Chi siamo
Letture in piazza dalla Divina Commedia
Giorgio Albertazzi, attore e regista teatrale e Anna Proclemer, attrice e doppiatrice leggeranno brani tratti da la Divina Commedia.
Accompagnamento musicale a cura del gruppo musicale “Zafra“.
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IL SENSO DELL’UOMO NELLA DIVINA COMMEDIA
Occorre mettersi di fronte a Dante come uomini di fronte a un uomo: capire perché questa testimonianza di un poeta sepolto nella profondità di sette secoli non è estranea alla nostra meditazione di oggi. E per capirlo dobbiamo chiederci che cosa abbiamo di comune con lui, se ci sono delle scoperte che lui ha fatto e che anche noi siamo chiamati a fare, se ci sono delle parole che lui ha dette e che anche noi possiamo ripetere: dobbiamo vedere se lui è attuale, cioè presente, se in lui possiamo riconoscere noi stessi.
Non ci costa fatica dire che il mondo di oggi è diverso da quello di Dante; noi abbiamo qualcosa che allora non c’era. Da quando lui è morto, gli uomini hanno guardato a fondo nelle pieghe della natura, hanno scomposto e descritto i meccanismi del pensiero e le leggi dell’universo, hanno percorso la terra in tutte le direzioni e dei segreti della terra quasi nessuno rimane che non sia stato svelato.
D’altra parte, il mondo di oggi è ancora molto simile a quello di Dante: anche allora si viveva l’incertezza e sulla paura; la gente era rissosa, le città sempre in lotta, la miseria strideva a contrasto con l’abbondanza e col lusso. E l’uomo passava i suoi giorni nella inquietudine del pellegrino che va verso Dio, ma che ad ogni istante si potrebbe inabissare nel nulla se il peccato prevalesse sulla grazia; inquietudine simile a quella dei nostri narratori e dei nostri artisti i quali, certo più disperatamente, gridano la loro umanità lacerata e pericolante.
Ma c’è qualcosa, del mondo di Dante, che noi abbiamo perduto. Noi abbiamo misurato in lunghezza e in larghezza il quadro della realtà, ma ci è sfuggita la dimensione che dà vita alle cose, ci è sfuggita la dimensione del profondo. Così che la realtà che viviamo è minutamente dettagliata ma è come se fosse piatta e disseccata.
Perché è accaduto questo? Perché abbiamo rifiutato di guardare la nostra umanità in prospettiva: e la prospettiva dell’uomo è il suo destino, cioè il senso della sua origine e il senso del suo approdo. Noi rimaniamo stupiti di fronte alla straordinaria adesione di Dante alla realtà: dal momento che egli parla di un viaggio nell’oltretomba, ci aspetteremmo una visione sfocata degli uomini e del loro ambiente; e invece taluno ha definito Dante come poeta del mondo terreno. La cultura di Dante infatti nutre un senso profondissimo dell’unità dell’universo e dell’unità della persona umana: questa cultura si appoggia sulla persuasione che nulla è profano, che tutto ciò che è fatto, è fatto per sempre, che ogni atto della persona si proietta nel tempo infinito e rimane. Dante dà un volto a questa persuasione e progetta un’impresa arditissima, quella di rappresentare il mondo storico già sottoposto al giudizio finale, già collocato nel luogo e nella forma definitiva e non in modo che il carattere terreno venga soppresso o indebolito, ma lasciando ad ogni figura il grado più intenso del proprio essere individuale, terreno, storico e identificandolo con la sorte eterna.
Ma Dante non raggiunge questa certezza improvvisamente: sono tutti i secoli (cristiani) della storia europea a lui precedente che vanno maturando un nuovo senso della realtà. Il realismo cristiano mette le radici nella storia di Cristo, una storia in cui compaiono pescatori e re, sacerdoti, pastori e operai, tutta la varietà del mondo umano, in cui ogni uomo-persona ha diritto di avere la sua parte.
Dopo la storia di Cristo, la varietà non è più una dispersione ma è una ricchezza, un modo di comporsi della perfezione. «La bontà -dice Tommaso d’Aquino- se in Dio è semplice e uniforme, nelle creature è molteplice e diversa».
Ecco perché nella Commedia c’è posto per tutti gli uomini. Per Dante il senso di ogni vita è interpretato, anzi il personaggio è tanto più reale quanto più è interpretato, quanto più esattamente è inserito nella forma ultima della comunione universale. Per Dante tutta la realtà è soltanto ombra e figura di ciò che è autentico, futuro, definitivo, vero, di ciò che conservando la figura, conterrà la realtà vera.
Nel XIV del paradiso, nel cielo dei sapienti, i beati, già immersi nella loro libertà assoluta, esprimono un desiderio: «Tanto mi parver subiti ed accorti / e l’uno e l’altro coro a dicer ‘Amme!’ / che ben mostrar desio de’ ·corpi morti / forse non pur per lor, ma per le mamme / per li padri e per gli altri che fuor cari» (vv. 62-66). Non ci sfugga il significato di questi versi. Quelli che sono eternamente felici desiderano che sia ricostruito il mondo dei loro affetti terreni, addirittura che sia rifatta la loro integrità personale.
Ecco cos’è la Commedia di Dante, non l’oltremondo ma la verità del mondo, la somma del mondo, e lo svelarsi dell’uomo.
Claudio Scarpati, Professore di Letteratura italiana all’Università Cattolica di Milano.
Saranno letti brani da:
INFERNO:
Canto III (1-78)
Canto V (70-142)
Canto X (22-93)
Canto XXXIII (1-78)
PURGATORIO:
Canto I (1-72/115-136)
Canto V (85-136)
Canto XXX (1-84)
PARADISO:
Canto III (10-87)
Canto XVIII (70-142)
Canto X (22-93)
Canto XXXIII