NUOVE REGOLE PER LO SVILUPPO, NUOVE REGOLE PER IL LAVORO

Nuove regole per lo sviluppo, nuove regole per il lavoro

In collaborazione con Unioncamere. Partecipano: Antonio Bonardo, Direttore Public Affairs di Gi Group e Board Member di Ciett e di Eurociett; Mario Melazzini, Assessore alle Attività Produttive, Ricerca e Innovazione della Regione Lombardia; Gian Carlo Muzzarelli, Assessore alle Attività Produttive, Piano Energetico e Sviluppo Sostenibile, Economia Verde, Edilizia, Autorizzazione Unica Integrata della Regione Emilia-Romagna; Paolo Emilio Reboani, Presidente e Amministratore Delegato di Italia Lavoro. Introduce Massimo Ferlini, Vice Presidente della Compagnia delle Opere.

 

NUOVE REGOLE PER LO SVILUPPO, NUOVE REGOLE PER IL LAVORO
Ore: 15.00 Sala D3
In collaborazione con Unioncamere. Partecipano: Antonio Bonardo, Direttore Public Affairs di Gi Group e Board Member di Ciett e di Eurociett; Mario Melazzini, Assessore alle Attività Produttive, Ricerca e Innovazione della Regione Lombardia; Gian Carlo Muzzarelli, Assessore alle Attività Produttive, Piano Energetico e Sviluppo Sostenibile, Economia Verde, Edilizia, Autorizzazione Unica Integrata della Regione Emilia-Romagna; Paolo Emilio Reboani, Presidente e Amministratore Delegato di Italia Lavoro. Introduce Massimo Ferlini, Vice Presidente della Compagnia delle Opere.

MASSIMO FERLINI:
Do il benvenuto intanto a chi è venuto ad ascoltarci e poi a Antonio Bonardo, Direttore Public Affairs di Gi Group e membro della Board di Ciett e di Eeurociett, a Mario Melazzini Assessore alle Attività Produttive, Ricerca e innovazione della Regione Lombardia, a Gian Carlo Muzzarelli, Assessore alle Attività Produttive, Piano Energetico e Sviluppo Sostenibile, Economia Verde, Edilizia, AUI della Regione Emilia-Romagna e a Paolo Emilio Reboani, Presidente e Amministratore Delegato di Italia Lavoro. Accogliamo i nostri ospiti in questo dibattito su “nuove regole per lo sviluppo e nuove regole per il lavoro”. Bisogno di sviluppo, e bisogno di sviluppo per creare lavoro, è sicuramente una delle questioni principali all’ordine del giorno per il nostro Paese. Abbiamo messo intorno al tavolo persone che si occupano dei due lati del problema. Per non farsi mancare niente, la regione Emilia-Romagna in modo particolare ma in parte anche la Lombardia, hanno pensato bene in questo periodo, come si dice a Milano, di giocare con l’handicap. Nel senso che il terremoto ha segnato in modo profondo e danneggiato ancora più della crisi in corso, colpendo anche alcune vite umane, oltre che distruggendo molte sedi produttive, annullando molti posti di lavoro, imponendo uno sforzo ancora maggiore per gli investimenti, per far ripartire un sistema produttivo che già era stato colpito dalla crisi. La vicenda del terremoto ci ha sollecitato anche a capire che non solo di tecnicità dobbiamo parlare, ma che si parte dal rapporto umano più iniziale, quello della fiducia reciproca. Infatti, molte delle risorse messe a disposizione, che solo oggi forse arrivano alla fine di un percorso burocratico di selezione, si sono potute attivare, perché fra chi si è impegnato nella politica e nelle istituzioni, a costruire delle nuove ipotesi di rilancio e chi su quelle ipotesi ha dovuto scommettere se stesso, per ricostruire il capannone, per rifornirlo degli investimenti, per rimettere in moto l’attività produttiva e ridare e restituire quei posti di lavoro funzionanti, si è basato molto più sulla fiducia nei rapporti umani che sul rapporto con le istituzioni. La cosa che noi abbiamo richiamato in questo Meeting, è che è la reazione dell’uomo e l’umano che sta dentro ciascuno di noi che può rimettere in modo le risorse, le energie e anche far ripartire le regole su cui si basano le questioni. Parliamo di due Regioni che sono le due aree più sviluppate del nostro Paese. Se pensiamo che sono quattromila le imprese italiane che reggono la competizione del mondo, quelle che partono attraverso i canali dell’esportazione, che fanno innovazione, che contengono ricerche e sviluppo, queste due regioni ne rappresentano sicuramente la maggior parte rispetto al resto del Paese. Sono due Regioni che rispetto ai continenti con cui ci confrontiamo, la Cina, gli Stati Uniti, i BRICS, potremmo ritenerle due aree urbane molto sviluppate, un po’ cresciute, ma due aree urbane molto connesse anche economicamente. Dentro queste aree sta la maggior parte delle possibilità di innovare, di sostenere questo gruppo di imprese e a partire da questo gruppo di imprese però sostenere tutto il sistema di imprese che sta dietro, investendo di più in capitale umano. Perché richiamo questo? Perché siamo convinti che l’obbiettivo di studiare di più e lavorare di più sia ancora uno slogan funzionante per il nostro Paese. Calza a pennello ancora. Abbiamo bisogno di studiare di più, nel senso di elevare ancora di più gli investimenti in capitale umano del nostro Paese, coinvolgere più gente nei percorsi scolastici. Anche in queste due Regioni ricche, quasi il 18% dei giovani seguono quello che è l’abbandono scolastico. C’è quindi un lavoro sulla formazione professionale, il recupero scolastico, l’apprendistato di primo e secondo livello indispensabile per fare questo. E lavorare di più, perché solo nei momenti migliori le nostre due Regioni hanno raggiunto quell’obbiettivo del 60% di tasso di occupazione che l’Europa si è auto assegnata come obbiettivo da perseguire, per dire che tutti noi diamo un contributo attivo nel percorso della nostra vita lavorativa alla comunità a cui apparteniamo. Non è che dobbiamo fare più sforzi o far fare più sforzi a chi è già impegnato, ma far studiare di più e poter lavorare di più tutti, non semplicemente come un appello moralistico. In questo modo è possibile allora riavviare le cose, ma riavviarle per essere competitivi e mantenere la competitività internazionale di quel gruppo di imprese che è trainante per il resto dell’economia, per cui i servizi locali indispensabili per il servizio alla persona, richiedono che vengano sostenute, vengano avviati gli investimenti, che siano in grado di competere con gli altri, di aumentare la produttività, la competitività, la capacità di esportazione del sistema e di innovazione. Noi lavoriamo però su un sistema dove quando noi parliamo di una media impresa pensiamo a quelle dei 50 dipendenti in su: la media internazionale è dai 500 in su. E’ una dote del nostro Paese una imprenditorialità diffusa, è una questione su cui ci siamo sempre attenuti. Avere un sistema di piccole e medie imprese, che è stato capace comunque di selezione e di portare avanti il confronto anche con i grandi colossi del mondo, è una dote particolare nostra, particolare in Lombardia, particolare in Emilia-Romagna, ognuna con le sue specializzazione. Allora, cosa vuol dire sostenerle fornendogli la capacità di aver uffici marketing, uffici per l’esportazione? Vuol dire impegnare anche quel capitale umano più formato su cui stiamo investendo, e stiamo investendo, attrarle in modo tale che facciano rete, che si mettano assieme. Perché non è la dimensione di impresa che conta ma è la capacità territoriale, di distretto, di utilizzare nuove funzioni e nuove capacità produttive. È una sfida che riguarda noi tutti, riguarda le imprese, le associazioni imprenditoriali, le associazioni sindacali. Ma anche, diciamo così, una politica industriale che non può più avere carattere dirigistico, ma essere realistica per tutti. A questo, e poi do la parola per il primo giro, si accompagna una necessità: quali servizi per il lavoro e quali forme di servizi per il lavoro sono utili per sostenere questo sforzo? Perché questo riguarda appunto i due lati della medaglia. Non è solo la politica delle imprese, è la politica per il lavoro che viene avviata, è la capacità di passare, proprio perché siamo nella crisi, di passare attraverso un sintema che sostenga il reddito, ma sia in grado anche di assicurare quei passaggi formativi per passare da lavoro a lavoro. Questa è l’idea di fondo su cui costruire le politiche attive per il lavoro, che altrimenti diventano o rimangono chimere campate per aria. Questo credo che sia il tentativo che abbiamo voluto fare: mettere a confronto e vedere come, partendo proprio dalle realtà più sviluppate del Paese, l’insieme dei servizi per il lavoro da un lato e la capacità di sostenere lo sforzo degli imprenditori impegnati in un rilancio delle loro imprese dall’altro, possano convivere. Parto per il primo giro di interventi. Do la parola a Carlo Muzzarelli, Assessore alle Attività Produttive per l’Emilia-Romagna, perché così gioca in casa e anche perché dall’esempio del terremoto e dalla capacità di essere stato a fianco delle imprese colpite dal terremoto, è nata una lezione che credo valga anche come indicazione generale per gli altri.

GIAN CARLO MUZZARELLI:
Grazie, grazie a tutti voi. Buon pomeriggio. Sì, il terremoto è stato un grande dramma, una grande esperienza ma anche una grande reazione di dignità, da una parte d’Italia, Emilia, Lombardia, Veneto, che ha reagito, non ha aspettato, ha avuto la solidarietà di tutto il Paese e per questo anche oggi io ringrazio tutto il nostro Paese, per ciò che tutti hanno contribuito a fare in quella prima fase dell’emergenza. Ma soprattutto ringrazio le nostre popolazioni per la reazione. Oggi si parla di lavoro, lo scorso anno la prima cosa che ci veniva chiesta o che veniva chiesta alle istituzioni era: salviamo il lavoro. Prima della casa vogliamo stare in fabbrica. E credo che l’esempio dato da imprenditori e lavoratori che insieme hanno estratto dalle macerie i macchinari e nelle tensostrutture hanno dato il messaggio “le imprese sono vive, continuiamo a produrre, continuiamo a lavorare, il lavoro è il nostro futuro”, sia stato un buono esempio, una buona immagine per il nostro Paese. E credo che dobbiamo ripartire da questa voglia di reagire. Per superare le tante difficoltà, per cercare anche di superare le negatività che ogni giorno si registrano, soprattutto per i tanti che sono i professionisti dei conflitti e della negatività, come ha detto anche Letta qualche giorno fa, noi dobbiamo ricreare un’alleanza del buonsenso e della responsabilità, ritrovare le condizioni perché il nostro Paese ha ancora tanto da dire e tanto da fare nel mondo. Spesso io dico che il mondo ci ama ma non ci aspetta, quindi dobbiamo fare di tutto per trovare le condizioni per una reazione complessiva. Quella reazione che abbiamo visto per il terremoto, che ha portato in quella condizione in un anno. Vi do solo due dati: 41335 persone erano in cassa integrazione lo scorso anno con causale terremoto, oggi sono 2670, vuol dire che la reazione c’è stata, è stata straordinaria. Ci sono oltre duemila imprese che hanno già iniziato i lavori per ripartire, ci sono oltre seimila famiglie che hanno già fatto i lavori per ricostruire la propria casa e quindi siamo nella fase della ricostruzione. Dobbiamo accelerare, ma vi assicuro che le imprese che iniziamo a inaugurare sono imprese migliori di prima, perché hanno la coscienza del valore della solidarietà e dell’impegno, la coscienza dello stare dentro una comunità profondamente e soprattutto hanno la forza di imprese più moderne, con macchinari più moderni, con capannoni anti-sismici, energetici e quindi per essere più competitivi. Questo è l’altro aspetto estremamente importante. Quindi aumentare la competitività del nostro sistema, al punto, vi do un dato, che noi abbiamo fatto un sorta di piccola Sabattini del terremoto, provvedimento de minimis, per cercare di stimolare. Bene, 1209 imprese hanno fatto domanda per fare una cosa in più oltre al terremoto, per comprare un macchinario in più, per comprare un impianto in più, per fare dieci metri quadrati di capannone in più. Questo è la forza di un sistema che si mette in gioco e che con le radici nella comunità cerca di lavorare profondamente per pensare al lavoro proprio e dei propri figli. È una bella lezione, io credo, per tutti noi amministratori, che tutti i giorni stiamo lavorando. La famosa stretta di mano che si faceva alla sera, quando si facevano gli incontri con gli imprenditori, la fiducia che quel territorio ha avuto, le risorse che sono arrivate e che sono state ribaltate, oltre un miliardo e settecento milioni sono di ordinanze del commissario Errani. Oltre a un miliardo di assicurazioni e ovviamente i sei miliardi per la ricostruzione che servono per le tre regioni. Quindi di questo stiamo ragionando. E oggi stiamo anche facendo una riflessione più ampia, che è quella legata al tema delle politiche attive per ricreare lavoro. Perché io credo che senza politiche attive per ricreare lavoro noi rischiamo di entrare in un vortice complicato. Perché solo con le politiche passive, che sono estremamente importanti per la coesione sociale, noi rischiamo di non uscire, di non trovare le condizioni, quindi occorre uno sforzo enorme per sviluppare delle azioni che nel secondo giro dirò. Sappiamo che abbiamo delle sfide enormi di fronte, dobbiamo tenere degli assi di riferimento. Intanto dobbiamo sgombrare un campo, e spero che questo tavolo serva per sgombrare un primo campo. Noi siamo per la crescita, siamo per la crescita sostenibile, intelligente, inclusiva, ma siamo per la crescita. Le azioni depressive le abbiamo quando al pomeriggio facciamo i tanti tavoli delle crisi. Noi abbiamo oltre duemila imprese con difficoltà e con tavoli di crisi. Lì c’è la depressione. Non abbiamo bisogno di trasmette altra depressione, ma di trasmettere fiducia, di costruire fiducia, di ricreare futuro, di ricreare impresa, di ridare valore ai mestieri. Di ridare valore ai mestieri. Noi in Emilia-Romagna stiamo cercando di fare questo, ma so che, ne abbiamo parlato anche con il collega della Lombardia, dobbiamo fare uno sforzo comune. Noi dobbiamo rafforzare l’attrattività delle nostre realtà regionali, abbiamo molto da dire nel mondo, abbiamo molto da fare ancora qui. La green economy, il made in Italy, dentro questo impianto dobbiamo costruire attrattività, noi stiamo facendo una legge per questo. Per mettere in campo pacchetti di opportunità. Gli imprenditori, le imprese i lavoratori fanno parte di un patto sociale molto forte, che può aiutare a ricreare lavoro e opportunità, perché senza impresa e senza qualità del lavoro non abbiamo futuro. Questo è l’impegno che noi abbiamo assunto e su questa direzione vogliamo continuare a lavorare perché le regole sono fondamentali nella misura in cui noi riusciamo a costruire lavoro. Al punto che quando c’era tanto lavoro, non discutevamo di regole ma ragionavamo del lavoro e quindi non ci ingrippavamo in una dinamica impropria. Ora io credo che dobbiamo fare uno sforzo, il tema ad esempio degli ammortizzatori per noi è un punto fondamentale per la tenuta della coesione, per la tenuta di quelle opportunità e di quel legame che dobbiamo tenere molto vicino. Io ho detto una battuta un giorno, qualcuno si è lamentato, ma io credo che sia la verità: un’impresa che ha una struttura con i lavoratori da sette anni in cassa integrazione, per me non è più un’impresa. Io credo che dobbiamo fare uno sforzo per avvicinare quella impresa per starle vicino con tutte le strategie che mettiamo in campo, per cercare di dare una mano a quella impresa per cambiare. Noi dobbiamo entrare nel cambiamento, stare nel cambiamento, e portare la nostra dimensione di produzione, perché qui, in questi territori, c’è la volontà del manifatturiero, l’impegno a produrre in modo alto, di qualità, a tenere alto il livello del lavoro, il livello della dignità delle persone, la qualità delle produzioni. È un impegno molto forte che abbiamo messo in campo e soprattutto attraverso la ricerca con i tecnopoli, noi abbiamo fatto il salto di qualità. Noi abbiamo credo provato a vincolare i centri di ricerca e le imprese, a fare capire che insieme si può trovare una soluzione più avanzata. Oggi, dopo quattro anni, il 40% delle risorse per i nostri tecnopoli della ricerca arrivano dal mondo del’impresa, vuol dire che si è agganciato questo meccanismo. Vuol dire che i brevetti, le innovazioni, i nuovi prodotti, i nuovi processi che abbiamo messo in campo hanno portato a fare questo e coi bandi che noi facciamo vincoliamo le nostre risorse alle assunzioni a tempo indeterminato e comunque stabili dei ricercatori e dei laureati. Solo negli ultimi tre bandi noi abbiamo avuto l’opportunità di far assumere 500 tra laureati e ricercatori. Credo che l’unica strada per guardare oltre la crisi sia quella di puntare sulla qualità, sia quella di innestare nelle imprese le innovazione, le effervescenze giovanili, la capacità, l’intellettualità che si può sviluppare e le dinamiche per stare nel mondo. Ecco, questa è una sfida che vogliamo rafforzare e oggi credo che noi possiamo dibattere perché dall’esempio del terremoto c’è una ricostruzione in atto, è una ricostruzione in quelle aree ma è anche una ricostruzione del Paese.

MASSIMO FERLINI:
Grazie, grazie anche del rispetto dei tempi, anche se era il primo intervento. Do la parola adesso ad Antonio Bonardo, Direttore Public Affairs di Gi Group. Prego.

ANTONIO BONARDO:
Grazie, grazie a tutti. Mi trovo assolutamente in linea con quanto è stato espresso dall’assessore Muzzarelli, cioè il fatto che sia fondamentale che lo sviluppo delle imprese venga sostenuto e favorito, soprattutto dalle imprese che innovano e delle imprese che vanno verso il valore aggiunto e vanno verso l’esportazione, perché quella è la strada per creare il lavoro. E la nostra esperienza, appunto, di agenzie per il lavoro è proprio quella di avere questa caratteristica, cioè di essere vicini alle imprese, vicini al mercato del lavoro e di essere capaci di fare dialogare la domanda con l’offerta. E quindi diciamo che da questo punto di vista io vedo tre temi che ritengo fondamentali, anzi quattro temi che ritengo fondamentale che vengano sviluppati proprio per dare una chiara direzione al nostro mercato del lavoro, in grado di sostenere questo tipo di sviluppo, che sono: la flessibilità in entrata, la revisione e il completamento della flessibilità in uscita con i servizi di outplacement, le politiche attive e l’apprendistato. Per quando riguarda la flessibilità in entrata, per riportare al centro del rapporto di lavoro il contratto a tempo indeterminato si è giustamente intervenuti puntando ad allargare le maglie della flessibilità in uscita e limitando d’altra parte, le forme della cattiva flessibilità.
Non si è’ però, purtroppo, giunti sino ad incentivare con decisione le forme di buona flessibilità’, maggiormente in grado di garantire la necessaria sicurezza ai lavoratori (in termini ad esempio di supporto alla formazione e alla continuità professionale, come avviene con il lavoro in somministrazione tramite Agenzia) consentendo al contempo alle aziende di fruire della davvero irrinunciabile flessibilità in un contesto sempre piu competitivo.
Perciò non ci convince, a questo proposito, l’intervento dell’attuale governo, che correggendo quando previsto dalla Riforma Fornero circa il periodo da lasciar intercorrere nella successione dei contratti a termine (60 o 90 gg), ha nuovamente ed impropriamente indicato nell’uso dei contratti a termine la via privilegiata alla flessibilità, anche quando questi rapporti vengano inopportunamente utilizzati per gestire le numerose reiterazioni dello stesso incarico.
Tutto ciò proprio mentre l’unione Europea, con una apposita direttiva agli stati membri, e l’Ocse, indicano nella somministrazione tramite agenzia la strada maestra della cosiddetta flexicurity da seguire per implementare la buona flessibilità, chiedendo di rimuovere i vincoli alla sua diffusione, purché sia garantita in cambio la parità di trattamento economico e normativo. In Italia, in cui la parità di trattamento tra il lavoratore somministrato ed il collega dell’azienda in cui va a lavorare è un caposaldo fin dalla sua introduzione con la legge Treu del 98, questo significa rimuovere le causali di ricorso al suo utilizzo. Ci auguriamo che in vista di Expo sia questa la strada che le parti sociali ed il Governo decidano di intraprendere.
Resta inoltre da condurre a termine la costruzione della strada migliore per la flessibilità in uscita, oggi considerata dalle imprese ugualmente faticosa e più costosa.
Il secondo tema che dicevo prima è la flessibilità in uscita e il sevizio di ricollocazione professionale. La Riforma Fornero ha menzionato esplicitamente la possibilità da parte delle aziende di ricorrere al servizio di supporto alla ricollocazione del personale (l’outplacement per intenderci): è la prima volta che accade in un testo di legge!
Non basta però una semplice raccomandazione per cambiare la cultura di un paese. Non è in effetti un caso se la percentuale di aziende che ha fatto ricorso all’outplacement è rimasta stabile al 2%, prima e dopo la Riforma.
La sfida, non ancora colta, è quella di proporre un patto alle imprese ed ai sindacati: in cambio di una flessibilità in uscita più trasparente, certa e meno costosa, chiedere alle aziende di farsi carico delle persone attraverso il servizio di ricollocazione professionale offerto dalle agenzie di Outplacement, con beneficio di tutti gli attori in gioco e con evidente risparmio per il Sistema Paese.
Sempre in materia di politiche attive urge la necessità di organizzare un efficace sistema nazionale, per dare un supporto concreto agli oltre 3 milioni e 100.000 disoccupati del nostro Paese, di cui 1 milione generato dagli effetti della grande crisi che stiamo tuttora attraversando ed altri 400.000 entro fine anno, come previsto da uno studio pubblicato in questi giorni dalla CNA.
Occorre pertanto assumere con urgenza decisioni in merito a questioni fondamentali, come quella del rapporto tra politiche attive e passive, se sia ad esempio più opportuno – e in che misura – garantire sussidi o puntare sulla riattivazione professionale della persona; come configurare adeguati servizi per il lavoro, così da aumentare occupabilità e capacità di generare valore per le imprese; quale rapporto tra pubblico e privato, tra Stato e Regioni, tra governance e accreditamento, tra competenze e risultati.
In questi anni una Regione ha iniziato un lavoro in tal senso, la Lombardia ed una infrastruttura di servizi al lavoro, composta da operatori pubblici e privati si è’ costituita, grazie al programma denominato Dote Lavoro. Come Eurociett (l’Associazione europea delle Agenzie per il Lavoro) l’abbiamo segnalato alla Commissione Europea, che l’ha inserita nelle buone pratiche di rapporto pubblico privato nel campo dei servizi per il lavoro, portandolo così all’attenzione di tutti gli stati membri.
L’ultimo punto è il tema dell’apprendistato. Circa questo fondamentale strumento di introduzione al lavoro ( dico fondamentale perché negli stati del centro e nord Europa, in cui la disoccupazione giovanile è inferiore al 10%, è proprio l’apprendistato a fare la differenza) basta dire che a un anno dalla Riforma il numero degli inserimenti risulta invariato: fermo al 6,4%.
Sull’apprendistato occorre però fare chiarezza una volta per tutte: si tratta di uno strumento che nasce per orientare l’imprenditore ad investire sulla formazione dei giovani, in modo da indurre ad un forte impegno da entrambe le parti.
Bisogna dunque sanare l’equivoco secondo cui questo contratto dovrebbe essere in primis flessibile ed economico, indipendentemente dall’impegno formativo, come se si trattasse di uno strumento di puro avviamento lavorativo. Se, come è essenziale fare, si vogliono orientate le aziende a puntare sulla formazione dei giovani, allora occorre incentivare fino in fondo lo scopo formativo dell’apprendistato, ad esempio eliminando le procedure inutili, azzerando i costi contributivi e riducendo significativamente i minimi retributivi.
Oggi dunque più che mai abbiamo bisogno di una direzione politica che individui una strada maestra – che, aziendalmente, viene definita strategia – capace di valorizzare al meglio quanto di buono è stato già compiuto, per proseguire con decisione nel cammino intrapreso.
Occorre quindi essere determinati nel non limitarsi a iniziative di breve periodo ma, al contrario, perseguire visioni di lungo termine, per non divenire ostaggi di interessi particolari ed estemporanei, che tendono a favorire comportamenti opportunistici, sempre più inadeguati nell’attuale contesto.
Grazie.

MASSIMO FERLINI:
Grazie Bonardo, che hai messo in chiaro l’elenco delle problematiche che riguardano oggi il lavoro e chi nel lavoro è impegnato per aiutare gli altri a trovarlo e a mantenerlo. Do adesso la parola a Mario Melazzini, Assessore alle Attività Produttive della Regione Lombardia.

MARIO MELAZZINI:
Sì, grazie e buon pomeriggio a tutti. Io vorrei indirizzare un po’ il mio intervento in due momenti: uno di riflessione generale rispetto al contesto, l’altro su quali potrebbero essere gli strumenti che, anche nel nostro piccolo, Regione Lombardia sta mettendo in atto e soprattutto vorrà mettere in atto per affrontare questo momento. Quando parliamo di politiche per le imprese, dobbiamo avere il coraggio di avere un grande realismo e mai come oggi il titolo del Meeting di quest’anno è perfetto: “emergenza uomo”. E’ infatti estremamente evocativo, soprattutto perché noi ci troviamo ad affrontare un contesto duro, un contesto di crisi, un contesto di crisi economica, sia dal punto di vista economico e sociale, sia dal punto di vista culturale, dal punto di vista dei valori, valoriale, perché tutto quanto mira alla consapevolezza della dignità degli esseri umani, al valore della vita, al significato profondo di tutti quegli elementi costitutivi dell’esistenza: il lavoro, la relazione, la famiglia. Molto spesso anche noi, noi dal punto di vista politico, noi dal punto di vista istituzione, ci dimentichiamo realmente che tutto quanto andiamo a mettere in campo trova sempre un destinatario, l’altro, la persona, che deve ricevere la nostra risposta. E tutto ciò, in questo momento di emergenza, in questa confusione, ci permette anche di dire che nessuna crisi può cancellare all’interno di ciascuno di noi quella scintilla di libertà e di creatività che ci caratterizza. Lo ha detto prima il mio collega rispetto all’evento del terremoto che ha colpito anche la nostra Regione – perché quando parliamo di Emilia noi abbiamo dei comuni che distano poche decine di metri come confine dalla nostra Lombardia -, in conseguenza del quale abbiamo messo in atto in maniera sinergica procedure, risorse e strumenti per fare sì che le nostre imprese, ma soprattutto i nostri cittadini potessero valorizzare, fare emergere quella creatività, quella motivazione, quel coraggio che li contraddistingue. Noi come Regione Lombardia abbiamo uno strumento molto forte che stiamo andando a migliorare, che è frutto dell’ottimo governo di questi ultimi diciotto anni, che sono sembrati forse eccessivamente corti, perché molto si è messo in cantiere, molto si è fatto e molto stiamo facendo. Ma non dobbiamo dimenticarci le crisi, le crisi aziendali. Noi abbiamo messo in atto questo strumento, che è una rete di affiancamento alle imprese in difficoltà, che ci permette proprio di intercettarle, per far sì di poter intervenire ex ante, per cercare di aiutare e insieme costruire risposte ed evitare che dietro ad ogni impresa che va a fallire, dietro ad ogni imprenditore che a volte si trova a gettare la spugna, ci siano famiglie, decine di famiglie che vengano a mancare del reddito. Ma dietro tutto questo c’è la fortuna di quello che dicevo prima, la forza di queste persone che resistono, che innovano, che sperimentano, per cominciare o ricominciare, e questa è una cosa importante. Ma prima Ferlini diceva una cosa importante rispetto alla fiducia. Noi, sia come pubblica amministrazione che come istituzione, abbiamo una grandissima responsabilità, perché noi dobbiamo vedere l’impresa come relazione. Quando parliamo di economia industriale, quando parliamo di politiche industriali, non bisogna perdere assolutamente di vista questo elemento che è fondamentale e che è alla base del fare impresa e quindi della libertà di impresa nel creare le conseguenze occupazionali, nel creare potenziale ricchezza. Perché un’impresa vive ed è costituita da relazioni. Relazioni con i dipendenti, relazioni con i fornitori, relazioni con i clienti. Relazioni non per ultimo ma parimenti con la pubblica amministrazione, e qui si crea proprio un vulnus, un’ incrinatura della fiducia nel rapporto tra pubblica amministrazione, istituzione e impresa. Qui la politica deve assumersi le proprie colpe, perché in un momento come questo bisogna essere estremamente realisti, bisogna avere anche il coraggio, anche l’umiltà, di ammettere alcuni errori. Io sto cercando, in questi primi mesi dell’inizio della decima legislatura, di andare a conoscere le persone, gli imprenditori, le aziende, soprattutto ascoltarle, perché solo con la ricognizione esatta di quello che è il bisogno, la domanda che emerge, si riesce a costruire, in maniera concreta ma soprattutto funzionale, una risposta che abbia una ricaduta positiva. Io mi sono reso conto che nei confronti della politica anche della pubblica amministrazione c’è questa sorta di disaffezione, cioè un non fidarsi di una politica che ha portato ad una errata pressione fiscale, a procedure che hanno portato degli oneri burocratici. Pensiamo solo al grosso problema dei tempi di pagamento, i tempi di pagamento che sono incerti. Magari le commesse ci sono, ma non si ha un ritorno dal punto di vista di liquidità di cassa e queste sono cose importanti, perché in un momento in cui viene citato come punto prioritario per le nostre imprese la difficoltà dell’acceso al credito, questi ritardi sono disastrosi. Le nostre imprese non chiedono più risorse, chiedono delle procedure, delle norme fondamentali che aiutino a ricostruire un rapporto di fiducia, che permetta di conseguenza alle nostre aziende di ripartire con motivazione. Alcuni esempi.
Oggi un’impresa al di sotto dei 250 dipendenti in Italia dedica in media 7000 euro all’anno per i costi burocratici, un totale di più di 30 miliardi di euro, quasi due punti di Pil.
Per quanto riguarda invece la materia tributaria, noi parliamo tantissimo di semplificazione, però per ogni legge che semplifica gli oneri tributari per le imprese, ne vengono prodotte altre quattro che li aggravano. Questo è. Ieri ho assistito all’incontro con il Ministro Zanonato, si parlava dell’internazionalizzazione, dell’attrattività, della competizione, quindi del rilancio delle nostre imprese, però, in un contesto come questo, in un contesto in cui ad esempio per un permesso edilizio occorrono mediamente 234 giorni, a differenza di quello che occorre in Germania, Francia e Regno Unito, il problema non si pone nemmeno. La questione del costo dell’energia. Da noi, in Italia, le aziende italiane spendono più di due miliardi duecentonovantamila milioni per l’energia. La pressione fiscale sugli utili di impresa ha toccato la quota record di più del 68%. Capite che in un contesto di questo tipo diventa difficile fare quel percorso di attrazione o almeno diventa estremamente faticoso pensare ad un percorso di competitività e di attrazione di risorse. Ieri si parlava anche molto di talenti. Il grosso problema non è far scappare i cervelli che fuggono, il problema è che questi sono patrimoni che devono anche andare all’estero ma che poi devono rientrare, devono capitalizzare all’interno della nostra struttura. Quindi in un momento come questo è fondamentale avere il coraggio, il coraggio di osare, che è il coraggio di assumersi le proprie responsabilità, anche andando contro corrente. Io ieri sorridevo un pochettino quando veniva annunciato dal Ministro il decreto del fare. Mi sono un po’ divertito ad andare a vedere l’etimologia del verbo fare, cercando anche sinonimi. Fare significa anche agire. Significa anche produrre, tutte cose diverse dal dire. Le persone, gli imprenditori, i cittadini, hanno bisogno di segnali certi, immediati, concreti, perché se no diventa veramente difficile anche in ottica di occupazione. Se noi vogliamo liberare risorse, liberare spazi di occupazione, dobbiamo pensare ai nostri giovani. Nessuno cita nei report ISTAT la disoccupazione giovanile. Siamo arrivati a superare il 38%. Regione Lombardia è un’isola relativamente felice perché supera il 26% e basta, però questo ci deve fare molto riflettere, perché c’è anche tutta una fascia tra i 18 e i 25 anni che non studia, non lavora e non fa percorsi formativi. Ecco, su questo ci dobbiamo assolutamente interrogare. Rispetto al lavoro, quello che veniva detto sulla dote lavoro va a valorizzare quello che in Lombardia è stato messo come cuore centrale nei programmi delle varie legislature e che, soprattutto in questi ultimi diciotto anni, è stata la centralità della persona e la libertà di scelta. In una delle ultime sedute di Giunta prima della pausa feriale, abbiamo approntato un nuovo strumento per l’occupazione, la “dote lavoro unica”. “La dote lavoro unica” presuppone tutto un percorso, un percorso nel quale sarà uno strumento sicuramente amministrativo ma che permetterà sempre di più di valorizzare la libertà di scelta delle varie categorie di disoccupati, occupati, cassaintegrati, apprendisti anche, libertà di scegliere tra soggetti pubblici, privati e accreditati. Questa è una delle forze di Regione Lombardia, ma per entrare nella nostra piccola esperienza di questi pochi mesi dall’inizio della decima legislatura, voglio citare il metodo di lavoro. Per dare risposte veloci, precise e concrete, non può essere solo l’istituzione, la pubblica amministrazione che decide quale deve essere il metodo che vale. Bisogna partire da un confronto con i vari stakeholders, e solo dopo anche con le parti sociali. Sempre nell’ultima seduta di Giunta, ho comunicato che entro la primavera del 2014 noi avremo una revisione degli strumenti normativi e legislativi che permettano veramente di semplificare, di semplificare soprattutto con strumenti nuovi per facilitare la competitività. Si tratta di una modifica sia alla legge 1 del 2007 che alla legge 7 del 2012, che ci permetterà in maniera concreta di rispondere a quelle esigenze che vi ho detto prima. L’imprenditore non vuole solo risorse, vuole tempi certi, vuole procedure semplificate. Noi, come Regione Lombardia, da diverso tempo cerchiamo di valorizzare alcune esperienze, ponendo in atto dei percorsi sperimentali per vedere se poi funzionano, al fine di metterle a patrimonio comune, di metterle a sistema. Noi abbiamo identificato quelli che sono gli interventi di emergenza che con questa legge poi andremo a modificare, e che si riassumono nel concetto di amministrazione unica. Non possiamo permettere che le nostre imprese, se vogliamo veramente farle crescere, debbano interloquire con x strumenti particolari per ottenere una risposta unica. Sul territorio abbiamo una risorsa, che sono gli sportelli SUAP, sportelli unici delle attività produttive. Questi devono essere utilizzati in maniera concreta e forte per poter dare risposte. Il contratto di locazione produttiva: noi vogliamo fare una sperimentazione di questo tipo per incrementare l’attrattività attraverso uno strumento negoziale tra amministrazione e realtà imprenditoriali. Questo è fondamentale, perché va a garantire ad esempio degli incentivi per i primi cinque anni di attività. La riqualificazione del sistema regionale degli incentivi: noi non possiamo più permetterci di erogare a pioggia risorse che possono essere da poco a tanto, senza individuare quelli che possono essere i campi da allocare in maniera precisa e perfetta. Dobbiamo privilegiare i fondi rotativi e tutti quegli strumenti che permettono di far rientrare e quindi rimettere in circolo le risorse e di generare un effetto leva, anche con il coinvolgimento di risorse di natura privata. Quello che diceva prima il mio collega Emilio sulle università è importante. Il rapporto con le università è fondamentale, ma non deve essere governato dall’università, deve essere governato dalle imprese, in modo tale che sia l’impresa che identifichi quello che è il reale campo di applicazione, per poter far sì che l’università diventi strumento per le imprese. E infine poi, una cosa importante che stiamo facendo per quanto riguarda il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Noi sappiamo che è stato fatto a livello centrale ma Regione Lombardia, ponendo in essere tutto quanto era già stato fatto negli anni precedenti, ha messo a disposizione questo strumento che si chiama “credito in cassa”, col quale ci rivolgiamo direttamente alle imprese per favorire lo smobilizzo dei crediti attraverso la nostra finanziaria, la nostra Finlombarda e soprattutto con le società di factoring interessate all’iniziativa. Andremo a liberare circa un miliardo e trecento milioni, con un minimo di diecimila euro fino a un massimo di settecentocinquantamila euro di investimenti per i Comuni e le associazioni di Comuni, addirittura implementabili a novecentocinquantamila euro se le imprese si impegnano a rimborsare i subappaltatori, fino ad arrivare ad un milione e trecentomila per le Province. Questo è fondamentale, e poi i giovani: creazione di nuove imprese, andremo con un nuovo piano di start up ma anche di restart up, perché, vedete, non sono solo le nuove imprese, i giovani che devono lanciarsi, ma sono anche quelle imprese che vogliono re-industrializzare, che vogliono fare un piano industriale diverso, vogliono modificare il loro piano industriale, e questo è un percorso che noi intendiamo fare, a cui daremo avvio proprio in questo autunno, alla fine di settembre. Una cosa importante che non voglio dimenticare: parliamo di innovazione, di crescita, ma non c’è innovazione e non c’è crescita se non c’è ricerca. Questo è importante, ma è anche importante favorire la rete, quindi quel cambiamento culturale consistente nel favorire una rete in aggregazione fra le imprese, al fine di favorire la crescita dimensionale delle piccole imprese e di superare i confini settoriali. Dobbiamo lavorare in qualità: conta molto oggi come si fa quello che si fa. Quindi valorizzare e soprattutto attivare i rapporti tra le imprese, questo è fondamentale, creare veramente un rapporto, una filiera, una rete di lavoro tra aziende, poli universitari tecnologici. Quella parola comune che è la ricerca deve essere uno strumento di forza. Infine chiudo con una frase, una citazione, una frase del filosofo Thibon, il filosofo contadino, come veniva chiamato, laddove parlava di “solidarietà di destini”, cioè di una comunità costituita dalla consapevolezza che tutti siamo dipendenti l’uno dall’altro. E’ questa la più grande responsabilità che abbiamo anche nei confronti dei nostri giovani. Una cosa importante nel nostro lavoro come pubblica amministrazione è non dimenticarci che nel lavoro ci deve essere sempre, anche nel metodo, la speranza e il coraggio, citati sempre anche dal nostro Papa. Questo è quanto stiamo mettendo in atto in Regione Lombardia, con speranza e soprattutto con coraggio. Grazie.

MASSIMO FERLINI:
Grazie a Melazzini, la parola ora a Paolo Reboani, Presidente e Amministratore Delegato di Italia Lavoro.

PAOLO EMILIO REBOANI:
Grazie, io cercherò un po’di ripercorrere gli interventi che mi hanno preceduto che sono sicuramente interventi pieni di stimoli, di interessanti suggestioni. La prima è quella che suggeriva proprio Massimo Ferlini all’inizio, cioè quella di immaginare una realtà e una società in cui si studia di più e si lavora di più. La chiuderei dicendo in cui si studia meglio, forse, più che studiare di più, perché già oggi in realtà studiamo parecchio in questo Paese, certamente al di sotto di quello che fanno altri Paesi, ma certamente una cosa che facciamo è che studiamo male. Leggevo gli ultimi dati sulle università e in realtà sembrerebbe che ci sia finalmente uno spostamento verso università più tecniche, verso università più scientifiche, il recupero di quella che è la concezione diciamo “manuale” di alta capacità del nostro Paese, ma rimaniamo comunque un Paese che studia su settori che non hanno sbocchi o ai quali non siamo in grado di offrire sbocchi occupazionali. E questo è un punto fondamentale. L’altro è lavorare di più; qui immaginerei lavorare di più nel senso che lavorano più persone, cioè il sogno di dire di una società effettivamente attiva; qui noi, ancora dopo anni di riforme, controriforme, modifiche, leggi eccetera, abbiamo una popolazione che ha il lavoro che è sotto – di poco – la metà di quello che lavorano gli altri Paesi europei. Abbiamo una capacità di giovani al lavoro assolutamente insufficiente, la capacità delle donne è assolutamente insufficiente. La nostra società certamente non è una società attiva, si poggia su pochi e sempre di meno saranno e sempre più aumenteranno i problemi in prospettiva del nostro welfare. Quindi mi sento di dire che le politiche del lavoro, le nuove regole per lo sviluppo e le nuove regole per il lavoro dovrebbero affrontare questi temi, ma li dovrebbero affrontare già da tanti anni, senza più ideologia, senza più preconcetti, avendo in mente soltanto un unico traguardo, che è quello della persona: la persona al centro delle nostre politiche. Qualche dato lo ricordava l’assessore Melazzini, ma certo di tutti questi dati che ricordava nessuno pone al centro la persona, siamo tutti imbrigliati nei processi, per fare un bando ci vogliono Xmila giorni, per fare una pratica ce ne vogliono Xmila e cinquecento più Y, cioè siamo un Paese in cui i processi regnano ma non regnano né la persona né tantomeno l’impresa. Poi c’è qualche imprenditore che dice che è difficile fare impresa in questo Paese. Non che abbia tutti torti, poi ci sono tanti imprenditori che fanno impresa e lavorano ma certamente ricordiamo le difficoltà di questo Paese. Avrei, come dire, un altro sogno, a prescindere da questi primi due: l’assessore Muzzarelli ricordava l’esperienza del terremoto. Questo è un Paese che si muove sempre sulla straordinarietà, noi non siamo un Paese che si muove sull’ordinarietà: c’è il terremoto, poi c’è l’EXPO, poi c’è il Colosseo da restaurare, ma sull’ordinarietà normale, quella della normale gente che va alla ricerca di un lavoro, di un’impresa che va alla ricerca di un finanziamento, dobbiamo sempre ricorrere a processi straordinari, con mobilitazioni straordinarie, con regole straordinarie, che non fanno altro che fare confusione. Questo è un tema che ci dobbiamo porre e che però non siamo ancora in grado di risolvere. L’assessore Melazzini ricordava il tema della fiducia: è una responsabilità nostra, della politica, degli operatori pubblici, quella di stabilire la fiducia. Beh, devo dire che non c’è una responsabilità, noi siamo di fronte evidentemente a un fallimento dell’operatore pubblico nel rapporto con la persona e con l’impresa dal punto di vista della fiducia. Fiducia nell’operatore pubblico zero, e questo è un dramma per questo Paese. Quali sono allora i termini, nuove regole per lo sviluppo, nuove regole per il lavoratore? Ah, mi farei una domanda prima di tutto, in questo Paese siamo tutti responsabili ma nello stesso tempo però qualcuno con maggiori responsabilità c’è. Qual è lo sviluppo? Cioè qual è oggi il messaggio di sviluppo che diamo a questo Paese? Non c’è un messaggio. Qual è la costruzione della società che noi vogliamo? Certo, l’assessore Muzzarelli ricordava quanti sono i tavoli di crisi in Emilia Romagna, i duecento tavoli di crisi che ci sono al Ministero dello Sviluppo, ma non è quella l’idea dello sviluppo. Circa l’idea dello sviluppo, lui ricordava due parametri: quello del capitale umano e quello della green economy; sono delle idee che possono trascinare le azioni. Il “Decreto del fare”, con tutte le sue buone azioni, è il minimalismo della politica. In questa situazione purtroppo questo abbiamo, ma non riusciamo ad avere un respiro non dico di lungo ma neanche di medio periodo. Io credo che per esempio una riflessione importante debba essere fatta sia sull’industria sia sul tema dei servizi. Quando l’assessore Muzzarelli ricordava green economy, io metterei anche tutto il tema dei servizi alla persona. Quanto sarebbe importante per questo Paese far fronte con una struttura “industriale” ai bisogni della persona, che sono i bisogni dell’anziano, che sono i bisogni del disabile, che sono i bisogni della mamma che deve andare tutti i giorni al lavoro, che sono i bisogni della famiglia, che sono i bisogni del giovane! Questo permetterebbe di avere maggiore occupazione sia diretta che indotta, perché così noi creeremmo le condizioni per avere una società più attiva, una società più diretta a quella che è la produzione di ricchezza. Allora, da questo punto di vista, se noi immaginiamo questo come sistema di sviluppo, per questo dobbiamo costruire regole. Le regole secondo me sono quelle molto chiare, delle regole semplici. Questo è un Paese di regole non semplici, è un’ovvietà, però ditemi voi se in questo Paese ci sono delle regole semplici, dal pagare una multa a riparare una strada a trovare un lavoro. Non c’è una regola semplice. E questo lo dico anche dal lato di responsabilità di un operatore, come quello che presiedo, che deve aiutare a cercare lavoro. Noi per cercare lavoro non riusciamo a fare mai un bando, un’azione che non sia più lunga di dodici pagine, di quindici pagine e sette allegati: ogni volta che cerchiamo di fare una cosa in due pagine, risulta una cosa impossibile in questo Paese. Questo non funziona, ogni volta che cerchiamo di fare una cosa automatica o cerchiamo di accompagnare le imprese o le persone – anche questo l’ha detto l’assessore Melazzini, i voucher, l’importanza del voucher, l’importanza della scelta che viene data alle persone – ci aggrovigliamo nella burocrazia. Quindi regole semplici, regole che basino il sistema su una collaborazione virtuosa tra pubblico e privato. Se ancora qui pensiamo di avere un modello di sviluppo retto e coordinato dal pubblico, credo che abbiamo un’idea un po’ sbagliata di questo Paese o almeno abbiamo bisogno di una tale massa di investimenti che francamente mi pare difficile nei prossimi mesi. Faccio un esempio: le politiche del lavoro. Le politiche del lavoro in questo Paese il pubblico le amministra attraverso circa cinquecento sportelli, o centri per il lavoro, che equivalgono a circa ottomila persone. Negli altri Paesi europei parliamo di migliaia, cinquantamila, sessantamila, centomila in Germania, cioè tutta un’altra organizzazione. Se noi pensiamo di risolvere il metodo dell’avviamento al lavoro, dell’orientamento, dell’informazione, solo attraverso questo, sbagliamo. Dobbiamo dare spazio al privato, spazio al privato che però deve avere delle responsabilità, spazio ai centri di formazione, spazio all’orientamento privato, spazio alle agenzie. Il pubblico e il privato devono cooperare, se non capiamo questo temo che sarà molto difficile avere effettivamente alla capacità di risolvere alcuni temi occupazionali. Anche il tema dello sviluppo e del lavoro – l’assessore Muzzarelli, giustamente, ma anche Melazzini lo dicevano -, quanto è importante mettere insieme i due tavoli, le due dimensioni, il lavoro e lo sviluppo sullo stesso piano. Noi però l’abbiamo fatto in questi ultimi anni parlando di ammortizzatori sociali, dove abbiamo messo il Ministero dello Sviluppo, il Ministero del Lavoro, l’assessore allo sviluppo e l’assessore delle politiche del lavoro insieme a mettere i cerotti, a cercare di riparare ottomila situazioni. Poi abbiamo la bellissima parola dell’outplacement, tranne che i sindacati sono i primi che foraggiano – utilizzo questo termine bruttissimo, ma insomma – la cassa integrazione o gli strumenti di ammortizzazione, oppure gli scivoli per scaricare dall’impresa alcune responsabilità. Nessuno fa politiche attive. Dopo di che le politiche attive non è che costino meno degli ammortizzatori sociali: l’altro giorno, presentando noi come Italia Lavoro un progetto al Ministero, abbiamo spiegato che c’era un’azione di politica attiva e ci è stato risposto: “Ah! Ma la politica attiva costa, e come facciamo?” Vorrei ricordare a tutti quanti che la politica attiva costa in tutti i Paesi, costa perché la politica attiva è una politica di servizi alla persona, di servizi all’utente, di instradamento dell’utente che è il lavoratore, che è il giovane che viene nei centri per l’impiego: ha bisogno di infrastruttura, ha bisogno di un investimento, ha bisogno di risorse finanziarie, né meno né più di quella degli ammortizzatori, solo che ha – o avrebbe, o dovrebbe avere – una visione più attiva o proattiva. Quindi, da questo punto di vista, scordiamoci che con le politiche attive sia facile la strada, non è una strada facile cambiare, qualcuno lo diceva prima, un paradigma culturale. E in ultimo vorrei soltanto dire molto chiaramente che è ovvio che le regole del lavoro vadano con quelle dello sviluppo: noi non possiamo non immaginare che ci siano regole dello sviluppo distinte da quelle del lavoro, perché altrimenti non avremo nessuna capacità né di attrazione né di creazione di nuova occupazione. Non voglio fare la critica qui alle due Regioni che, ricordiamolo, sono due regioni “virtuose” nel panorama italiano delle Regioni, perché se voi scendete per vari motivi da qui, dal Rubicone, un pochino più giù e arrivate a metà Italia e poi scendete anche più giù, abbiamo certamente delle isole felici ma nella media, e ce lo dicono i dati, abbiamo tassi molto più elevati di disoccupazione, tassi più bassi di industrializzazione, tassi di non speso di risorse finanziarie, anche comunitarie che poi gravano su tutti quanti, perché le penalità poi colpisce tutto il sistema-Paese. Ecco, dicevo, mettere insieme i due tavoli, secondo me, le due dimensioni, è assolutamente indispensabile e questo significa certamente che i vari territori possono competere, ma nello stesso tempo che dobbiamo anche ragionare in una maniera il più possibile coordinata. Voi avete citato due leggi per l’attrazione o la localizzazione degli investimenti. Ma attenzione anche qui a non creare tutta una serie di spezzatini legislativi perché basta decidere qual è il modello: se noi adottiamo il modello, diciamo così, all’inglese o alla tedesca, in cui le Regioni competono e quindi competono su tutte le loro caratteristiche fiscali, legislative, regole del lavoro eccetera, è un discorso; se noi invece vogliamo un Paese che non competa, ma che attragga senza competere, bisogna che anche le regole sull’attrazione degli investimenti siano più o meno uniformi. Io non propendo né per l’una né per l’altra e almeno non in questa sede, dico solo che il Paese deve fare certe scelte. Ecco, io credo che quando Massimo Ferlini ha pensato a questo dibattito – Nuove regole per lo sviluppo, nuove regole per il lavoro – avesse in mente, tutti dobbiamo averlo in mente, che non è che dobbiamo fare il “nuovo”, ma dobbiamo cercare di rendere quello che c’è efficiente, anzi secondo me dobbiamo fare meno regole, più azioni, più attività, dobbiamo finalmente capire che l’impresa e il sistema di relazioni dell’impresa che serve alla persona, devono essere al centro delle nostre politiche. Facciamo ancora molta fatica a fare questo.

MASSIMO FERLINI:
Grazie Paolo. Mi pare che il dibattito sia stato interessante e abbia focalizzato una questione: la centralità della persona. Infatti noi dobbiamo fare delle norme nella loro semplificazione, nella loro semplicità, nella loro immediatezza, nella loro capacità di mordere dentro alla realtà, che rilancino quell’io per lo sviluppo che è indispensabile, altrimenti tutti noi facciamo la predica su come sono stati bravi i nostri padri a fare la ricostruzione post bellica ma non facciamo nessuna regola, nessuna scommessa sul fatto che anche oggi questa capacità ci sia. In secondo luogo, sulle regole per lavoro e sviluppo, io credo che Marchionne abbia posto un problema serio quando ci ha detto: o facciamo delle regole, siamo capaci di trovare accordi nuovi, che abbiano al centro le regole del rapporto relazionale tra le persone dentro all’impresa, il rilancio della produttività, o questo Paese rischia di diventare una Paese a cui non interessa più fare impresa. La ritengo una provocazione prima di tutto culturale, perché ha messo in crisi i conservatori di Confindustria quanto i conservatori del Sindacato, perché ha smosso le acque di tutti e due, non è stato un discorso di parte. Vi giro allora questa domanda: anche per le caratteristiche della piccola e media impresa italiana, laddove quasi l’imprenditoria si confonde con la dipendenza, non abbiamo bisogno invece di un rilancio della capacità contrattuale basata sui contratti aziendali, sui contratti territoriali, tali da rimettere al centro un obiettivo di crescita comune, che può far scommettere sulla positività che c’è e sulla capacità di chi c’è nel fare le cose? Vi giro la domanda e vi invito, con un giro al contrario rispetto a prima, a rispettare il tempo che abbiamo a disposizione. Do la parola per primo a Paolo.

PAOLO EMILIO REBOANI:
La mia risposta è molto breve, nel senso che penso che il rapporto di distribuzione della ricchezza debba essere regolamentato in due strade. La prima, quella che oggi più attiene al grande dibattito, è quella fiscale, e riguarda quanto il fisco possa ridistribuire e quale sia la sua funzione; la seconda è la contrattazione ed è indubbio che in questo Paese, purtroppo, oggi non ci sono ancora le condizioni. C’è un tema che si chiama emergenza – in questo caso – salario, o costo del lavoro per l’altro verso. Credo che questo dovrebbe da un lato sicuramente portare a un riflessione affinché la redistribuzione avvenga più vicina ai luoghi della ricchezza e quindi che sia un tema molto, molto importante quello della contrattazione territoriale/aziendale. Questo dipende però dalla realtà che noi abbiamo: dobbiamo evitare, dopo la giungla delle leggi, la giungla dei contratti, e dobbiamo certamente pensare a uno sviluppo di relazioni industriali che sia più vicino a questi luoghi. E’ chiaro che questo dipende dal tipo di azienda, cioè un’azienda come la Fiat può fare contrattazione aziendale, aziende molto più piccole possono fare contrattazione territoriale. Ciò può contribuire al recupero di produttività, può contribuire a maggiore occupazione. Dobbiamo avere comunque delle relazioni industriali, produttive, chiamatele come volete, tra i vari attori, delle azioni più agili, più flessibili, ma più vicine al luogo della ricchezza. Solo questo può in qualche modo contribuire al rilancio degli investimenti. Ecco, io penso che certamente la provocazione di Marchionne sia stata una provocazione, però il tema in questo Paese è molto, molto evidente anche perché non siamo tutte realtà industriali e ci sono tantissime attività di servizi, le quali hanno bisogno di diversi metodi in cui il salario viene anche contrattato e viene distribuito. Questo è un punto fondamentale.

MASSIMO FERLINI:
Grazie, la parola a Melazzini.

MARIO MELAZZINI:
Molto velocemente, Marchionne è realista. Bisogna avere il coraggio di cambiare e avere il coraggio anche di andare controcorrente. Però questo presuppone un cambiamento culturale sia da un verso che dall’altro. Come dicevi giustamente tu, Marchionne ha creato uno scompiglio sia dal punto di vista del sistema cui lui appartiene, la Confindustria, sia dal punto di vista delle parti sociali. Bisogna iniziare, non dobbiamo avere paura, ma avere il coraggio di fare quanto è stato fatto anni fa in Germania. Noi dobbiamo avere il coraggio di ammettere che c’è qualcuno che ci ha già pensato, quindi che non dobbiamo essere semplicemente noi i primi in tutto ma avere la forza, la determinazione e la tenacia di fare una programmazione decennale. Per crescere bisogna fare una programmazione decennale. E’ una cosa che il nostro Paese adesso deve fare, altrimenti tutto diventa difficile, e c’è poco da invocare l’autonomia regionale, perché l’autonomia regionale è imbrigliata da tutto un insieme di procedure e di norme. Prima, parlando con il mio collega, gli dicevo che dobbiamo indipendentemente da tutto, dal tipo di colori di gestione politica, fare rete su alcuni settori, campi, perché in questo modo garantiamo delle risposte e aumentiamo il potere contrattuale anche nei confronti dello Stato centrale. Questo è fondamentale, perché se noi vogliamo che la politica sia al servizio della cosa pubblica, come deve essere, deve dare una risposta per il Bene comune. Ecco, questo è il momento di cambiare.

MASSIMO FERLINI:
Grazie Melazzini. Adesso la parola a Antonio Bonardi.

ANTONIO BONARDI:
Condivido anch’io il punto di vista che emerge dal tavolo, cioè che la contrattazione deve fare un passo avanti e deve portarsi più vicino a dove si produce, più vicino al luogo di lavoro, quindi portarsi a livello aziendale e lo condivido non solo per il tema della distribuzione della ricchezza, come veniva anticipato poc’anzi, ma anche per il tema della flessibilità funzionale, perché noi oggi ci siamo un po’ focalizzati sul tema della flessibilità in entrata, sulle politiche attive, ma abbiamo anche una grandissima rigidità nella gestione del contratto di lavoro. Bisogna invece fare in modo che quella fissità di regole, che sono state scritte in un’epoca in cui l’economia era appunto autarchica e la produzione era tendenzialmente fissa negli anni, venga smantellata. Noi dobbiamo prendere atto che oggi il cambiamento fa parte del panorama economico e di conseguenza anche all’interno dell’azienda bisogna favorire il fatto che le mansioni possano cambiare, che le posizioni aziendali possano cambiare. L’innovazione tecnologica richiede cambiamenti da un punto di vista delle competenze, i luoghi di lavoro possono mutare nell’arco di un’area territoriale e di conseguenza bisogna che il rapporto di lavoro venga anche flessibilizzato all’interno della sua gestione. Questo, però, si può conoscere solo sul territorio, non è possibile che a Roma Confindustria e la Triplice conoscano le situazioni specifiche delle singole aziende. E devo dire che io vorrei avere più Marchionni in questo Paese, perché sento che quella è la sfida che noi Sindacato dobbiamo correre e questa è una grande opportunità di innovazione del nostro modo di fare sindacato. Un Sindacato che ragiona così, a mio avviso, può diventare un Sindacato che non viene più visto dall’impresa come, passatemi il termine, un impiccione da tenere il più possibile lontano dall’azienda, un Sindacato che a sua volta vede l’impresa solo come lo sfruttatore negativo del lavoratore. Iniziando un’attività di dialogo reciproco, che è necessario per la conoscenza e per la costruzione di questo scenario nuovo, sicuramente si possono costruire opportunità di sviluppo e di crescita all’interno dell’impresa, esattamente come è stato fatto in Germania nel decennio scorso.

MASSIMO FERLINI:
Grazie. La parola per l’ultimo intervento a Giancarlo Muzzarelli

GIANCARLO MUZZARELLI:
Adesso vorrei anche fare un intervento per cercare di ricaricare le batterie, perché è bene criticare per migliorare, è bene ascoltare, è bene fare tutto per cercare di valorizzare, ma io vorrei anche provare a prenderla anche sul versante del tanto di positivo che il nostro Paese sta sviluppando per ricaricare un po’ le batterie, anche le nostre, ed evitare che esca un messaggio solo negativo. Spero che a livello nazionale prima o poi nasca un piano nazionale serio, ma per esempio, già solo se la Sabatini fosse partita sei mesi prima, avrebbe stimolato tutta una serie di nuove opportunità. Noi della Lombardia non siamo qui a fare la competizione perché siamo dentro una stessa strategia di buon governo per le risorse europee. l’Emilia Romagna è stata riconosciuta come quella che ha speso più risorse, spese meglio, i fondi per la ricerca, siamo tra i primi sulla fedeltà fiscale, e quindi c’è una base molto robusta per cercare di sviluppare comunità e per cercare di tenere insieme la comunità. Umanità, responsabilità e soprattutto valorizzazione del tema del lavoro nel senso più profondo che ho cercato di rappresentare con l’esperienza del terremoto. Ci sono cambiamenti in corso rispetto alle sfide che stiamo facendo, non solo per gli aspetti del lavoro, del cambiamento energetico che veniva richiamato ma anche di quello climatico e soprattutto di quello che ovviamente deve preoccupare tutti, che è quello demografico. Noi ci stiamo avvicinando ai nove miliardi di persone, dobbiamo porci un tema generale anche di come dobbiamo garantire la sostenibilità in questa strategia, perché noi assumiamo gli obiettivi europei della crescita sostenibile perché è la condizione per dare un messaggio positivo, per dare una traiettoria di idee, di sviluppo che poi devono essere implementate con le politiche operative. Ma il cambiamento è in corso, cito solo tre esempi rapidamente. Qui a Rimini c’è un’impresa che sta sviluppando il primo motore non a fonti fossili per un elicottero. Questo è già futuro. La Formula Uno nel 2014 ha adottato un cambiamento delle regole che è un cambiamento epocale. Io sono per valorizzare quell’esperienza, il passaggio da 150 litri a 100 litri e per l’inserimento di un primo propulsore elettrico nella Formula Uno. Penso al tema dello sviluppo della chimica verde e di chi è riuscito a sviluppare un batterio biodegradabile nei nostri territori dove, attraverso le grandi cooperative, gli zuccherifici ecc., sta utilizzando gli enzimi dello zucchero per avere la plastica biodegradabile naturale. Siamo già oltre. Ci sono imprese che sono già nel mondo che hanno radici profonde qui, che sono straordinarie: packaging, quote della ceramica, l’Automotive, le grandi marche dell’Automotive nel mondo. C’è un pezzo di impresa che sta riuscendo nella sfida della competitività del nostro sistema nel mondo e questo per noi è estremamente importante. In questo contesto dobbiamo mettere anche la provocazione di Marchionne perché, come si dice, io sono per fare tutti gli accordi nuovi per il lancio della produttività, ma bisogna che la centralità del lavoro e la centralità dell’uomo vengano rispettate. L’uomo non è un limone da sfruttare fino all’ultima goccia e abbandonare, su questo dobbiamo essere molto d’accordo e dobbiamo assicurare la filiera solidale, per assicurare le condizioni di tenuta della comunità e della coesione sociale, che è uno dei nostri grandi valori. Quindi se la mettiamo su questo terreno, noi siamo in grado di combattere anche chi oggi si è messo fuori dalla società, questi giovani che non studiano, che non lavorano ecc., per farli ritornare dentro, per ricreare le condizioni di un’opportunità, per metterli in gioco. Penso per esempio allo sforzo che dobbiamo fare per dare una lettura completa del mondo dell’artigianato. Però non possiamo continuare a discutere sul fatto che gli artigiani, se sono 16, se ne prendono un altro, vanno fuori e quindi diventa una sinfonia che non sta più in piedi: bisogna che le sblocchiamo queste partite, bisogna che troviamo le condizioni per ragionare sul tema dell’aiuto alle imprese. Bisogna che troviamo le condizioni per applicare anche delle formule nuove, per lavorare un po’ meno, per integrare il rapporto con gli ammortizzatori, per spendere meglio anche i soldi pubblici che mettiamo in campo. Ci sono degli spazi di manovra che possiamo mettere in campo per ridare ossigeno, per ricreare le condizioni in una dinamica proattiva. Abbiamo un sacco di valori positivi, dalla ricerca all’innovazione, all’internazionalizzazione: sono elementi importantissimi. Quindi i valori umani, i valori del lavoro, in quanto pezzo dell’essere comunità, sono per noi un punto estremamente importante. Dentro in questo impianto, credo che noi possiamo trovare tutte le condizioni per ricaricare le batterie, perché io penso che sta succedendo nel nostro Paese, nelle nostre Regioni più di quanto immaginiamo. Abbiamo più imprenditori seri di quanto immaginiamo, anche se occorre sicuramente più giustizia, occorrono le condizioni perché alla fine le relazioni siano relazioni vere, autentiche. Se tu incontri una ragazza che ha fatto quattro anni di apprendistato e l’ultimo giorno è stata licenziata, non è un bel esempio, perché quattro anni di apprendistato significa poi essere stabilizzata, non abbandonata. Io penso che la Lombardia stia lavorando per utilizzare le risorse. La grande sfida 2014-2020 significherà avere risorse per giocare la partita in attacco, per dare una mano a tutte le imprese che ce la stanno facendo e per creare la filiera per riattaccare quelle che non ce la stanno facendo. Stiamo sostenendo le imprese che vanno nel mondo e che fanno la filiera lunga e che si portano là anche gli artigiani, si ricreano le condizioni di una prospettiva e più fanno questo più lavoro c’è qui, più le condizioni di progresso si possono ricostruire qui. Io, per convincere mio figlio che il senso della politica è un senso nobile, dopo tanto tempo che mi vedeva poco, gli ho scritto un piccolo libro personale e l’ho intitolato Radici profonde, sguardo lontano. Bisogna guardare oltre e quel titolo è nato a Shangai, quando un imprenditore è andato là tenendo 300 dipendenti qui, ha fatto un’impresa là e si è messo in gioco per guardare il futuro. Io penso che noi abbiamo ancora molto da dire: se costruiamo con l’alleanza del buon senso e della responsabilità, superando una serie di ideologismi che non servono più, noi avremo ancora futuro.

MASSIMO FERLINI:
Grazie, grazie a tutti i relatori. Voglio sottolineare che è stato un utile dibattito, un’utile discussione perché siamo riusciti a fare una discussione realistica, calata dentro la realtà, le problematiche che ciascuno di voi tocca con mano quotidianamente nello svolgere il suo dovere e non un dibattito solo rivendicativo, come spesso e purtroppo troppe volte succede quando si mettono a tema questi discussioni o questi obiettivi. Lo dico anche perché essere rivendicativi è la rottura di ogni relazionalità, che porta poi a quei professionisti del conflitto che venivano ricordati qui e che ci ha detto Letta stanno alla base della crisi. La crisi porta questo, porta spesso a rinchiudersi o a essere protestatari o ribellistici in modo fine a se stesso, proprio perché non si sa più guardare con realismo la realtà. Allora la reazione positiva che c’è, che ci può essere, è quella che si basa sul binomio di libertà e responsabilità, che è la base per scommettere e far emergere quel positivo che c’è. E’ evidente che a più libertà, a più capacità di semplificare le tante cose che dobbiamo cambiare, corrisponde una maggiore responsabilità di tutti noi, che comprende l’educazione, la formazione e quant’altro. Ma la maggiore responsabilità è la responsabilità individuale su questo. Ma proprio quando si chiede maggiore libertà, questo può scattare. Può scattare in quel binomio per cui la sussidiarietà non è una nuova forma di liberismo che si vuole mettere in moto, ma è la capacità di coniugare maggiore universalità e maggior solidarietà, perché abbiamo bisogno di dare nuovo sostegno universale, nuovi servizi alle persone e sostegno a tutti attraverso una capacità solidaristica. Abbiamo bisogno di nuove regole che diano stabilità alle persone nel percorso di vita lavorativa. Mentre per le generazioni precedenti la vita lavorativa era caratterizzata da una occupazione e spesso un lavoro, oggi la maggior parte di noi hanno già toccato con mano che il loro percorso di vita lavorativa ha visto più lavori, più occupazioni diverse, la necessità di passare per momenti di formazione o comunque, chiamiamolo come vogliamo, di rimetterci la testa sopra per adeguare quelle che sono le proprie competenze, le proprie capacità lavorative e ripartire magari da competenze che sono state messe da parte, perché nel frattempo distratti da altre occupazioni o cose. Quindi abbiamo la necessità di gestire un percorso di cambiamenti continui e questo che pone il problema di quali meccanismi di solidarietà sociale, di inclusione sociale sono da ridisegnare, non per buttare a mare i principi o i valori che stavano alla base degli altri, ma per adeguarne le forme, perché siano corrispondenti al vero. Questo è quello che ci rimette in guida, ci rimette in forza, ci rimette sul cammino. Dentro questo c’è la sfida di dire la crisi non ci piega, ma ci dà gli strumenti per essere affrontata. Questa è la sfida che ciascuno di noi quotidianamente vive, che ci rilancia continuamente ogni anno anche l’esperienza del Meeting. Grazie a voi per l’attenzione e grazie ai nostri ospiti di questa sera.
Trascrizione non rivista dai relatori

Data

20 Agosto 2013

Ora

15:00

Edizione

2013

Luogo

Sala D3
Categoria
Incontri