LE PROSPETTIVE DELLA DEMOCRAZIA

Le prospettive della democrazia

Le prospettive della democrazia

A cura dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà. Interviene Giancarlo Giorgetti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Partecipano: Graziano Delrio, Presidente dei Deputati del PD; Mariastella Gelmini, Presidente dei Deputati di FI; Maurizio Lupi, Presidente dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà; Massimiliano Romeo, Presidente dei Senatori della Lega; Gabriele Toccafondi, Deputato al Parlamento Italiano, CP. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.

 

Trascrizione non rivista dai relatori

LE PROSPETTIVE DELLA DEMOCRAZIA
Lunedì 20 agosto 2018
Ore 11.30

A cura dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà.

Interviene
Giancarlo Giorgetti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Partecipano
Graziano Delrio, Presidente dei deputati del PD; Mariastella Gelmini, Presidente dei deputati di FI; Maurizio Lupi, Presidente dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà; Massimiliano Romeo, Presidente dei senatori della Lega; Gabriele Toccafondi, Deputato al Parlamento italiano, CP.

Introduce
Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.

GIORGIO VITTADINI
Buongiorno, benvenuti a questo incontro dal titolo “Le prospettive della democrazia” che ospita la ripresa dei lavori dell’Intergruppo per la Sussidiarietà il cui nuovo manifesto è sulle vostre sedie.
Brevemente introduco il perché il Meeting ospita volentieri questo incontro a cui partecipa anche il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Giancarlo Giorgetti, oltre a quelli che poi presenterò.
Voi vi ricordate che, un po’ di anni fa, il presidente Napolitano venne invitato, dai punti di riferimento di allora dell’Intergruppo per la Sussidiarietà (Maurizio Lupi ed Enrico Letta) facendo un intervento, a cui mi richiamo oggi per introdurre, che fu importante per metodo e contenuto. E forse oggi vale di più di allora. Perché? Perché forse si parla poco di questo, ma c’è una variabile esterna alla vita del nostro Paese che non dipende dalla politica interna, dalle scelte, che è la globalizzazione. La globalizzazione vuol dire, che non gli imperialismi o le multinazionali, non solo questo, ma i Paesi emergenti che quando ero piccolo io erano i Paesi del Terzo Mondo: Cina, Vietnam, Corea, India, Brasile hanno cominciato a volersi sviluppare, a voler mangiare, a voler produrre e questo vuol dire che, anche in una competizione positiva, a portare via quote di mercato a Paesi che sono sviluppati. Allora Enrico Letta introdusse questo intervento di Napolitano, dicendo che eravamo un Paese grande in un modo piccolo, oggi siamo un Paese piccolo in un mondo grande. Allora voi capite che se l’Italia non si sviluppa noi saremmo destinati all’impoverimento – al di là del tema la fine dello sviluppo e così via- E’ importantissima la redistribuzione, c’è più diseguaglianza; è importantissimo evitare che ci sia troppa tassazione, ma se non c’è sviluppo, noi non potremo reggere a questo cambiamento, di fatto, anche di gente che prima moriva di fame e adesso no.
Capite quindi che lo sviluppo è al centro dei temi dell’Italia. Ma per permettere che i nostri vecchi siano assistiti, che ci paghino le pensioni e che i nostri giovani lavorino, che si curino le infrastrutture, perché se non ci sono più soldi pian piano sarà inevitabile, e voi capite che, oltretutto, mettiamola insieme alla enorme crisi demografica di cui non possiamo dimenticarci. Abbiamo fatto un rapporto come Fondazione per la Sussidiarietà quest’anno sul Sud, in cui il demografo Gian Carlo Blangiardo, metteva in luce – cose riprese dall’Istat – che tra cinquant’anni, se si va avanti così, al Sud ci saranno cinque milioni in meno di persone. Voi capite che questo significa che lo sviluppo è un tema fondamentale. Allora, come si realizza lo sviluppo? Torniamo agli anni 50, che erano anni in cui l’Italia era distrutta e in cui, pensate, dal 45 al 70 siamo riusciti a diventare il settimo Paese industriale del mondo, avere l’oscar della lira. Come è stato fatto questo? C’era una contrapposizione più feroce ancora di adesso, perché tra Partito comunista e Democrazia cristiana c’erano anche i blocchi internazionali. Eppure si è stati capaci di costruire un punto comune, un accordo che avveniva proprio in Parlamento, pur con ferocissimi scontri, anche di piazza, che ha permesso questo percorso comune, non è stato qualcuno da solo a farlo. Allora l’ipotesi mi sembra di lavoro che noi sposiamo, è che su certi temi ci vuole un accordo di fondo per il bene comune. Ieri abbiamo avuto l’incontro con l’on. Violante e Piacentini, che è il responsabile per la digitalizzazione per l’Italia, entrambi dicevano “ci vuole un punto comune di lavoro”. Che poi lascia tante contrapposizioni, però un accordo su certi temi, se no non ce la si fa, non si ha la forza di reggere per l’Italia in questo mondo. Anche perché c’è un tema profondo. In questo Meeting si riprende il tema del 68, non solo in termine di demonizzazione, ma del desiderio che c’era. Oggi che cosa è rimasto per molti aspetti: il nichilismo. Il tema del Meeting dice che le forze che muovono la storia sono quelle che danno la felicità all’uomo. Dicendo che cosa? Non come lettura, ma che se non c’è un desiderio di progresso, di significato, non si ha forza, non c’è l’io, non c’è neanche l’aggregazione, non ci sono i corpi intermedi. In questo senso c’è un’ipotesi politica di questo tipo, persona – corpi intermedi – politica. E ognuno, ogni partito, nelle sue diverse aree di influenza, può aiutare a questo lavoro. Per questo che noi auspichiamo, che riprenda questo lavoro. Nel tema di questo manifesto, ci sono alcuni esempi: le imprese. In questo Meeting c’è una grande area dedicata al lavoro, la Mesh Area, fatta da giovani, perché questi giovani, io che ho 62 anni non posso dire “Eh, una volta c’era”. Io devo cominciare a lavorare, a creare cose nuove, non possono solo dire “Come è verde la mia valle”. Adesso si emigra, come emigravano i minatori, 26 milioni di persone sono emigrate, vogliono lavorare. Quindi le imprese. Quale nuovo sviluppo? Certo abbiamo molte lacune, ma che ricchezze ha l’Italia, lo diceva Piacentini ieri, lo diceva Violante, lo vediamo in giro che ricchezze che abbiamo. Perché anche questa vicende del ponte caduto, che ci dice quanta forza ci vuole a riprendere, abbiamo scoperto che l’Italia, comunque sia, è un’eccellenza dal punto di vista degli ingegneri, abbiamo qui davanti il Rettore del Politecnico di Milano che ce lo testimonia, a livello internazionale. Quindi le imprese, e poi il Sud. Perché rassegnarsi alla caduta del Sud o ad un assistenzialismo del Sud quando allargata Suez, noi potremo intercettare tutte le merci che vengono, una rotta diversa da quella intorno all’Africa, porti interporti, infrastruttura che portino qui.
E poi una gestione della ricchezza del Sud, anche per l’energia, l’energia alternativa. Un’agricoltura di sviluppo come quella che c’è stata per il vino, che una volta, prima della crisi dell’etanolo, era vino di taglio, è diventato, come il Nero d’Alcamo, un vino internazionale per quante produzioni. E il turismo di ricchezza, perché nessuno può dare arte, natura, mare, cultura, gastronomia. Quante cose per fare il Sud, per dare uno slogan ne parleremo domani, un Federico II nel duemila, non periferie di Roma o di Bruxelles, ma centro dell’Europa, in collaborazione con i Paesi rivieraschi che sono qui. E ancora l’emergenza educativa, abbiamo qui Maristella Gelmini, che per tanti anni è stata Ministro della Pubblica Istruzione, in prima fila c’è il Ministro Bussetti, che quindi cominciamo a salutare, loro e anche agli altri, e salutando loro salutiamo la scommessa sul capitale umano. L’America sta in piedi, io lo dico sempre, perché compra semilavorati mondiali, formati anche da noi, se li prende già formati, come le grandi società di calcio, li fa giocare nell’NBA loro, cioè dottorati, master; forse sarebbe la pena di investire su di loro, cioè cosa serve per un sistema educativo? E ancora, un nuovo sistema di welfare. Ormai tutti concordano che ci vuole un partenariato pubblico privato, se no alla fine finisce che non si aiuta più nessuno perché non si hanno più risorse. Abbiamo ospitato qui al Meeting il grande economista della Oxford University, Salomon che ci ha detto “bisogna avere un partenariato. Comuni, Regioni, Stato, collaborano. Abbiamo grandi eccellenze anche dal punto di vista del welfare. Quindi un nuovo sistema. Capite che senza andare in là, senza aprire altri temi, come la riforma della Pubblica amministrazione, se l’intergruppo si occupasse di questo e riuscisse a costruire dei punti comuni, come è stato per il passato. Pensate che il 5 per mille è stato partorito dall’intergruppo, e vi sembra una cosa piccola. Ma questo ha fatto vivere migliaia e migliaia di risorse, di realtà anche umane, nell’idea che si potessero sviluppare. Troviamo dappertutto pubblicità di Ospedali, Università. Se noi riuscissimo con questo a dare un esempio di un modo di collaborare, che non è l’inciucio, non è tutti uguali, maggioranza, opposizione, destra, sinistra, centro, 5 stelle, quello che volete, ma con alcuni punti comuni io penso potremmo dare un contributo a questa ripresa, che si capisce dopo le cose del ponte di Genova, ha bisogno innanzitutto di un entusiasmo, di una positività, di guardare le responsabilità i limiti ma per scommettere sul futuro. Allora per questo abbiamo, oltre a quelli che ho già nominato, oltre a quelli che ho già nominato, Graziano De Rio, presidente dei deputati del PD, ho già detto di Mariastella Gelmini che è presidente dei deputati di Forza Italia, Maurizio Lupi che è presidente per l’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà, Massimiliano Romeo che è presidente dei senatori della Lega e Gabriele Toccafondi che è deputato al Parlamento Italiano per il gruppo misto. E quindi proprio a Gabriele Toccafondi, che conosciamo già come sottosegretario all’Istruzione, quindi anche lui della partita capitale umano, do la parola per cominciare il dibattito.

GABRIELE TOCCAFONDI
Grazie a tutti voi per la presenza, grazie a Vittadini, grazie al Meeting di Rimini, per l’opportunità. Questo è un momento, Vittadini lo sottolineava, complicato, difficile ma penso assolutamente positivo e darò alcune ragioni di questa positività e non vedo queste cose come in contraddizione. E’ complicato e difficile perché molte evidenze stanno venendo meno, almeno molte evidenze di chi fa politica: partiti, coalizioni, raggruppamenti, ideali. Sembra stiano venendo meno. E’ positivo anche perché ci stiamo accorgendo che non si vedono all’orizzonte bacchette magiche, soluzioni in tasca che nessuno sapeva di avere, leader fantasmagorici, così come i vari super eroi e bacchette magiche. Insomma non vediamo e non crediamo più al super eroe di turno o alla fata turchina. Venendo meno partiti e coalizioni, cioè le evidenze, per chi fa politica in maniera attiva, occorre, e questo è l’aspetto positivo, domandarsi per chi e per cosa si fa politica. Cioè cosa ti muove? L’evidenza che ognuno di noi ha ben presente e solo così si capisce ciò che il Papa a Cesena pochi mesi fa disse: “Vivere i problemi come sfida e non come ostacoli” altrimenti sarebbe impossibile, decisamente impossibile. Questo è possibile solo se hai chiaro cosa ti muovo, cioè se hai una comunità da cui impari, se hai una comunità da ascoltare, e qui c’è il tema dei corpi intermedi, che per alcuni decenni abbiamo ostacolato se non eliminato. C’è il vero rapporto della sussidiarietà che è soprattutto, principalmente realismo, cioè un ascolto di ciò e di chi nella realtà fa. E tutto questo, questo fare politica, è un percorso educativo. Anche per chi fa politica c’è necessità di un percorso educativo. E l’intergruppo della Sussidiarietà, io l’ho sempre visto e lo continuo a vedere, come un percorso educativo vero e valido per ciascuno di noi. Anche perché, anche in politica, si impara nel tempo e dentro dei rapporti, non si sa tutto, non si ha la bacchetta magica né la verità in tasca. Quindi solo in un rapporto con la realtà e tra di noi, pur avendo idee profondamente differenti, ma in un rispetto di un ascolto è possibile far politica e crescere all’ interno di un percorso politico. Tutti noi, ma non noi da questa parte del tavolo, ma tutti noi abbiamo un’innata passione, cioè abbiamo una passione per la politica, cioè noi tutti siamo mossi dal voler migliorare le cose che ci circondano. La politica non è fatta da esperti del settore, ma è fatta da persone che prendono a cuore, che vedono qualcosa che non va, e tendono di migliorarla. Il tema della sussidiarietà è questo, non ci siamo inventati assolutamente niente e non dobbiamo inventarci assolutamente niente. La politica nobile forma di carità, la politica bene comune, cioè i pilastri della dottrina sociale della Chiesa e della Chiesa, cioè i richiami che la Chiesa fa periodicamente, possono restare belle parole se non si parte dalla propria passione per migliorare quello che vediamo intorno a noi. La politica come servizio e non come un servirsene, è una cosa bella, utile necessaria da fare, ma parte solo se si torna sempre all’origine di questa passione. Ognuno ha innato un desiderio di migliorare, questo aspetto va riscoperto, perché non è né ovvio né scontato né lo troviamo sul comodino la mattina quando ci svegliamo. L’intergruppo può e deve essere un richiamo in questo senso. Anche perché da sempre, lo ricordava Vittadini, il nostro Paese, la nostra Comunità, è vissuta appunto come una comunità e non come tribù. Dai primi uomini primitivi che sono usciti dalle caverne e si sono messi insieme per costruire i villaggi, e hanno costruito le palafitte per migliorare la vita di loro stessi e dei loro conoscenti, così fino alla nostra Costituzione. Questa passione per migliorare la vita di tutti, è innata, ce l’abbiamo innata. Se non è più così ovvia, dobbiamo ritornare a quelle origini, non inventarci sovrastrutture. Tornare ad un’origine per la passione politica. E lo dico non perché sto da questa parte del tavolo, ma perché vedo che va ricostruito in una società questo tessuto. Così come gli ospedali, gli orfanotrofi, le scuole, le università, le cooperative, le società di mutuo soccorso, il credito cooperativo, le banche, i sindacati sono tutti nati da questa passione per se stessi, per l’umano, per migliorare la vita di chi hai intorno. Non erano già scritte in un foglio in tasca di qualcuno, o nella bacchetta magica, sono stati percorsi costruiti partendo da questa passione per l’uomo e per l’umano. Eppure non sono più così evidenti. Chi ha costruito un ospedale, lo faceva per carità verso chi stava morendo, all’inizio. Pensate agli orfanotrofi o alle scuole che sono nate secoli prima dello Stato così come lo conosciamo. La sussidiarietà è questa riscoperta di una passione, ma non solo di una passione teorica, ma di una realtà in atto, non altrove ma nel nostro Paese. Dobbiamo riscoprire le nostre radici, non altro. La Costituzione è forse la forma più elevata di questa ricostruzione e ripartenza. Tutto ciò non vuol dire, e l’assemblea Costituente ne è un esempio, che dobbiamo nascondere i nostri valori, ideali o la parte politica che abbiamo scelto. La politica è scontro, ma non è scontro fine a se stesso. Non vivo per demonizzare l’avversario, non chiedo il voto per seppellire l’altro, chiedo il voto e lavoro in un dialogo avendo le mie idee e le mie certezze, i miei ideali, i miei valori. E’ possibile costruire e dialogare anche partendo da posizioni differenti. Questo aspetto va tutto riscoperto, ed è una riscoperta non filosofica ma personale. C’è il concetto di passione. E se la passione è innata, cioè è il motore, il desiderio è la benzina, ciò che fa muovere l’uomo, in qualsiasi cosa, nel lavoro, nella famiglia, a scuola, anche in politica. Non è una dinamica differente, lo dico per esperienza personale. Visto che non abbiamo, almeno per quanto mi riguarda, più molte certezze, partiti, coalizioni e altro, dico quello che sento più vero in una passione personale per l’azione politica. Questo desiderio è una cosa che si ha, e chi fa politica è bene che lo riscopra, altrimenti è uno scontro fine a se stesso. Se è chiaro il momento, sfida e opportunità, se si comprende che la politica è passione, passione umana, e che per farla occorre il desiderio, allora si comprende perché conviene ad ognuno di noi scendere dal balcone, che è una frase citata dal Papa sia nel Novembre 2015 a Firenze al Convegno ecclesiale nazionale, sia due anni dopo, ottobre 2017, a Cesena in piazza. A Firenze il Papa disse, rivolto soprattutto ai giovani: “Non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico”. E a Cesena due anni dopo disse “Non guardate dal balcone, non osservate dal balcone aspettando che il politico fallisca, questo non costruisce la civiltà”. Ecco, questo scendere dal balcone, non è riferito solo e soltanto a chi ha fatto una scelta di un impegno attivo in politica, nelle istituzioni, ma è rivolto a tutti; e questo scendere dal balcone è possibile solo se si ha chiaro che il momento è complicato ma è positivo, che la politica è una passione umana, non per addetti ai lavori, e se si rintraccia e si fa uso del desiderio che ognuno di noi in quanto uomo, ha. E io vedo e concludo, come tema vero di lavoro, forse per i 5 anni di attività come sottosegretario al ministero della pubblica istruzione, ma non solo, come sfida vera di lavoro che deve riguardare l’intergruppo, per anche ampiezza del tema, è il tema dei giovani. Spesso parliamo, giustamente e lo hanno fatto anche due pontefici, di emergenza educativa, ed è reale, e riguarda i giovani e da alcuni anni. Non si tratta solo di dispersione, di lotta alle dipendenze, di bullismo, di cronaca quotidiana, non si tratta solo di scuola, non è questione il tema dell’emergenze educativa e dei ragazzi, da demandare esclusivamente alla scuola, non è una questione che riguarda semplicemente la nozione e non è semplicemente, come soluzione quella di creare un’ora in più di educazione civica. I ragazzi hanno bisogno di adulti, ma di adulti veri, che stiano all’altezza dei desideri che hanno, perché i ragazzi hanno sempre avuto e hanno sempre delle grandi aspettative, e hanno delle aspettative verso gli adulti, verso la famiglia, verso la società, le istituzioni e anche verso la scuola. Quindi lavorare sul tema degli adulti significa prendere sul serio i ragazzi, il loro desiderio, anche perché in quel percorso lì, a scuola, in famiglia, nelle società sportive, che i ragazzi scoprono se stessi, formano la coscienza critica, diventano adulti, grandi, scoprono un loro talento anche. E hanno però bisogno, come sempre hanno avuto bisogno, e avranno bisogno, di adulti. E quindi il vero tema dell’emergenza educativa riguarda i ragazzi, ma riguarda soprattutto gli adulti, cioè noi. Grazie.

GIORGIO VITTADINI
La parola a Massimiliano Romeo.

MASSIMILIANO ROMEO
Buongiorno a tutti. Intanto grazie a Maurizio Lupi per l’invito, grazie al moderatore Vittadini, al direttore del Meeting, questa è la mia prima volta quindi un po’ di emozione c’è ed è evidente, ma non potrebbe essere altrimenti. Allora visto che arrivo dalla Lombardia insieme a Maurizio Lupi, ma anche Giancarlo Giorgetti, Mariastella Gelmini e altri, abbiamo un pragmatismo di base che ci contraddistingue quindi di conseguenza io parto dal fatto che ho sottoscritto molto volentieri il manifesto dell’intergruppo della Sussidiarietà dell’interguppo parlamentare, l’ho sottoscritto per tutta una serie di ragioni, ovviamente perché condivido buona parte dei contenuti, ma soprattutto per un punto che mi emoziona particolarmente, e che è un punto a mio giudizio che possiamo davvero affrontare tutti a prescindere dalle appartenenze politiche.
Perché se è vero che il tema è quello di cercare di dare sviluppo al nostro paese, io penso che lo sviluppo significhi anche dall’altra parte rendere efficiente questo paese, perché senza efficienza difficilmente potremo ottenere lo sviluppo.
E in queste parole che sono contenute sul manifesto che è stato pubblicato sul Corriere della Sera di qualche settimana fa, c’è un punto come dicevo che mi emoziona particolarmente: quando si parla del superamento della fallimentare logica dell’uniformità e del centralismo, a favore ovviamente di un progetto federalista e di un regionalismo differenziato. Io arrivo dalla regione Lombardia, ho fatto esperienza in Regione Lombardia e siamo convinti, noi della Lega, non solo io ovviamente, che la logica dell’uniformità, questa ideologia per forza dell’uguaglianza abbia costituito un male, alla lunga, nel nostro paese. E cerco di spiegarmi: nel senso che in nome della pace perpetua, che ormai sembra voler contraddistinguere la nostra società, abbiamo sempre considerato i sindaci bravi amministratori alla stessa stregua dei sindaci che non sono stati bravi amministratori; abbiamo considerato le regioni virtuose uguali alle regioni spendaccione. Non è così che si fa. Abbiamo considerato gli imprenditori bravi alla stessa stregua degli imprenditori meno bravi. Quando c’era da distribuire dei fondi, li abbiamo dati a pioggia e abbiamo sbagliato, bisogna fare differenza. Se un amministratore, un sindaco, è un sindaco bravo perché ha amministrato bene, ha un avanzo di amministrazione, ha gestito bene la cosa pubblica, va premiato; se un sindaco invece si è comportato male e ha creato un dissesto, va punito, va penalizzato. Però purtroppo, nella logica di oggi, è successo, è negli ultimi anni che purtroppo si è arrivati a trattare tutti alla stessa maniera.
I tagli lineari sono l’esempio principale che ci sono stati negli ultimi anni. Regioni, comuni, hanno subito tutti gli stessi tagli a seconda del numero della popolazione o del prodotto interno lordo che ogni regione creava. No, assolutamente no, bisogna cominciare a distinguere chi ha amministrato bene, chi ha amministrato male. Questo dev’essere chiaro perché è giusto che tutti abbiano gli stessi diritti ma è altrettanto giusto che tutti abbiano gli stessi doveri. E su questi temi ci dobbiamo davvero confrontare tutti, perché negli ultimi anni troppe regioni hanno reclamato, troppi comuni hanno chiesto: “Ma perché noi dobbiamo essere trattati alla stessa maniera di chi invece ha amministrato male?”. Ci sono regioni e posti nei nostri paesi in cui lo Stato è troppo assente, nel famoso discorso del rapporto pubblico-privato. Ci sono regioni nel nostro paese dove lo Stato è totalmente assente. Quindi, è qui che bisogna intervenire, riequilibrare, fare differenza, perché la differenza non è sempre un qualcosa di negativo; anzi, spesso e volentieri rappresenta un valore, una ricchezza. Invece nella logica dell’uniformità trattiamo tutti alla stessa maniera così almeno non dobbiamo discutere, perché è molto più semplice dire: tagliamo tutti in base ad un criterio generale, così non dobbiamo discutere, non dobbiamo andare a far capire dove si è sbagliato, non dobbiamo magari mettere qualche sanzione perché chi ha sbagliato deve pagare. Tutti diciamo così ma quando si viene a sapere che al Comune di Catania c’è un miliardo e seicento milioni di euro di debiti, il risultato qual è? Chi paga qui? Dobbiamo sempre pagare tutti noi cittadini o è anche giusto che qualcuno quando ha sbagliato alla fine debba pagare perché ha amministrato male? Questa logica oggi non c’è. Facciamo pagare tutti, diamo soldi a pioggia a tutti, così siamo tutti contenti e non facciamo differenze, così abbiamo la coscienza a posto. No, non è così che si crea l’efficienza.
E, a tal proposito, proprio sul tema delle autonomie locali, questo è un tema che, si può dire, sono anni di cui se ne parla senza andare, io dico, a modificare la Costituzione, che abbiamo visto che poi quella modifica della Costituzione negli ultimi tempi non è andata molto bene, a chiunque abbia tentato di fare questa modifica, ma partendo da una riforma di quelle che sono le autonomie locali, guardando a quelle che sono già, a Costituzione vigente; sulle regioni c’è questo progetto di regionalismo differenziato, articolo 116 comma 3 della Costituzione, c’è questa possibilità. Insomma, se c’è qualche regione che riesce a gestire bene i servizi, magari li gestisce meglio dello Stato, è anche giusto che finalmente possa avere qualche competenza e qualche risorsa in più. Se c’è qualche regione che questo servizio non riesce a gestirlo, a quel punto vorrà dire che quel servizio gli potrà essere tolto. Questo è un tema che riguarda tutti perché è l’efficienza, è l’apparato burocratico, l’apparato amministrativo. E poi finalmente introduciamo il principio del “chi fa cosa”. Io sono stanco di vedere, per esperienza, visto che ho fatto anche l’amministratore locale, che poi ci sono alcuni temi di chi non si sa mai di chi sia la competenza. C’è il trasporto dei disabili: ma è dei comuni o delle province? E poi si va davanti al TAR o al Consiglio di stato per capire, ricorsi su ricorsi… alcune cose le fa il Comune ma le fa anche la Provincia e poi le fa anche la Regione e poi magari le fa anche lo Stato. Facciamo con chiarezza una volta per tutte, tutti quanti, tutte le forze politiche, intanto riguarda tutti, finalmente: il Comune ha quelle quattro funzioni e ha i soldi per fare quelle quattro funzioni, la Provincia altrettanto, la Regione idem e lo Stato. Chiarezza, trasparenza, ognuno si prenda la propria responsabilità e forse finalmente riusciremo a portare a casa qualche risultato buono e decente in questo paese. È un tema di cui se ne parla da tanti anni ma non siamo mai riusciti a confrontarci. Io lo ricordo dai tempi del nostro compianto, io arrivo dalla Brianza, Senatore Cesarino Monti, che si occupava molto, molto vicino al tema dei Comuni, che ricordo sempre con affetto e anche le sue battaglie. Però questo è il tema su cui dobbiamo lavorare, il tema della responsabilità, perché adesso voglio vedere con la storia che i ponti vanno monitorati, a me interessava vedere quelli che sono di competenza di chi; perché ci sarà la Provincia che dice “No non è mia competenza, è dello Stato”, lo Stato dice che è competenza della regione. Nessuno si prenderà la responsabilità di dire, o si farà fatica a dire di chi è effettivamente quel ponte; ma, scusate, è un paese serio quello dove nessuno, con certezza, sa quali sono le competenze e quali sono le responsabilità?
Perché si è sempre scappati dal tema delle responsabilità, ci sono dei dirigenti della Pubblica Amministrazione? Sono pagati? Sono pagati per avere delle responsabilità. Troppo comodo rispondere sempre “non è di mia competenza”, oppure, mi tutelo, così almeno io sono a posto e poi chissenefrega poi se l’opera pubblica va avanti, viene sistemata, e viene fatta manutenzione. Nossignori, se non vuoi la responsabilità vai a fare un altro mestiere, sei pagato, e anche tanto, e alla fine, visto che sei pagato, la responsabilità te la prendi fino in fondo; e anche qui, quando vengono dati i premi alla pubblica amministrazione e soprattutto ai dirigenti, ma non solo anche ai funzionari, si usa la logica del “diamoli a tutti”, sia a chi ha lavorato bene, sia a chi ha lavorato male; sia a quello che si è preso le responsabilità e a quello che non lo ha fatto. No! Troppo comodo lavorare in questa maniera!
Obbiettivi, chiedo scusa, che raggiungono tutti; negli altri paesi europei ti danno degli obbiettivi così lontani che tu, se riesci ad arrivare a quell’ obbiettivo importante, allora sì che ti prendi il tuo bell’assegno, il tuo bel premio; bravo hai raggiunto una cosa che non era semplice fare.
Per esempio, oggi si potrebbe dire, vogliamo ridurre le tasse alle imprese, non è una cosa semplice; bene tu dirigente, funzionario raggiungi l’obiettivo, se ce la farai è giusto che ti stacco l’assegno con il premio; bravo perché hai aiutato il tuo paese. Da noi, gli obiettivi sfidanti non ci sono, sono tutti obiettivi che raggiungono tutti, così almeno diamo i soldi a tutti, tutti contenti, che bello, evviva la pace, evviva siamo tutti uguali, ma poi, alla fine, il nostro paese avanti cosi? No! E allora, una volta per tutte, ci vuole: riprendere il senso della responsabilità, una vera riforma delle autonomie locali e togliamo, veramente, quest’idea del centralismo a tutti i costi che possa risolvere le questioni.
Su questa tematica, aldilà di quello che c’è scritto o meno sul contratto di governo, visto che al governo adesso ci siamo noi, è un tema che, comunque, deve riguardare tutti quanti; sì un manifesto, un nuovo patto sul bene comune, a mio giudizio e a nostro giudizio come Lega, non può che partire da questa base, da chi ha avuto esperienza nel campo, da chi sa come funziona la pubblica amministrazione, da chi sa quali sono i suoi difetti, e soprattutto superando anche una logica che negli ultimi anni ha fatto più male che bene.
Grazie

GIORGIO VITTADINI
La parola a Graziano Delrio.

GRAZIANO DELRIO
Grazie, allora, sono molto grato al Meeting, a Vittadini, a Maurizio per questa occasione di presentare il manifesto per la sussidiarietà insieme, di essere qui a proporre un nuovo patto per il bene comune. Sono felice per questo motivo, perché credo che a questo paese manchi molto il senso dell’interesse nazionale, cioè dell’interesse che riguarda famiglie, imprese, società e convivenza civile. Manchi moltissimo il senso dell’interesse nazionale, cioè di come sia importante che, nelle diversità, ognuno di noi persegua, prima di tutto e soprattutto, il bene della comunità e la coesione sociale.
Ora, in questi giorni particolari, come diceva la Scrittura l’altro giorno, viviamo giorni cattivi; in questi giorni particolari credo che questo appello abbia un significato speciale.
Io sono qui oggi per la prima volta, ero indeciso se rompere il mio silenzio dopo la tragedia di Genova, sono qui adesso, che i funerali sono stati fatti, credo che dobbiamo tributare un commosso ricordo alle vittime di questa tragedia, tutti insieme.
Cosa vuol dire un interesse nazionale? Vuol dire quello che ha detto il presidente Mattarella, e cioè che, questo paese ha bisogno di verità e ha bisogno di coesione.
Ha bisogno di poter dire che la bandiera non appartiene a nessuno, ma appartiene a tutti; il tricolore non appartiene ad una parte politica di questo Paese. Io sono nato nella città del tricolore, ho vissuto nella città del Tricolore e ho festeggiato con i miei bambini tutti gli anni e con tutti gli studenti delle scuole a cui poi donavo la costituzione, da sindaco, il tricolore italiano.
Diceva Simone Weil “la patria non è una cosa che ci è stata rubata, ce la siamo lasciata scappare di mano”, bisogna che ricominciamo ad avere una grande tensione unitaria per l’interesse nazionale, poi avremo delle risposte probabilmente diverse, ognuno di noi ha la sua identità, io penso di essere accomunato da qualcuno a questo tavolo, da un’idea, per esempio Vittadini citava il Mezzogiorno, da un’idea per esempio di un Mezzogiorno che se non non diventa più connesso non troverà il suo sviluppo.
Maurizio ha fatto il piano degli aeroporti, il l’ho continuato e l’ho sviluppato, il fatto che a Napoli e a Catania siano cresciuti del 20% negli ultimi due tre anni i visitatori e continui a crescere il turismo e ovvio che è una pre-condizione per lo sviluppo; noi abbiamo l’idea che l’alta velocità abbia fatto bene a questo paese, alle connessioni di questo paese allo sviluppo economico del Nord.
Siamo convinti che i valichi alpini, il collegamento con l’Europa, sia un modo per trasportare le merci sulle ferrovie invece che su milioni di camion, il 93% delle merci tra Italia e Francia va su camion, e quindi che siano anche il segno di un modello di sviluppo europeo e un elemento di forza dello sviluppo.
La cosa che, credo sia fondamentale, è che ognuno di noi comprenda, in questa azione per l’interesse nazionale anche i limiti dell’azione politica; cioè ognuno di noi semina e poi dopo prova a… come dire semina per il bene e poi raccoglierà quello che arriva.
Noi abbiamo seminato un piano infrastrutturale da 130 miliardi di euro, non è mica detto che le cose funzionino, abbiamo aumentato le manutenzioni dell’80% ma non è mica detto che le cose poi funzionino; questo rimane un paese fragile.
Ed è importante capire che il limite della politica sta esattamente in questo e cioè che l’azione politica deve fare il suo mestiere fino in fondo e deve assumere, in particolare, la tensione verso coloro che hanno meno perché questo è un elemento che io ritengo fondamentale.
Qui viene citato il Mezzogiorno, vengono citate le imprese, cioè coloro che a volte sono più in difficoltà, a coloro che hanno più difficoltà questi devono essere aiutate dalla politica a sviluppare gli investimenti, a sviluppare soprattutto autonomia.
I limiti della politica cosa vuole dire? Vuol dire che la politica romana, per esempio, concordo con quello che ha detto Romeo, la politica romana non esaurisce le leggi centrali (io ho fatto il Sindaco, il presidente dei Sindaci come sapete… ) non esaurisce la risposta ai bisogni della comunità.
C’è bisogno di promuovere sempre più l’autonomia dei comuni, di promuovere sempre più indipendenza dei comuni, modelli di sviluppo diffuso, e fare in modo che i comuni svolgano un’azione di regia sapiente sulla crescita della società.
Le cose migliori che ho fatto da sindaco le ho imparate dalle famiglie, dalle associazioni, dalle imprese, loro facevano il governo, quando venivano a dirmi “guarda che c’è bisogno di fare questa roba, altrimenti peggioreremo la situazione, guarda che per i nostri figli c’è bisogno che vadano a scuola in bicicletta anziché in macchina perché rischiano di non parlarsi più”. Quindi le esperienze più belle di comunità vengono dal basso e la politica deve avere un grande compito, citando ancora la Weil quella di “creare un’atmosfera di silenzio e di rispetto verso tutto quello che la società e la comunità riesce a elaborare” e aiutarla ad accompagnarla avendo una funzione di accompagnamento, di crescita e di rinforzo di quello che la società e la comunità, la società riesce a mettere in campo.
Quindi, l’autonomia vista come una grande risorsa, e anche come un grande limite che va fatto alla politica centrale, l’autonomia intesa come capacità di rischiare, capacità di non accettare solo il reale, che il reale non esaurisce tutto quello che è possibile fare.
E quindi da questo punto di vista, nel manifesto, voi trovate alcuni punti che sono, diciamo da un lato il senso del limite della politica, perché quando noi proclamiamo più autonomia, stiamo dicendo a noi stessi guardate che siamo disposti a cedere, in nome della sussidiarietà, sempre più potere e a svolgere sempre più un’azione per favorire le energie dal basso.
Trovate appunto questi limiti e trovate questi principi, io per esempio penso che il principio più importante del manifesto, lo dico poi darò la parola a maria Stella, sia proprio il tema educativo, che è fondamentale per qualsiasi politica; qualsiasi politica ha successo o insuccesso sulla base del tema educativo; io ho incontrato l’altro giorno una associazione di genitori e insegnanti che aiutano i genitori a essere genitori quanto bisogno c’è di questa cosa? Quanto bisogno c’è, con la perdita di relazioni parentali, con la perdita delle famiglie allargate, delle famiglie che stanno vicine. Quanto bisogno abbiamo che i nostri figli (io ho figli che hanno 25-30 anni, sono già nonno), vedo le loro difficoltà vedo quanto sia utile che mia moglie che un po’ di esperienza ce l’ha sia vicina a loro nel dirgli “guarda non ti preoccupare”. Quanto bisogno abbiamo gli uni degli altri? Questa è una cosa fondamentale, riuscire a capire che attraverso l’educazione ci aiutiamo a vicenda a superare le difficoltà della vita.
E riuscire a diffondere in questo paese, finalmente, perdonatemi, io sono un uomo che ha raggiunto una certa età, ho avuto qualche difficoltà nella mia vita, sono entrato in politica molto tardi, ho avuto le mie difficoltà, sono un figlio di un povero muratore che è diventato medico, allora ho avuto anche io le mie difficoltà nella vita e non penso di essere uno così che si spaventa moltissimo, però io sono spaventato dal fatto che si sta diffondendo in questo paese l’idea che ogni vicino è un tuo nemico, un tuo competitor, e non è solo una questione politica, questa è una questione di cultura del capitalismo che vede nella competizione un elemento di… noi non siamo più una comunità, siamo una somma di individui che compete per l’accesso alle risorse, questa è una cosa spaventosa.
Quando non c’era il pane, io ho fatto il volontario a Muro Lucano dopo il terremoto, Maurizio. Sono andato che avevo 18 anni, mi ricordo e la prima immagine che ho visto sono questi contadini sulla riva della montagna che zappavano tutti assieme; la terra era di uno ma loro zappavano assieme, poi sarebbero andati a seminare insieme in un altro campo di altre persone e così via.
Noi dobbiamo ricominciare, questo manifesto lo dice chiaramente, a dire che è nella cooperazione tra di noi e non nella competizione tra di noi, che si può ritrovare il senso e la coesione della società; che dobbiamo seminare ed educare alla cooperazione, non alla competizione; certo ognuno di noi deve migliorare se stesso fino a diventare esempio, testimone e magari santo, magari anche santo se può; e ognuno di noi è in competizione con se stesso ogni giorno, per migliorare se stesso, e seminare bene intorno a se, ma la vera risorsa è il fatto di poter dire ”io conto su di te, posso contare su di te” anche se sei un mio nemico io conto su te.
Se Giorgetti, mi chiedesse di badare a suo figlio perché è ammalato perché deve lavorare per il governo io gli farei da badante, ve lo garantisco.
Primo perché amo i bambini e poi perché spero che lui faccia un buon lavoro, io non mi auguro che lui fallisca, ve lo garantisco, io ho fatto il suo mestiere, ve lo garantisco.
Però, permettetemi di concludere, l’educazione è tutto, senza educazione non ci sono le politiche di raccolta rifiuti, senza educazione non c’è gente che paga le tasse, senza educazione non c’è rispetto non c’è sicurezza,..
Oliver Tambo il fondatore della repubblica sudafricana, diceva education, la ricetta per il Sud Africa dopo il disastro razziale, colui che ha educato Mandela, ecc.., diceva education, education, education.
Quindi io sono convintissimo che lo sforzo educativo sia quello di cui questo paese ha massimo bisogno, la grande emergenza è quella dell’abbandono scolastico, la grande emergenza è il fatto che le scuole non siano aperte al pomeriggio, queste sono le grandi emergenze, queste sono le grandi cose su cui dobbiamo avere…
Però permettetemi di dire in conclusione questa cosa, certamente abbiamo bisogno di tutto questo, ma perché tutto questo continui ad avvenire, bisogna che il potere non sia un potere che seduce, che minaccia, ma sia un potere che accompagna e che aiuta; perché chi ha la responsabilità sempre del potere, noi l’abbiamo avuta per tanto tempo in questi ultimi anni, deve essere in grado appunto di non sedurre non minacciare, non manipolare il consenso, ma aiutare la comunità a crescere in armonia e coesione.
Io credo che se riusciamo insieme a fare questo, lavoreremo in profondità, ci educheremo gli uni gli altri, come diceva Socrate.
Sai Giancarlo, Socrate aveva il tuo stesso problema dei figli da educare, c’erano due generali che erano troppo impegnati ad Atene per educare i loro figli, quindi, dicono ad un certo punto andiamo da Socrate, lui sa tutto, è cosi bravo, è così saggio, è un filosofo così bravo e alla fine Socrate conclude con questa nota molto molto saggia secondo me: “ voi non dovete affidare a me i vostri figli, ma sono io che mi educo insieme a loro e insieme a voi”, questo è il vero tema che l’educazione, la crescita la si fa solo insieme imparando gli uni dagli altri con umiltà e con pazienza. Grazie.

MARIASTELLA GELMINI
Buongiorno a tutti, grazie di cuore a Maurizio, a Giorgio, a Emilia Smurro per avermi dato la possibilità di essere qui.
Il Meeting è sempre un esperienza emozionante dalla quale sempre si apprende sempre moltissimo; devo dire che nonostante sia giunto alla 39 edizione, mantiene un suo fascino e direi che in questa stagione politica complicata, diventa persino una manifestazione controcorrente.
Proprio perché Carron l’ha definita una comunità, quella di Comunione e Liberazione, disarmata, e in una stagione, come diceva Delrio, senza un nemico, senza una contrapposizione, senza un capro espiatorio sembra che non ci possa essere via di scampo, ecco, immaginare che questa manifestazione apra uno spazio di confronto anche grazie all’ intuizione dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, credo che sia già un fatto estremamente innovativo direi quasi rivoluzionario.
Poi vedere che ci sono 3000 giovani che dedicano il loro tempo, perché ci credono, si spendono a organizzare questa manifestazione, beh ci riempie il cuore di speranza e di fiducia nel futuro, nonostante siano questi giorni dolorosi e luttuosi.
E dico che il senso di questa manifestazione lo ha colto in pieno il Presidente Mattarella che ha giustamente enfatizzato un aspetto del meeting, cioè il legame la capacità di rafforzare il legame tra l’individuo e la comunità, fra l’io e il noi, lontano da pregiudizi, lontano da contrapposizioni. Penso che sia molto coraggioso il messaggio che deriva dall’idea che certo, in una stagione di individualismo spinto la libertà personale è importante, ma non possiamo mai dimenticare che la libertà, la mia libertà, è certamente sacra e inviolabile ma finisce dove incomincia la libertà dell’altro. Credo che questo sia un principio che dovrebbe informare ogni riflessione politica in una stagione complicata come quella che vediamo, dove sono cambiate tante cose e non possiamo non riflettere sulla crescita esponenziale di un movimento come i Cinque Stelle, il consenso di cui innegabilmente gode il Governo, i fatti di Genova, gli applausi di Salvini e Di Maio ai funerali, non possono non farci riflettere.
Noi non possiamo avere un atteggiamento auto assolutorio di fronte ad un mondo che cambia perché, senza una seria analisi dei limiti e degli errori della democrazia rappresentativa, il titolo di questo convegno è la prospettiva della democrazia, ecco, senza questa analisi, non potremmo comprendere ciò che sta succedendo e non saremmo in grado di dare risposte. Quindi io credo che il tema oggi non è il sistema elettorale maggioritario, proporzionale, l’elezione diretta del premier piuttosto che del Presidente della Repubblica, il problema è prendere sul serio le ansie, le preoccupazioni, le aspettative dei cittadini. Quello che oggi viene liquidato come populismo, oggettivamente, ha saputo, più dei partiti tradizionali, fornire delle risposte e questo populismo è sicuramente un tratto dell’Italia profonda e non possiamo liquidarlo con superficialità. Pensiamo al tema dell’immigrazione, troppo facile liquidare come razziste le preoccupazioni di coloro che magari vivono nelle periferie, io ho in testa a Milano il Giambellino, dove li non ci sono modelli di integrazione riusciti, dove li l’integrazione è fallita e la gente ha paura.
E allora io credo che anche il concetto di patria non lo possiamo svalutare. La necessità di avere una solida identità nazionale è una esigenza giusta, una esigenza a cui va data però una corretta interpretazione. Rispetto a questo io mi pongo delle domande e dico, siamo sicuri che la soluzione sia la chiusura di porte e finestre? Siamo sicuri che la soluzione siano i dazi di Trump? Io credo che la logica delle porte chiuse non paghi e che i dazi non siano quello che serve al nostro paese e quindi su questo dobbiamo tenere presente che forse la capacità che alcune forze politiche hanno di interpretare di dare voce al malessere, alla delusione, alla sfiducia, qualche volta anche alla rabbia dei cittadini è sicuramente un fatto importante perché la politica è anche questo. Però poi dopo dobbiamo anche trovare le soluzioni. Siamo qui per trovare le soluzioni e io sono convinta che l’intergruppo per la sussidiarietà potrà affrontare i temi del lavoro, dell’impresa, del sud, dello sviluppo in maniera adeguata trovando dei ponti, purché si esca però da una logica che è quella oggi dominante, lo scontro tra il popolo e l’élite, cioè da un lato ci sono élite da punire e la promessa populista e quindi quella di togliere il potere all’élite corrotta per affidarlo ad un leader forte – attenzione! – questa è una suggestione molto significativa, ma forse poi le risposte non sono quelle adeguate e dietro questa forma di centralizzazione del potere c’è il rischio di una deriva autoritaria.
Ecco perché io credo che dobbiamo difendere la democrazia, che è il frutto del sangue, del sacrificio di tante persone e non dobbiamo mai darla per scontata, non è mai un qualcosa di acquisito per sempre, è un qualcosa che noi dobbiamo tenere a mente e dobbiamo difendere con coraggio, con forza, non darlo per scontato e in tutto questo io credo alla centralità del Parlamento. Prima si evocava la tragedia di Genova: io penso che non sia questo il tempo delle contrapposizioni, delle invettive, dello scaricabarile; è chiaro che chi sbaglia paga, ci mancherebbe altro, chi sbaglia deve pagare, però ricordiamoci che l’accertamento delle responsabilità compete alla Magistratura innanzitutto. Dopodiché condivido totalmente la proposta di Giancarlo Giorgetti di un grande piano di manutenzione delle infrastrutture, vale per le infrastrutture che siano strade, ponti, ferrovie, vale per l’edilizia scolastica, noi come Paese dobbiamo innanzitutto fare luce sulle responsabilità. Forza Italia ha proposto l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta, non perché vogliamo fare la caccia alle streghe, non perché vogliamo attaccare il Governo, ma perché vogliamo fare piena luce sulle falle rispetto ad un sistema di monitoraggio dei controlli, perché forse dobbiamo rivedere qualcosa, forse ci sono leggi da aggiornare, forse dobbiamo semplificare, certo non possiamo piangere sul latte versato, non devono esserci altri morti in questo Paese e allora rivedere il sistema di monitoraggio, avere un ranking della pericolosità anche degli edifici pubblici, anche delle scuole, è un atto doveroso e lo deve fare il Parlamento, trovando anche lì un’unità di intenti e credo che sia importante, certo, stanziare risorse.
Spesso l’Europa è matrigna e pone dei vincoli, però ricordiamoci che l’Europa ha anche stanziato 44 miliardi di euro di cui l’Italia è riuscita a spendere il 5% e allora facciamo anche un po’ autocritica e cerchiamo quel 5% di farlo diventare l’80% delle risorse che abbiamo a disposizione e penso che con riferimento a Genova c’è un fatto che ci rimarrà nel cuore che in qualche modo credo aiuti anche Genova a ripartire ed è la solidarietà, la generosità dei vigili del fuoco, dei tanti volontari che meritano uno straordinario applauso per quello che hanno fatto, scavando sotto le macerie, recuperando vite umane, rischiando la propria vita.
L’Italia è anche questo: 6 milioni e mezzo di volontari, 3 mila sono qui – 6 milioni a livello nazionale, di persone che dedicano una parte del proprio tempo agli altri. Allora ripartiamo da una competizione virtuosa, perché la competizione non è di per sé negativa, è quando diventa scontro, è quando diventa delegittimazione dell’avversario che fa male, ma la competizione può essere anche virtuosa e noi su questo dobbiamo pensare che dobbiamo avanzare delle proposte per superare questa fase di rabbia, di contrapposizione. E’ la serietà delle proposte ed è la consapevolezza di non dare per scontato il grado di democrazia che abbiamo raggiunto fino ad oggi.
Io non penso, con tutto il rispetto di Casaleggio e di Grillo, che i like su Facebook possano sostituire il Parlamento, non credo che un algoritmo possa valere l’elezione da parte degli italiani dei loro rappresentanti, credo che con tutti i difetti che può avere il Parlamento e la democrazia – Churchill diceva che era la peggiore delle forme possibili eccetto tutte le altre – quindi che la democrazia abbia dei limiti e dei vizi lo sappiamo, ma attenzione prima di travolgere alcuni elementi che sono fondativi del nostro vivere comune e che sono il frutto del sacrificio di altre persone.
Veniamo alla proposta. Vittadini in apertura, e poi chiudo, Vittadini parlava delle emergenze educative e della scommessa sul capitale umano. Certo che riparte da qui. Il futuro di un Paese, la competitività non è fatta di tecnologia, è fatta della capacità di valorizzare i talenti, di far funzionare l’ascensore sociale. Su questo c’è una lettera di Cottarelli che mi ha colpito, è stata scritta su “La Stampa” qualche settimana fa e richiamava la politica al dovere di garantire le pari opportunità in partenza. Io credo che dobbiamo ripartire da lì, dalla volontà di dare ai giovani, indipendentemente da dove nascono, in Lombardia come in Campania e in Sicilia, le stesse opportunità. L’ascensore sociale deve ricominciare a funzionare e la scuola è il primo motore di sviluppo, la formazione è il primo motore di sviluppo e qui non servono chiacchiere, serve la difesa di un principio importante come la libertà di scelta educativa, come la libertà di dove farsi curare e serve attenzione per la parità scolastica, guai a chi attacca la parità, guai a non garantire i fondi alla parità scolastica perché noi vogliamo una scuola pubblica e riteniamo la scuola pubblica tanto quanto è statale, tanto quanto è paritaria e ci sono modelli straordinari.
Noi veniamo dalla Lombardia, conosciamo il modello di Lombardia e Bussetti lo conosce meglio di noi, è un modello che fa dell’alternanza scuola-lavoro, dell’apprendistato, del rilancio dell’istruzione tecnica i temi fondamentali. Certo poi c’è il tema del Mezzogiorno, c’è il tema dell’impresa, c’è il tema dei corpi intermedi. Io credo che tutti dobbiamo concorrere allo sviluppo e alla crescita di questo Paese, altro che delegittimare i corpi intermedi, noi dobbiamo avere la capacità di dialogare, di confrontarci, di scontrarci, ma non si può eliminare la collaborazione e la sinergia sussidiaria a livello nazionale perché altrimenti si rischia di morire di statalismo e io mi preoccupo quando oggi, nel momento in cui purtroppo quella tragedia di Genova non ha ancora dei responsabili, non c’è ancora la luce su quello che è accaduto, si parla di nazionalizzare, perché signori di statalismo questo Paese muore.
Chi sbaglia deve pagare, ma la collaborazione pubblico-privato è un valore che non può essere messo in discussione così come la risposta al Sud, non può essere il reddito di cittadinanza, non è l’assistenzialismo di Stato, è il lavoro, è la formazione, è la ricerca, è l’innovazione, quindi chiudo dicendo che serve una terapia d’urto e serve anche però la partecipazione alla vita politica, perché troppo spesso la politica viene vista come un qualcosa di negativo, io invece mi rivolgo a quell’Italia che si impegna, che lavora, che studia, che vuole essere protagonista, c’è bisogno anche del vostro impegno per una politica migliore. Certo e serve un progetto umano per il ventunesimo secolo, perché la generazione passata aveva un Paese da costruire, una democrazia costituzionale da fondare, un benessere da costruire. Noi oggi dobbiamo, come diceva Vittadini, riaccendere l’entusiasmo, la speranza, il desiderio di costruire un Paese migliore e questo dipende da ciascuno di noi, dipende dalla capacità (insieme) di fare squadra. Certo, la malattia è seria, la terapia è urgente, la cura non sarà né rapida né facile, ma prima si inizia meglio è. Grazie a tutti.

MAURIZIO LUPI
Anch’io ringrazio il Meeting di Rimini per aver ospitato anche quest’anno l’incontro dell’intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, però, come avete potuto vedere e siccome tutti viviamo nella storia presente e non in quella passata, non era assolutamente scontato che l’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà dovesse riprendere anche in questa legislatura, anche perché come ha detto più volte il Papa, quasi sottovalutato, quasi come se avesse detto una banalità, siamo di fronte a talmente un cambiamento d’epoca, che non si possono affrontare sfide nuove con strumenti vecchi. Riproporre le stesse formule non ha senso perché è come pensare sempre di guardare al futuro con la testa rivolta verso il passato e l’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà e questa sfida che i siamo dati non è la testa rivolta al passato, non può essere questo, anche perché la politica e la realtà innanzitutto ci tira talmente tanti pugni nello stomaco che ci impedisce di fare questo. E allora io ringrazio, non formalmente, gli amici che sono qui e sono qui a rappresentare gli oltre duecento deputati della maggior parte dei gruppi parlamentari, qualcuno singolo del Movimento Cinque Stelle, che in un momento come questo, in una situazione come questa, quella che stiamo vivendo oggi – il manifesto è stato scritto prima dei drammatici fatti di Genova – il titolo del Meeting è stato pensato molto prima dell’anno scorso, di quello che sarebbe accaduto e sta accadendo come sfida non solo all’Italia, ma a tutto l’Occidente; dire che le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo felice, che cosa vuol dire concretamente per chi ha il compito, facendo politica, di aiutare a guardare al futuro, non di rivolgersi verso il passato e lo dicevo che, lo chiariamo, perché ci vuole coraggio anche in questa legislatura anche a riprendere una situazione come questa, un lavoro come quello dell’intergruppo, che (lo diciamo con chiarezza), l’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà non ha fatto con questo manifesto un nuovo contratto di governo o un contratto alternativo di governo, perché nella democrazia chi governa ha il compito di governare e, ha detto bene Graziano Delrio, non si fa il tifo perché fallisca, perché se fallisce falliamo tutti, perché è in gioco il bene comune. Stando all’opposizione si aiuta e si cerca di testimoniare e di dare il proprio contributo anche duro, anche forte, perché quel bene comune possa essere raggiunto in un miglior modo. Noi non abbiamo voluto fare con questo manifesto un programma alternativo, abbiamo tentato di ca-pire anche proprio partendo – il titolo del Meeting lo sottolinea in maniera molto chiara – che innanzitutto, ed è la devianza del momento in cui noi viviamo, io non sono un politico.
Se parto dal fatto che sono un politico non ho capito nulla, io sono un uomo o una donna che si impegna in politica, che vive la propria famiglia, che fa l’imprenditore, che fa l’operaio, ma sono un uomo e una donna che ha il desiderio, impegnandomi e dando tutto quello che posso, per quello che posso e per quello che ho di aiutare a costruire una comunità in cui la persona sia libera, felice, possa essere protagonista e possa guardare al futuro. Se visitate la mostra sul Sessantotto, c’è una frase di Giorgio Gaber che a me ha colpito – Giorgio Gaber tra l’altro è uno che ho avuto e molti di noi hanno avuto la fortuna di conoscerlo personalmente – che dice “bisogna trasformare in coraggio la rabbia” e pensate a quanta rabbia c’è, l’ha detto Mariastella Gelmini, quanta rabbia c’è oggi, legittima, ma se non si trasforma la rabbia in coraggio la speranza non c’é. Sant’Agostino spiegava che cosa vuol dire il coraggio: “è il coraggio di vedere come le cose potrebbero andare, la rabbia invece è nel vedere come vanno le cose”, ma la forza di un uomo, il mio desiderio di continuare a impegnarmi in politica, di continuare ad essere protagonista è nel coraggio insieme ad altri nelle diversità che abbiamo, di poter vedere come andranno le cose, il poter contribuire a costruire il futuro di questa comunità e di questo Paese, insieme. Ecco, l’intergruppo parlamentare è un piccolo segno. Perché ho fatto la sottolineatura siamo uomini e donne impegnati in politica, perché se si è uomini e donne impegnati in politica, nella famiglia, nell’imprenditoria, nel far l’insegnante, nel fare il volontario, nel costruire il Meeting, il punto è la premessa che non è formale, che noi tutti abbiamo sottoscritto nel manifesto dell’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà. Che cosa ci accomuna pur essendo differenti? Pur confrontandoci vedremo che ci sono cose in cui siamo differenti. Mariastella Gelmini lo ha detto, io sono altrettanto d’accordo, non esiste il ritorno allo Stato è buono e il privato è cattivo, ha già fallito la storia su questo tema, ma è un modo su cui noi ci confronteremo e daremo un contributo forte su questo per far capire le ragioni per cui l’idea di uno Stato che è buono e tutto lo Stato è buono e invece il privato è cattivo è un’idea che non tiene conto che lo Stato è fatto dalla persona e dalle persone che si mettono insieme e quindi il primo compito dello Stato si chiama sussidiarietà, è valorizzare chi fonda lo Stato, cioè noi.
Allora il punto da cui partire è che se noi siamo uomini e donne dobbiamo riscoprire innanzitutto la ragione che ci mette in azione, ciò che rende felice il mio cuore e quindi cambia la storia e quali punti in comune noi abbiamo. Per questo, secondo me, io sono grato agli amici che sono qui e a i duecento deputati che hanno sottoscritto questo manifesto perché non era formale partire da questo.
Scusate, ma molti di voi dicono, ma che cosa fa l’intergruppo? Che cosa ha fatto in questi anni l’intergruppo, ma quali risultati fate? Ecco, i risultati appartengono innanzitutto alla responsabilità di chi governa nella democrazia, perché è giusto così e noi l’intergruppo non è innanzitutto il luogo che dà risultati, è un segno in Parlamento in cui si dice che se non si fa un patto sul bene comune, cioè se non si riconosce ciò che ci unisce innanzitutto e non ciò che ci divide non si costruisce nulla, partendo dal ruolo in cui siamo. Quali sono i punti in comune che abbiamo anche questa volta individuato? Il primo è questo: ognuno di noi non è il male assoluto, fa quello che fa, fa il contrato di Governo, fa il suo manifesto all’opposizione, lavora con i suoi gruppi parlamentari, fa le proposte di legge perché ha il desiderio di guardare a quel futuro, di trasformare quella rabbia in coraggio per lavorare insieme per dare una speranza al nostro Paese. Facciamo degli esempi molto concreti e poi concludo perché poi sarà il lavoro di anni. Cosa nascerà dall’intergruppo? Non avevamo programmato il 5 per mille, è stato un lavoro comune, abbiamo detto che ci sono per noi quattro emergenze in questo documento e sono state ripetute, su cui forse sarebbe il caso di lavorare insieme. Che cosa vuol dire fare un patto per il bene comune? Vuol dire che quello che è accaduto a Genova ha toccato tutti noi e quando accade una tragedia come quella che accade, che è un pugno nello stomaco a tutti noi e anche a chi ha avuto delle responsabilità, che cosa accade? Che si riscopre l’unità, che si rimette insieme, che c’è una solidarietà che si rimette in gioco e che prima ancora che la ricerca del colpevole, del nemico, le responsabilità – l’abbiamo detto tutti – vanno accertate e vanno accertate rapidamente, io ho il coraggio di guardare al futuro e quindi di vedere ciò che un Paese, lo han detto bene sia il Presidente della Repubblica che il Cardinale Bagnasco nell’omelia, ho il coraggio di trovare ciò che ci accomuna, ciò che ci può permettere di vedere tutti insieme e allora il patto straordinario che dice Giancarlo Giorgetti per le manutenzioni ordinarie e straordinarie nel nostro Paese è una cosa che ci accomuna tutti, la realizzazione delle opere necessarie al nostro Paese non è un problema di sventolare una bandiera ideologica, ma che se questo Paese non si rinnova, se non fa le infrastrutture, se è fermo al 1970, se esiste la burocrazia, ognuno di noi ha fatto questo tentativo e lo ha messo in piedi, dovrebbe interessare tutti, non qualcuno. La ricostruzione è una cosa che interessa tutti, la ricerca del colpevole, noi abbiamo messo un punto sulla giustizia, sulla ricerca della giustizia nel nostro documento, ma che cos’è la giustizia? Chi decide ciò che è giusto e sbagliato? Io sono rimasto colpitissimo dal fatto che la democrazia si è sempre sostenuta nel nostro Paese, in un equilibrio dei compiti e dei ruoli: il potere legislativo, il potere giudiziario e il potere esecutivo. Chi decide che sei responsabile, il potere politico? Prima ancora che qualcuno accerti la verità? E tu hai già condannato l’altro? Allora questo è il desiderio di ricostruire qualcosa che ci rimette insieme e che ci può accomunare, che ci insegna e che trasforma la rabbia legittima e giusta in un coraggio di guardare al futuro e quindi di avere la speranza, insieme, nei ruoli e nelle diversità.
Il tema della demonizzazione dell’avversario è già stato detto, il tema appunto di cui discuteremo, lo Stato, la nazionalizzazione, dobbiamo ritornare allo Stato che fa tutto, che produce il latte, che gestisce le strade? Lo Stato in questi anni ha dimostrato efficienza? Quanti anni ci sono voluti per realizzare la Salerno-Reggio Calabria? E i ponti gestiti dallo Stato non crollano come i ponti, speriamo che non lo facciamo, gestiti da altri? Il dramma e la rabbia è che non debbono crollare! Questo è il punto su cui noi dobbiamo partire e su cui possiamo lavorare insieme, allora, ho concluso veramente perché sarà un lavoro da fare insieme, veramente partendo da ciò che ci può accomunare, nella libertà del lavoro giorno per giorno, nella declinazione poi delle proposte di legge che possono nascere su questi temi, nell’ascolto e nell’educazione, anche noi parlamentari abbiamo bisogno di ascoltare, di capire, di comprendere in quel luogo, in Parlamento, di guardare la realtà che sta cambiando e come questa può aiutarci a interrogare e interrogarci sulle soluzioni da dare attraverso le leggi o attraverso l’azione del Governo. Ecco, io ringrazio veramente di cuore perché questo è un nuovo inizio, ha detto bene Gabriele Toccafondi, così come Massimiliano ha parlato della responsabilità, è una sfida affascinante questo momento, perché è una sfida per tutti noi, ci rimette tutti in gioco, rimette in gioco le certezze su cui ognuno di noi ha costruito il suo futuro politico. Gabriele diceva molti di noi non hanno più né una coalizione, né un partito, non si sa più che cosa si è e allora? Siamo disorientati o è una sfida così affascinante che ci rimettiamo in gioco insieme? Ringrazio la Fondazione per la Sussidiarietà, Giorgio Vittadini e Sandro Bicocchi perché in questo hanno dato la loro disponibilità ad aiutarci a lavorare, a lavorare anche con un percorso scientifico, con una serietà nella elaborazione delle nostre riflessioni che è necessario perché il lavoro è sempre serietà e ci si aiuta e ci si giudica solo se si ritorna a porre dei piccoli segni positivi a cui uno può guardare. Ci divideremo, ci confronteremo, ma intanto c’è un piccolo segno positivo, come anche ha scritto il titolo del manifesto, il Corriere della Sera, quel ponte senza muri che si chiama bene comune e che è il nostro compito e il nostro dovere. Grazie.

GIANCARLO GIORGETTI
Buongiorno a tutti, ringrazio dell’invito. Venendo qua meditavo su che taglio dare a questo mio intervento. Naturalmente Io sono l’unico esponente del governo presente e potrei fare un intervento di tipo, così, politico e credo che anche qualcuno di voi abbia interesse a questo Ma io riserverei questo tipo di politica a dopo, magari, quando ci saranno i giornalisti quando chiederanno qualcosa sugli argomenti di attualità. Invece volevo accettare la sfida del tema proposto e cercare di prenderla un po’ alla larga. Però spero, così facendo, comunque anche di spiegare il mio pensiero e qualcuno lo potrà declinare sui fatti di attualità e sull’attività del governo partendo, come si deve fare, dal titolo. Il titolo le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice: e qui voglio fare una provocazione. Secondo me il titolo è sbagliato. C’è una frase che io ho già utilizzato, forse Massimiliano Romeo si ricorderà, una citazione di Dostoevskij che a me piace tantissimo che dice, a un certo punto ne I fratelli Karamazov: attenzione, se tu fai scegliere al popolo tra libertà e felicità, il popolo sceglierà sempre la felicità. Allora mi permetto…il titolo dovrebbe essere: che rendono l’uomo libero e felice, altrimenti, a chi mi accusa di populismo, a me, io dico, attenzione, perché, se vogliamo fare il popolo felice, la via più rapida, diretta e più corta è quella del populismo. Però il titolo anche mi dà anche lo spunto per il mio ragionamento. La storia è in movimento. Qualche tempo fa, magari anche il Meeting ha affrontato questo tema della fine della storia: c’era qualcuno che teorizzava che la storia fosse finita e oggi il vero nemico della democrazia, in buona sostanza della politica, a mio giudizio, è l’ideologia globalista che si è affermata negli ultimi 10-20 anni, che ha preteso di sostituire la politica e la democrazia. Le ricette che questa ideologia offriva in Italia, in Europa e nel mondo erano tutte le stesse, erano le stesse per quanto riguarda le ricette economiche, la politica economica veicolata dal Fondo Monetario Internazionale piuttosto che le ricette che ancora oggi dalla Commissione Europea in qualche modo vengono somministrate: quelle sono le, diciamo così, le verità di politica economica che devono essere attuate, ovunque dovrebbero garantire a lungo prosperità, benessere; o, se vogliamo parlare di valori, alcune teorie che devono essere e vogliono essere propinate al popolo, anche se il popolo evidentemente non le capisce, non le condivide, però sono quelle ‘politicamente corrette’; ecco, tutta questa overdose di ‘politicamente corretto’ che è stata propinata ai popoli, non soltanto al popolo italiano, perché quello che sta avvenendo in Italia in realtà è semplicemente l’ espressione di un fenomeno che secondo me è globale, – si trovano facilmente riferimenti in giro per il mondo, a partire dagli Stati Uniti d’America – ha causato una reazione (in altri tempi avremmo magari parlato proprio di una politica reazionaria a tutti gli effetti, cioè le radici profonde popolari non hanno accettato questa forma, diciamo così, di condizionamento e hanno provocato una reazione, una reazione populista, sì, populista, che in qualche modo ha travolto tutti quelli che erano gli istituti della democrazia come erano stati conosciuti. La reazione populista, identitaria a questo fenomeno ha travolto anche la democrazia rappresentativa. Su questo io dico a Maristella Gelmini: la centralità del Parlamento; la verità è che il Parlamento non conta assolutamente più nulla; non conta soprattutto più nulla, perché non conta e non è più sentito dai cittadini elettori, che vedono nel parlamento il luogo dell’inconcludenza della politica e se continuiamo in qualche modo, come un feticcio, a difendere questo modo della democrazia rappresentativa, secondo me sbagliamo, non facciamo un bene neppure alla democrazia. Come diceva il già citato Giorgio Gaber, “la democrazia è partecipazione”. Oggi dobbiamo chiedere: ma c’è partecipazione? Io vi dico: sì, c’è partecipazione, c’è partecipazione di tutti questi che – io sono uno totalmente avulso dal contesto web, non ho facebook, non ho twitter, non ho niente di niente – però partecipazione c’è, non possiamo dire che la gente non partecipa, partecipa fin troppo! E risolve la partecipazione politica in un like o in un dislike e così, finita lì; una partecipazione superficiale, una partecipazione che però c’è e che, naturalmente si basa su quella che oggi è, diciamo così, una valanga informativa. C’è più informazione? Certo che c’è più informazione, ma c’è più informazione e più disinformazione, perché mentre una volta, quando c’erano soltanto i cari vecchi libri,- ormai non legge quasi più nessuno, tranne pochi rari esemplari – però eravamo costretti a informarci leggendo dei libri, e quindi approfondendo, e quindi riflettendo; oggi questo diluvio di informazione o disinformazione finisce e passa sotto la pelle, naturalmente anche tempi molto più brevi, perché tutto passa e va, nel senso che dopo tre o quattro giorni il caso in qualche modo viene espulso, ne arriva un altro e si comincia a parlare d’altro. Non vorrei che accadesse anche per quello che riguarda Genova, ma già abbiamo qualche segnale in proposito. Allora questo corto circuito, democrazia – politica – partecipa-zione, si risolve e si è risolto nel rapporto diretto tra popolo e capo, capo politico; io non faccio un processo al fatto che oggi ci sono i leader che hanno un rapporto diretto col popolo, perché il fatto che ci siano dei capi e dei leader è il senso della politica, a mio giudizio: non ci può essere politica senza dei capi e dei leader riconosciuti; il problema è che questo fenomeno è diventato patologico; ma perché è diventato patologico? Per colpa del web? Sì, adesso per colpa del web, ma prima ancora perché con l’avvento della televisione – diciamocelo onestamente, ma senza fare processi o dare giudizi negativi – Berlusconi è stato il primo che ha utilizzato la televisione, questo tipo di strumento, per creare questo tipo di rapporto diretto, ha dimostrato che si poteva vincere senza avere un partito vero dietro, con tutto il rispetto, un partito organizzato, no! Anzi, l’avere un partito organizzato dietro è un peso, è una diseconomia nella politica moderna; avere il partito strutturato è un qualcosa che ti affonda; è molto più comodo, molto più efficiente avere un rapporto diretto, e in questo senso anche noi della Lega, che tuttavia sappiamo perfettamente quanto è servito avere un partito strutturato, radicato, per i momenti di crisi, oggi siamo premiati per avere un capo che è riuscito a creare questo tipo di collegamento diretto. E allora, se tutto questo è vero, se questo ragionamento che ho fatto fino adesso è vero, attenzione, secondo me, a trascurare qualche cosa che attualmente è uscito completamente dal dibattito politico e secondo me ci deve rientrare, cioè quello della riforma delle istituzioni democratiche, perché se non si riformano le istituzioni in qualche modo per cercare di dare un senso, un contenuto, una direzione a questo tipo di risposta popolare, si fa in fretta poi a buttare via tutto quanto, il parlamento e tutto quello che gli viene dietro. E allora dobbiamo,- diciamo così, ci avevamo provato noi, poi ci ha provato la sinistra – non lo so, questo non è diventato uno dei titoli anche del contratto di governo, purtroppo, secondo me, purtroppo, perché qualcosa dobbiamo cambiare e cambiare rapidamente, perché tutto quello che avviene attorno al palazzo, attorno ai palazzi del potere di Roma, ci sta travolgendo, e non si riuscirà a contenerlo. Allora sì che ci sarà, diciamo così, un potenziale pericolo per la democrazia; poi la richiesta dell’uomo forte, secondo me, comincerà a diventare seria. Passo adesso rapidamente a qualcosa di più positivo, ma senza, diciamo così, cadere nell’attualità: io tutto questo entusiasmo, questo afflato che c’è dietro anche l’azione di governo, che ad uno spirito critico – vedo qui che anche voi ovviamente avete un atteggiamento perplesso rispetto a questo tipo di governo, ma questo tipo di pulsione deve essere messa a sistema, deve produrre un risultato, non può essere sempre la contrapposizione tra il nuovo e il vecchio, tra i bravi e i non bravi, tra gli onesti e i disonesti, no, dobbiamo riuscire in qualche modo a cambiare il meccanismo entro cui ci troviamo a operare, noi “politici prestati”. E in questo senso vengo, mi raccordo al gruppo di sussidiarietà. La sussidiarietà è inutile che vi ripeta qui che cos’è, perché credo che tutti quanti voi sappiate esattamente in che cosa consiste, ma serenamente e oggettivamente guardiamo la realtà che c’è di fronte: io sentivo prima Gabriele Toccafondi di salvare alcune istituzioni, la verità è che, per quanto riguarda i corpi intermedi, se noi parliamo dei corpi intermedi istituzionali, formalizzati, quelli nati magari all’inizio del secolo scorso, io li vedo tutti in crisi, se io guardo invece i corpi in-termedi nati, proliferati per libera associazione anche recentemente, li vedo in salute. Tutto ciò che è istituzionale si è sclerotizzato, secondo me si sta dimostrando non idoneo a capire la con-temporaneità, la modernità. Esempio concreto: il mondo del credito; il credito cooperativo, che ha una storia bellissima (com’è nato, come si è sviluppato, che funzione ha avuto, come in qualche modo ha contribuito) oggi l’abbiamo affrontato sotto l’aspetto normativo, però quel mondo lì così com’è purtroppo non può più funzionare. La legittimazione delle associazioni di categoria – e qui mi rivolgo attorno a questo tavolo – è venuta scemando Chi rappresentano? Io non voglio offendere nessuno, ma temo che i sindacati… e potrei continuare all’infinito con queste elencazioni. Quando il ministro Delrio (faccio un esempio) si trovava come ministro di fronte i sindacati nel 1970, volevano dire una cosa, nel 1980 un’altra, nel 2018 un’altra ancora; è la realtà. Allora dobbiamo in qualche modo immaginare come questa – uso un termine: ‘camicia di forza’, ma è sbagliato – questi vestiti che abbiamo richiamato, su una realtà che invece è effervescente, che c’è, che conoscete anche voi, la vivete anche voi, è fatta da tantissime situazioni, di volontariato, che credo che in Italia questo proprio sia la cosa di cui possiamo vantarci in tutto il mondo, ecco, qui dobbiamo – e torno a quello che ho detto prima – riuscire in qualche modo a canalizzare in termini positivi – toccherà anche a noi magari nel gruppo di Sussidiarietà, tutta questa ondata emotiva, che altrimenti diventa semplicemente rancore, l’amico-nemico… per carità, le categorie della politica, portate a questi limiti patologici portano soltanto elementi negativi. E richiamo all’interesse nazionale, al sentimento di patria, che ho sentito qui, al fatto che c’è un bene comune, sì, però credo che sia qualcosa di più profondo che deve veramente partire e essere condiviso, non è qualcosa che viene dall’alto, ma viene dal basso. E chiuderei questo mio intervento, perché sono partito con Dostoevskij a criticare, ma…. vorrei chiudere con un altro…siccome mancano i filosofi, specialmente almeno io personalmente comincio a vederne pochi, mentre in passato ce n’erano tanti, ricorro a un sociologo (di cui non faccio il nome ma tutti voi credo che sappiate a chi mi sto riferendo), perché noi abbiamo visto l’incedere della storia nel passaggio, nella direzione sempre e co-stantemente dalla comunità alla società; noi dobbiamo cercare di invertire questa tendenza, tornare dalla società alla comunità, come diceva questo sociologo tedesco un po’ di anni fa, ma secondo me assolutamente ancora…Leggo e chiudo (quindi citazione diretta): “La teoria della società riguardo a una costruzione artificiale: un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia a una comunità nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità gli esseri umani restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono.” Grazie.

GIORGIO VITTADINI
Traggo alcune conclusioni accettando la provocazione del sottosegretario Giorgetti, innanzitutto sul titolo. Certamente ha ragione, se felicità è inteso come lo intendono oggi, ma la frase è di Giussani: felicità non è i porci comodi, felicità è infinita, felicità fa rima con libertà, felicità vuol dire questo insaziabile desiderio del cuore che, per citare un altro cantautore, “Giovanni telegrafista” di Jannacci, il cuore è urgente, è l’urgenza di qualcosa che non basta mai, che è un infinito, ed è una felicità che quindi è scomoda, non è i porci comodi, è qualcosa che, per citare ancora Dostoevskij, Dostoevskij descrive ne “Il grande Inquisitore”: il Grande Inquisitore incontra Gesù a Toledo e appunto gli dice: ‘oh, ma non capisci che tu sei scomodo. Noi facciamo il bene della gente, guardiamo le grandi tentazioni, le tentazioni che hai avuto: il demonio, il potere, ma la gente vuole il potere, la gente vuole il comodo, la gente vuole il pane! Ma chi sei tu? Noi portiamo il benessere del popolo’. Gesù sorride e se ne va. Questo è il tema: la felicità del meeting, che è la felicità della politica, è che non basta mai, e quindi sono d’accordo con lui, non basta mai e – ha ragione lui – questo rende scomodo, e comunque sia, è la cosa che abbiamo intrapreso per anni, avendo sbagliato tante volte anche noi, perché anche noi come Meeting abbiamo cercato il potere, perché il potere, l’egemonia, o la presenza, per riprendere il tema del ‘68, è il grande punto di cui ci ha sempre parlato Giussani e poi Carron, il potere e la presenza e non c’è niente da dire, quando giustamente si va in politica e si ha questo rischio, alla faccia di chi non lo corre! Infatti l’errore di ogni governo è uno solo, è l’idea: ‘sono arrivato io e il potere a me non interessa’. La volpe e l’uva! Cioè voglio dire tutti hanno questo rischio, bisogna ammetterlo. Una volta Giussani ci disse, quando facevamo la Compagnia delle opere. Uno gli chiese: ‘Ma si possono fare cose grandi, potenti?’ Lui rispose: ‘sì, si può fare. Ma ricordatevi che quando un albero cresce o affonda le radici oppure i frutti sono come quelli degli altri e prima o poi cadono’. Quindi non è che noi abbiamo perplessità sul governo, ma bisogna che, come Giorgetti ha detto adesso, ognuno sappia che ha il rischio di quelli di prima, se no arriva quello dopo che dice:’ quello di prima ha sbagliato’ e così via. E allora non è che bisogna essere cinici e aspettare il cadavere sul fiume, ma il cadavere passa lo stesso anche se non lo aspettiamo, perché è il limite, il male, è Giobbe, è il tema di questo meeting è Giobbe. Allora cosa vuol dire? Corpi intermedi: sono d’accordissimo, c’è la crisi dei corpi intermedi, c’è la crisi anche nostra, come si fa? L’hanno detto tutti qui, l’ha detto Delrio, l’ha detto Toccafondi, l’ha detto la Gelmini, l’ha detto Lupi: ci vuole una educazione dei corpi intermedi, che se no diventano corporazioni, perché quello che ha detto Giorgetti è che oggi i corpi intermedi sono diventati corporazioni, ognuno a corrodere un pezzettino. Andiamo a vedere le leggi sulle pensioni, i privilegi… Una volta, quando Tremonti venne qua, ci fece l’elenco di tutte le diversità che hanno, cioè il gruppo di quello lì che ha preso il pezzettino, che è l’eccezione che serve a loro delle pensioni, dei contributi…ognuno ha il suo potere. Oppure ci raccontò una volta Modiano che è presidente della SEA, che lui trattava con i sindacati che gli andavano a dire: ‘Senti, fai quello che vuoi con gli esuberi, però i miei non toccarli, tocca solo quelli degli altri’. Quindi c’è questo problema, allora o si buttano via o ci vuole una educazione: ricominciare da capo, rimettere a tema che il corpo intermedio è un punto innanzitutto di educazione del popolo per il bene comune, criticandosi al suo proprio interno. Io non ho mai sentito delle critiche così radicali al movimento di CL se non da Giussani e da Carrón, ferocissimi, altro che peana! Il capo deve criticare il suo gruppo per riportarlo al bene comune, per riportarlo, come veniva detto qua (lo diceva la Gelmini) che l’altro è una risorsa, è un bene. Questo però è un lavoro poco appariscente. Allora, io sono un grande estimatore di ciclismo e dico che ci sono due modi per salire, come saprete, nelle grandi tappe di montagna: c’è lo scattista, che va; l’errore è seguire lo scattista, l’uomo solo al comando. Se sei un grande che vince i giri, tu lo lasci partire. Quello parte, si prende un minuto e va su col suo passo e con la squadra (abbiamo vista la squadra al Tour che ha fatto vincere Thomas), va avanti e alla fine la squadra vince. Ma la squadra dice: perché non gli vai dietro? Vai, alla fine lo riprendi, perché la tappa di montagna è molto lunga, come la politica, molto lunga; tu hai il 40% e l’anno dopo sei al 6%. Non dura. Questo è il lavoro che noi vorremmo qui con l’intergruppo e col governo, aggiungendo anche – perché non me lo sono dimenticato come diceva Romeo – che può esserci una unità nella diversità, perché la sussidiarietà è il tema di questo tipo. Tante realtà pluraliste che costruiscono un bene comune, un federalismo differenziato che costruisce l’unità. Ho parlato del sud, ma il nord? perché l’Italia per essere unita dev’essere tutta uguale? Noi siamo con la testa nel mondo mitteleuropeo e con la coda siamo nel mondo musulmano; teniamoci tutto, così facciamo finta che gli altri, che son belli compatti, non posseggono la nostra diversità. Noi vogliamo tutto, come il cuore, vogliamo questa diversità. Allora questa è una scommessa, perché noi non abbiamo nessuna perplessità su questo governo, come su tutti quelli precedenti, vogliamo collaborare, perché, grazie anche a come diceva Di Vico sul Corriere a quello che Carrón ha detto gli altri anni, come adesso ricordava Maristella, disarmati non vuol dire non interessati, ma in collaborazione con tutti, non perché non abbiamo un pensiero, ma perché il dialogo è la forma della sussidiarietà. Io son ben contento che qui ci sono diversi parlamentari, domani ci sarà anche leu, vorrei che qui ci fossero anche i Cinquestelle (è un problema loro, non nostro), perché questa collaborazione (ognuno di noi poi vota quel che vuole, perché la prima repubblica era anche il tempo in cui la CEI diceva ai cattolici cosa fare), ma questa collaborazione non è “mi va bene qualunque cosa” ma “non ci va bene nulla”, noi vorremmo essere critici con noi e con gli altri, perché questa critica, questo non essere mai contenti, questo scegliere tra le tante informazioni, perché io sono uno statistico e posso dire che ormai c’è di tutto, ma quando uno ha una personalità ha tantissimi dati e sceglie. Questa criticità, con noi innanzitutto e con tutti, è il contributo che possiamo dare. Lo vogliamo dare non contro la politica, ma insieme. Quindi andiamo avanti in questo lavoro.