LIBERTÀ DI, LIBERTÀ PER. LE FEDI E LA POLIS

Nazir Ayyad, Secretary-General of Al-Azhar Research Academy; Jàn Figèl, Inviato Speciale dell’Unione Europea per la libertà religiosa; S. Ecc. Mons. Ivan Jurkovič, Osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, Ginevra. Introduce Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.

 

Libertà di, libertà per. Le fedi e la polis

Nazir Ayyad, Secretary-General of Al-Azhar Research Academy; Jàn Figèl, Inviato Speciale dell’Unione Europea per la libertà religiosa; S. Ecc. Mons. Ivan Jurkovič, Osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, Ginevra. Introduce Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.

 

ROBERTO FONTOLAN:

Come diceva un titolo del Meeting di alcuni anni fa, la libertà è il dono più prezioso fatto agli uomini e di questo bene, di questo dono, la libertà religiosa è certo la determinazione più sacra e imponente. Il cuore di ogni cultura, affermava Giovanni Paolo II alle Nazioni Unite nel 1995, è costituito dal suo approccio al più grande dei misteri, il mistero di Dio. Pertanto, il nostro rispetto per la cultura degli altri è radicato nel nostro rispetto per il tentativo che ogni comunità compie per dare risposta al problema della vita umana. Negli anni, qui al Meeting abbiamo sempre voluto scandagliare e approfondire questo cuore di ogni uomo, di ogni cultura e abbiamo seguito in questo la grande testimonianza di quel maestro e amico del Meeting che è stato il cardinale Jean Louis Tauran. Il titolo di questo nostro incontro nasce sotto la sua luce. Ci sono due aspetti co-essenziali della libertà religiosa: la libertà di professare la propria fede in privato e in pubblico, personalmente e comunitariamente, e di assumere senza costrizioni o impedimenti le scelte di vita che la propria fede suggerisce, fosse anche quella di abbandonarla, questa fede, o di non averne alcuna. Il secondo aspetto è la libertà di poter partecipare alla vita pubblica, per favorire il bene di tutti. La fede, le fedi devono poter esprimere il proprio contributo alla casa comune, all’ordine del mondo. E l’uno e l’altro aspetto, “libertà di”, “libertà per”, sono alla base della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo della quale abbiamo celebrato nel 2018 il settantesimo anniversario. La coscienza contemporanea è arrivata a questa consapevolezza dopo un lungo cammino, a volte tragico e tormentato, ma da qui non si tornerà indietro. Chiunque voglia pensare alla libertà religiosa, non può che proseguire da questo punto in avanti. Il principio però non basta a liberare la libertà religiosa dalle minacce, dalle discriminazioni, dalla violenza, dall’odio. In alcune situazioni è lo stesso principio teorico che viene negato, in altre situazioni, in altri contesti si nega non il diritto ma l’azione umana: l’iniziativa culturale, sociale, che da questo diritto deve poter scaturire. Nell’uno e nell’altro caso, sono tanti i killer della “libertà religiosa di” e della “libertà religiosa per”, ma chi ama davvero l’umano si impegna senza sosta per tutelare questo tesoro inestimabile. Ne avremo testimonianza in questo incontro, ascoltando tre relatori che desidero ringraziare calorosamente per aver accettato il nostro invito. Diamo il benvenuto al professor Nazir Ayyad, segretario generale dell’Al-Azhar research Academy, dopo spiegherò meglio di che cosa si tratta; Jàn Figèl, che per la terza volta è qui con noi al Meeting ed è inviato speciale dell’Unione europea per la libertà religiosa e mons. Ivan Jurkoviċ, che è Osservatore permanente presso gli organismi internazionali a Ginevra. Do la parola al professor Ayyad, abbiate pazienza se parlerà in arabo, ci sarà come sempre la traduzione in italiano per tutti noi della platea. In ottobre, abbiamo fatto una visita al Cairo presso il grande imam di al-Azhar che, come molti sanno, è la più importante e autorevole realtà culturale e religiosa del mondo sunnita, con un’influenza enorme in quella grande parte del mondo musulmano che è la realtà sunnita. Nel dialogo che abbiamo avuto con il grande imam al-Tayyib, ci fu immediatamente una sorta di riconoscimento reciproco. Il grande imam rimase talmente colpito dal racconto che gli facemmo del Meeting che in questi mesi ha voluto approfondire la natura del Meeting, la sua nascita, la sua storia. E ha avuto poi la benevolenza di farsi rappresentare qui personalmente dalla figura del professor Ayyad, una delle figure più importanti del sistema molto complesso, molto grande di al-Azhar. Allora, invito il professore a prendere la parola. Ci sarà, come dicevo, la traduzione.

 

NAZIR AYYAD:

Grazie a Dio, grazie al profeta Maometto, che Dio lo protegga e lo benedica. Gentili relatori, gentile pubblico, vi saluto con un’espressione islamica, “Salam alaykum”, che la pace sia su di voi: è la benedizione di Dio. Chiedo a Dio che questo incontro sia un modo per unirci. All’inizio, permettetemi di trasmettervi il saluto del grande imam di al-Azhar, il dottor Ahmad Al-Tayyeb, che ringrazio per lo sforzo da lui compiuto. Ringrazio il Meeting di Rimini che permette la coesistenza pacifica in tutti i suoi significati. Dobbiamo essere d’accordo sul fatto che questo Meeting ha un’intenzione molto nobile e uno scopo molto alto, perché si occupa di grandi argomenti: il primo è l’affermazione della libertà religiosa, il secondo è la conferma della possibilità del dialogo interreligioso.

Avevo preparato un discorso per oggi, però questa mattina, durante il mio giro in questo Meeting, ho visitato due mostre. La prima è la mostra che ci racconta la storia dell’incontro tra san Francesco e il Sultano al- Kᾱmil: in questo incontro, io vedo una serie di prove e tra queste prove vedo la conferma della possibilità di trovare uno spazio per il dialogo tra le persone appartenenti a diverse fedi, a diversi credi, al di là di tutte le differenze di colore, di nazionalità e di genere. La storia che ho ascoltato in questa mostra parla di una relazione positiva accaduta tra il santo e il re, possibile grazie all’interpretazione autentica dei concetti religiosi, perché il re ha permesso a Francesco di parlare liberamente della sua religione e ne è stato talmente colpito positivamente che gli ha permesso poi di restare in terra d’Egitto, di trasmettere il suo messaggio cristiano. Questo conferma la possibilità di raggiungere una via e una convivenza pacifica tra le religioni. La seconda mostra che ho visitato è stata quella dell’organizzazione internazionale di soccorso e assistenza e sviluppo che fa parte della Lega musulmana mondiale: riesce a realizzare questo concetto dell’incontro tra persone di diverse religioni anche nel titolo, “La compassione che ci unisce”, che è proprio un’espressione di questo concetto. Come dice Dio: «Noi vi abbiamo creato da un maschio e una femmina e vi abbiamo resi popoli affinché conviviate e vi conosciate». É questo un verso del Corano: anche Maometto dice in un suo detto che Dio aiuta i suoi servi quando i suoi servi aiutano i loro fratelli. Non dobbiamo attaccare la libertà religiosa, non dobbiamo attaccare il diritto alla diversità di credo. Tutte le religioni celesti affermano la necessità di far valere questo diritto alla libertà e alla diversità di credo, l’islam stesso conferma questo concetto e pone delle regole che proteggono questa libertà dagli attacchi, dai nemici. L’islam guarda alla libertà di credo come una caratteristica fondamentale dell’umanità: se attacchiamo la libertà religiosa, attacchiamo l’intera umanità. L’uomo non può essere costretto a una religione, l’uomo è libero di scegliere la propria religione. Vediamo che l’islam e le religioni celesti hanno posto nelle loro basi morali e nelle loro basi religiose il concetto di dignità umana e quindi di libertà religiosa, perché l’uomo è la migliore creatura di Dio e per questo ha il diritto di scegliere ciò che vuole. Alla fine, sarà Dio a decidere per lui che cosa è stato giusto e che cosa sbagliato. All’inizio, questo concetto di libertà religiosa è stato applicato in maniera autentica, al di là del fatto di appartenere o meno all’islam. L’Islam fin dall’inizio ha tollerato tutte le altre religioni: è stata sempre una religione che accetta tutte le religioni, anche la religione ebraica. Riguardo al discorso relativo al diritto alla libertà, nell’islam è un giudizio divino che non deve portare al conflitto perché è difeso dalla shari’ah islamica. «Abbiamo creato le nazioni come un’unica nazione e non devono essere in conflitto tra di loro» dice l’islam. Dobbiamo difendere la giustizia, avere un’eguaglianza tra tutti gli uomini al di là delle differenze di credo, di lingua, di religione, essere sempre lontani da qualsiasi idea estremista. Nel Corano, c’è un versetto che conferma che bisogna agire con tutti gli uomini con un senso di giustizia, perché la giustizia è obbedire a Dio, agire con giustizia è obbedire ai precetti divini. Quindi, se siamo d’accordo sul fatto che l’uomo è libero e ha la libertà di scegliere la sua religione, noi confermiamo che questo concetto è stato interpretato in maniera diversa nelle varie epoche, eppure è stato uno dei più importanti dialoghi che siano mai stati trattenuti dall’umanità. La fratellanza tra i credenti, il dialogo meraviglioso che il Sultano al- Kᾱmil ha avuto con san Francesco: quando studiamo la storia dell’umanità, troviamo anche altri esempi di personalità storiche che hanno cercato di realizzare questa coesistenza religiosa e questo dialogo interreligioso. Ad esempio, il dialogo che il profeta Maometto ha avuto a Medina con alcuni cristiani: ha permesso loro di restare e anche di pregare nella sua moschea. Ha detto che avrebbe protetto i loro possedimenti e le loro case e ha permesso a questo gruppo di cristiani di suonare le campane per la messa, di usare le croci e di mostrarle liberamente. Ci sono esempi molto alti di convivenza. E ci sono due grandi personalità che ci insegnano a guardare il mondo e che hanno pubblicato il Documento di fratellanza umana, un grande documento che conferma la libertà di credo. É il frutto di una serie di incontri tra due grandi personalità: il grande imam di al-Azhar e papa Francesco, per confermare la cultura del dialogo e la possibilità di coesistenza pacifica tra tutti gli uomini, per dare un’opportunità alla libertà di credo. Questo documento ha molti articoli. Il primo parla dell’importanza di insegnare i valori della conoscenza reciproca e di accettare le diversità di credo e le diversità umane. Il secondo articolo conferma il diritto di ogni uomo a scegliere il suo credo religioso, a esprimersi; conferma l’importanza della diversità religiosa, linguistica, etnica. Il terzo parla dell’importanza della promozione della pace, dell’accettazione dell’altro, della coesistenza, dell’importanza di cooperare insieme per contrastare i conflitti e risolvere problemi politici, sociali, culturali. Il quarto dice che il dialogo tra i fedeli è uno spazio grandioso per far valere i valori umani e sociali comuni a tutte le religioni, che possiamo usare per promuovere i più alti esempi morali, che proteggere i luoghi della professione religiosa, come le moschee e le chiese è un dovere per tutte le religioni. Conferma l’importanza del dialogo interreligioso e della libertà religiosa. Il documento conferma anche che il concetto di cittadinanza si basa sulla parità di diritti: tutti devono essere trattati con giustizia. Il documento parla anche della relazione tra l’Oriente e l’Occidente, una relazione molto forte: sono due elementi complementari che non possono fare a meno l’uno dell’altro. Il documento conferma anche l’importanza della società occidentale nel mondo orientale e l’importanza della società orientale nel mondo occidentale, per contrastare il regresso spirituale e di pensiero. Possiamo osservare l’importanza che questo documento ha avuto nel consolidare l’importanza del dialogo interreligioso. Io sono onorato di essere qui oggi in questo Meeting e spero che sia l’inizio, un frutto del dialogo tra persone di diverse culture e religioni. É proprio come ci dice il nostro Documento di fratellanza, che ci invita anche a correggere alcuni concetti come quello di minoranza, che include un concetto di isolamento religioso e quindi i semi di un concetto di lontananza dalla società in generale. Come pure dobbiamo combattere il settarismo, il razzismo e l’odio, affermando il ruolo del dialogo. Quale può essere il contributo di questo dialogo? Come dice anche il Corano: «Venite, insieme abbiamo un discorso religioso equo tra noi e voi». L’importanza del documento aiuta anche a promuovere la passione tra tutte le religioni, perché le religioni celesti rifiutano l’odio e la violenza. Come ha detto anche Dio nel Corano: «Vi abbiamo creati da un uomo e da una donna e vi abbiamo resi popoli per conoscervi a vicenda, il più nobile di voi e il più disubbidiente a Dio». Abbiamo un detto del profeta che parla di un suo giovane servo ebreo: quando si ammalò, il profeta andò a visitarlo personalmente a casa. Il modo in cui aveva trattato questo ragazzo, così nobilmente, spinse la famiglia del ragazzo a incoraggiare il figlio a essere sempre obbediente al profeta. Questo conferma la possibilità di interagire pacificamente tra appartenenze a diverse religioni. Un detto del profeta dice che è lecito mangiare il cibo offerto da una persona di diversa religione ed è lecito sfamare una persona di diversa religione. La religione dell’islam, in più occasioni, afferma l’importanza e la possibilità della coesistenza. Questo è ciò a cui ha contribuito anche il Documento di fratellanza umana che ha cercato di ridurre i conflitti tra i fratelli umani, che sono stati creati per portare vita nella terra, e non conflitto. Il documento parla anche dell’importanza di sradicare l’estremismo come via per la coesistenza pacifica, per ascoltare l’altro e per realizzare una vita dignitosa per ogni persona umana. L’uomo ha delle caratteristiche, degli elementi che lo spingono a cercare una vita dignitosa. Il primo dei suoi diritti è il diritto di scegliere il proprio credo, ed è importante confermare che l’uomo è libero nel suo credo. Ringrazio lo sforzo degli organizzatori, il Meeting per avermi invitato. Ringrazio questa grande conferenza, il Meeting, che conferma i concetti di fratellanza fra l’uomo e il suo fratello, soprattutto in questo tempo in cui le guerre si sono inasprite e i conflitti si sono accesi, andando oltre ciò che ogni logica e ragione potesse immaginare. Vi ringrazio, arrivederci.

 

ROBERTO FONTOLAN:

Penso che certamente l’auspicio di una continuazione di questo dialogo, di questo rapporto tra il Meeting e il centro di al-Azhar sia quello che tutti ci auguriamo. Ora vorrei passare la parola a Jàn Figèl che, come dicevo, per la terza volta è qui con noi. Protagonista della vita politica e culturale europea da molti anni, in particolare dal 2016 è rappresentante speciale della Commissione europea per la promozione della libertà religiosa al di fuori dell’Unione europea: viaggia, incontra, tesse rapporti incessantemente, ormai da anni, in tutte le aree dove questa tematica è sensibile, incandescente. Iraq, Siria, Africa Centrale e Africa del Nord, Asia estrema e Asia media sono le sue priorità di questi anni. Ci racconterà di questa sua esperienza e di questa sua visione. Grazie ancora per essere tornato tra noi.

 

JÀN FIGÈL:

Buonasera a tutti voi, grazie, Roberto, grazie a Rimini. Sono molto lieto del fatto di essere ancora qui. Dunque, quarant’anni del Meeting di Rimini. Questo significa maturità e maturità dovrebbe significare portare dei frutti. Mi auguro che questo Meeting riesca a produrre ciò che è davvero così necessario in Italia, nel Bel Paese, ma anche in tutta l’Europa, nella nostra Europa e nel mondo del XXI secolo. Mi auguro che ci sia più giustizia, più libertà responsabile e maggior rispetto per la dignità umana di tutti. Da un lato, la religione ha accompagnato l’umanità sin dall’inizio della storia, è in grado di instaurare legami, di legare. La fede serve a ispirare, a rafforzare la vita spirituale, a guidare l’uomo. D’altro canto, la religione spesso è stata oggetto di abusi da parte di continue ricerche della supremazia, volte a soggiogare gli altri. Abbiamo assistito ripetutamente a esempi di atrocità di massa, di persecuzioni, per esempio nello Sri Lanka o in Nuova Zelanda, di recente. L’84 per cento della popolazione mondiale dichiara un’affiliazione religiosa. La religione non è un aspetto secondario ma molto importante. Coloro che non comprendono la religione e, in particolare, coloro che abusano della religione, non possono comprendere ciò che sta accadendo nel mondo odierno. Se non comprendiamo, come possiamo dare una mano? Per cui, è importante comprendere la religione, l’identità religiosa ma anche la responsabilità religiosa. La libertà religiosa è molto importante perché di fatto ha a che fare con la libertà di coscienza, con la libertà di pensiero, con la libertà di credere o di non credere. Da questo punto di vista, riflette la dignità umana, la dignità della persona. Se questa libertà non viene rispettata, allora la libertà di opinione, di associazione non sono anch’esse rispettate. Per cui, la libertà religiosa è il test ultimo di tutti i diritti umani, è di fondamentale importanza, non è più degli altri ma è sicuramente un aspetto centrale, cruciale. La situazione nel mondo è molto negativa, da questo punto di vista: il 79 per cento della popolazione mondiale, secondo il Pew Research Center di Washington, vive in Paesi con un livello di restrizione della libertà elevato o molto elevato. In secondo luogo, la tendenza è negativa ovvero il livello di discriminazione, di persecuzione o addirittura di genocidio sta aumentando. Io sono stato nominato nel 2016 perché, all’epoca, ci fu un genocidio in Medio Oriente – in Iraq e in Siria -, commesso dall’Isis: genocidi ai tempi nostri. E la comunità internazionale all’epoca ha ripetutamente promesso: “Mai più, mai più genocidi”. In realtà, ancora una volta questi genocidi si verificano. Noi non riusciamo a rispettare quelli che sono i nostri impegni internazionali e le persone soffrono. Dunque, dal punto di vista della descrizione della situazione, vorrei dire che non solo abbiamo bisogno di un cambiamento per quanto riguarda i cambiamenti climatici ma abbiamo bisogno anche di un cambiamento per quello che riguarda il clima relativo alla libertà religiosa. Ovvero di arrestare le tendenze negative, di invertirle affinché ci sia più pace e affinché l’essere umano sia posto maggiormente al centro. Io sono qui come il primo inviato dall’Unione europea per la libertà religiosa e, ovviamente, non possiamo dare ciò che ancora non abbiamo; per cui, è molto importante che noi rispettiamo, proteggiamo e promoviamo la libertà religiosa in Europa e che ci occupiamo anche di questo aspetto al di fuori dell’Unione europea. In tre anni ho visitato tantissimi Paesi e al tempo stesso ho affrontato tanti problemi, tante questioni tangibili in tanti territori diversi. Tanti Paesi hanno affermato posizioni simili, per esempio la Danimarca, la Germania, il Regno Unito, l’Ungheria, la Lituania. Dal primo settembre, anche i Paesi Bassi avranno degli ambasciatori speciali che si occuperanno di libertà religiosa. E questo è un aspetto molto importante, è una tendenza fondamentale per cui occorre coordinare gli sforzi e lavorare a beneficio e a favore di coloro che al momento vengono perseguitati in tutto il mondo. Questo perché, come ho detto prima, la situazione è davvero preoccupante. Non solo per i cristiani o per i musulmani, ma per tanti gruppi, per tante minoranze religiose o etniche, che si sia credenti o no. Vi posso dire che anche i non credenti, gli atei sono ripetutamente sotto pressione. 21 Paesi nel mondo, per esempio, puniscono la conversione con la pena capitale; 13 Paesi prevedono la pena capitale per l’ateismo e più di 70 Paesi hanno delle leggi improntate alla blasfemia. Il tema di questo incontro è “Religione e polis”: qual è il quadro odierno in tutto il mondo? In base ad alcune stime delle Nazioni Unite: il 42 per cento degli Stati al mondo possono essere etichettati come “Stati religiosi”, vale a dire, preferiscono avere una o più denominazioni religiose; il 5 per cento dei Paesi al mondo possono essere definiti come “Paesi antireligiosi” e il 53 per cento dei Paesi del mondo sono etichettati come “Paesi secolari”. Posso dirvi che le situazioni più preoccupanti, ovvero il numero più elevato di incidenti e di atti contro le persone credenti o meno per le loro convinzioni, avvengono nei cosiddetti “Stati religiosi” ma anche nei “Paesi antireligiosi”. Per cui, gli “Stati secolari”, quelli che si basano sul concetto di cittadinanza, rappresentano una vera e propria benedizione per la libertà religiosa. Gli Stati secolari aprono uno spazio a tutti, sono aperti alla diversità, al pluralismo. I cosiddetti “Stati secolari” falsi chiudono questo spazio, chiudono lo spazio al pluralismo e parlano di secolarismo come di ideologia. E questo ovviamente è molto negativo, è dannoso perché è totalitarista. Quindi, di che cosa abbiamo bisogno realmente? Abbiamo bisogno di un pluralismo equo, aperto, e di Stati civili che si basino sulla parità di cittadinanza per tutti, per la maggioranza e per le minoranze. È lodevole che in alcuni Paesi non si utilizzi più il termine “minoranza”: per esempio, in Egitto si parla di “comunità” perché “maggioranza” e “minoranza” fanno riferimento a una relazione più quantitativa mentre parlare di “comunità” significa considerare il quadro come se fosse un mosaico che contempla tutti, con tessere piccole e tessere grandi, ma un mosaico unico. In Iraq, sono stato davvero contento di aver parlato con gli ayatollah della comunità sciita a Najaf e con il patriarca, perché questi personaggi hanno utilizzato lo stesso linguaggio per il futuro dell’Iraq come Stato civile, non religioso, quindi uno Stato basato sulla parità di cittadinanza per tutti. E quando i leader religiosi utilizzano questo linguaggio e promuovono queste convinzioni, io credo che davvero ciò si verificherà in futuro, che dopo i conflitti questa situazione si realizzerà, non solo in Iraq ma anche in altri Paesi. Non voglio dilungarmi oltre, ma l’aspetto più importante nell’ambito di tutte le riflessioni che si possono fare su un approccio improntato ai diritti umani è il tema della dignità umana, ne abbiamo già sentito parlare dal professor Ayyad. La dignità umana è il fondamento dei principi che sono alla base di tutti i diritti umani: abbiamo dei diritti perché abbiamo dignità. Ma la dignità non si basa mai solo sui diritti. In realtà, dignità significa anche compiti, doveri. Perché possiamo godere di tantissimi diritti, di tutti i diritti che vogliamo, se però accettiamo che ci sono degli obblighi, dei doveri. Di fatto, due sono i principali: un obbligo è il dovere nei confronti dell’altro, la responsabilità nei confronti dei miei fratelli e delle mie sorelle, nei confronti dei miei vicini. Questo aspetto è menzionato nella Dichiarazione universale come il concetto di “fratellanza umana”, il dovere di comportarsi sulla base della fratellanza umana. Non si tratta di semplici parole ma si tratta di diritto internazionale, è un concetto che è sancito nel diritto internazionale. Il secondo obbligo è sancito alla fine della Dichiarazione universale ed è quello nei confronti della comunità all’interno della quale viviamo: la famiglia, la polis, la nazione. Abbiamo tutti degli obblighi nei confronti della comunità. Il problema del mondo odierno, le crisi che affliggono il mondo odierno, sono causati dalla mancanza di maturità o dalla perdita dell’equilibrio, causati dalla ricerca di una continua libertà senza responsabilità. Diritti senza doveri: per superare le crisi, abbiamo bisogno di ricreare un equilibrio in questa situazione. Questo è possibile ed è molto importante. Da questo punto di vista, vorrei aggiungere che se condividiamo il concetto che la libertà umana appartiene a chiunque, dovremmo anche fare del nostro meglio affinché la dignità umana di chiunque e ovunque venga affermata. La via d’uscita da ciascuna crisi è il ricreare un equilibrio, una combinazione fra il buon senso e la coscienza del singolo. Per questo, quando incontro i leader religiosi, parlo sempre di libertà religiosa ma anche di responsabilità religiosa, di responsabilità sociale religiosa. Senza questo contributo, non riusciremo a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile del 2030 delle Nazioni unite. Senza questo contributo, non riusciremo a trovare una sorta di riconciliazione, di rinnovamento in tanti territori del mondo. Per questo, noi siamo ovviamente a favore di nuovi impegni e di misure concrete a favore di una responsabilità condivisa, di un’ospitalità condivisa, della fratellanza. Non si tratta di nozioni vuote, vacue, si tratta bensì di contributi molto importanti a favore di un XXI secolo che sia più umano. E sono sicuro del fatto che questo rappresenti il miglior contributo che può essere fornito dal Meeting di Rimini. Mi auguro che il dialogo di questi giorni al Meeting segnerà dei Meeting di Rimini maturi, improntati all’amicizia fra le nazioni umane. Grazie, grazie a tutti!

 

ROBERTO FONTOLAN:

Ringrazio molto Jàn Figèl perché ha dato un senso molto drammatico a questo tema. I dati, i numeri che ha citato sono veramente impressionanti e ci ha fornito anche una chiave per continuare ad affrontare questo tema. Ha dato anche una piccola notizia positiva circa la sensibilità europea che cresce riguardo a questo tema. Per una volta, si può parlare bene dell’Europa. Ed ora, monsignor Ivan Jurkovič è un diplomatico del Papa, è stato nunzio in diversi Paesi, tra cui mi piace citare la Russia. Dal 2016 è a Ginevra come capo della missione della Santa Sede presso gli organismi internazionali. A Ginevra ci sono decine e decine di organizzazioni internazionali, è una delle capitali del confronto mondiale e devo dire che c’è qualcosa di sovrumano, mi permetto di dire, nel lavoro che un po’ conosco di questa missione del nunzio che è chiamato a guidarla, non solo per la quantità enorme di temi e tematiche spesso anche molto diverse tra loro. Si va dal disarmo alla proprietà intellettuale, dai diritti umani allo sviluppo economico, e così via. Il lavoro è veramente tanto, a fronte di un piccolo eroe con staff che rappresenta tutta l’intensità, il desiderio della chiesa cattolica di contribuire a fare del mondo un luogo più amico e più pacifico. Con queste parole, volevo invitarla, eccellenza, a prendere la parola. Grazie ancora di essere venuto.

 

IVAN JURKOVIČ:

Ringrazio per queste parole che spero siano vere. Continueremo a fare sì che lo siano. La visibilità e l’influenza sia positive che negative della religione sono in costante aumento negli ultimi anni. Le personalità religiose hanno svolto un ruolo centrale nella vita nazionale e internazionale. Alcune hanno fornito servizi essenziali nelle aree povere del mondo, basti pensare al caso del Premio Nobel Madre Teresa di Calcutta e alle comunità religiose di fratelli e suore Missionarie della Carità da lei fondate, che hanno testimoniato il valore della dignità umana nei bassifondi più poveri del mondo. Altri invece hanno influenzato sviluppi sociali, economici e politici di portata più ampia. Esempio autorevole in merito è rappresentato dal papa Giovanni Paolo II, che durante la pacifica trasformazione del 1989 in Europa orientale ha dato un contributo determinante alla caduta del muro di Berlino e del comunismo. Altri ancora hanno animato il dibattito internazionale, imponendo un modello di ruolo pubblico della religione nella società e ispirando di fatto diverse forme di identità religiosa, che in alcuni casi hanno condotto a delle nuove tensioni. Un altro esempio è sicuramente l’arcivescovo Desmond Tutu che, proponendo i principi di libertà, pace, riconciliazione e giustizia, ha fornito un contributo significativo nel regime dell’apartheid in Sudafrica. Persone religiose anonime non sono state meno efficaci. Basti pensare al ruolo del personale religioso dedicato alla promozione dell’istruzione e della salute in tutto il mondo, oppure alle migliaia di volontari ispirati da una motivazione di fede e impegnati nella lotta alla povertà e alla promozione dei diritti umani. Il pensiero cattolico sulla libertà religiosa, come ben sapete, si è evoluto nel tempo ed è diventato progressivamente sempre più chiaro. Ha raggiunto la sua formulazione più significativa nel Decreto del Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae, che ha sancito il diritto della persona umana alla libertà religiosa, riconoscendo che ormai il suo contenuto e il suo valore sono diventati generalmente evidenti. Questo diritto, dice il Concilio, offre la garanzia ai cittadini all’immunità da ogni coercizione proveniente da individui, da gruppi sociali o da funzionari pubblici nell’esercizio dei loro uffici. Questo diritto è riconosciuto come inerente alla persona che agisce di sua iniziativa e sotto la sua responsabilità, cioè liberamente, nell’intimità umana dove sono sollevate, risolte e vissute le questioni più profonde e delicate dello spirito. Il fatto stesso che la libertà di religione è stata riconosciuta come un diritto civile in quasi tutte le costituzioni degli stati moderni, e che è stata proclamata come un diritto fondamentale della persona dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella Carta dell’Organizzazione della unità africana, ecc., difficilmente può trovare una spiegazione adeguata, se non ammettendo che questa libertà è radicata in alcuni requisiti fondamentali del cuore umano. Quindi, il compito dello Stato è fornire ai propri cittadini i mezzi che consentono loro di esercitare tale diritto e di svolgere i loro doveri religiosi. In altre parole, la libertà religiosa è un diritto fondamentale e naturale di ogni persona. Per sua natura, la persona si riferisce agli altri, è socievole, tenta di vivere in comunità. Vivere e professare in comunità non è solo un requisito della religione ma anche l’esigenza della persona, la continuità di un diritto che deriva dalla stessa radice. Per questo motivo, la Dignitatis humanae afferma che il diritto alla libertà religiosa spetta ad ogni comunità religiosa e specifica le aree in cui le comunità religiose hanno il diritto di agire liberamente. La prima, a condizione che le giuste esigenze di ordine pubblico siano osservate, si concretizza nel fatto che le comunità religiose a buon diritto devono rivendicare la libertà in modo che possano reggersi secondo norme proprie. La seconda: le comunità hanno anche il diritto di non essere limitate con misure organizzative o giuridiche da parte del governo nella selezione, nella formazione, nella nomina e nel trasferimento dei propri ministri, in comunicazione con le comunità religiose e quelle all’estero, nella costruzione di edifici religiosi e nell’acquisizione e utilizzo di beni adeguati. La terza riguarda il fatto che le comunità religiose hanno anche il diritto di non essere limitate e ostacolate nell’insegnamento e nella testimonianza pubblica della propria fede, sia in forma orale che scritta. Quarta cosa che rientra nella definizione della libertà religiosa, è il fatto che le comunità religiose non siano limitate dall’intraprendere liberamente di mostrare concretamente il valore aggiunto della loro dottrina, per quanto riguarda l’organizzazione della società e l’ispirazione di tutta l’attività umana, di riunirsi liberamente e di stabilire organizzazioni educative, culturali e sociali, sotto l’impulso della propria convinzione religiosa. Nel mondo di oggi, dove la religione ha trovato una sua rinnovata visibilità, il messaggio di libertà religiosa che la diplomazia della Santa Sede promuove in campo internazionale è il messaggio universale che si è evoluto in occasione del Concilio e si fonda sulla dignità di ogni persona. L’organizzazione delle Nazioni Unite afferma e promuove lo stesso diritto alla libertà religiosa ma non entra molto nella discussione sostanziale sulle motivazioni e sugli argomenti che giustificano questi diritti. Ci potremmo chiedere come i diritti umani tutelano il diritto alla libertà di religione, se ci sono delle restrizioni che possono essere imposte a questo diritto, e in quale misura, alla luce di tale diritto, si giustificano le restrizione degli altri diritti, come quello alla libertà di espressione, di riunione e di associazione. La diplomazia multilaterale ha lavorato sul tema della libertà religiosa, soprattutto dopo la fine della seconda guerra mondiale. Come il concetto della dignità di ogni persona è diventato, nel tempo, sempre più chiaramente riconosciuto, il problema della libertà di coscienza, di religione, di espressione ha assunto sempre maggiore rilevanza, anche se una convenzione formale sull’argomento ad oggi non ha trovato un supporto sufficiente. Tuttavia, diverse disposizioni vincolanti sono incominciate nei vari trattati per garantire il diritto alla tutela della libertà di ogni persona di vivere le sue più profonde convinzioni. Il diritto alla liberta di religione è riconosciuto dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione: questo diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà, sia isolatamente o in comune con altri, in pubblico o in privato, la propria religione o il proprio credo, nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”. In questo senso si pronunciano anche molti altri documenti internazionali. Il concetto di discriminazione religiosa è enunciato anche nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o sul credo, adottata dall’Assemblea generale nel 1981. A differenza di alcuni documenti simili, la presente dichiarazione non è stata seguita dall’adozione di un trattato, ma ha avuto una notevole influenza sull’interpretazione di altri strumenti, inclusa la Convenzione sui diritti del fanciullo. Dal 1987, la Commissione Onu per i diritti umani ha incaricato un relatore speciale di indagare sui problemi connessi al diritto alla libertà di religione o di credo, e anche in questa circostanza, la Dichiarazione ha costituito la base giuridica per l’espletamento del lavoro del relatore speciale. Le modalità attraverso le quali il diritto alla libertà religiosa può essere limitato sono specificatamente circoscritte e più limitate rispetto a quanto si verifica negli altri diritti umani: tale diritto infatti deve essere pienamente rispettato in ogni momento. Inoltre, esaminando le restrizioni che possono essere imposte alla libertà religiosa, si può constatare come i trattati prevedano tali limitazioni possano verificarsi solo nelle manifestazioni della religione. Il diritto di avere e di adottare una religione di propria scelta non può essere limitato. Anche in merito alla manifestazione di religione, alcune delle motivazioni di restrizione che solitamente vengono applicate agli altri diritti umani non trovano applicazione. Per esempio, restrizioni non possono essere giustificate solo appellandosi alla sicurezza nazionale. Detto questo, vi può essere però, per legge, una restrizione del diritto di manifestare la propria religione, se è giustificata alla luce di una questione di carattere sanitario, sicurezza pubblica, tutela dei diritti degli altri. L’uso di stereotipi che oltraggiano il sentimento religioso non contribuisce alla creazione di un ambiente favorevole per un dialogo costruttivo e sereno tra le diverse comunità, al contrario, spesso conduce ad un clima di odio e di violenza. Per superare questa difficoltà, risulta necessario un miglioramento dell’educazione basata sul rispetto per tutte le religioni e le credenze, e un bilanciamento del diritto di espressione e del diritto alla libertà di religione. In questo senso, sembra utile sottolineare la recente risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla World Interfaith Armony Week, che riafferma che la comprensione reciproca e il dialogo interreligioso costituiscono una dimensione importante di una cultura di pace. La diplomazia della Santa Sede è in supporto della libertà di religione. La voce dei suoi rappresentanti nel contesto multilaterale difende gli interessi di questa entità unica. Gli interessi in questione non sono né di carattere economico o militare, né sono limitati a un solo Stato, ma sono rivolti alla promozione e alla tutela dei diritti di tutta la famiglia umana, e in particolare dei suoi gruppi più vulnerabili. Il diritto alla libertà religiosa rappresenta una priorità nella dottrina sociale della Chiesa e in ogni occasione e ogni foro nazionale e internazionale viene utilizzato in questo senso. Il sommo rappresentante della diplomazia vaticana è lo stesso Pontefice, nei suoi discorsi pubblici e nei suoi viaggi. Davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, per esempio, è intervenuto con forza a sostegno del diritto alla libertà di religione, sia per gli individui che per le comunità. In più occasioni, il Santo Padre ha ricordato come, da una parte, il campo e lo spazio della libertà religiosa non si possano confinare all’ambito privato, dall’altra, ha riconosciuto che la lesione di questo principio fondamentale di libertà propizia la crescita di quel “pensiero unico” che debilita la forza delle società democratiche. Tutte queste cose oggi sembrano abbastanza generalmente accettate, ma se guardiamo solamente alcune decine di anni indietro, vediamo che erano cose completamente nuove. La concezione di libertà religiosa si allontana profondamente dall’idea sempre più frequente che stiamo assistendo ad uno “scontro di civiltà” e che le diverse concezioni delle religioni sul mondo sono in qualche misura inconciliabili e causa di conflitti. La cultura del conflitto è sostituita dalla cultura del dialogo. In questa prospettiva dialogica, la libertà religiosa, recepita nelle costituzioni e nelle leggi e tradotta in comportamenti coerenti, favorisce lo sviluppo di rapporti di mutuo rispetto tra le diverse confessioni e una loro sana collaborazione con lo Stato e la società politica, senza confusione di ruoli e senza antagonismi. Vorrei concludere con alcuni pensieri brevi: cosa possiamo vedere di fronte a noi? Guardando al futuro, diversi problemi restano da discutere nell’agenda internazionale. Tuttavia, se nella nostra azione ci limiteremo solo ad analizzare i fatti, rincorrendo soluzioni a situazioni singole, dimenticando che il nostro compito deve unire l’autorità del discernimento alla capacità di arginare le violazioni e le improbabili interpretazioni dei diritti, in modo che la garanzia dei diritti non si limiti ad una generica prevenzione o al ricorso alle armi ma “preveda a priori una coesione preventiva tra quanti hanno la responsabilità di cooperare in materia di diritti, pur se manifestano contrastanti opinioni e visioni differenti”. Per la diplomazia pontificia, la coesione preventiva significa operare per superare le posizioni contrapposte o per fermare le violazioni in atto, cercando di unire partendo dall’ascolto di tutte le posizioni. Ecco, allora, un altro possibile dialogo che la diplomazia pontificia ritiene essenziale: quello sui valori. Parole come dignità, libertà, responsabilità, sono già nel linguaggio e nelle aspirazioni delle famiglie umane, anzi, in loro assenza non è possibile parlare di diritti umani o considerare situazioni conseguenti quali la pace, la sicurezza, lo sviluppo e la cooperazione. L’alternativa rappresentata dall’immobilismo rispetto alle violazioni e da interpretazioni con effetto shock, ma sempre più distanti dalla difesa della dignità umana. Nelle società pluraliste attuali la coesistenza pacifica deve essere basata su ciò che compartiamo in quanto persone, la ragione e il rispetto per la legge interiore che la natura pone nel cuore di ogni persona. In questo modo, il dialogo diventa possibile e costruttivo all’interno della vita quotidiana per affrontare insieme le esigenze comuni a livello culturale, attraverso una conoscenza reciproca a livello di fede che porti alla scoperta dei valori comuni. È una strada lunga, ma l’unica percorribile per il conseguimento di un obiettivo comune, che è la pace. Grazie.

 

ROBERTO FONTOLAN:

Vorrei ringraziare tutti voi per l’ascolto intenso e attento, vorrei in particolare ringraziare il professor Ayyad per averci ricordato il valore della Dichiarazione sulla fratellanza umana e per l’auspicio che questo incontro e dialogo di oggi sia l’inizio di un cammino. Su questo, mi prendo la responsabilità di dire che senz’altro questo cammino desideriamo continuarlo. Ringrazio Jàn Figèl per il suo impegno, penso che tutti abbiamo capito quale peso e quale intensità di lavoro porta con sé questo incarico che ha da oltre tre anni. Speriamo che continui ad averlo: sapete infatti che la Commissione europea si è rinnovata, speriamo che anche la prossima Commissione confermi Jàn in questa importantissima e delicatissima attività. E lo ringrazio anche per le parole di incoraggiamento per il Meeting: essendo un amico ormai tradizionale di questo nostro appuntamento, le sue parole circa il nostro quarantesimo sono un incoraggiamento ad andare avanti per almeno altri quarant’anni. Infine, ringrazio veramente dal profondo monsignor Jurkovič, un po’ perché conosco il suo lavoro, mi piace ringraziarlo per questo. Si è capita poi, attraverso le sue parole, tutta la dimensione autentica dell’azione diplomatica della Chiesa cattolica, che non ha interessi propri ma ha interesse per l’uomo e per il suo cuore, ed è questo che porta tante persone ad impegnarsi per questo. Di questo parleremo anche domani mattina nella sala Percorsi, alle ore 12, con monsignor Jurkovič: dialogheremo attorno alla natura, agli scopi e alla dinamica della diplomazia vaticana. Vi ringrazio ancora una volta. Vi ricordo che per continuare il Meeting c’è la possibilità di aiutare a sostenerlo, rivolgendosi alle postazioni “dona ora” caratterizzate da un cuore rosso. Grazie ancora e buona serata.

Trascrizione non rivista dai relatori

 

190818 LIBERTÀ DI, LIBERTÀ PER. LE FEDI E LA POLIS

Data

18 Agosto 2019

Ora

19:00

Edizione

2019

Luogo

Salone Intesa Sanpaolo B3
Categoria
Incontri