PERSONA, COMUNITÀ E STATO

Partecipa Tony Blair, Presidente Tony Blair Faith Foundation. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.

Il testo dell’incontro è pubblicato nel libro “La conoscenza è sempre un avvenimento”, edizioni Mondadori Università.

 

GIORGIO VITTADINI:
Buongiorno, è un grandissimo onore per noi del Meeting ospitare Tony Blair, penso che sia uno dei grandi incontri, dei più grandi incontri di questi ultimi trent’anni che segnano la storia del Meeting. Tutti noi sappiano chi è Tony Blair, la sua importanza nella politica mondiale. Tony Blair è stato membro del Parlamento inglese dal 1983 al 2007 e poi leader del partito britannico laburista dal 1994 dal 2007 e poi Primo Ministro della Gran Bretagna ed Irlanda del Nord dal maggio 1997 al giugno 2007. Ricordiamo che, nei suoi 10 anni come Primo Ministro, Blair ha trasformato i servizi pubblici britannici attraverso un programma di investimento e riforma di scuole ed ospedali. I risultati sono stati molteplici: più ragazzi dai voti scolastici migliori, più persone con un accesso celere all’assistenza sanitaria, con un tasso di sopravvivenza migliore per malattie come il cancro e la cardiopatia coronarica. Blair si è sempre battuto fortemente per i valori, per una politica attivistica e multilateralista, che ha permesso di affrontare il terrorismo in Iraq, in Afghanistan, in Kosovo e in Sierra Leone, affrontando problemi come il cambiamento climatico, la povertà globale, la difficile situazione in Africa e il processo di pace in Medio Oriente. Ricordiamo poi in particolare il contributo decisivo al processo di pace in Irlanda del Nord, che lui ha risolto. Ma altrettanto rilevante è la sua attività negli ultimi anni. Blair ha dato vita alla Tony Blair Foundation nel maggio 2008, che è particolarmente attiva in argomenti sulla cooperazione e sul dialogo tra le religioni, tra credo cristiano, musulmano, ebreo ed indù, sihk e buddista. Ha anche dato vita alla Tony Blair Sport Foundation che offre nuove opportunità ai giovani, introducendo nello sport l’insegnamento, ma soprattutto dal luglio 2007 è rappresentante del Quartet, dell’iniziativa degli Stati uniti, delle Nazioni Unite, la Russia e l’Unione Europea nel Medio Oriente, quindi sta svolgendo un ruolo fondamentale per assicurare in questo punto cruciale del mondo per la comunità internazionale la pace, e continua, nello stesso tempo, a portare avanti cause come la difficile situazione in Africa ed il cambiamento climatico. Allora capite come per noi è un grande onore accoglierlo per la sua attività ufficiale, ma anche per la particolare sintonia con la sua posizione, con questo lavoro. Per questo il tema di oggi “Persona, comunità e Stato” ci trova particolarmente attenti ad ascoltarlo. L’incontro si svolgerà con una sua relazione all’inizio e poi con quattro domande che completeranno l’incontro. Lo ringraziamo ancora per la sua presenza.

TONY BLAIR:
Grazie. Prima di tutto, sono dispiaciuto di non potervi parlare nella vostra bellissima lingua. Provo a parlarla da poco, anche se è difficile. E’ un privilegio rivolgermi a voi, al famosissimo Meeting di Rimini, è anche un onore essere associato a Comunione e Liberazione, essere qui con voi. Per altro, è sempre un piacere anche solo essere in Italia, anche perché proprio in questo paese, l’Italia, ho passato moltissimi momenti belli. E’ dove, tra l’altro, quasi trent’anni fa ho chiesto a mia moglie di sposarmi e adesso, tre decenni dopo e quattro figli dopo, mi fa molto piacere ovviamente rievocare quel momento. Come saprete, sono anche un nuovo membro della Chiesa cattolica, sono neofita e quindi sono in soggezione, dovendo parlare di fronte ad un gruppo così illustre di persone, così eminenti. Mi sento umile, però grazie per questo benvenuto così caloroso. Da quando ho cominciato i preparativi per divenire cattolico, sentivo che stavo tornando a casa e in questa casa adesso c’è il mio cuore, e so che è qui, è questo luogo a cui appartengo. Sono appena ritornato da un viaggio in Cina, vado molto spesso in Cina, un paese che mi affascina moltissimo. Lo guardo come cresce, come si sviluppa, non solo economicamente ma anche a livello politico e culturale. Durante la mia visita ho discusso anche di cambiamenti climatici con i leader cinesi; un argomento questo, il clima, a differenza di quanto si possa pensare in Occidente, in cui la Cina sta dimostrando veramente un impegno forte e determinato, per cominciare a ridurre le emissioni di anidride carbonica. Ho parlato ad una conferenza in una delle province più povere, in una città che si chiama Guyang e mi sono reso conto che ci stanno davvero provando. Stanno lavorando per far superare ai cinesi poveri la povertà, promuovendo la crescita e rendendo questa crescita sostenibile, utilizzando fonti energetiche più pulite, come l’energia solare. Però, come sempre accade, mi sono portato via molto più di quanto avrei immaginato, perché con i cinesi ho discusso anche di assistenza sanitaria, di riforma della sanità e di come la Cina cerca di sviluppare il suo welfare-state. Si stanno occupando, i cinesi, proprio della relazione tra persona, stato e comunità e stanno elaborando alcune soluzioni molto interessanti e radicali, che ci potrebbero davvero sorprendere. Stanno studiando quello che abbiamo fatto qui noi in Europa, quello che c’è venuto bene e quello che invece abbiamo sbagliato, e si rendono perfettamente conto dell’equilibrio tra lo Stato ed il bisogno della responsabilità individuale, tra servizi universali statali e concorrenza. E’ chiaro che faranno le cose alla cinese, ma i dilemmi e le scelte in politica si sa che sono comunque sempre presenti. C’è un’altra cosa che ho trovato molto interessante in Cina. So che la relazione tra la Cina e la Chiesa cattolica rimangono estremamente difficili per motivi conosciuti. Spero però che nei tempi queste difficoltà saranno superate. Ascoltando però i discorsi sull’ambiente, sentendo come descrivono la relazione tra l’individuo e il governo, tra la società e lo stato, mi ha molto colpito vedere come sempre di più la Cina si stia sviluppando, stia sviluppando una prospettiva sul suo futuro, basandosi però molto sulla sua cultura, sulla sua civiltà millenaria, che ovviamente esiste da millenni, e sulle sue tradizioni di fede e di filosofia: il confucianesimo, il taoismo, il buddismo. Parecchie persone che ho avuto occasione di incontrare hanno parlato apertamente della loro fede, e alcuni di questi erano cristiani, ve lo devo dire, facenti parte di un movimento cristiano crescente che c’è in Cina. Quindi la Cina, un paese sia antico che nuovo, una repubblica popolare che celebra quest’anno il suo sessantesimo anniversario, sta esprimendo a proprio modo i limiti di una considerazione della società semplicemente come una questione giuridica o tecnocratica tra l’individuo e lo Stato. Questo ci dovrebbe dare un momento per la riflessione, ed anche speranza, credo. Come primo ministro del Regno Unito per ben 10 anni e anche come leader del Partito laburista per 13 anni, periodo durante il quale ho riformato la nostra Costituzione proprio per quanto riguarda la relazione tra l’individuo e lo Stato, ho avuto occasione di imparare tante cose. Ho cominciato sperando di riuscire a far felici tutti e sempre, ed alla fin fine ho dovuto ricredermi, ho dovuto chiedermi se ero riuscito a far felice almeno qualcuno, almeno ogni tanto, però questa sarebbe una lunga storia. Ho imparato nel tempo che lo Stato è migliore quando riesce a dare strumenti, ad emancipare, quando si aggiunge agli sforzi dell’individuo per sua creatività, anziché sostituirsi all’individualità; quando, anziché tentare di controllare le nostre vite, lo Stato ci da più opportunità affinché noi possiamo controllare le nostre vite. E’ chiaro che lo Stato deve organizzare servizi pubblici che sono particolarmente preziosi per i più poveri, ma non è necessario che lo Stato per forza li gestisca sempre questi servizi; questi servizi devono essere responsabili verso le persone, e non viceversa. Io vedo l’andamento delle politiche dell’energia del XX secolo in questo modo: all’inizio del XX secolo la rivoluzione industriale aveva profondamente cambiato il mondo del lavoro. Però molte persone erano senza qualunque protezione, ed i frutti del loro lavoro venivano loro tolti. Quindi in tutte le nostre nazioni ha cominciato a crearsi il welfare-state, quindi sistemi nazionali di previdenza, di istruzione pubblica, di assistenza sanitaria. Però man mano che cresceva la ricchezza delle persone, e le loro tasse servivano a finanziare questi servizi erogati, sempre di più si è cercata maggiore qualità, maggiore libera scelta, sistemi che venissero più incontro ai loro singoli bisogni. Quindi almeno nel Regno Unito, ma senz’altro in altri paesi, è cominciata questa spinta alla riforma per ridurre il potere dello Stato, anzi il potere di tutte le istituzioni collettive, compresi i sindacati. Oggi cerchiamo un equilibrio tra l’equità dei servizi statali forniti e la libera scelta individuale, che più spesso viene collegata al settore privato. Io ho portato avanti proprio questo approccio nel Regno Unito, ho sviluppato quella che ho chiamato “la terza via” tra uno Stato troppo potente ed un mercato troppo liberalizzato. E questa è proprio la filosofia che stava alla base delle nostre riforme, ad esempio del sistema sanitario nazionale, dell’istruzione, delle pensioni, del welfare. Abbiamo anche molto sviluppato il terzo settore, quello del volontariato, del non profit. Come sa bene il professor Vittadini, ne approfitto per esprimere grandi ringraziamenti ai lavori della Fondazione per la Sussidiarietà, non c’è solo spazio, direi che c’è sempre più spazio, oggi come oggi, per le organizzazioni della società civile, affinché si facciano avanti e facciano cose che né lo stato, né il mercato possono fare. E molte di queste attività vengono portate avanti dalle persone di fede, da molti membri della nostra Chiesa. Sto pensando al lavoro prezioso fatto da quelli che accudiscono gli ammalati, a coloro che vengono incontro agli afflitti, a quelli che offrono la loro amicizia a chi non ce l’ha, nelle strade delle nostre città, ma anche in zone più lontane, nell’Africa, dove, senza la nostra Chiesa e senza il lavoro della nostra fede, molti sarebbero senza qualunque speranza, senza amore. Forse sarebbero anche senza vita. Io spero vivamente che di queste opere buone si parli, si parla di tante cose brutte che esistono al mondo! Questo lavoro però ha un significato ancor più profondo, e questa è una cosa che ho imparato gestendo il governo di un grande paese europeo. Ho imparato, nel tempo, che la persona e lo stato, seppur appoggiati dalla comunità, comunque non bastano. Una società per raggiungere una vera armonia, per completarsi, ha sempre bisogno anche di un posto per la fede. I limiti dell’individualismo, in un certo senso, sono abbastanza ovvi, basta vedere la crisi finanziaria per comprendere che il perseguire il massimo dei profitti nel breve termine, senza pensare al bene comune, è stato un errore e non può portare né al profitto né al bene, purtroppo. Comunque, a un livello più profondo, essere contro una filosofia puramente individualista o puramente materialistica è una cosa che va detta, bisogna rifletterci, anche perché i giovani di oggi hanno accesso a molta tecnologia, a opportunità, a esperienze buone o cattive che sono a un livello che la mia generazione non si sarebbe nemmeno sognata, e forse la generazione dei miei genitori avrebbe pensato che questa era quantomeno fantastica per non dire fantascientifica. Il pericolo però è abbastanza chiaro, l’inseguire l’edonismo diventa un fine a se stesso ed è qui che può entrare in gioco la fede, che ci può insegnare un senso del dovere nei confronti degli altri, la responsabilità per il mondo che ci circonda, ci può portare, come ha detto il Santo Padre, nella Caritas in Veritate, ci può portare a caritas in veritate. Dopo l’esperienza del fascismo, del comunismo sovietico o se vedete a quello che è accaduto in Corea del Nord o alla rivoluzione culturale in Cina, guardando queste cose è più facile comprendere i pericoli di uno stato troppo potente. Però io direi anche che lo stesso concetto di comunità ha i suoi limiti. La parola comunità la utilizziamo in due sensi: da una parte per distinguerla dal governo, quindi per porre l’accento sulla società civile se volete, e dall’altra è per descrivere semplicemente la comunità generale, quasi l’opinione pubblica. In politica, ovviamente, soprattutto nei regimi democratici, comanda la gente, comandano le persone, l’opinione pubblica è una cosa che va sempre corteggiata, bisogna avere il suo favore, anche se non si arriva a piegarla, a farla arrendere, però bisogna gestirla ed è proprio qui che la fede amplia e arricchisce l’idea stessa di comunità. L’enciclica papale recente è un documento significativo da molti punti di vista, vale veramente la pena leggerla e rileggerla. In tutta l’enciclica c’è un filo conduttore che si ripete, l’enciclica è come un contrattacco alla nozione di relativismo, alla descrizione della condizione umana nella società come se fosse un negoziato amorale oppure una serie di compromessi a cui bisogna scendere con la modernità, oppure una semplice obbedienza alle opinioni maggioritarie. Non che voglia essere antitecnologica o antimoderna o men che meno antidemocratica, però l’enciclica amplia veramente questa relazione, l’approfondisce tra i singoli e la comunità all’interno della quale vivono, ponendo ovviamente la verità di Dio al centro di essa. In un particolare punto l’enciclica descrive l’umanesimo privo di fede come un umanesimo disumano. Senza Dio, dice l’enciclica, l’uomo non saprà da che parte andare, non riuscirà nemmeno a comprende chi è. Penso che questo sia ancora più importante oggi per questo motivo: viviamo nella globalizzazione, i nostri paesi, le nostre comunità stanno diventando sempre di più dei crogiuoli dove si incontrano diverse fedi, diverse razze, diverse culture, diversi gruppi etnici. Con internet, le comunicazioni di massa, i viaggi sempre più facili, le migrazioni, il mondo sta diventando sempre più piccolo e il pericolo è proprio quello di perdere la propria identità. Ma c’è un altro pericolo, il fatto che non riusciamo a comprendere che una comunità globale, esattamente come un paese, se non si vuole che venga dominata semplicemente dai più potenti o portata avanti da interessi a breve termine, ha bisogno di fini e obbiettivi condivisi, forti, di una forza quasi di contrappeso che venga generata dal perseguimento del bene comune. Non possiamo tornare ad essere come delle isole separate, la globalizzazione c’è, siamo già interdipendenti. Guardate a qualunque problema, la crisi finanziaria, i cambiamenti climatici, il terrorismo, nessuno di questi enormi problemi potrà essere risolto da una singola nazione, nemmeno dagli americani. Non abbiamo alternative, bisogna per forza allearci e venirci incontro, ma a che fine, a che pro e soprattutto spinti da quali valori? E qui volevo brevemente ancora citare il Pontefice: la globalizzazione ci rende tutti vicini ma non ci rende fratelli. Quindi, come gestire il problema della scarsità di risorse nel mondo, chi farà sentire la voce dei poveri, quelli che hanno perso tutto, i rifugiati, i migranti? Come faremo crescere e prosperare l’intesa anziché l’ignoranza, la tolleranza anziché la paura? Ed è proprio in questo nuovo spazio che il mondo della fede e ovviamente la Chiesa cattolica, la Chiesa universale che è un modello di istituzione globale, devono entrare in gioco. I leader politici da soli, e questo ve lo voglio dire molto onestamente, non ce la possono fare da soli, non perché siano cattive persone, ma perché il contesto e le limitazioni, all’interno delle quali si trovano a lavorare, rende le cose troppo difficili per loro. Mi ricordo quando al G8 del 2005 avevamo parlato molto di cambiamenti climatici, di povertà globale; i politici si erano veramente preoccupati, avevano paura di queste richieste che venivano loro buttate addosso. Comunque questo fardello si è poi rivelato molto più leggero per il fatto che la Chiesa cristiana aveva dimostrato una grande solidarietà e disponibilità ad aiutare. Cercando questo sentiero della verità, ovviamente nell’amore di Dio e nella grazia di Dio, la Chiesa può essere la voce spirituale forte ed insistente che renderà la globalizzazione al nostro servizio, anziché renderci schiavi di essa. Ed ha anche un altro scopo: una parte naturale di questa missione è quella di lavorare insieme a quelli di altre fedi nei nostri paesi ed al di fuori. Nella mia fondazione, che ha proprio come scopo quello di promuovere il rispetto e l’intesa fra le varie fedi religiose, io dico sempre molto chiaramente una cosa: io sono e resterò sempre un cristiano e ovviamente sarò sempre fedele a nostro Signore Gesù Cristo. La globalizzazione potrà anche fare incontrare persone di diverse fedi, ma non per questo dobbiamo diventare tutti la stessa cosa e trovare una fede che sia come un comune denominatore. Siamo tutti insieme, ma manteniamo le nostre caratteristiche precise, le nostre fedi. Quindi ci rispettiamo, ci trattiamo con rispetto, però non siamo gli uni uguali agli altri, lavoriamo insieme, collaboriamo. La mia fondazione ha dei programmi, ad esempio, per il settore dell’istruzione, programmi che funzionano in almeno 20 paesi di tre diversi continenti e c’è anche un’istruzione alla religione in questo programma, che si basa su internet, affinché le persone possano parlare gli uni con gli altri appunto al di là tutti i confini religiosi. Lo scorso mese ho partecipato ad una sessione, in internet, fra una scuola a Delhi, una a Bolton in Inghilterra e una in Palestina. Abbiamo anche un programma per stabilire dei collegamenti fra le fedi nella lotta contro la malaria, che uccide un milione di persone ogni anno, soprattutto bambini. In Africa purtroppo, molte comunità non hanno nemmeno un ospedale, ma ogni comunità ha sempre una chiesa o una moschea, quindi ci stiamo aiutando per creare delle organizzazioni interreligiose, abbiamo cominciato il lavoro in Nigeria e il lavoro è stato portato avanti dall’arcivescovo di Abuja, dal sultano di Sokoto, il leader della comunità mussulmana, con la collaborazione della banca mondiale. Ovviamente mobiliteranno le loro comunità religiose, formeranno personale sanitario, forniranno farmaci e zanzariere che serviranno a salvare tante vite di bambini. E vi potrei parlare dello stesso esempio che riguarda il Ruanda, il Mozambico e il Mali e anche altri paesi. Questo, guardate, è il punto più importante: molto spesso la religione viene vista come una fonte di conflitto o di divisione ed è proprio questa manifestazione che consente al laicismo aggressivo in certe parti dell’occidente di crescere, invece dobbiamo riuscire a mostrare che la fede si impegna per la giustizia, per la solidarietà fra popoli e nazioni, e che riesce a farlo insieme a quelli di altre religioni e proprio in questo modo riusciremo a mostrare il vero volto di Dio, dell’amore di Dio, della sua pietà e della sua compassione. Questo è senz’altro il ruolo della fede nei tempi moderni, fare quello che solo la fede riesce a fare, raggiungere quello che invece né una persona né uno stato né una comunità da soli o anche tutti insieme potranno mai raggiungere: rappresentare la verità di Dio. Non la verità limitata dalla fragilità umana o dagli interessi di uno stato o ancora dalle abitudini transitorie di una comunità, per quante buone intenzioni abbiano, ma la verità che ci infonde l’umiltà, l’amore per il prossimo e la vera conoscenza che riesce veramente ad andare al di là di ogni comprensione. Questa è al fede, quindi non una forma di superstizione, non una sicurezza contro le difficoltà della vita, bensì la fede come la salvezza per la condizione umana. Una fede quindi non come una magia, non come una via di fuga dalle complessità della vita, bensì la fede come scopo della vita. La fede quindi non come un mistero che ci disperiamo di risolvere, bensì la fede come un mistero che esprime tutte le limitazioni della mente umana, la fede e la ragione insieme, alleate, mai in opposizione. Fede e ragione si danno appoggio a vicenda, si vengono incontro, si appoggiano e rafforzano, mai si contendono la supremazia, mai si mettono in competizione, perché sono già supreme insieme. Ecco perché la voce della Chiesa va sempre ascoltata, ecco perché deve essere una voce che dà fiducia, una voce chiara, una voce aperta. All’interno di qualunque nazione, al di là di ogni nazione, nella comunità delle nazioni, quella voce della fede deve essere sempre ascoltata. Questa è la nostra missione per il XXI secolo, per tutti i tempi moderni, per il futuro. La scienza, la tecnologia, tutti i progressi dell’umanità non renderanno mai questa voce meno importante, anzi la renderanno sempre più importante. Quindi anche con l’umiltà e la diffidenza di un neofita che è appena entrato nella Chiesa cattolica, voglio dire, vi voglio dire, siate forti, siate coraggiosi, audaci! I giorni migliori della nostra fede, con l’aiuto di Dio, sono ancora davanti a noi, hanno a venire, grazie.

GIORGIO VITTADINI:
Porgo ora alcune domande che riprendono alcuni temi trattati. La prima domanda riprende la prima parte dell’intervento, sulla sua eredità politica. Noi sappiamo e abbiamo risentito che lei ha portato non solo per la politica laburista ma per tutta la Gran Bretagna una grande trasformazione storica, una trasformazione che è andata al di là della Gran Bretagna, che è un po’ una rivoluzione delle politiche europee. Può riprendere i tratti di queste sue proposte innovative? L’ha già accennato, ma quali sono le eredità più importanti di questo suo lungo periodo di governo?

TONY BLAIR:
Grazie. E grazie anche per farmi fare la sauna gratuitamente. Ci sono due principi di base nelle nostre riforme. Il primo principio è che le persone devono far sì che lo stato e i suoi servizi siano responsabili, debbano rendere conto. Noi siamo giunti alla conclusione che dovevamo riformare i nostri sevizi pubblici, la nostra amministrazione, per cui li abbiamo aperti, li abbiamo liberalizzati per offrire diversi servizi, per cui se una persona non era contenta o soddisfatta poteva rivolgersi ad un altro fornitore, sempre restando nel pubblico. Penso che queste riforme vadano portate avanti. Avevamo anche visto molto chiaramente che quando si provano a gestire problemi difficili come questi, che riguardano il welfare, è molto importante far sì che le persone vedano il welfare state come un aiuto e non come un ostacolo, qualcosa che gli viene incontro e non che gli rende la vita difficile. Lo stato, quindi, non deve mai sostituirsi al senso di responsabilità personale. Talvolta c’è una sorta di tradimento, per cui le cose non vengono percepite nel modo giusto, però la cosa peggiore che si può fare a qualcuno è renderlo eccessivamente dipendente dallo stato, laddove non ce ne sia la necessità. L’altro principio era il seguente, molto simile alla vostra idea di sussidiarietà, credo: volevamo portare il potere più a livello locale, regionale, in periferia, per cui abbiamo fatto una devolution verso gli enti locali; questo non è mai facile, ovviamente, quando c’è un forte governo centrale, quando uno sta a “Downing Street” e quando uno dice “voglio che accada questo e quest’altro” e loro dicono “ci scusi Primo Ministro ma lei ormai ha dato i poteri a qualcun altro”. Io penso però che il potere esercitato dal basso verso l’alto è il miglior tipo di potere possibile. Ed è qui che entra in gioco la società civile, secondo me. Per esempio, so che voi portate avanti un programma di aiuto ai detenuti; ora quando uno sta al governo e deve fare una riflessione politica e ci sono ovviamente tanti casi meritevoli da gestire e qualcuno magari dice “aiutiamo i prigionieri, i detenuti”, è chiaro che in quel caso uno deve anche pensare ai sondaggi di opinione, alla soddisfazione; però è proprio qui, a questo punto, che la Chiesa e la società civile, che normalmente non si occupano di queste cose, non hanno questa preoccupazione della soddisfazione, devono occuparsi solo del bene, possono entrare in gioco e darsi da fare e alcune cose fatte dallo stato, secondo me, verrebbero fornite in modo migliore se lo facessero organizzazioni di volontariato e del terzo settore. Questo ovviamente non è che scarica lo stato dai propri obblighi, semplicemente ve lo dico per comprendere che lo stato talvolta può essere uno strumento non molto efficace. Invece nel territorio, nella comunità, dove c’è la gente che lavora, le persone possono essere più sensibili, più pronte, più vicine ai problemi. Ecco perché il principio di sussidiarietà è importantissimo e io penso che ci sia ancora molto da fare su questa strada, nell’attuare la politica della sussidiarietà.

GIORGIO VITTADINI:
La seconda domanda torna al tema della conversione. Lei ha parlato a lungo di questo nesso tra la fede e il suo impegno in un modo sorprendente; sarebbe interessante per noi sapere della sua conversione al cattolicesimo, in un contesto a prevalenza anglicana. Che cosa l’ha portata a questa decisione così impegnativa per la sua vita? Che cosa ha trovato di più convincente nel cattolicesimo?

TONY BLAIR:
Onestamente è tutta colpa di mia moglie. Io ho cominciato ad andare a Messa con lei, ovviamente avevamo piacere di andare in Chiesa insieme, andavamo a volte in una Chiesa anglicana, a volte in una Chiesa cattolica, a seconda; indovinate in quale andavamo di più? Però mano a mano che passava il tempo, io andavo a Messa già da molti anni, ho sentito che la Chiesa cattolica era casa mia, non solo per il magistero e la dottrina della Chiesa, ma per la natura universale della Chiesa cattolica. In questi ultimi due anni sono andato a Messa in chiesa, a Pechino, a Singapore, a Kigali in Ruanda, anche a Tokio. Sono andato a Messa a Tokio, in Giappone, sono entrato un po’ di soppiatto, non come la mia entrata di oggi, questa è stata un po’ più rumorosa, mi sono seduto nell’ultima fila, zitto, zitto e alla fine della cerimonia la signora che aveva letto le letture e gli avvisi disse: “abbiamo una tradizione in questa chiesa, che tutti i visitatori stranieri si alzino a ci raccontino qualcosa di loro”. Quindi, per la prima volta in un periodo lunghissimo, ho potuto alzarmi tranquillamente davanti ai giapponesi e dire: “mi chiamo Tony e vengo da Londra”.

GIORGIO VITTADINI:
Uno dei temi di grande attualità e difficoltà, in questi giorni, è la convivenza tra persone di origini diverse. Una società multiculturale per l’Italia è ancora qualcosa di difficile da vivere. Lei invece, prima di noi, ha vissuto e guidato una società profondamente multiculturale, dove la convivenza tra persone appartenenti a culture diverse, all’interno di una stessa nazione, è ormai la natura quotidiana della vita. Che cosa ha imparato da questa esperienza? Come si fa a costruire una società multiculturale?

TONY BLAIR:
Questa è una delle più grandi criticità dei nostri tempi ed è anche il motivo per cui ho creato la mia Faith Foundation, la mia fondazione per le religioni. Due cose ci tengo a dire su come gestire questo problema in paesi come i nostri. La prima è questa: anche se possiamo essere tutti di fede diverse, nelle nostre grandi città viviamo gli uni accanto agli altri; ad esempio nella strada dove vivo io a Londra, ci saranno rappresentate almeno sei diverse religioni. Siamo di religione diversa, è un fatto, ma ciononostante ognuno mantiene la propria identità, le proprie caratteristiche, le proprie tipicità e ci riconosciamo in un paese in cui ci sono dei valori comuni, valori che sono lì da moltissimo tempo ed è importante che questi valori vengano osservati da tutti. Ecco perché, a prescindere da qualunque differenza culturale o religiosa, ci sono dei principi condivisi, stabiliti, sullo stato di diritto, sulle leggi di un paese, sui diritti delle persone, che fanno parte del nostro retaggio collettivo e che tutti, chiunque, a prescindere dalla fede, deve osservare ed accettare. L’altra cosa che vi volevo dire, ed è una cosa difficile da dire talvolta, è che nei nostri paesi, nonostante accogliamo persone di altre religioni, abbiamo delle radici giudaico-cristiane e dobbiamo essere molto fieri di questo nostro retaggio, è la nostra eredità più importante; questa è la prospettiva giusta per vedere questa problematica. Tra l’altro se il professore o io andassimo a vivere in paese di diversa religione, dove prevalesse un’altra religione, lì chiederebbero anche a noi di conformarci ai loro usi e costumi. Penso che in questo modo possiamo dare un senso alla globalizzazione, che comporta così tante opportunità, però possiamo anche attenerci al senso della nostra storia, della nostra identità che si è andata strutturando nel corso di millenni. Se vediamo le cose così, penso che possiamo solo andare avanti e progredire.

GIORGIO VITTADINI:
Un ultima domanda connessa al suo ruolo attuale di rappresentante del quartetto. Che speranze per la pace in Medio Oriente, che scenari lei vede possibili e positivi per la pace e la risoluzione dei problemi che lei sta affrontando?

TONY BLAIR:
Beh! Dopo che sono stato primo ministro del Regno Unito per 10 anni, io ho pensato: adesso mi dedico a qualcosa di più facile, e quindi ho scelto il processo di pace in Medio Oriente. Mi sembra una buona scelta per stare tranquilli. Invece vi devo dire che è veramente dura. Però è chiara una cosa secondo me. Israele deve veder garantita la propria sicurezza, la propria incolumità, è sacrosanto, e i Palestinesi devono avere la dignità di uno Stato indipendente arabo. Questo va costruito nelle due direzioni, dal basso verso l’alto e viceversa. Nell’Irlanda del nord non c’è mai stato un accordo sulla soluzione definitiva, Regno Unito o Irlanda unita, ecco perché si dovuto portare la pace in circostanze dove in realtà il problema non era risolto. Comunque la cosa buona in un certo modo, diciamo, è che c’è accordo, l’accordo c’è in merito alla soluzione in Medio Oriente: due stati che vivano uno accanto all’altro. Uno dei grandi vantaggi, benefici di fare questo lavoro, è che passo un sacco di tempo in Terra Santa, ed è una cosa bellissima stare in Terra Santa, tra l’altro ci vado anche questa domenica. Se si attraversa il fiume Giordano, e si va a Macnibo, che è un posto stupendo, si può guardare dall’alto del monte e vedere, come se uno guardasse la terra promessa da questa montagna, tutta la valle del Giordano e in lontananza, al crepuscolo, anche le luci di Gerusalemme e anche al di là di Gerusalemme. Quindi parliamo di un piccolissimo pezzetto di terra, però, affinché ci possano essere due Stati in questo piccolo pezzetto, ci deve essere solo fiducia reciproca. Questo comporta che gli israeliani hanno bisogno di sapere che lo Stato Palestinese sarà gestito bene e governato bene e i palestinesi hanno bisogno di sapere che gli israeliani finalmente se ne andranno dal territorio e li lasceranno gestire il loro Stato. Ed è su questo che stiamo lavorando, su questa soluzione. Penso però anche che sia una missione per tutti, per chiunque, e sicuramente per la fede di Abramo, perché molti dicono che in realtà la religione non c’entra tanto, invece quando io sono a Gerusalemme e guardo fuori dalla mia finestra, vedo quanto sia assurdo dire che lì la religione non c’entra niente, non è vero! Un po’ di tempo fa ero a Gerico e sono andato sul monte delle tentazioni, dove credo che portino, prima o poi, tutti i politici, tra l’altro la guida era palestinese, ed era ovviamente dispiaciuto per la situazione. Questa guida si è fermata e mi ha detto: “Mosè, Gesù e Maometto perché sono dovuti venire tutti proprio qui?”, e improvvisamente uno si rende conto della ricchezza di questa storia sconfinata, ma anche di un’altra cosa: quale grandissimo simbolo di speranza, di riconciliazione e di pace sarebbe rendere la Terra Santa nuovamente il luogo in cui trovare spazio per la fede e per la pace.

GIORGIO VITTADINI:
Penso di interpretare il pensiero di tutti dicendo che l’abbiamo invitata, abbiamo accolto il fatto che lei venisse pensando di incontrare un grande personaggio della nostra storia, della storia del mondo e abbiamo avuto la conferma di questo, ma penso che nessuno di noi si aspettasse quello che è successo: abbiamo incontrato un maestro nella strada che stiamo facendo, la strada della fede, una persona, e penso di dirlo a nome di tutti, che innanzitutto vive la sua fede come una passione personale, non come qualcosa di spento e che fa di questa fede uno strumento di conoscenza di tutto, partendo da quello che ha davanti. Siamo stati colpiti da come lei ha parlato della fede come modo di affrontare la realtà personale, sociale e politica e poi siamo stati colpiti da come da questo nasca una visione della società, dell’intervento politico così vicino a quello che cerchiamo nel nostro piccolissimo di fare. Per questo, penso che noi, da oggi, continueremo a guardarla come un maestro, come un amico e un maestro, che muovendosi sulle scene del mondo fa molto meglio di noi quello che noi desidereremmo fare. Grazie Mr. Blair.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

27 Agosto 2009

Ora

17:00

Edizione

2009

Luogo

Auditorium B7
Categoria
Incontri