LA DIVERSITÀ NON SPAVENTA: IMMIGRAZIONE E INTEGRAZIONE

La diversità non spaventa: immigrazione e integrazione

Testimonianze di: Alberto Bonfanti, Responsabile Portofranco; Walter Izzo, Presidente Gruppo La Strada. Interviene Roberto Maroni, Ministro dell’Interno. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.

 

GIORGIO VITTADINI:
Buongiorno. Abbiamo detto che la politica al Meeting ci interessa rispetto ai problemi, ci interessa interrogare uomini politici, ministri, rispetto ai problemi che toccano la nostra vita quotidiana, e uno dei punti certamente centrali della vita quotidiana è l’integrazione rispetto alla grande immigrazione degli ultimi anni. Quando ero piccolo io, quando si andava a Londra o Parigi, si rimaneva colpiti perché c’era gente di diverse razze e nazionalità. Oggi anche nelle nostre città questa è una questione quotidiana e certamente questo è uno dei temi che ci interroga e interroga soprattutto un luogo, il Meeting per l’amicizia tra i popoli, che fa di questa amicizia, di questo rapporto, un punto fondamentale. Ma proprio per questo, proprio perché tocca la vita quotidiana, noi non vogliamo fare un dibattito che sia innanzitutto problematico-teorico, vogliamo partire dal positivo, per permettere al Ministro Maroni, che ringraziamo per la presenza tra di noi, di partire una volta tanto guardando qualcosa in atto, di positivo, e per questo abbiamo pensato di partire da esperienze in atto in cui c’è qualcosa di positivo, in atto, di integrazione e immigrazione. Abbiamo pensato di raccontare innanzitutto con un video queste esperienze in atto e poi sentire due brevi testimonianze di Alberto Bonfanti, Presidente di Portofranco, una realtà di doposcuola molto impegnata nel fronte dell’aiuto a tutti e all’immigrazione, e Valter Izzo, Presidente del Gruppo La Strada, che invece è operante sul campo del sociale. Allora, sentiremo, vedremo prima il video e poi daremo la parola ai nostri due interlocutori, e poi l’intervento del Ministro Maroni, quindi darei il via al video.

Video

ALBERTO BONFANTI:
Quando nel novembre del 2000 abbiamo aperto Portofranco, a Milano, non pensavamo certo di realizzare un centro di integrazione giovanile, ma, secondo l’idea geniale di don Giorgio Pontiggia, creare un luogo libero, gratuito, di incontro tra gli studenti delle scuole medie superiori, di incontro e di aiuto innanzitutto allo studio; ma la realtà della presenza degli stranieri, ricordo bene, si è imposta fin dall’anno successivo ed è cresciuta sempre di più in questi anni nell’età delle scuole medie superiori, fino ad attestarsi in questi ultimi anni a un 30%. Quest’anno abbiamo avuto 1500 iscritti a Milano, per non parlare poi degli altri centri in Lombardia e in Italia, 1500 iscritti di cui 274 stranieri, quindi un 30%, provenienti da 34 paesi stranieri, in particolare la pattuglia più numerosa viene dall’Egitto, dalle Filippine, dal Perù, dal Marocco, alcuni sono anche qui come volontari al ristorante trentino a lavorare.
Che cosa facciamo con loro? Facciamo quello che facciamo con tutti gli altri: cerchiamo di aiutarli nello studio coinvolgendoci in un rapporto con loro come il video documenta bene. Allora, che cosa ho imparato in questi anni, a proposito appunto del titolo del nostro incontro? Ma, ho imparato, ho visto con una chiarezza solare, perché la chiarezza è solare nell’esperienza quotidiana di tutti i giorni, la verità dell’affermazione di don Giussani sull’unicità dell’impronta interiore che costituisce ogni uomo, perché non può essere che per un desiderio di cose grandi vedere centinaia di universitari che gratuitamente vengono a prestare servizio tutte le settimane a questi ragazzi, non può essere che per un desiderio di cose grandi che tanti insegnanti in pensione si rimettono alla passione dell’insegnamento, allo studio con questi ragazzi, non può che essere per un desiderio di cose grandi che gli stessi ragazzi vengono senza avere nessun obbligo, vengono a farsi aiutare perché capiscono che è ingiusto andare male a scuola, che è ingiusto non riuscire nella scuola, che è ingiusto non provare gusto per la scuola. Insomma, l’anno scorso quando accadevano i fatti di viale Padova, pensavo con sorpresa e con letizia che da noi, in dieci anni a Milano, ma anche in tutti gli altri centri, non sono mai accaduti episodi di litigi, di pestaggi tra egiziani, peruviani, come purtroppo tragicamente è accaduto in viale Padova, e mi chiedevo: qual è la ragione di questo? Appunto, la ragione è quello che dicevamo prima: che l’incontro a Portofranco tra i volontari e i ragazzi e tra i ragazzi, è a partire dal loro desiderio, dal loro bisogno e questo rivela la vera natura dell’io al di là di ogni ideologia. Per questo Portofranco è diventato anche questo avamposto di integrazione; tra l’altro, come dice sempre la nostra segretaria, è anche un luogo di integrazione multigenerazionale, perché abbiamo ragazzi appunto delle scuole medie superiori, studenti universitari, docenti in attività come il sottoscritto, docenti in pensione ma sempre giovani. E l’altra cosa che ho imparato, sempre legata a questo, è che il rapporto con loro, con questi ragazzi stranieri, con i ragazzi in generale, ma in particolare quelli stranieri, è una grande risorsa per noi e per loro, è una grande risorsa ed è una grande sfida, è una grande sfida per noi perché, parlo in particolare dei ragazzi di estrazione egiziana, musulmana, ci costringono a dare le ragioni di quello che crediamo, le ragioni dei nostri comportamenti, le ragioni delle nostre radici storiche. A questo proposito non mi dimenticherò mai l’episodio della ragazza che è venuta a chiedermi di aiutarla a fare un tema una settimana dopo l’attentato delle torri gemelle, ma ci chiedono anche, capita che si discuta sulla situazione tra arabi e israeliani in Palestina, o che ti chiedano del rapporto con i genitori, ma è affascinante anche per loro, perché, ricondotti all’esperienza che vivono, riescono anche loro a combattere quella pressione culturale e ideologica che hanno come noi, ma magari di diversa ragione. A questo proposito voglio citare l’episodio che non dimenticherò mai del giorno della morte di don Giorgio Pontiggia: il giorno della morte di don Giorgio Pontiggia io non ero presente al centro, ho chiesto agli adulti di fare un momento di preghiera, mi hanno raccontato che c’erano due ragazze egiziane che confabulavano tra di loro, e una diceva all’altra: “Ma che cosa preghiamo? Questo è un sacerdote, va all’inferno”. E l’altra le ha detto: “Ma cosa dici? Perché dici così di una persona che ha permesso questo luogo che ti fa tanto bene?”. Mi hanno detto che la ragazza è rimasta tanto colpita che è andata poi a scusarsi, ma è interessante quando mi hanno detto, ed è stato documentato anche nel video, che alcuni ragazzi volevano partecipare agli esercizi spirituali di gioventù studentesca a Rimini; io ho cercato di dissuaderli, ma quando loro mi hanno detto: “Venendo con voi viene fuori il meglio di me”, ho capito la verità dell’affermazione di don Giussani sull’unicità del cuore, e sul fatto che un incontro vivo non può fare altro che resuscitare questo desiderio dell’io. Grazie.

WALTER IZZO:
Io ho il vantaggio di potermi riallacciare all’intervento che mi ha preceduto, perché quello che ho fatto e faccio affonda le radici nella stessa esperienza. Quindi noi siamo nati in una zona periferica di Milano una trentina di anni fa, via Salomone, e ci siamo sviluppati in una zona adesso alla ribalta che è piazza Corvetto, via Gabrio Rosa, quindi in quartieri difficili, cosiddetti; ma di difficile c’è spesso l’incomprensione, la mancanza di sensibilità, di cultura della gente, perché abbiamo visto che noi non siamo specializzati nell’accoglienza di extracomunitari, noi siamo specializzati, noi ci dedichiamo alla risposta al bisogno; e certo gli extracomunitari come soggetti fragili ci spingono ad attivarci, ma il bisogno non viene mai da solo, perché ci siamo sviluppati e adesso siamo 12 cooperative, 25 strutture, 400 persone che lavorano a tempo pieno, i volontari. Da cosa è nata questa crescita? È che oggi incontri dei ragazzini che hanno bisogno del doposcuola, domani scopri che magari sono senza casa, e fai un’esperienza di housing sociale, e poi scopri che il padre è disoccupato perché ha perso il lavoro, e qui fai una cooperativa sociale magari di traslochi all’inizio, e poi via via gli insegni un lavoro, perché non si può essere sempre ed esclusivamente generici, e quindi nasce la scuola, e così via.
Il bisogno lo incontri come incontri le persone, si vive di strabismo: un occhio ai bisogni che incontri, e un occhio ai piani socio-sanitari o alle esigenze del comune, perché non si può fare altrimenti, ma si parte da un incontro con la realtà propria. Adesso abbiamo di tutto, (perché nel video non si può veder tutto), abbiamo un centro per abusati, per ragazzine extracomunitarie minorenni che vengono dai marciapiedi, per malati di AIDS, quindi una holding della sfiga, come dicono molti, che sicuramente colpisce (sì, ma non ci sono utili da dividere, lo dico subito, è una holding in cui scalate al potere non ne ho ancora viste). Dico questo perché occorre rendersi conto che se primo è l’incontro, qual è il metodo? Perché a volte mi chiedono: “Ma qual è il motivo del successo, dell’esito positivo?” Dunque un motivo è un coinvolgimento reale completo. Faccio solo due esempi: i ragazzini dei nostri corsi, tutti o quasi tutti, arrivano in fondo e trovano poi un lavoro, ma perché? Perché magari la mattina alle sette cominciamo a chiamarli a casa per chiedere alla madre: “Si è svegliato tuo figlio, si è alzato?” Perché magari viene da un’altra cultura, perché il desiderio di integrazione qualcuno ce l’ha, a qualcuno bisogna suscitarlo, perché viene da una cultura per cui magari non capisce all’inizio neanche la necessità di un orario. Magari portiamo i ragazzini del Beccaria a vedere la partita alla domenica, perché? Perché imparino che si può vedere il calcio anziché pestare solo il vicino, ecco, cose così. Però il coinvolgimento non è un cartellino da timbrare ad orario, il coinvolgimento è quel gesto di fiducia per cui il ragazzino marocchino diceva: “Ma qui mi danno fiducia, non hanno paura di me, mi danno le chiavi, (anzi ho imparato anche un po’ di milanese)”.
Perché c’è questo clima? Il clima nasce dall’incontro fra una passione e un bisogno, senza questa passione non si va lontano. Da questo punto di vista io credo alla sussidiarietà, alla sussidiarietà nel senso che mi va bene un potere lontano, vicino o vicinissimo, purché mi sostenga, perché certe cose si fanno se hai passione, quindi un potere che mi regoli, mi controlli, ma che mi valorizzi laddove rispondo bene al bisogno. Insomma, dopo 30 anni di questo lavoro ne abbiamo passate tante, passeremo anche questo periodo di crisi, ma il problema ultimo è che a volte ci sentiamo un po’ l’AVIS, dei donatori di sangue, cioè siamo noi che sosteniamo l’ente pubblico, non il contrario. Quando Formigoni ha tolto l’IRAP per le ONLUS, beh, i comuni hanno bloccato i finanziamenti o li hanno ridotti, per cui io soldi non li ho neanche visti, neanche odorati, sono passati dalla regione al comune. Insomma, quello che dico è: sosteniamo l’opera dell’uomo e il servizio dell’uomo, evitiamo che gli assistenti di oggi diventino assistiti di domani. Grazie.

MARONI ROBERTO:
Buongiorno a tutti, sono veramente impressionato da questa straordinaria platea, essendo io uno molto timido (applausi), è vero, è così, grazie.
Ringrazio il Meeting, ringrazio Giorgio Vittadini per avermi invitato a parlare su un tema così difficile, complicato, che suscita grandi passioni e grandi tifoserie quale è il tema dell’immigrazione.
Vorrei partire proprio da una premessa: l’immigrazione è un fenomeno di gestione complessa, sono parole scritte nell’enciclica Caritas in Veritate, che individua i punti fondamentali nell’atteggiamento che bisogna avere, che tutti devono avere, non solo le autorità pubbliche, nei confronti dell’immigrazione. E’ un fenomeno di gestione complessa perché è un fenomeno mondiale, globale; noi stiamo verificando le aree attorno all’Italia, che possono interessare l’Italia da flussi migratori, ma è un fenomeno che riguarda tutti i paesi del mondo, che subisce fasi alterne, maggiore o minore pressione in dipendenza di certi fattori, le crisi economiche, la demografia, le situazioni locali; un fenomeno complesso che però dobbiamo gestire. Credo che il primo punto su cui tutti debbano essere d’accordo è questo: che l’immigrazione, la migrazione è un fenomeno che debba essere gestito. Su questo poi, a conclusione del mio intervento dirò che cosa penso, chi debbano essere i soggetti che devono gestire un fenomeno così complesso e che oggi non lo gestiscono a sufficienza, e cioè in particolare l’Unione Europea.
Noi abbiamo, io ho una convinzione: faccio il Ministro degli Interni, mi occupo di sicurezza, di ordine pubblico, devo garantire a tutti i cittadini, a tutti coloro che stanno legalmente in Italia di poter svolgere la propria vita, le proprie attività nel modo più sereno, tranquillo possibile, quindi ho concentrato la mia azione su un fronte, quello del contrasto alla criminalità, nel contrasto alla violazione delle leggi. Ma ho una convinzione che questo fenomeno così complesso non si governa solo con gli strumenti della sicurezza, è una convinzione non solo mia, è una convinzione di tutto il governo. Il binomio accoglienza, integrazione e sicurezza è un binomio inscindibile; maggiore sicurezza significa anche maggiore integrazione; in una città che si sente sicura, i cittadini di quella città sono meglio disposti ad accettare anche chi viene da fuori, è un dato riscontrabile nella realtà. Non voglio citare, non solo perché è qui davanti a me, il sindaco di Verona, ma una ricerca fatta dall’università Bocconi, quindi un ente che mi pare al di sopra delle parti in causa, che ha fatto una ricerca un po’ particolare sull’immigrazione: è andata in numerose grandi città in Italia a verificare il grado di percezione, di integrazione da parte degli immigrati, non da parte dei cittadini italiani. Ha intervistato i cittadini immigrati che vivono in queste città, chiedendo loro “ti senti integrato, ti senti accolto in questa città?”, ebbene la città dove il grado di soddisfazione da parte dei cittadini immigrati è risultato il più alto è proprio Verona, guarda caso la città che negli ultimi tempi ha investito molto di più sull’applicazione rigorosa delle leggi.
Questa è la prova scientifica, diciamo così, ma intuitivamente è l’esperienza concreta di tutti i giorni delle realtà che vado a verificare, che vado a sentire. Io sono uno che gira molto nelle città e nei paesi, perché non voglio mai perdere il contatto diretto con la realtà, chi vive troppo nei palazzi romani a volte vede la realtà con una visione diversa, dobbiamo andare e continuamente sentire se le nostre politiche hanno una efficacia vera, concreta e reale.
Ecco, questa esperienza che ho mi dice questo, che più è alto il livello di percezione di sicurezza da parte dei cittadini, più è alta la disponibilità e anche le iniziative, le attività di integrazione.
Io mi occupo, come ho detto, del fronte sicurezza, e adesso dirò che cosa abbiamo fatto, che cosa stiamo facendo, che cosa intendo fare, ma sul fronte dell’integrazione abbiamo fatto molto. L’ultima iniziativa in ordine di tempo, presa dal governo, è un piano nazionale Italia 2020, si chiama, Piano di integrazione per la sicurezza, identità e incontro.
Sono iniziative, cinque assi di intervento, che si concentrano proprio sul fronte dell’integrazione, dell’accoglienza e dell’integrazione: educazione e apprendimento, il lavoro, alloggio e governo del territorio, quarto asse accesso ai servizi essenziali, quinto, ma non meno importanti, minori e seconde generazioni.
Indicando anche gli strumenti dell’integrazione, le risorse che devono essere messe a disposizione e il ruolo degli attori, il pubblico, gli enti locali ma soprattutto e prima di tutto il mondo del volontariato, il terzo settore, il cosiddetto privato sociale che svolge un ruolo fondamentalissimo in questo tipo di attività.
Se le due cose vanno insieme è chiaro che non si può parlare, come qualcuno troppo spesso fa, delle politiche di sicurezza come politiche discriminatorie: applicare la legge significa applicare la legge. Se c’è una norma che dice che tu puoi venire in Italia se hai un regolare contratto di lavoro, quella norma deve essere applicata e noi intendiamo applicarla e la stiamo applicando. Chi viene in queste condizioni deve avere tutti i diritti del cittadino italiano, e ce li ha, e deve essere messo in grado di integrarsi nella società, nella comunità in cui vive.
Nella tanto vituperata legge Bossi-Fini è stabilito questo principio fondamentale, che nel 2003 era un principio addirittura rivoluzionario: legare il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, perché il lavoro è il primo e il più importante canale di integrazione della società. Se una persona viene onestamente per lavorare, certamente si integrerà nella società, se viene senza mezzi di sostentamento, magari portata dai criminali, che poi per farsi pagare il viaggio sfruttano queste persone, queste persone non riusciranno, o con grande fatica, a liberarsi dalla schiavitù, dallo schiavismo che li ha portati qui e fatalmente finiranno nel circuito della criminalità organizzata.
Questo principio fu introdotto nella legge 2003 ed è talmente innovativo che poi è stato recepito negli ordinamenti legislativi di altri paesi europei, da ultimo nel novembre dell’anno scorso dalla Spagna di Zapatero. La legislazione sull’emigrazione spagnola, approvata dal parlamento spagnolo, ha introdotto anche in Spagna questo principio, lo stretto collegamento tra ingresso e contratto di lavoro. Ma nella nostra legge, la Bossi-Fini, c’è anche di più, c’è scritto che il datore di lavoro che assume un cittadino extra-comunitario deve mettergli a disposizione un alloggio idoneo, a disposizione da tutti i punti di vista, e questo è un altro principio che spesso non si ricorda, da parte di chi ci critica e che è fortemente innovativo.
Alloggio e regolare contratto di lavoro rendono possibile ed attuata concretamente l’integrazione, sono i diritti fondamentali che devono essere garantiti a tutti i cittadini, a tutti coloro che vengono legalmente in Italia. Questo è il quadro giuridico che noi abbiamo approvato anni fa e che è ancora in vigore e che viene attuato e che ha in sé gli strumenti per garantire tutti i processi di integrazione.
Sul fronte della sicurezza ci siamo concentrati nel contrastare l’immigrazione clandestina, è un fenomeno molto complesso anche questo, non è semplicemente il tentativo di qualcuno di venire in Italia. Ci sono componenti diverse nella gestione di questi flussi. C’è prima di tutto il circuito criminoso, il racket fatto da associazioni criminose che stanno in vari paesi del mondo, che stanno in Africa, che stanno in Italia, che stanno in Afghanistan e che sfruttano la disperazione di queste persone lucrandoci sopra. Per garantire il tragitto da un qualsiasi paese d’origine, dall’Afghanistan, o un paese africano in Europa, e cioè in Italia, vengono chieste a queste persone fino a ottomila dollari a testa.
E’ chiaro che nessuno ha a disposizione una somma del genere e allora che cosa succede? Che vengono comunque portate con l’impegno a pagare successivamente, alla tratta, a questi criminali, il debito che hanno contratto. E come faccio io a pagare? Prostituzione, traffico di droga, reati di vario tipo. Questo è il circuito perverso che noi abbiamo cominciato a stroncare con forza e determinazione.
Combattere l’immigrazione clandestina significa combattere la tratta degli esseri umani e combattere anche quello delle reti criminali che hanno appoggi in Italia. Abbiamo scoperto recentemente attraverso intercettazioni telefoniche, oops non dovevo dirlo, attraverso intercettazioni telefoniche di gruppi criminosi che saranno comunque sempre possibili anche se dovesse essere approvata quella legge, abbiamo scoperto attraverso queste intercettazioni che ormai c’è un accordo tra il racket gestito nei paesi africani da consorterie africane e la ’Ndrangheta, c’è un accordo molto stretto di collaborazione che non riguarda solo la tratta degli esseri umani, questa è una complessità nella complessità, ma riguarda l’individuazione di canali dall’Africa in Europa, attraverso l’Italia, attraverso cui far passare la tratta egli esseri umani ma anche il traffico di droga. La ’Ndrangheta calabrese ha stretto un accordo di ferro con i cartelli colombiani per l’importazione di cocaina in Europa, questi traffici passano dall’Africa e arrivano in Calabria, principalmente, nel porto di Gioia Tauro, e sfruttando questi canali, la ’Ndrangheta e questi associazioni criminose africane hanno stretto un accordo molto forte. Quindi ripeto, sottolineo, il contrasto all’immigrazione clandestina non è la guerra contro i poveri cristi, è un aspetto della lotta alla criminalità organizzata, che riceve dal traffico degli essere umani gran parte dei suoi profitti, gran parte del fatturato.
Noi siamo intervenuti, come ho detto, con grande determinazione, individuando chiaramente gli obiettivi: contrasto alla immigrazione clandestina che viene fatto in due modi, gli sbarchi e cioè il passaggio dai paesi del Maghreb fino in Europa, oppure attraverso un altro sistema, i cosiddetti overstayers, coloro che entrano regolarmente in Italia, in Europa, e si trattengono oltre il periodo, vengono con i visti, vengono con i passaporti in regola e poi quando devono uscire, perché è scaduto il visto, si trattengono illegalmente. Questo fenomeno è più insidioso, è più difficile da contrastare, è quasi impossibile, perché uno che atterra a Malpensa può girare regolarmente, può girare in tutti i paesi di area Schengen senza nessun controllo; noi ce ne accorgiamo solo dopo tre mesi, perché il circuito Schengen solo allora ci segnala che non è uscito, ma dove sarà? In giro per i paesi europei.
Il fenomeno che riusciamo contrastare bene, invece, è quello dell’immigrazione clandestina che viene dal paese del Maghreb. L’anno precedente a quello in corso sono sbarcati a Lampedusa 37.000 clandestini, il 96% veniva dalla Libia, su questi barconi costruiti appositamente, e questi sono quelli che sono arrivati; quanti purtroppo hanno perso la vita in mare è difficile calcolare.
Questa enorme quantità di persone alla ricerca, spesso, di una vita migliore, ha costituito per anni un problema serio e difficile da affrontare, o meglio non affrontato per niente. Noi siamo intervenuti, abbiamo fatto un accordo, il presidente Berlusconi due anni fa ha fatto un accordo con la Libia che ha consentito alle autorità libiche di aumentare i controlli sulle proprie coste. Questo ha determinato, questo semplice fatto, l’aumento dei controlli, ha determinato la riduzione pressoché a zero di questi flussi di immigrati clandestini.
Si è fatta una grande polemica sui cosiddetti “respingimenti”, ci sono opinioni diverse, io sono della opinione, confortata peraltro dai pareri che sono venuti da chi può dire se stiamo violando o no le norme europee, dalla Commissione europea; sono convinto che le operazione che abbiamo fatto sono conformi a tutti i trattati. Ma se consideriamo i numeri, ci rendiamo conto che questa non è la politica del governo, quella dei respingimenti, non è così, su trentamila che non sono più venuti circa, quelli che sono stati riportati in Libia sono meno di 1.850, gli altri si sono fermati, non sono più partiti dalla Libia.
Questo non risolve i problemi, io l’ho sempre detto, per l’Europa, non risolve i problemi di questa povera gente; abbiamo risolto un problema serio, un’emergenza seria e grave che riguardava l’Italia.
Che cosa succede di queste persone? E’ un problema di cui la comunità internazionale deve occuparsi? Certamente sì! Cercheranno altre vie? Probabilmente sì, noi abbiamo una intensa attività di intelligence in quei paesi, ho qui una rivelazione segreta, per cui non ve la posso rivelare, che mi da informazioni sulle nuove rotte che la tratta, il racket sta cercando di aprire per portare comunque in Europa, queste persone.
E noi abbiamo fatto molto come Italia, non possiamo fare i gendarmi dell’Europa e occuparci di tutti i paesi dell’Europa, occorre che l’Europa si dia una mossa, occorre che la Commissione europea capisca che l’immigrazione clandestina nel Mediterraneo non è un problema dell’Italia o di Malta, è una questione che deve coinvolgere tutti i paesi europei.
Stiamo assistendo, per esempio, ad un aumento di traffico, anche se in termini modesti, dalla Turchia, non più dalla Libia, molto meno dalla Tunisia, quasi zero dall’Egitto.
Dalla Turchia, approfittando della difficoltà circa questo fenomeno delle autorità greche, per la nota crisi che ha investito questo paese, con modalità diverse di quelle che venivano dalla Libia: non sono i barconi, sono barche a vela, o maxi yacht che in questa stagione nel Mar Egeo e nel Mare Adriatico circolano in grande quantità, maxi yacht che hanno stipato sottocoperta decine e decine di clandestini. Arrivano di notte nei porti pugliesi e scaricano questi poveri cristi. E’ un nuovo fronte, anche se di modeste dimensioni, che noi intendiamo presidiare, naturalmente.
Ma il contrasto all’immigrazione clandestina, questo tipo di contrasto ha portato ad un altro risultato positivo, che è la drastica riduzione del numero di minori che arrivano non accompagnati in Italia, un altro fenomeno drammatico.
Minori che non vengono accompagnati, che vengono portati per essere sfruttati, per essere adibiti nella migliore delle ipotesi all’accattonaggio, ho detto nella migliore delle ipotesi.
Vengono presi in carico dal sistema Italia, e lo voglio dire con orgoglio a fronte delle critiche spesso ingiuste e spesso ingiustificate che ci vengono fatte. L’Italia accogli i minori non accompagnati, li tiene anche quando avrebbe il diritto di rimpatriarli. Quando arrivano i traghetti dalla Grecia, dal porto di Patrasso, con dei clandestini a bordo, noi abbiamo il diritto, in base alle normative europee, di rimandare in Grecia, cioè nel paese di provenienza, questi clandestini. Se a bordo ci sono dei minori noi li teniamo, li accogliamo e li mettiamo nelle nostre strutture protette, pur avendo il diritto di rimandarli indietro. Nessun altro paese europeo lo fa, ci sono paesi europei che spesso ci fanno la morale, che addirittura hanno studiato sistemi per rimpatriare minori in Afghanistan e in paesi africani, costruendo là degli orfanotrofi. A me sembra una cosa orribile questa, e sono paesi europei che lo fanno; noi ci teniamo anche quelli che avremmo il diritto di rimandare indietro, perché crediamo che i minori siano le persone più deboli, più indifese, che hanno bisogno di trovare il calore umano, una famiglia, possibilmente qui da noi. Abbiamo delle strutture straordinarie qui da noi, in tutte le regioni, in Sicilia io ne ho visitate tante, adesso sono un po’, diciamo, senza lavoro quelle in Sicilia, perché non arrivano più fortunatamente minori, ma in tutta Italia ci sono strutture gestite dal volontariato che io voglio davvero, nel suo complesso, qui pubblicamente ringraziare, perché senza il calore e la passione dei volontari non saremmo riusciti a realizzare questo modello italiano di accoglienza, che prima o poi anche i nostri detrattori in Europa dovranno riconoscere come un modello di eccellenza, nella accoglienza soprattutto dei minori.
Questa grande forza viene organizzata sul territorio, ci consente di gestire questo fenomeno dei minori contrastando la tratta, contrastando lo sfruttamento di chi è più debole.
Tutte queste iniziative ci hanno portato addosso tante critiche, l’accusa a me personalmente di essere peggio di Hitler, me le sono segnate tutte, di aver rifatto le leggi razziali, di aver riaperto i campi di concentramento, dimenticando che i Cie li aveva inventati Giorgio Napolitano quando era Ministro dell’Interno. Accuse di ogni tipo che, siccome io mi considero nel giusto, non mi fanno né caldo né freddo e non mi hanno mai indotto a cambiare di una virgola la mia posizione. Io sono sempre aperto alle proposte, mi considero una persona ragionevole, sono una persona comune, prima di fare politica ho lavorato dieci anni normalmente, e sono uno abituato al buon senso. Se c’è qualcuno che mi dice “guarda le politiche che stai facendo sono sbagliate” e mi dimostra che è così, io le cambio, non ho nessuna prevenzione, non ho nessun atteggiamento ideologico.
Io e la Lega siamo figli della post-ideologia, siamo nati quando è caduto il muro di Berlino, siamo per la concretezza, ma quando qualcuno mi dice “no! tu sbagli, perché sbagli a prescindere”, “ma guarda che le cose che faccio io le fa Zapatero, le fa Sarkozy”, “sì per loro va bene, ma se le fai tu sbagli!”, beh, se l’atteggiamento è questo, io dico “no grazie”.
E’ un atteggiamento pregiudiziale, è un atteggiamento inaccettabile, io rifiuto le accuse di xenofobia e di razzismo alle politiche che abbiamo fatto.
Sono politiche di sicurezza, che sono accompagnate dalle politiche di integrazione, capisco che il tema dell’immigrazione è un tema che suscita grandi passioni, che divide spesso in due tifoserie, ed io ne so qualcosa di quanto siano agitate le tifoserie, essendomi occupato recentemente della tessera del tifoso. Le tifoserie è difficile farle ragionare, c’è chi è favore e chi è contro a prescindere. Per cui per la tifoseria opposta noi siamo xenofobi, per la nostra tifoseria gli altri sono figli di un’altra ideologia, che potremmo chiamare “l’immigrazionismo”, chiunque viene può venire, anzi deve avere più diritti dei cittadini italiani perché è giusto così. Sono due tifoserie che io sento ma che non mi condizionano, né l’una né l’altra.
Ricordo una reazione spropositata contro di me quando nella veste di Ministro del Welfare, qualche anno fa, io feci abrogare una norma di legge che mi pareva discriminatoria al contrario nei confronti dei cittadini italiani e che diceva che se un cittadino italiano lavora per meno di venti anni, paga i contributi all’Inps ma non ha diritto alla pensione, ha perso i suoi contributi; se un cittadino extra comunitario lavora per meno di venti anni non ha diritto alla pensione ma l’Inps gli restituisce i contributi versati. Era una norma di legge che a me francamente sembrava assurda, i cittadini extra comunitari devono avere gli stessi identici diritti dei cittadini italiani ma non di più perché altrimenti facciamo della discriminazione al contrario.
Parlerei per ore di questi temi perché lo faccio davvero con passione nella ricerca di fare sempre le cose giuste, in modo equilibrato; non sempre ci riesco, non sempre è facile, ogni volta sono tirato per la giacca da una parte e dall’altra, è difficile mantenere un equilibrio e soprattutto una coerenza negli atti che si fanno. La cosa peggiore per chi sta al governo è di seguire una strada a zig zag, a seconda di chi urla di più, a seconda di qualche editoriale su un giornale piuttosto che un altro; io mi prendo tutte le lavate di capo, passo in mezzo alle bufere e cerco di tenere la barra dritta nella coerenza di un sistema che chiede solo, che vuole solo applicare la legge nei confronti dei cittadini italiani, lotta al crimine, lotta alla criminalità organizzata, lotta alle mafie e su questo fronte stiamo ottenendo successi che nessun altro governo è riuscito ad ottenere; lotta e azioni per la legalità. Voglio concludere parlando come ho detto dell’Europa.
Si è fatto una grande polemica in questi giorni su un’iniziativa presa dal governo francese, che è stata dipinta come la deportazione dei Rom.
Non hanno fatto alcuna espulsione, hanno fatto una cosa che in Italia si fa da anni con l’Organizzazione Internazionale dell’Immigrazione, per gli extra comunitari, e cioè i rimpatri volontari assistiti.
Sono migliaia di casi ogni anno, in Italia, di cittadini extra comunitari che tornano volontariamente nel loro paese d’origine, seguiti dall’Organizzazione Internazionale delle Immigrazioni, con un contributo che viene dato al governo del paese di origine per il resettlement di queste persone.
Questo hanno fatto in Francia. Il problema nasce perché sono cittadini romeni, cittadini europei, per i cittadini comunitari vige una regola diversa, ovviamente. rispetto a quelli extra comunitari, ma ci sono regole anche qua e sono regole scritte dall’Unione Europea, non inventate da noi.
Io ho detto, qualche giorno fa, che voglio applicare la direttiva europea che non è mai stata applicata, e anche qui apriti cielo: accuse di xenofobia, di razzismo, di stravolgere le basi etiche della convivenza europea. La direttiva a cui ho fatto riferimento è la direttiva 38 del 2004, che stabilisce che i cittadini europei hanno diritto di soggiornare, per un periodo superiore a tre mesi, in un qualsiasi paese europeo ma ad alcune condizioni che sono: esercitare un’attività in qualità di lavoratore subordinato autonomo; disporre di risorse economiche sufficienti; disporre di un’assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello stato membro ospitante durante il soggiorno. Sono regole europee che valgono per me se voglio andare a stabilirmi in Francia, in Inghilterra, in Germania e che devono valere per tutti coloro che vengono in Europa e che vengono in Italia.
Non si può utilizzare la regola europea, o l’Unione Europea a corrente alterna, va bene per certe cose e non va bene per altre.
Il fronte europeo è un fronte che abbiamo presidiato sin dall’inizio della mia attività di Ministro. Ho chiesto un maggior impegno dell’Unione europea su entrambi i fronti, anzi sui tre fronti: contrasto all’emigrazione clandestina, politiche di integrazione e soprattutto una cosa di cui la commissione si era completamente dimenticata, politiche dell’asilo per i rifugiati. Noi abbiamo in Italia oltre 100.000 rifugiati, stanno qui, vivono bene, sono trattati bene, sono 100.000 persone a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato perché scappa da un paese dove c’è una guerra civile, o anche di semplice protezione internazionale, che noi diamo, che l’Italia dà anche a chi non scappa da una guerra, ma è una persona debole, è una persona anziana, è un disabile, è una donna incinta, che potremmo rimpatriare ma che teniamo qua.
100.000 che sono a carico nostro e che noi accogliamo e sosteniamo perché è giusto che sia così, ci mancherebbe altro, il diritto alla vita, ad una vita vera viene prima di qualunque altra valutazione. Ma queste politiche sono sempre state lasciate alla gestione degli stati membri, allora io ho posto questa domanda durante il primo Consiglio Europeo: scusate un po’ ma queste persone arrivano in Italia, certamente perché l’Italia è il più bel paese del mondo, ma forse anche perché è il primo paese d’ingresso dell’Unione Europea, e Spagna anche, allora, perché l’Unione Europea, i paesi dell’Unione che parlano tanto di modello sociale europeo, di solidarietà, non fanno uno sforzo per condividere gli sforzi dei paesi di confini e gestire in modo unitario e uniforme il tema dell’asilo e dell’accoglienza dei rifugiati?
In altre parole voleva dire: “cari paesi del Nord Europa, voi che ci fate tanto la morale perché non ci date una mano a gestire questo fenomeno?”; la risposta è stata: “no grazie, arrivano da voi ve li tenete”. Noi ce li teniamo e li teniamo bene come ho detto.
Ma questa la dice lunga sul ritardo culturale prima di tutto dell’Unione in quanto tale su questi temi.
Il tema dell’immigrazione, dell’accoglienza, della gestione dei rifugiati è ancora di competenza degli stati europei. Noi abbiamo costituito un gruppo con la Francia, la Spagna, Malta, Grecia e Cipro, che ha posto la questione al centro del dibattito europeo, ottenendo qualche risultato. Nel piano europeo per l’integrazione e l’asilo per la prima volta si è posto il Mediterraneo al centro, come un’area specifica di immigrazione. Fino ad allora non era così, il Mediterraneo era considerato alla stregua dei confini terrestri con la Russia: sono due cose diverse, sono due aree diverse. Si è sviluppata adesso una maggior sensibilità europea grazie anche all’azione dei nostri parlamentari nel Parlamento Europeo, che devono continuamente contrastare le accuse all’Italia di xenofobia e di razzismo; ma io credo che sia utile alla fine, perché questi continui dibattiti ci consentono di porre e porre ancora e di nuovo il tema e qualche risultato alla fine si ottiene.
Ma su questo il ritardo della Commissione dell’Unione Europea è ancora enorme.
Concludo su un tema che penso stia molto a cuore a Bonfanti e Izzo, quello delle risorse.
Per fare politiche di contrasto all’immigrazione clandestina e alla criminalità servono risorse, ma anche per le politiche di integrazione servono risorse. Noi abbiamo a disposizioni fondi europei, dal 2004 al 2008 una somma importante 700.000.000 di euro, 700.000.000 di euro per gestire il tema dell’immigrazione.
Molti di questi soldi vanno a chi fa bene, altri vanno alle solite associazioni che sono pronte, bravissime a recuperare questi fondi e poi chissà cosa ne fanno, e non parlo naturalmente delle associazioni che sono presenti in questa sala. Queste risorse vengono gestite attraverso bandi, ma sono sempre troppo poche e allora la sfida che io mi sono posto è un’altra: utilizzare gli ingentissimi beni che stiano sottraendo alla criminalità organizzata, le risorse, gli immobili, i soldi per investirli nella sicurezza e nell’integrazione. E’ una sfida importante che io voglio vincere, è una sfida importante, ma vi dico solo di cosa stiamo parlando, stiamo parlando del periodo 2008-2010, solo in due anni 32.799 beni sottratti alle mafie, portati via: immobili, aziende, terreni, unità produttive per un controvalore di 14.900.000.000, arrotondiamo 15.000.000.000 di euro, questo tesoro vero non possiamo e non dobbiamo lasciarlo lì inutilizzato. Dobbiamo utilizzarlo contro le mafie, e siccome la mafia è anche sfruttamento e tratta degli esseri umani, queste sono risorse che io voglio utilizzare anche per sostenere le attività di integrazione fatte da chi non chiede soldi, come il volontariato, da chi lo fa per passione, lo fa perché ci crede, lo fa in sostituzione dell’incapacità della mano pubblica di svolgere queste funzioni. Ed è giusto che il pubblico, lo stato, il governo aiuti, dia una mano, non ingerendosi nelle attività, dicendo cosa dovete fare ma mettendovi a disposizione le risorse, i soldi. Per questo ho dato disposizione alla neo costituita Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla mafia, che noi abbiamo creato, dopo 10 anni di chiacchiere; noi, con un decreto legge a firma Maroni-Alfano, l’ abbiamo creato ed è operativa da sei mesi.
In questa Agenzia sono confluiti tutti i beni sparsi sul territorio, ho dato disposizione di smetterla con l’assegnazione agli amici degli amici, i soliti noti, quelli che sono nel solito circuito e di prendere in considerazione tutte le attività di volontariato in giro per l’Italia, anche quelle che non si fanno sentire e che non urlano, passando attraverso gli enti locali. Questo è un metodo democratico, chi vale, chi fa, chi opera sul territorio deve essere premiato. Anche a Varese, a Milano, in Lombardia, la zona dove voi operate, abbiamo tanti beni confiscati alla mafia che sono lì inutilizzati, perché nessuno li reclama, perché non è ancora stato fatto un censimento.
Io spero davvero, entro un paio di mesi, tre mesi, confidando sul fatto che il governo possa durare, di completare il censimento e mi impegno a far sì che questi beni finiscano nelle mani giuste di chi lavora davvero per il bene di tutti ed in particolare per il bene dei più deboli.
Grazie a tutti.

GIORGIO VITTADINI:
Abbiamo avuto oggi un quadro complessivo della questione, di questo tema.
Il punto di partenza per noi è evidentemente il tema del Meeting. Il desiderio di cose grandi è il desiderio di condividere la vita, il benessere con chiunque di buona volontà venga.
Noi siamo un popolo d’immigrati, io in particolare, da lombardo, dico che la Lombardia ha tutto meno che la purità razziale, è una confusione di tutte le razze, dai comuni fino agli immigrati. Non c’è periodo in cui ci sia stata una pulizia etnica, anzi proprio la confusione ha dominato, quindi siamo abituati non a far la guerra a chi viene ma a farlo diventare lombardo.
E infatti l’abbiamo sentito nel filmato quando quel ragazzo ha detto “mi danno gratis, non mi chiedono niente, cosa c’è di più?”, perché questo è l’integrazione, se uno ha un ideale, un desiderio: “vieni con me, non ti chiedo di diventare come me, di perdere la tua identità, ti chiedo di vivere con me lo stesso desiderio, la stessa passione”. Senza questo non ci sarebbe neanche il tema dell’integrazione, perché se non ci fosse qualcuno che ha desiderio di verità, giustizia, bellezza, di condividere la vita, uno si troverebbe a venire in un deserto. Non accadrebbe, come avviene a Milano, – parlo di quello che conosco, del punto che è considerato più spinoso – che tanti immigrati sono imprenditori. Nei bar, nei ristoranti, in tante imprese trovate cinesi, egiziani, marocchini che sono diventati imprenditori in quei bar, ristoranti, nelle cui imprese vivono persone italiane senza problemi.
Questo desiderio di verità è il bene per tutti!
Secondo passaggio: questo non è contro le leggi. La gente che non capisce, continua a contrapporre le nostre realtà con la politica, con lo stato, come fanno certi editorialisti di certi giornali, certi soprattutto tenitori di talk show che hanno l’unico scopo di parlare di se stessi, e di fare dialettica e non capiscono che noi siamo amici del pubblico.
Il pubblico deve dare i confini di un’azione di questo tipo, vuol dire quali sono le leggi. Quello che ha detto il Ministro Maroni, con molta chiarezza, sono i confini entro cui può avvenire questo. Sapendo benissimo che se da una parte la xenofobia è male, dall’altra parte pensare che possa essere accolto chi non potrebbe essere accolto perché non viene a lavorare è assurdo. Voi andate negli Stati Uniti d’America che sono il paese dell’immigrazione e voi sapete benissimo che non può entrare nessuno che non sia americano se non ha un lavoro.
Allora parlare di desiderio vuol dire anche condividere realisticamente questo, il resto è propaganda ideologica, quando l’ideologia, come diceva il Ministro Maroni, è finita.
Allora noi siano a favore di leggi che garantiscano la vita di tutti e la garantiscano bene, dall’altra parte il problema della legalità è sentito soprattutto dai poveri. Se come me foste vissuti, molti di voi ci siete vissuti, nelle periferie di Milano, non nei quartieri bene, voi sapreste che il problema della criminalità è sentito dal povero, è sentito dalla vecchietta a cui rubano la pensione, è sentito da chi ha la paura di essere aggredito e non ha le guardie del corpo o i sistemi di sicurezza. La sicurezza è una questione fondamentale che è legata alla questione della libertà, magari degli stessi immigrati, quindi le due cose si fondono e diventano, terzo passaggio, quello che noi diciamo: noi non vogliamo privilegi, chi scrive su qualche giornale che noi vogliamo privilegi è un cretino nel senso letterale della parola, perché la massima efficacia sociale si ottiene quando c’è una collaborazione tra il pubblico e il non profit, come diceva nell’ultima parte dell’intervento il Ministro, quando si collabora, quando si segnala, perché ben prima delle intercettazioni la criminalità si vince quando ci sono dei luoghi di vita sociale in cui chi vuol fare il criminale viene segnalato, perché da fastidio; c’è una collaborazione a quel livello, c’è una collaborazione in positivo.
E quindi è questo il tipo di rapporto che c’è tra pubblico e privato non profit. Io sono molto contento dell’ultimo punto dell’intervento del Ministro Maroni, ancora di più se i mezzi sono maggiori.
Non è che la nostra azione finisce se non ci sono mezzi, ma certo che se invece di avere uno hai dieci, ne puoi aiutare dieci invece di uno.
Questo è lo spirito con cui vogliamo collaborare con il Ministro Maroni e spero che dal Meeting venga questo messaggio per tutti.
Grazie e arrivederci.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2010

Ora

11:15

Edizione

2010

Luogo

Sala A1
Categoria
Incontri