si è consentito al settore dei trasporti di assumere la configurazione di un’industria in grado di attrarre capitali di rischio, con dei dati che poi vediamo in una slide successiva, ma che c’erano già nella diagnosi di prima. Si è aumentata l’attrattività del settore consentendo investimenti privati e, secondo, si è consentito che si sviluppassero fenomeni di concentrazione, che invece non si sono innescati in Italia. C’era già precedentemente ma lo vedete meglio qui: le prime cinque imprese del TPL gomma in Italia fanno il 27% del mercato: ATM, quella di Roma e così via… La media in Europa è il 64%. Passiamo alla slide successiva che è ancora più chiara. Se andiamo nel dettaglio il valore della produzione dei operatori europei e italiani nel trasporto pubblico locale dice che c’è un rapporto tra il primo europeo e il primo italiano che è di uno a nove; quindi nove a uno. C’è un rapporto tra l’ultimo europeo e l’ultimo italiano che è di dieci a uno. Cioè la dimensione media delle nostre imprese è un decimo di quella europea. Non sono un fautore a tutti i costi del “grande è bello e funziona, piccolo è brutto e non funziona”; anzi il nostro modello di imprese dimostra che molto spesso è vero il contrario, però credo che nel campo del trasporto pubblico debba avvenire qualcosa di simile a quello che è avvenuto nel campo delle utilities, un sistema di aggregazioni che nasce dal basso e favorisce l’efficienza. Come si può fare? Con un intervento della politica che premi le forme di aggregazione e costruisca regole del settore che favoriscano l’aggregazione. Qual è il risultato delle scelte europee che hanno trasformato il TPL da un pezzo di welfare a un settore industriale? Interessante questa slide, perché è aumentato l’indice di soddisfazione ed è aumentato il grado di utilizzo del mezzo pubblico. Si potrebbe mettere un terzo istogramma di fianco, che sono le tariffe; paradossalmente questo è andato di pari passo con l’aumento delle tariffe. Non è vera questa concezione da veterocomunismo proprio del più trinariciuto che se noi facciamo pagare di meno la gente è più contenta. Questo dice che è vero il contrario; perché se noi facciamo pagare di meno e non diamo nessun servizio, la gente non è contenta, è più inferocita e dice che bisogna cambiare. Nel nostro paese l’indice di soddisfazione è il più basso, il grado di soddisfazione di utilizzo del mezzo pubblico è il più basso, le tariffe sono le più basse. Qualcuno dice che c’è una soluzione a tutto questo: quella di fare le gare. Anche su questo vorrei dire una cosa un po’ fuori dal coro: io non ci credo. Non perché sia contro le gare e contro, tanto meno, il mercato; e sono anzi una strada che bisogna imboccare; ma per fare le gare e imboccare la via del mercato ci vogliono condizioni che consentano realmente al mercato di esplicare la sua funzione concorrenziale. Se no è come pretendere di far galleggiare una nave senza metterci l’acqua. Nel campo della gomma è successo così; questo è il Nord-Italia, vedete le regioni del nord, compresa la Toscana. Alcune praticamente le gare non le hanno fatte, il Piemonte e il Veneto, altre la Lombardia, l’Emilia, la Toscana, il Friuli le hanno fatte, ma il risultato quale è stato? In tutte le gare finora effettuate, lo leggete in fondo, sono risultati vincenti gli operatori precedenti, a eccezione di pochissimi casi: Como (la gara l’ha vinta l’ATM di Milano), Crema (anche qui è intervenuto il soggetto milanese), Vigevano e Savona. Serve fare gare per far rivincere con un modello diverso da prima gli stessi soggetti e avere lo stesso servizio, gli stessi prezzi e con la stessa qualità? Credo di no. Nel campo del ferro – non c’è la slide, ma è ancora più impressionante – c’è un caso, che è quello del Piemonte, che ha scelto di fare le gare. Il risultato è che si sono presentati Trenitalia per ovvie ragioni, diciamo anche difensive, i tedeschi e i francesi per il motivo che vi ho spiegato prima e gli svizzeri. Gli svizzeri al momento della presentazione dell’offerta si sono ritirati dicendo: “A queste condizioni di prezzo noi non possiamo correre; non n siamo in grado di offrire un servizio competitivo”. Allora è evidente che l’ideologia della liberalizzazione e delle gare se non si creano le condizioni per il mercato non funziona. Che cosa bisogna fare in sintesi? Se guardiamo i modelli che funzionano bisogna completare il processo di trasformazione industriale che in Italia non si è ancora avviato e che richiede queste quattro cose: tariffe più elevate – io sono disposto a correre il rischio, non è popolare, ma credo che senza la scelta della politica che accetti tariffe più elevate e quindi di ricavi dal traffico più consistenti non si risolva il problema – quindi conseguentemente più risorse per gli investimenti, e bisogna che le imprese su questo si impegnino a investire e a erogare più qualità, politiche stabili a sostegno della mobilità collettiva; bisogna inventarsi qualche cosa, tipo quello che hanno fatto in Francia con il versement transport, e capacità di attrarre capitali di rischio.
Siccome ho solo 60 secondi, guardate 5 secondi questa slide: prezzo dei servizi di trasporto pubblico urbano, biglietto di Milano settimanale, abbonamenti dei vari posti in Europa e, come vedete nell’ultima colonna, siamo tra il 50-60% sotto; questa è la gomma; andiamo avanti, quella dopo è il ferro, anche qui come vedete siamo tra il 47 e il 69% sotto e questo dice che non possiamo andare avanti così. Bisogna solo aumentare le tariffe? Non si possono fare anche altre cose? Qui andiamo molto rapidi, passiamo alla slide successiva: si possono fare le tariffe integrate, cioè un biglietto solo per usare tutti i servizi: treni, metropolitane, autobus, tram. In tutto il mondo lo hanno fatto ormai da quasi trenta anni, da noi non si riesce. A Milano devo dire che sto combattendo una battaglia, ahimé finora perdente contro l’ATM e le altre aziende del trasporto pubblico, per fare un biglietto unico, e non riusciamo a farlo. Dove è stato fatto il biglietto unico è cresciuto fortemente il traffico e quindi anche i ricavi, questo è quello che le aziende non capiscono, cercando di difendere in modo arretrato i ricavi attuali; e si possono fare politiche di marketing, qui ci sono una serie esempi di politiche di marketing sia per il ferro che per la gomma, che è la slide successiva. Si può cominciar a trattare il trasporto come farebbe un’azienda per il prodotto. Questo è quello che dice la Commissione Europea e ha recentemente elaborato un piano di azione con obiettivi relativi sia alle politiche ambientali che alle modalità di trasporto e questo è quello che stiamo cercando di fare in Lombardia con queste linee di intervento.
L’ultima parola la voglio dire al Ministro, in qualche modo passandogli la palla. In questo scenario c’è un fatto che non torna: chi sta cercando (come abbiamo cercato di fare in Lombardia) di percorrere la via della trasformazione da welfare a mercato, oggi deve fare i conti con una manovra finanziaria che ci taglia fino al 30% delle risorse; c’è la prima artazione, 300 milioni di euro su un miliardo circa di contributo. In un sistema che riceve dai ricavi solo un terzo, un taglio 300 milioni non è sostenibile. Significa o ridurre di un terzo i servizi – noi abbiamo contratti di servizio per un miliardo di euro con cui paghiamo il 100% dei servizi; se ci sono 300 milioni in meno su un miliardo sono il 30% – o intervenire sulle tariffe, siccome valgono in tutto 500 milioni, 300 milioni su 500 sono il 60%, con incrementi che oggi non sarebbero sostenibili. Credo che su questo il Governo che mi aveva fatto inorgoglire di essere esponente del centro-destra – la prima cosa che ha fatto il Ministro Matteoli, bisogna rendergliene merito, è stato quello di mettere più risorse per il trasporto pubblico dopo oltre dieci anni in cu le risorse erano bloccate – oggi mi procura qualche difficoltà in più, anche nei confronti dei miei colleghi, a dire che sono del centro-destra, perché questa manovra ahimé più che proporzionalmente riduce quello sforzo che era stato fatto. Se vogliamo evitare di continuare a sprecare sul trasporto pubblico e costruire uno scenario di mobilità diversa, questo è un passaggio da cui non possiamo scappare. Sono certo che il ministro ci darà già da subito qualche parola di speranza. Grazie.

EMMANUELE FORLANI:
Grazie all’Assessore Cattaneo. Saluto anche il Sen. Fruttero che è con noi in sala stamattina. Mi è stato segnalato, come avete visto prima, che per un errore di regia non è partito quel minuto di video lanciato dal dott. Tazzioli; prima di dare la parola per l’ultimo intervento al ministro chiederei alla regia di mandarlo.

Video

ALTERO MATTEOLI:
Grazie. Aggiungerei al tema di questo convegno “Più rapido, più agevole, più sostenibile” anche il sostantivo “più sicuro”, elemento imprescindibile per tutte le tipologie di trasporto. Non c’è dubbio che questa è stata una tavola rotonda vera, perché abbiamo sentito critiche, provocazioni, almeno spero, anche però delle proposte. Il tema del convegno di oggi quindi non può prescindere da un’analisi di insieme della mobilità, e questo è stato fatto. La mobilità è un’esigenza trasversale, comune in tutto il mondo e possiede una valenza talmente universale da annullare ogni logica di confine; almeno nell’era moderna non è pensabile di risolvere il problema della mobilità pensando soltanto al nostro paese. L’Europa esiste, esiste anche per la mobilità; se non facciamo accordi almeno con i paesi confinanti… Il concetto di mobilità lo abbiamo scoperto negli ultimi anni, quando abbiamo capito la grande differenza che c’è tra il trasporto e la logistica; tra una funzione meramente legata al collegamento tra i distinti punti di un territorio e una funzione invece integrata, fatta di tanti elementi complementari al trasporto stesso. In passato è stata sottovalutata l’essenzialità della mobilita, segmentandola nel trasporto stradale, ferroviario, marittimo e aereo. In questi due anni che sono al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, ho tentato di cambiare questa concezione di una mobilità divisa in vari segmenti. Ho cercato di individuare gli anelli deboli della catena, ovvero quelli dove intervenire per migliorare l’accessibilità e soprattutto la sostenibilità. In questo approccio, che io considero nuovo, diventano essenziali alcuni elementi: la sicurezza, l’abbattimento dei livelli di saturazione e di congestione, la qualità, l’efficacia e l’efficienza dei servizi, l’attenzione all’ambiente e l’abbattimento dei costi energetici.
Partiamo dalla sicurezza, dalla sicurezza stradale. Non posso non ricordare il lavoro svolto dal Parlamento con l’introduzione del nuovo Codice della Strada, che ha introdotto nuove e più aspre sanzioni e, guardate, questo è avvenuto in un momento dove la politica è in forte fibrillazione (è un eufemismo), laddove c’è uno scontro molto forte su tutto. Ebbene sul Codice della Strada c’è stato un lavoro all’unisono; alla Camera è passato con il voto favorevole di tutti i componenti la commissione in sede legislativa; al Senato questo non è avvenuto, ma perché una parte dell’opposizione si è astenuta, ma ha consentito l’approvazione. Quindi su un argomento come questo c’è stata unità di tutti i gruppi a favore delle modifiche al nuovo codice. Oltre al nuovo codice, lo scorso anno, ecco che torna l’idea della necessità di lavorare insieme anche con gli altri paesi, in un convegno mondiale sulla sicurezza stradale che si è tenuto a Mosca, abbiamo proposto due iniziative che sono state condivise da tutti i paesi partecipanti cui intendo dare attuazione durante questa legislatura. La prima è quella di costituire un fondo rotativo internazionale, alimentato dal sistema assicurativo e finalizzato al miglioramento e alla diffusione sistematica e capillare dell’educazione stradale; la seconda proposta invece è mirata all’abbattimento dell’incidentalità legata alla qualità del veicolo e alla qualità delle infrastrutture. Questa componente, la qualità dell’infrastruttura, incide del 10% sulle cause legate all’incidentalità. In Italia abbiamo deciso di rivisitare integralmente quei nodi e quei segmenti viari su cui si verificano in modo sistematico più incidenti. Per quanto riguarda la sicurezza dei voli è stata presentata dal governo una proposta normativa volta al riordino strutturale dell’Agenzia Nazionale della Sicurezza del Volo, allo scopo di potenziarne i compiti di investigazione tecnica, di indagine e di studio, per favorire il miglioramento della sicurezza del volo a beneficio dell’utenza. Infine per quanto riguarda la sicurezza ferroviaria, nei primi giorni di agosto è stata approvata la legge che potenzia l’Agenzia Nazionale della Sicurezza delle Ferrovie, rendendola pienamente indipendente. In merito all’abbattimento dei livelli di congestione e di saturazione, voglio ricordare che nel 2008 il loro costo nelle nostre città grandi e medie ha superato la soglia dei nove miliardi di euro, mentre lungo alcuni assi stradali ha determinato i costi aggiuntivi che non ho nessuna remora a definire patologici. Due patologie che incidono annualmente nella nostra economia per un valore superiore a 60 miliardi di euro e che non rendono competitiva la nostra produzione, con un’incidenza sul costo del trasporto del 6-8% in più rispetto a quello di altri paesi dell’Unione Europea. Stiamo cercando perciò di superare tali disfunzioni attraverso il processo di infrastrutturazione che in questi due anni abbiamo intensificato e infatti siamo riusciti a istruire e sottoporre all’approvazione del CIPE interventi per un valore globale di circa 45 miliardi di euro. Ora, dice il dott. Tazzioli nel suo intervento, devo dire in alcuni suoi passaggi molto critico,ma non è questo che mi adonta, anzi è bene che in un dibattito come questo ci siano anche le critiche, però quando sento dire dal dott. Tazzioli che è mancata una politica industriale del settore, allora mentre lui parlava mi chiedevo: “Ma cosa vuol dire una politica industriale del settore dei trasporti?” In questi due anni questo governo ha detto sì alle infrastrutture autostradali e ferroviarie e lo ha fatto, non avendo soldi, ricorrendo al rapporto con i privati, attraverso il project financing e facendo partire opere infrastrutturali che erano ferme alcune da trenta anni; ha detto sì all’intervento per migliorare i nostri aeroporti: aumento delle tariffe aeroportuali indirizzate all’ampliamento e alla ristrutturazione degli aeroporti. Ha detto sì al finanziamento per l’acquisto di nuovi treni, soldi che sono andati alle regioni per fare le gare, tutto mirato al miglioramento delle linee ferroviarie regionali, che certamente ne hanno bisogno, perché lo stato delle linee ferroviarie regionali è quello che è. Ha presentato un disegno di legge per la riforma portuale. È intervenuto pesantemente – qui è presente il Sottosegretario Giachino che se ne è occupato per la delega che ha. Finanziamenti al mondo dell’autotrasporto pesante, tanto da far sottoscrivere un accordo che, grazie a quello che gli ha dato il governo per due anni, non dichiarerà lo sciopero. Allora io mi domando: cosa è una politica industriale di un settore, se tutte queste scelte non rappresentano una scelta politica? Allora ho capito male di cosa si tratta per politica industriale. Se per politica industriale si intende fare scelte mirate a favore di un solo settore, allora certamente non è la politica industriale che può fare questo governo e questo ministro. Andando avanti sulla qualità e sull’efficacia e sull’efficienza dei servizi, penso si debba fare ancora molto, sono io il primo a dirlo; mi riferisco in particolare al trasporto collettivo che è legato alle attività del terziario, che incide ormai per oltre il 70% nella formazione del prodotto interno lordo. La mobilità all’interno delle aree urbane, il pendolarismo, è ancora oggi lontano da livelli tali da scoraggiare l’uso dei mezzi privati; tuttavia dallo scorso anno, con apposita legge, le risorse per il trasporto locale sono trasferite alle regioni che stipulano con le ferrovie specifici contratti, garantendo così un più chiaro confronto tra fruitori e gestori e un aumento della qualità dei servizi. Qui l’intervento che fa il Sottosegretario Cattaneo è un intervento che fa da assessore della Lombardia (ma se lo fosse anche del Molise), sono perfettamente d’accordo. Ma guarda Cattaneo come è stato difficile, nonostante l’approvazione da parte del Parlamento di una legge per aumentare le tariffe portuali, consentire agli aeroporti di ampliarsi; quello di Roma, Fiumicino è un aeroporto che se non si interviene non può garantire per i prossimi anni alcunché; perché oggi arrivano a Fiumicino 36 milioni di passeggeri ed è previsto nel 2020, cioè domani, un afflusso di oltre 60 milioni di passeggeri; se l’aeroporto non si raddoppia, se non si investe, non si fanno le ristrutturazioni necessarie… Nonostante ci sia una legge, il CIPE nell’ultimo ciclo ha preferito rimandare a dopo l’agosto, in modo che questi aumenti tariffari possano entrare in vigore.
Tariffe più elevate – dice Cattaneo. Io sono favorevole, però al momento che vai a calare un provvedimento legislativo devi fare i conti con quella che è la situazione economica più generale del paese. Per carità, però parliamone. E’ vero quello che dice Cattaneo; l’avrò detto diecimila volte quando facevo il ministro dell’Ambiente, noi in Italia abbiamo un rapporto tra abitanti e numero delle auto che è primo al mondo, non esiste un altro paese al mondo che ha circa 33 milioni di auto per 56 – 57 milioni di abitanti, e qualcuno vedendo quei dati pensa che siamo ricchi, perché abbiamo tutte queste macchine, invece spesso le macchine così numerose sono una necessità da parte dei cittadini, perché non hanno un servizio efficiente e quindi sono obbligati a usare la macchina per andare al lavoro, un po’ ci sono anche altri motivi, ma è questo…, non c’è una possibilità di scelta, per tanti motivi. In passato qualche tentativo è stato fatto, sono state approvate anche alcune leggi interessanti, per esempio ci fu la legge sui parcheggi, la legge che portava il nome proprio di un milanese, di un esponente milanese, di un Ministro come Tognoli, che era stato anche Sindaco della città e che aveva fatto una legge, una buona legge, perché i trasporti sono indispensabili, a mio avviso, nella semiperiferia della città per consentire al cittadino di arrivare lì e poi prendere il mezzo pubblico, ma solo se il mezzo pubblico esiste e se il mezzo pubblico è efficiente. E su questo dobbiamo lavorare molto, perché qui io non posso negare quello che ha detto Cattaneo, che è avvenuto.
E analogamente nel trasporto aereo, la liberalizzazione dei servizi, voluta dall’Unione Europea e sostenuta dal governo, ha aumentato la sicurezza dei passeggeri e la qualità dei servizi, facilitando la circolazione delle persone e delle merci.
Sull’attenzione all’ambiente, all’abbattimento dei costi energetici, le emissioni CO2 e l’incidenza dei consumi energetici nel comparto del trasporto: sono fattori che condizioneranno nei prossimi anni l’intera politica dei trasporti. Anche su questo, avendo fatto il ministro dell’Ambiente per tre volte, su questo, me ne rendo conto, bisogna che cambi nel nostro paese la mentalità culturale sull’ambiente. L’ambiente non lo possiamo continuare a considerare solo un costo, l’ambiente, la sua salvaguardia è anche una opportunità. Se entra questo nella mentalità anche di chi governa, a tutti i livelli, dal Comune al Governo centrale, è più facile trovare le soluzioni. Sulle emissioni di CO2 e sulla contestuale azione di riverifica globale del parco auto, a scala comunitaria e nazionale, si è fatto qualcosa e sicuramente si farà ancora di più man mano che le direttive comunitarie diventeranno sempre più cogenti. In questi due anni abbiamo cercato di ridurre, con l’Ecobonus ed ultimamente con il Ferrobonus, una rilevante quantità di merci circolanti su strada, che è l’obbiettivo perseguito, ovviamente e grazie alle autostrade del mare.
Arcuri, che ha fatto un intervento molto interessante anche sotto il profilo culturale, ha detto una cosa relativa al numero degli aeroporti soffermandosi in modo particolare nel sud d’Italia. Io credo che questo valga un po’ per tutto il territorio nazionale. Diciamo la verità, il numero degli aeroporti che sono nati in Italia – 106 aeroporti abbiamo in Italia, tra nazionali e regionali – è una cifra assolutamente sproporzionata, che ha creato disagi. Io credo che la crisi della nostra compagnia di bandiera abbia anche questa motivazione, non completamente, ma anche questa motivazione. Così come sono troppi i nostri porti! E’ possibile avere tre porti in cento chilometri? Magari si è deciso di fare un porto per trasportare solo una merce, un prodotto soltanto, perché era caratteristico di una certa zona. Però anche su questo, va bene denunciarlo, va bene approfondirlo, anche, se posso usare questo termine forse improprio, anche sul piano culturale, ma quando lo traduco, cosa faccio? Faccio una proposta di chiudere un aeroporto, o di chiudere un porto, in un paese dove ognuno vuole il suo foro, dove ognuno…? In ogni finanziaria, abbiamo visto presentare da colleghi parlamentari, per carità, l’ho fatto anch’io, emendamenti, perché vogliono in ogni città un loro aeroporto, per poi andare sul territorio e dire: sono io che ti ho fatto mettere un aeroporto, che non serve a nulla, che ha un costo e basta. Ma questo è successo in questi anni! Blocchiamo questa deriva, ma certamente è difficile poter intervenire.
Il dottor Arcuri poi ha fatto un esempio, che capita molto spesso a noi italiani, quello dell’impianto di golf che ha ritardi nel vedere l’approvazione, perché è troppo vicino a un bagnasciuga. Potremmo fare di questi esempi, tanti, perché noi italiani ci siamo complicati la vita da questo punto di vista, però poi scopriamo, dottor Arcuri, anche alcune cose interessanti che l’Italia è riuscita a fare. Lo faccio anch’io, per carità, in questa fase un po’ meno perché essendo al governo faccio un altro mestiere, ma quando faccio il parlamentare di opposizione lo faccio con più facilità, di criticare e mai di sottolineare invece le ottime cose che questo paese ha fatto.
Vede, io mi sono trovato recentemente in una situazione che mi ha fatto molto piacere, benché all’inizio fosse anche imbarazzante: il Ministro tedesco, il neo-ministro delle Infrastrutture e Lavori pubblici, che è stato nominato recentemente, mi ha chiesto un incontro, un bilaterale, come si usa dire; io naturalmente l’ho ricevuto molto volentieri, è venuto a Roma, gli uffici, ho fatto lavorare gli uffici, il nostro addetto diplomatico, per preparare il fascicolo di tutte le cose che erano in discussione con la Germania, per cercare di avere un file corposo per potere affrontare i vari argomenti, e mi sono trovato il ministro che mi ha detto: Caro ministro, io sono venuto da Lei perché lei mi deve spiegare come funziona il project financing in Italia, perché io lo voglio mutuare e portarlo anche nel mio paese, in Germania. E lì abbiamo scoperto, e quindi non ascrivo merito al mio Governo, perché questo è nato da qualche anno, poi si è migliorato col passare degli anni con alcune modifiche, anche di ordine legislativo, abbiamo scoperto che noi abbiamo in Italia molto probabilmente il progetto di finanza migliore al mondo, che viene addirittura mutuato, ma ci capita raramente di ricordarlo, perché siamo più portati a criticare, però abbiamo fatto anche cose interessanti da questo punto di vista.
Infine, io mi aspetto, lo dico tra il serio e il faceto, che prima o dopo l’ingegner Moretti, che è bravissimo in tutto, anche nelle provocazioni, ci dica: perché non si chiudono gli aeroporti di Linate e di Malpensa, tanto ci sono i treni…? Chiudiamoli! Mi aspetto che prima o dopo faccia una proposta del genere, perché non perde occasione…, allora, io ritengo deboli le dissertazioni che spesso vengono fatte sulla concorrenza tra alta velocità ferroviaria e trasporto aereo, lo dico molto francamente, basta dare un’occhiata in Europa per rendersi conto di cosa è accaduto. Integrare davvero, infatti, il nodo aeroportuale con la rete ferroviaria veloce significa esaltare al massimo le potenzialità possedute dalle due modalità di trasporto. Io sono convinto di questo, e lo dico perché se andiamo in Francia, quando un treno ad alta velocità passa da Lione per arrivare a Parigi, è chiaro che la gente che partiva da Lione e aveva bisogno di prendere un aereo, faceva considerazioni diverse e invece oggi va a Parigi velocemente e piglia il treno! Quante persone possono circolare in più se c’è un treno ad alta velocità efficiente e un aeroporto efficiente! Quante persone in più arrivano nel nostro territorio, perché il turismo oggi non ha più quelle caratteristiche di una volta, che chi aveva un po’ di soldi andava in vacanza e ci stava un mese; oggi in vacanza ci si va una settimana soltanto, e si ha bisogno di essere celeri, veloci, di arrivare nel posto di villeggiatura, e quindi abbiamo bisogno di treni, di questa integrazione tra treni e aeroporti. Penso però che un’interazione tra le varie modalità sia possibile solo dando costrutto reale ad un nuovo assetto gestionale dell’offerta, che sia capace di rispondere davvero alle esigenze della domanda, alle reali esigenze dei fruitori. Solo in tal modo la mobilità diventa motore della crescita socio-economica del paese.
Ultimissima considerazione che voglio fare. Spesso leggiamo su molti giornali, leggiamo dichiarazioni in Parlamento, qui ci sono alcuni colleghi parlamentari, quante volte sentiamo dire: eh, ma il costo in Italia delle infrastrutture è un costo superiore agli altri paesi! E questo è un argomento che soprattutto per l’alta velocità ferroviaria, quante volte ci viene rinfacciato! Viene rinfacciato a tutti i governi, perché l’Alta velocità è iniziata con governi centristi, è passata con i governi di centro-destra, con i governi di centro-sinistra, quindi con tutti i governi. Beh, anche su questo io non voglio, ci sarà sicuramente anche qualcosa di spurio, per carità, non lo voglio negare, però bisogna anche considerare come è fatto il nostro paese da un punto di vista geografico. Se noi andiamo in Francia, tra una città, tra un comune e l’altro, spesso ci sono cinquanta, cento chilometri di distanza; in Italia c’è un comune accanto all’altro…, e poi c’è un altro fatto: in Italia l’Alta velocità si paga all’Alta velocità, in Italia basta attraversare un paese e il comune che si attraversa chiede all’Alta velocità addirittura un asilo, addirittura una strada… e naturalmente questo va a incidere sul costo dell’Alta velocità, va a incidere pesantemente su tutto questo. Allora, prima di fare certe considerazioni, bisognerebbe avere un quadro completo del perché l’Alta velocità è costata di più. Poi, che ci siano stati, che ci possano essere, anche atteggiamenti spuri, per carità, non lo nego, ma complessivamente mi sento di difendere anche da questo punto di vista l’operato. Lo ripeto, non ascrivo meriti a questo governo, perché ha attraversato, l’Alta velocità, tanti governi negli ultimi vent’anni, da quando si è iniziata a costruire. Grazie.

EMMANUELE FORLANI:
Grazie al ministro, anche per, oltre a non avere schivato, diciamo, le provocazioni che sono arrivate, anche per averci aiutati, ed è un aspetto molto caro al Meeting di Rimini.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

24 Agosto 2010

Ora

11:15

Edizione

2010

Luogo

Sala Neri
Categoria
Incontri