INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.

VOGLIO CHE RIMANGA. Meditazioni sul Vangelo di Giovanni
Presentazione del libro di Gianluca Attanasio, Fraternità San Carlo Borromeo e S. Ecc. Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla (Ed. Lindau). Partecipano: gli Autori; Sandro Lombardi, Attore.

A seguire:

L’ECONOMIA IN QUESTIONE. Oriente e occidente nel travaglio della crisi
Presentazione dell’ultimo numero della rivista semestrale della Fondazione Internazionale Oasis. Partecipano: Marco Bardazzi, Digital Editor de La Stampa; S. Ecc. Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla.

 

INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.
Ore: 15.00 eni Caffè Letterario A3
VOGLIO CHE RIMANGA. Meditazioni sul Vangelo di Giovanni
Presentazione del libro di Massimo Camisasca e Gianluca Attanasio (Ed. Lindau). Partecipano: S. Ecc. Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla; Sandro Lombardi, Attore.

A seguire:

L’ECONOMIA IN QUESTIONE. Oriente e occidente nel travaglio della crisi
Presentazione dell’ultimo numero della rivista semestrale della Fondazione Internazionale Oasis. Partecipano: Marco Bardazzi, Digital Editor de La Stampa; S. Ecc. Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla.

CAMILLO FORNASIERI:
Cominciamo questo appuntamento i libri proposti alla nostra attenzione dal meeting. Oggi presentiamo due proposte. La prima è della casa editrice Lindau, il libro è Voglio che rimanga. Meditazioni sul Vangelo di Giovanni” di Gianluca Attanasio e Massimo Camisasca, che abbiamo visto entrare. Salutiamo! È con noi anche Sandro Lombardi che molti avranno seguito ieri. Lo ringraziamo ancora per la sua interpretazione e anche per la partecipazione al Meeting. È la prima volta che viene a Rimini, dopo tante collaborazioni in varie città con diversi amici. Il libro di cui oggi parliamo è dedicato a quello che Massimo Camisasca dice essere il libro che più lo ha colpito, il libro per eccellenza: il quarto vangelo, del quale pone, all’inizio, un suo commento cui segue quello di Gianluca Attanasio che, nella storia della Fraternità Sacerdotale San Carlo Borromeo ha avuto un ruolo importante, una responsabilità attiva come vice Rettore. Attanasio si trova da pochi mesi a Napoli, nel rione Sanità, a svolgere la sua missione. Entrambi sono attratti dalla forza di penetrazione e di sguardo – è la parola che più viene sottolineata nel presentare il vangelo di Giovanni – che questo testo rappresenta per tanti, per tutti. Credo che anche noi sentiamo una differenza rispetto ai sinottici: il loro commento ci aiuta a cogliere quella relazione profonda che nel vangelo stesso, con molta umiltà, Giovanni cita, senza ostentare, ma nemmeno negare, di essere il discepolo amato, di avere un legame particolare con Lui. E questo mette in luce come ognuno, ogni cristiano, ogni persona che incontrerà il Signore, abbia una relazione particolare, dove emerge la caratteristica di ognuno. È molto bella la modalità che offre per scoprire la natura di questo legame profondo che Cristo stesso ha voluto stabilire con quel giovane e mi auguro possa essere realmente una scoperta per tutti. La modalità che seguiremo è quella di ascoltare anzitutto le parole di quel vangelo attraverso la voce di Sandro Lombardi: poi avremo un dialogo tra noi.

SANDRO LOMBARDI:
«E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Chi sei tu?”. Egli confessò e non nego, e confessò: “Io non sono il Cristo”. Allora gli chiesero: “Che cosa dunque ? Sei Elia?”. Rispose: “Non lo sono”. “Sei tu il profeta?”. Rispose: “No”. Gli dissero dunque: “Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?”. Rispose: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia”. Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”. E Giovanni rispose loro: “Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo”. Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! Ecco colui del quale io dissi: dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere in Israele”. Giovanni rese testimonianza dicendo: “Ho visto lo spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: l’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito, è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio”. Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e vedendo che lo seguivano disse: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di Lui; erano circa le quattro del pomeriggio».

CAMILLO FORNASIERI:
Ecco, abbiamo voluto risentire insieme questo testo, questo primo momento in cui due uomini incontrano uno che è stato indicato. Nella sua lunga introduzione, Camisasca accenna che il vangelo di Giovanni è costruito su relazioni importanti, caratteristiche che danno una diversità e una profondità a questi rapporti tutti incardinati, vissuti nel guardare Gesù. Adesso ascoltiamo Sua Eccellenza.

S. ECC. MONS. MASSIMO CAMISASCA:
Ciò che mi colpisce rileggendo il vangelo di Giovanni, in modo particolare questa pagina che ho sentito decine di volte, commentata da don Giussani, è che in questo testo, come forse in nessun testo della letteratura mondiale, per lo meno quella che ho potuto leggere ed accostare, c’è nello stesso tempo una totale autobiografia colmata di particolari e una totale offerta di significato per le vite di tutti gli uomini. Come se la vicenda particolare di uno potesse essere significativa per tutti. E non solo per i tutti di quel tempo ma anche per noi che, attraverso la lettura e l’ascolto, la ritroviamo viva. Come se accadesse ora, in questo momento, davanti a noi. Non si tratta perciò di un racconto spirituale, non si tratta di una invenzione, di una fiction, è realmente il diario di una vita. E quel tocco di Giovanni ormai anziano, forse ad Efeso, che scrive: “Sono le quattro del pomeriggio, me lo ricordo ancora a distanza di cinquanta, sessanta anni”, danno come il timbro assoluto della veridicità di quel racconto. Innanzitutto, avete sentito che la prima parte di questo capitolo è piena della figura del Battista, ed è una delle cose che sempre mi impressiona leggendo e rileggendo questo vangelo: è il debito che Giovanni Evangelista sente fino alla fine per il suo primo maestro. E’ lui, il Battista, che lo ha condotto a Gesù, forse senza neppure volerlo condurre, perché quella frase, “Ecco l’Agnello di Dio”, la diceva a tutti quelli che erano lì al Giordano, e soltanto due l’hanno seguito. Ma proprio quella voce è stato il tramite della vita futura dell’Evangelista e del suo essere ancora qui in mezzo a noi, a distanza di duemila anni. Quindi, un debito immenso che l’Evangelista sente per il Battista. E vuole parlare di lui, vuole parlare di uno che a poco a poco è diventato pura trasparenza di un altro maestro, il Maestro di quello, il Maestro che poi lo avrebbe accompagnato nella vita futura dicendosi il Salvatore, il Cristo.
Ma sentiamo anche l’eco di altre voci. Le voci dei discepoli che sono rimasti con il Battista, le voci che diranno a Giovanni Evangelista, “sei stato un traditore! Hai lasciato il Battista per questo Gesù”. E allora, l’Evangelista sente continuamente la necessità di spiegare, spiegare a se stesso e spiegare agli altri, perché questo passaggio non sia stato un tradimento ma un inveramento. Perché nella figura di Gesù e nella sequela di Gesù abbia reso gloria al suo primo maestro e non l’abbia né cancellato né tradito. Ditemi che cosa c’è di più affascinante, di più autobiografico, di più drammatico di una vicenda di questo tipo: il passaggio da uno ad un altro maestro e l’interrogativo continuo: “Che debito ho verso il primo? E che debito ho verso il secondo?”. Poi, sullo sfondo, anche se qui non è citato, c’è il rapporto con Pietro. Se voi leggete i sinottici, vedete che i primi ad essere chiamati sono quattro, due coppie di fratelli: Giacomo e Giovanni, Andrea e Simone. Qui, nel vangelo dell’Evangelista Giovanni, invece troviamo che il primo ad essere chiamato è lui con Andrea. E questo è tutto un discorso che continuerà lungo questo vangelo: accanto al primato di Pietro – che Giovanni Evangelista non mette assolutamente in discussione pur sentendo la necessità profonda di affermare il proprio primato – c’è quel primato che gli viene dalla Parola di Gesù: “Tu sei il discepolo che io amo di più”. Il primato che gli viene dall’avere posato il capo sul petto di Gesù. Il primato che gli viene dall’essere stato là sotto la croce, dell’essersi sentito dire, mentre Gesù guardava sua madre: “Ecco tuo figlio”. Questo primato, che è anche un peso e una responsabilità di fronte alla storia di tutto il mondo, Giovanni non lo può dimenticare, cancellare. E lo mette assieme al primato di Pietro perché sono questi due primati, non uno solo, che costituiscono la Chiesa.
E poi, da ultimo, mi impressiona una cosa tra le tante: in questo capitolo, c’è una parola: rimanere. L’abbiamo messa anche nel titolo. Questo “Voglio che rimanga” del titolo è proprio l’eco di questo dibattito fra Giovanni e Pietro. Alla fine del capitolo ventunesimo del vangelo, forse, anzi quasi sicuramente scritto dal discepolo qualche anno dopo la stesura del vangelo stesso, c’è una nuova conclusione: il dialogo sul mare di Tiberiade. Pietro dice a Gesù: “Ma di lui – cioè di Giovanni – che sarà?”. E Gesù disse: “E se io voglio che rimanga, a te che importa? Tu segui me!”. Dunque, c’è questo rimanere di Giovanni, questo verbo che chiude il suo vangelo e lo inizia anche, perché questo verbo “dove abiti?”, se andate a vedere, in greco è: “Dove rimani?”. Dove rimani tu? Qual è il luogo dove possiamo trovarti? Qual è la tua casa, in senso profondo? Qual è lo spazio vitale in cui possiamo incontrarti sempre? Ecco, questo restare è forse la caratteristica radicalmente nuova del vangelo di Gesù. Fino ad ora lo Spirito di Dio si era concesso qua e là, momentaneamente, ma d’ora in poi rimane, rimane sugli uomini, rimane perché fa del cuore degli uomini l’abitazione definitiva di Dio.

CAMILLO FORNASIERI:
Ascoltiamo adesso la parte del libro di Gianluca Attanasio e anche come sia possibile crescere insieme alle parole di Giovanni. Ma prima sentiamo un altro brano del vangelo dove notiamo come Giovanni sia attento ai particolari, ai luoghi in cui accadono le cose, e poi, subito, lo sprigionarsi del significato dell’andare al fondo.

SANDRO LOMBARDI:
«Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània dove si trovava Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora prese una libra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, lo sparse ai piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest’olio profumato? Perché non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gli importasse dei poveri ma perché era ladro, e siccome teneva la cassa prendeva quello che gli mettevano dentro. Gesù allora disse: “Lasciala fare perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura, i poveri infatti li avete sempre con voi ma non sempre avete me”». Tra coloro che servivano c’era anche Maria di Magdala, la Maddalena. Gesù l’aveva liberata da sette spiriti immondi che la tormentavano da quando era piccola, allora la sua bellezza un po’ sfiorita era tornata a risplendere, il suo volto aveva riacquistato la luminosità della giovinezza. Da quel giorno non aveva più abbandonato il Maestro e, insieme ad altre donne, serviva Lui e la Sua piccola comunità. Lo seguiva dovunque andasse e ogni volta che Gesù parlava in pubblico lei era in prima fila, non perdeva una sua sola parola. Aveva capito che i capi del popolo avevano deciso di uccidere Gesù. Aveva inoltre saputo da Giovanni che Gesù non aveva più intenzione di sottrarsi all’arresto come aveva fatto fino ad allora. Il pensiero che il Maestro potesse soffrire provocava un’angoscia fortissima, un dolore che non smetteva di crescere. Alla fine, per cercare un po’ di conforto, condivide le sue ansie con Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro. Maria rimase profondamente addolorata dalle parole dell’amica. Esse le svelarono di colpo un mistero sconfinato che aveva già intuito ma che non aveva mai voluto guardare fino in fondo per un senso di timore e di sacro pudore. Gesù era disposto a subire anche la morte per amore del Padre e degli uomini. Appena la Maddalena ebbe finito di parlare, Maria si alzò, in silenzio prese una libbra di olio profumato di vero nardo assai prezioso e si inginocchiò vicino a Gesù. Gli cosparse con l’olio i piedi e li asciugò con i suo capelli. Non pensò all’ entità della spesa, non calcolò. Tutto in lei era spontaneo, scaturiva soltanto dalla gratitudine. In verità non tutti i presenti approvarono il comportamento della sorella di Lazzaro. Infatti Giuda Iscariota, uno dei Suoi discepoli che doveva poi tradirLo, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darlo ai poveri?”. Da parecchio tempo ormai Giuda rubava dalla cassa comune. Non gli importava dunque dei poveri bensì dei propri guadagni perché era un ladro e siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Ma più ancora che dallo spreco dei soldi egli era infastidito dalla santità di Gesù, non riusciva a tollerarla, si sentiva giudicato, incapace di governare le sue passioni disordinate, era soffocato dalla gelosia che lo divorava come una serpe. Non vedeva Gesù come il Maestro che poteva portarlo ad una vita più vera bensì come un avversario, un temibile concorrente che lo metteva in cattiva luce di fronte agli altri e soprattutto di fronte a se stesso. Naturalmente Giuda non sopportava come le donne adorassero Gesù, per il Maestro erano pronte a dare tutto senza riserve. Accettavano i sacrifici con impeto appassionato, piene di entusiasmo, con gli occhi trepidanti. Giuda non vedeva altro che male nei loro slanci d’amore puro e così, contro ogni evidenza, cercava di convincersi che lo spreco di profumo prezioso da parte di Maria non fosse disinteressato, che ella mirasse in realtà a dare soddisfazione alla propria lussuria. Sta cercando di circuire Gesù e Lui non glielo impedisce: ecco il pensiero che Giuda cercava di rafforzare come pretesto per il suo sdegno. Alla fine non riuscì più a contenersi e manifestò pubblicamente il proprio dissenso, commentò il comportamento di Maria ma la sua critica era rivolta a Gesù, che non si sottraeva all‘adorazione di quella donna. «E Gesù allora disse: “Lasciala fare”».

CAMILLO FORNASIERI:
Adesso chiederei ad Attanasio, l’altro autore, un suo intervento anche perché abbiamo ascoltato le parole del suo commento, così puntuale e anche così diverso dalle parole che spesso leggiamo e sentiamo a commento dei vangeli.

GIANLUCA ATTANASIO:
Sarò breve. Come già diceva don Massimo, l’incontro con don Giussani è stato l’incontro anche con san Giovanni. Quando Giussani leggeva le parole di san Giovanni, le riviveva, non leggeva semplicemente. Quando ci leggeva i discorsi di addio durante il Giovedì Santo, negli anni dell’università, quelle parole non erano estranee alla nostra vita perché le vivevamo dentro le comunità del movimento. Quest’esperienza di vivere le parole raccontate nel vangelo di Giovanni, e non solo, si è rafforzata potentemente nei più di vent’anni che ho vissuto nella Fraternità San Carlo, per la grazia che ho avuto di condividerle con don Massimo e di poterlo aiutare nella fondazione della Fraternità. E la prima regola della Fraternità San Carlo, che è una società di vita apostolica cioè che desidera vivere come gli apostoli, è ovviamente il vangelo. Tante volte lo abbiamo riletto insieme, tante volte ne abbiamo parlato e ad un certo punto, dopo vent’anni, è nato in me il desiderio di scrivere questo testo per rendere partecipi altri della grazia che ho vissuto e che vivo di questa avventura straordinaria che è l’avventura della Fraternità San Carlo e del mio desiderio di poter guardare sempre di più alla vita degli apostoli con Gesù, alla vita delle donne con Gesù, alla vita di Maria con Gesù. Lo scrivere è stata l’occasione di scoprire in maniera ancora più grande tutta la grandezza che mi è stata donata in questi anni e lo scrivere un dialogo col vangelo è stato il tentativo di comunicare quello che per grazia mi è stato dato di vivere, che spero di approfondire sempre di più.

S. ECC. MONS. MASSIMO CAMISASCA:
Leggendo la Scrittura, non è mai la stessa cosa. Ogni volta che si legge, anche lo stesso testo, non è mai la stessa cosa. Vorrei farvi soltanto un esempio di questa frase di Gesù: “I poveri li avrete sempre con voi, Me non sempre”. Io ho letto, forse per 40, 50 anni questa frase, e, anche dal punto di vista della grammatica italiana, quel ma, che come insegnavano nelle scuole elementari ha un senso di avversativo, in realtà qui è, sì, avversativo, ma in realtà ho capito che quel Gesù voleva dire era un’altra cosa, e cioè che i poveri che avrete sempre con voi, cioè gli uomini feriti, gli uomini indifesi, gli uomini violati e violentati, gli uomini disperati, questi saranno il sacramento di Gesù nella nostra vita. Li avrete sempre con voi, ci sarà una strada sicura, l’eucarestia, la Scrittura, i poveri. I poveri sono veramente un sacramento di Cristo in mezzo a noi e noi siamo un sacramento di Cristo per gli altri, nella misura in cui riconosciamo la nostra povertà, il nostro bisogno di Dio, il nostro bisogno di perdono, il nostro bisogno di guarigione. Ecco come dentro le parole del vangelo in modo particolare, della Scrittura in generale, noi possiamo scavare infinitamente e trovare sempre nuove perle.

CAMILLO FORNASIERI:
Ascoltiamo ora un ultimo esempio di parole scaturite da questo lavoro dei due autori, due amici, a due mani. Anche la presenza di Sandro Lombardi non è casuale, non è un attore che passava di qui, ma nasce da relazioni. Dal cuore della Fraternità nascono incontri, amicizia, cammini personali, e dunque queste parole le riascoltiamo, nella parte che forse può dire anche a noi oggi, che siamo giovani o adulti, grandi o vecchi, come si può rinascere di nuovo. E’ una notte limpida, è un uomo pieno di curiosità e di una certa previsione che va a chiedere qualcosa a Gesù: è la notte di Nicodemo.

SANDRO LOMBARDI:
«Era una notte limpida, dall’aria frizzante leggermente agitata da una lieve brezza proveniente dal mare. Nicodemo percorse velocemente il sentiero illuminato dal chiarore della luna, ma giunto in cima alla collina si dovette fermare. Si rese conto di avere smarrito il suo proverbiale dominio di sé, una forte inquietudine si era impadronita di lui, una agitazione insolita, difficile da contenere. Provò a respirare lentamente per riprendere il controllo delle sue emozioni. Disse a se stesso: “Coraggio, non hai nulla da temere, a quest’ora della notte nessuno ti vedrà, nessuno verrà a sapere di questo incontro”. E riprese a camminare spedito ed entrò nel giardino di cui gli avevano parlato. Ai piedi degli ulivi ardevano le braci. Gli apostoli avvolti nei loro mantelli dormivano profondamente sdraiati sotto gli alberi. Qualcuno russava pressantemente. Solo Gesù era sveglio insieme a uno dei suoi discepoli ma non sembrava stessero parlando. Nicodemo si avvicinò timoroso, facendo attenzione a non fare rumore. Gesù lo vide e gli fece cenno di avvicinarsi. Lo accolse con grande gentilezza. Allora Nicodemo si fece coraggio e, senza perdersi in preamboli, gli parlò. “Rabbi sappiamo che sei un maestro venuto da Dio, nessuno infatti può fare i segni che tu fai se Dio non è con lui”. Gli rispose Gesù: “In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio”. Nicodemo aveva subito capito di essere di fronte ad un uomo buono, tuttavia non riusciva ad afferrare il senso di ciò che gli diceva. Che cosa significava vedere il Regno di Dio? Cosa significava rinascere dall’alto? E domandò dunque a Gesù: “Come può un uomo nascere quando è vecchio, può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?”. Gesù lo guardava come uno che non ha fretta e gli disse: “In verità, ti dico, se uno non nasce da acqua e da spirito non può entrare nel Regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: Dovete rinascere dall’alto”. Poi fece una pausa affinché le suo parole non scivolassero via troppo rapidamente. Per qualche istante sembrò ascoltare la brezza fresca che accarezzava i rami degli ulivi, poi aggiunse: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce ma non sai di dove viene e dove va, così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Questa risposta giunse alle orecchie di Nicodemo ancora più incomprensibile della precedente. Era una frase oscura, simile a quelle che Gesù aveva pronunciato pochi giorni prima quando aveva profetato che sarebbe stato in grado di ricostruire il tempio in tre giorni. Ma allora lo stupore di Nicodemo si trasformò in sconforto. “Come può accadere questo?” domandò scettico. Non era un ragazzino, sapeva il fatto suo, ma ora le parole di Gesù destabilizzavano tutte le sue certezze. Quel rabbino si spingeva oltre tutto ciò che Nicodemo aveva mai pensato, pretendeva che la ragione si innalzasse ad altezze mai immaginate, presso vette sulle quali era impossibile resistere alle vertigini. Certo, da quelle cime si doveva godere di uno spettacolo magnifico, ma non c’erano più appigli e lo strapiombo era profondissimo. “Vuoi entrare nel Regno di Dio? Devi nascere dall’acqua e dallo Spirito”, aveva detto Gesù. Certo che Nicodemo avrebbe voluto entrarvi, come qualsiasi vero ebreo, ma era poi possibile? Solo il Messia atteso avrebbe potuto ristabilire ogni giustizia ed instaurare il regno promesso. Lui, quando sarebbe venuto, avrebbe parlato in modo chiaro, comprensibile a tutti, non avrebbe usato espressioni oscure, non avrebbe detto: “Il vento soffia dove vuole”. Cosa mai significava una frase tanto vaga? Lo stesso Mosè non aveva formulato una legge ambigua. Aveva additato una via sicura per Israele, una strada precisa che non si poteva equivocare. Nicodemo sentiva l’obiezione farsi largo dentro sé e per questo replicò con decisione: “Come può accadere questo?”».

CAMILLO FORNASIERI:
Ecco, i capitoli sono vari, affrontano tutte queste figure, penetrano dentro l’esperienza cristiana, per cui è un invito che accogliamo con grande favore quello di invitarvi a leggere. Potrete trovare il libro qui all’uscita o in libreria. E adesso ringraziamo i nostri ospiti e chiamo i protagonisti della successiva proposta, Marco Bardazzi, mentre Sua Eccellenza monsignor Massimo Camisasca rimane qui con noi per presentare il secondo libro. Grazie, Attanasio.
Adesso è il momento della rivista Oasis che, se volessimo trasporlo in letteratura, assomiglia ad un racconto breve, vale a dire che non è né un romanzo lungo né un articolo di giornale, è appunto una rivista, anche di bel formato ampio, che per la prima volta al Meeting di Rimini presentiamo, nonostante questo anno sia il nono di lavoro e di edizione. Oasis è l’oasi, quel luogo in cui le persone si possono incontrare tra un villaggio e l’altro, spazi vuoti e immensi del Medio Oriente o anche degli altri luoghi del mondo, caratterizzati soprattutto dal fatto che, prima di entrarvi, si depongono tutte le tensioni di potere che contaminano il vero, il possibile incontro del vero, della verità e quindi di colei che porta la verità, come tensione o come desiderio o come certezza, cioè la persona, le persone. Questa rivista è nata sotto l’idea e la spinta del patriarca Angelo Scola quando approdò a Venezia, e si è trasposta adesso anche nella diocesi di Milano, dove il Cardinale Scola è Arcivescovo della città. È nata, questa esperienza, perché la rivista è il frutto dei colloqui internazionali, incontri reali tra persone, dedicati soprattutto al dialogo fra cristianesimo e musulmanesimo e alla vita dei cristiani nelle terre d’Arabia, del Medio Oriente e dell’Oriente inoltrato. È un semestrale e vogliamo oggi riuscire a captare l’importanza di questo lavoro e di questa rivista. Abbiamo qui tra noi ancora Sua Eccellenza Massimo Camisasca che, anche come Vescovo di una città importante dell’Italia, vede e vive la realtà del nostro Paese come dei Paesi dell’Europa, dove l’altro non è più altrove ma è qui tra noi, e dove il tema del dialogo e della conoscenza è diventato primario e mette alle strette e alla prova i grandi discorsi o i grandi principi e fa emergere se esista veramente la possibilità della testimonianza, cioè della conoscenza reciproca, che può fondare realmente la convivenza tra le persone. Lo fa partendo dal fatto che se uno è chiamato a dare ragione di quello che è scopre la verità e può scoprire anche un’amicizia reale con l’altro, laddove il dialogo è, nella vulgata dei media, una specie di territorio neutro, inutile, e alla fine non ci interessa. Invece qui c’è succo, c’è materia, c’è sangue e c’è vita, sia perché le cose scritte nascono da contatti reali e veri, sia perché c’è possibilità anche di incontrarli in una forma estesa, profonda, ma anche legata ai temi attuali. Abbiamo poi con noi Marco Bardazzi, amico del Meeting, che lavora per il Meeting sui social network. E’ caporedattore centrale de La stampa ed è nel comitato editoriale della rivista. Io do la parola per primo a Massimo Camisasca perché approfondisca un po’ anche quello che ho solamente accennato, di questo strumento necessario perché poi leggere fa rimanere le cose. Mentre noi spesso parliamo in modo generico di questioni, la particolarità di volti, testimonianze, riflessioni, pareri, scoperte, sono documentabili solo in un lavoro serio e specifico.

S. ECC. MONS. MASSIMO CAMISASCA:
Io ho seguito la realtà di Oasis fin dalla sua nascita, da questa intuizione profonda che ha avuto il cardinal Scola a Venezia, di interpretare il suo episcopato come ponte: ogni Vescovo è pontefice, quindi ogni Vescovo dovrebbe essere ponte, ma lui, proprio perché a Venezia ha sentito particolarmente la vocazione ponte di questa città, della storia di questa città, ponte fra oriente e occidente, fra occidente e mondo greco, ponte fra occidente e mondo islamico, ha cercato di coagulare questa funzione di ponte, di incontro, in questa rivista. Quando penso a una rivista di questo tipo, a che cosa penso, e che cosa, a mio parere, vuole testimoniare e a quale bisogno vuole far fronte? Ecco, in questo mio primo intervento vorrei parlare proprio di questo, a quali bisogni fondamentali noi ci troviamo a rispondere. Che cosa provo guardando la gente che vedo tutti i giorni, la gente della mia città, della mia nuova città, di Reggio Emilia, la gente che incontro per le strade, perché giro molto per le strade della mia città, che è una città profondamente multietnica, sia nel senso dell’oriente ortodosso, sia nel senso dell’Islam? Innanzitutto, guardando i volti della gente, della gente reggiana e poi anche degli altri, vedo una necessità di conoscenza. È paradossale, questo, se ben ci pensiamo, perché noi dovremmo vivere in un’epoca della conoscenza, in cui le notizie dovrebbero essere a portata di mano, di schermo, di tablet. Le notizie sono in ogni momento del giorno non più relegabili al giornale del mattino o, come un tempo a noi più vicino, ai telegiornali, che poi si sono moltiplicati durante la giornata: sono ormai istantanee. La gente è bombardata di notizie, ed è proprio questo che fa riflettere: forse questo bombardamento di notizie e questo bombardamento di immagini ci allontana dai fatti, e perciò in realtà, invece che favorire la conoscenza, ci allontana da essa. Un po’ perché, molte volte, queste notizie sono in realtà selezionate e si dà la prevalenza a notizie che debbano colpire, che debbano scioccare: proprio perché sono molte, dobbiamo cercare di renderle evidenti, di renderle impressionanti, di colpire, di bucare: ma così si finisce talvolta per stordire e per disorientare. La frase di Gesù nel vangelo, “provo commozione di loro perché mi sembrano come pecore senza pastore”, in realtà mi sembra si possa benissimo applicare anche a tanta gente di oggi, forse, dal punto di vista dell’informazione, anche a ciascuno di noi, anche a me, dove trovo dei pastori che possano aiutarmi a conoscere veramente, ad avvicinarmi ai fatti e a cercare le strade per leggerli.
Questo è un primo bisogno profondo: la gente ha bisogno di essere aiutata a comprendere il momento presente, è una necessità non superficiale, non intellettualistica, che riguarda quindi soltanto qualcuno, l’élite o certe persone. E’ la massa che è disorientata, è la quantità della gente che è disorientata, perché questo dell’orientamento del sapere come guardare e dove guardare, del sapere come leggere ciò che ci accade, è un bisogno di tutti. Non bisogno, quindi, di analisi sofisticate ma bisogno di orientamento nel leggere i fatti. Mi sembra, quando parlo con la gente, di trovare delle persone come dentro delle ragnatele, avvolte da ragnatele di cui non avvertono l’inizio e la fine. Questa pluralità di fatti, di immagini, entro cui si trovano e che sono veicolate dalla televisione, da Internet o dagli altri mezzi di comunicazione – penso ai social network – crea come una ragnatela di parole e colori di cui appunto non si sa l’inizio e la fine, che veicolano avvenimenti di cui sfuggono l’origine e la direzione. Non mi sembra di essere eccessivamente pessimista ma realista: sento un grande bisogno di conoscenza e un grande bisogno di orientamento. E non mi sembra di essere un passatista se dico che rimpiango i grandi editorialisti di un tempo sui giornali, rimpiango i grandi inviati che mi davano il senso, oltre che il racconto, di ciò che accadeva. Sì, un tempo c’erano le ideologie che sappiamo sono state anche fonte di grandi tragedie. Ma non c’erano solo le ideologie, c’erano anche gli ideali, i punti di vista forti che muovevano la vita, e c’era la politica, che oggi purtroppo è molto povera e molto debole. In taluni momenti, forse, c’è stata troppa ideologia, troppa politica e questo ha portato anche a drammi intensi, no? Penso al terrorismo in Italia, ma tutto ciò ci obbligava a pensare e a studiare.
Allora, io penso che oggi c’è questo grande bisogno di conoscenza e di strumenti che ci aiutino a conoscere, non solo cioè che portino a noi notizie, non solo che portino fatti, ma che ci aiutino ad orientarci fra le notizie e i fatti e fra ciò che sta accadendo. Dove va l’Egitto? Nessuno ha la risposta a questa domanda, però forse possiamo aiutarci, aiutare le persone a capire cosa sta accadendo, ad avere almeno delle letture. E perché si è arrivati a questo punto? Come mai colui che fino a due anni fa era il padrone indiscusso, poi è diventato il despota da punire con l’ergastolo e poi sembra verrà liberato domani o dopodomani? Ecco, cosa sta accadendo? Quali sono i moti della storia, almeno della storia più recente, che ci aiutano a capire le grandi immigrazioni di popoli, i grandi fenomeni per cui oggi il sud si sposta al nord e per cui il nord non riesce a trovare un suo volto, una sua unità, così da essere veramente e autorevolmente accogliente? Come mai si è perduto il gusto della storia e il senso della storia? Ecco, dunque sono tutte queste le linee in cui io vedo i percorsi positivi di una rivista come questa: aiutare a conoscere, aiutare a capire, aiutare a vedere le linee fondamentali di sviluppo della storia, aiutare al gusto della memoria, che è ben altra cosa che le commemorazioni e gli anniversari. Perché, vedete, se vogliamo progettare per il futuro dobbiamo recuperare il senso di ciò che è accaduto, di ciò che abbiamo alle spalle. Se voi leggete l’enciclica Lumen fidei – la cosiddetta enciclica a quattro mani, no? – trovate un’espressione formidabile: memoria futuri. La memoria guarda al passato nel suo essere presente e nella sua capacità di progettare ciò che verrà. A questa sete di conoscenza, chi può rispondere? Chi può aiutarci ad avere il senso della storia, ad avere il gusto della memoria? Purtroppo le agenzie – chiamiamole così – che dovrebbero soprattutto essere utili in questa direzione, si sono, strada facendo, molto indebolite: la famiglia dovrebbe essere il canale fondamentale di questa trasmissione.
Ero piccolo, sono nato alla fine della seconda guerra mondiale, mio padre era stato in campo di concentramento e ricordo i suoi racconti, ma io avevo tre, quattro anni e gli chiedevo: “Ma papà, che differenza c’era fra quella che tu chiami la seconda guerra mondiale e la prima?”. A poco a poco, mi veniva passato il gusto della storia, il senso della storia, la profondità della storia, che è il compito della famiglia, il passaggio di generazioni. O la scuola, l’altro agente che dovrebbe essere fondamentale in questa comunicazione del passato verso il futuro. E poi le comunità intermedie, fra queste metto dentro anche la Chiesa, metto dentro le parrocchie, metto dentro le comunità giovanili, anche i libri, i giornali, le riviste, i siti online. Le conoscenze spesso tolgono tempo alla conoscenza. Noi oggi abbiamo la possibilità di accedere a un numero infinito di conoscenze ma spesso la pluralità di queste conoscenze crea intorno a noi come un immenso prato di fiori di cui però fatichiamo a cogliere quelli più utili e quelli addirittura necessari per il nostro cammino. Ecco, che cosa chiediamo alla conoscenza? Vorrei riservare a un secondo intervento la risposta a questa domanda.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie, abbiamo iniziato a intuire molto bene questo rapporto tra il fenomeno impressionante dell’essere intercettati e pervasi da notizie e il tema delle agenzie, cioè dei luoghi che educano alla storia e alla conoscenza. E da questo punto di vista, il soggetto di cui oggi parliamo – la rivista che mi sta alle spalle – è decisivo per comprendere quale importanza abbia dentro le tematiche di oggi la convivenza. Chiederei a Marco Bardazzi di approfondire questo tema, visto che lui è giornalista, e che si fa tanta fatica a trovare lo spazio per la conoscenza reale di alcuni fatti. Dunque, qual è la sfida che sente, anche collaborando con la rivista?

MARCO BARDAZZI:
Certo, grazie, penso che il progetto Oasis non potesse avere una migliore inquadratura della riflessione che monsignor Camisasca ha appena fatto sul bisogno di strumenti di conoscenza. Ovviamente, mi sento un po’ chiamato in causa, anche provocato, perché finisco sul banco degli imputati, lavorando io per un grande giornale, occupandomi molto di social media. Ma il problema è che mi trovo fondamentalmente d’accordo, pur essendo sul banco degli imputati, quindi raccolgo la provocazione su di me sapendo che la condivido con i miei colleghi, perlomeno in quella parte del mondo del giornalismo che si interroga sulla grande frammentazione che oggi viviamo nell’informazione. Non siamo mai stati così potenzialmente informati come oggi, non abbiamo mai avuto nella storia del mondo, a disposizione, strumenti per informarsi così capillari, così accessibili, così immediati come quelli che abbiamo a disposizione oggi. Eppure, possiamo dirci più informati del passato? Quando Sua Eccellenza ricordava i grandi inviati, i grandi giornalisti, ha colto nel segno, c’era magari prima una minore diffusione dell’informazione, c’erano meno firme ma c’era senz’altro un valore aggiunto, un contenuto di tante informazioni più chiaro da individuare. Oggi, l’informazione arriva da tantissimi canali, resta difficile trovare quegli strumenti di conoscenza di cui parlava prima monsignor Camisasca. Io personalmente trovo in Oasis un oasi, da questo punto di vista, anche per il mio lavoro.
Sono contento di essere stato coinvolto da alcuni anni dagli amici di Oasis per poter portare avanti questo tipo di lavoro che non è il lavoro quotidiano: ovviamente stiamo parlando di un semestrale, quindi i tempi sono assolutamente diversi. Però ha caratteristiche molto particolari che, secondo me, sono anche quelle cui deve attingere il miglior giornalismo per ritrovare quelle caratteristiche per ritrovare quella strada che è quella che indicava prima monsignor Camisasca e proverei a indicarne due: c’è bisogno oggi più che mai, più che in altri momenti della storia, di testimoni esperti, perché abbiamo tanti testimoni, proprio per quella mole di informazione che ci arriva da ogni canale, ma il testimone esperto è qualcosa di più. È qualcuno che può portare un tipo di valore aggiunto di riflessione che va oltre la semplice testimonianza e ci permette di camminare su quella strada della conoscenza che veniva indicata prima. C’è bisogno, insieme ai testimoni esperti, di un metodo; c’è bisogno di un metodo per raccontare la realtà, per stare di fronte alla realtà, che permetta di superare la frammentazione che ci rende oggi confusi anche nel dover trarre un giudizio su ciò che avviene.
Pensiamo alle vicende dell’Egitto, pensiamo a ciò che è successo soltanto poco tempo fa in Turchia, pensiamo a tutta la stagione che ha interessato i Paesi arabi in questo periodo. Ecco, il giornalismo è importante e continuerà ad esserlo per raccontare in presa diretta questi fenomeni, ed è importante che riscopra queste due categorie della testimonianza esperta e del metodo. Però il giornalismo ha inevitabilmente dei limiti: qui entra in campo una realtà come la fondazione Oasis, perché l’altro rischio che esiste è che, per superare l’immediatezza giornalistica, si scada in una sorta di intellettualismo, nel tentativo di spiegare fenomeni un po’ per addetti ai lavori e soltanto a livello accademico, perdendo quel contatto con la realtà e quindi quel metodo che dà un valore aggiunto. Io penso che la grande intuizione del cardinal Scola nel 2004, quando ha avvertito, da patriarca di Venezia, l’esigenza di provare a riflettere su questi temi, sul tema del rapporto tra il Cristianesimo e l’Islam, sul tema della presenza dei cristiani nei Paesi arabi, sul tema dell’interazione fra queste realtà che spesso si guardano a distanza, sia stata proprio partire da un metodo e dall’individuare testimoni esperti. Un metodo di amicizia, fondamentalmente: il Cardinale Scola ha riunito alcuni dei più grandi testimoni esperti che esistono in questo momento nel giudicare il mondo arabo e nel capire le dinamiche che avvengono nei vari Paesi, che sono tutte diverse e non sono necessariamente tutte assimilabili. Ma lo ha fatto creando un network, una rete di amicizia che, in questi quasi dieci anni, ha continuato a fare un cammino che non è soltanto un cammino di rapporti accademici, che sono importanti, di rapporti universitari, che sono decisivi, ma è un cammino di rapporto tra persone che si incontrano sotto la guida di una figura che è quella del maestro, in questo caso la figura del Cardinale Scola, e fanno un continuo cammino di conoscenza per tentare di decifrare ciò che stiamo vivendo.
Ecco, Oasis è tutto questo: il risultato è una rivista che è diversa da qualsiasi altra che voi possiate trovare, una rivista che produce un nuovo modo di giudicare la realtà, penso ad una delle più interessanti provocazioni che il cardinal Scola ha lanciato con Oasis in questi anni, che è il meticciato di civiltà, culture, una categoria che tenta di dire che cosa sta avvenendo e perché è così difficile viverlo, questo momento di incrocio tra le civiltà, le culture, che storicamente siamo chiamati a vivere. Oasis lo fa attraverso una rete di persone, soprattutto attraverso il racconto di quei cristiani che nei Paesi arabi ci vivono, non soltanto attraverso il racconto di noi che da lontano li osserviamo. Di quei cristiani che si definiscono arabi, di quei cristiani che nei luoghi dove oggi si combatte, vivono da duemila anni: ecco, è attraverso di loro che Oasis ha scelto molto spesso di raccontare quella realtà, mettendoli in contatto poi con gli esperti delle grandi università americane o con gli esperti che vengono dal mondo dell’Islam asiatico, che è una realtà spesso diversa.
L’esempio di questo metodo lo trovate in questo numero della rivista, che ovviamente è stato chiuso, essendo un semestrale, un po’ prima di ciò che vediamo in Egitto, eppure non perde niente della sua attualità. Questo numero in particolare, che trovate anche all’uscita, è mirato sul problema dell’economia, e l’economia è uno degli aspetti molto spesso trascurati per cercare di capire perché in questo momento, in piazza Tahrir o nelle altre zone del Cairo, accade quello che accade. C’è comunque un bisogno dell’uomo che va spiegato, che va approfondito, che è vero al Cairo come qua da noi. Se riflettiamo così tanto come facciamo sulla nostra crisi economica, non possiamo mettere da parte questo aspetto per riflettere su ciò che sta avvenendo nei Paesi arabi, come se lì le categorie fossero altre. La crisi economica ha un peso fondamentale anche in quello che stiamo vedendo là. Trovate in questo numero un profilo del Papa copto, del Cairo, che è un protagonista, suo malgrado, in prima linea in questi giorni in quello che sta avvenendo, ma è qui, è leggendo il racconto della sua vita, che si capisce l’importanza di quello che sta facendo e si contestualizzano le cose che vediamo la sera al telegiornale. Trovate degli spunti sulla Turchia che vi fanno capire meglio ciò che magari, con un flash di telegiornali o un articolo di giornale, vi hanno raccontato nelle scorse settimane e trovate una serie di spunti che vi proiettano oltre, vi fanno capire prima cose che, magari, sui giornali arriveranno soltanto quando esplodono. Perché il testimone esperto, messo di fronte alla possibilità di raccontare con i suoi strumenti le cose che vede, percepisce molto spesso cose che poi noi giornalisti arriviamo a capire soltanto quando purtroppo iniziano i rumori delle armi.

CAMILLO FORNASIERI:
Secondo tempo, Camisasca chiudeva il suo primo intervento con una domanda molto interessante, a cui adesso vuole rispondere: che cosa chiedo alla conoscenza? Perché questo mette in azione anche noi, come protagonisti, rispetto a quello che abbiamo sentito descrivere.

S. ECC. MONS. MASSIMO CAMISASCA:
Si, che cosa chiedo a queste agenzie di conoscenza di cui ho parlato prima? Perché, ripeto, c’è nella gente una forte sete di conoscenza e la disaffezione per esempio che la gente ha nei confronti della carta stampata non viene soltanto dalla nascita dell’online ma viene anche dalla delusione per non riuscire a trovare strumenti adeguati alla propria sete di conoscenza. Allora io penso che oggi, la gente, è chiaro che cerca innanzitutto pane, cerca lavoro, però cerca anche di capire come mai io ho perduto il posto di lavoro e come è possibile che lo riabbia, cioè che cosa sta accadendo, non solo nella macroeconomia ma anche nella microeconomia, perché io possa immaginare se qualcosa di positivo possa ancora capitare nella mia vita, nella vita della mia famiglia. Quindi, la gente ha bisogno di strumenti semplici per capire la storia vicina, per capire che cosa è successo, che cosa potrà accadere, che cosa ci ha portato fin qui e che cosa potrà portarci fuori dallo stagno, dalla difficoltà, dalla paura, dalla assenza di prospettive. E’ chiaro che non si tratta di letture apodittiche che non possono essere contraddette da nessuno, altrimenti cadremmo nell’ideologia. Si tratta di orientamenti, di aiutare la gente ad una propria lettura, ad avere un’opinione, a capire cosa succede. In secondo luogo, quali sono gli ideali in gioco: l’uomo è mosso sempre da desideri, possono essere desideri confessati o inconfessabili, raccontati o non raccontabili ma l’uomo è mosso sempre da desideri: allora, quali sono i desideri che oggi muovono più potentemente questa nostra realtà?
Concordo poi profondamente con quello che ha detto Bardazzi poco fa, e cioè testimonianze che ci facciano entrare nel merito di ciò che accade, un racconto che diventi un giudizio o che ci aiuti a un giudizio. E poi, aiutare la costruttività della speranza, cioè farci capire dove possiamo andare e come possiamo collaborare per fare un passo avanti. Faccio soltanto un esempio, quello della crisi economica: io personalmente cerco di informarmi, nei ritagli purtroppo molto ristretti del mio tempo di oggi. Sono stato bombardato da milioni di pagine cartacee e online, ho fatto una fatica terribile a capire qualcosa di ciò che stava accadendo, e dei punti verso cui si stava andando. Ma non avevo un posto di lavoro da perdere, lo perderò quando avrò 75 anni ma oggi non lo perdo. Incontravo gente che aveva perduto il posto di lavoro, la tragedia di imprenditori della mia diocesi che si erano impiccati a causa del fatto che le banche non davano più credito per la loro piccola impresa, sacrifici anche laddove non si arrivava a gesti tragici.
Ho incontrato imprenditori che hanno venduto tutto pur di salvare qualcosa della loro impresa, sacrifici per la loro famiglia, per il futuro immediato che si oscurava. Ecco quanto, in questi momenti drammatici, sia importante, per aiutare una costruttività della speranza, sapere anche leggere ciò che sta accadendo. Vedo un’ulteriore necessità, pensando alla gente che incontro tutti i giorni, che le conoscenze siano accessibili e che siano il più possibile semplici e semplificate, cioè che si dia alle persone la possibilità di capire cosa si legge – vi assicuro che nelle pagine di economia dei quotidiani è molto difficile capire ciò che si legge – secondo conoscenze che non solo siano semplificate (sembra una contraddizione ma non lo è) ma che rispettino la complessità della vita. Ho trovato molto interessanti e molte vere queste pagine di Oasis, per esempio il primo saggio della professoressa Beretta sull’economia, mosso da queste preoccupazione che la semplificazione non fosse cancellazione della complessità della vita dell’uomo e della molteplicità delle dimensioni della vita dell’uomo. Quell’oltre che lei ha cercato di mettere in luce nel suo articolo, per non ridurre l’uomo a homo oeconomicus, ma per mostrare che la verità dell’economia sta in una visione più globale di tutta quanta la realtà. Mi ha molto colpito positivamente, vorrei soltanto leggervi tre righe: “La ragionevolezza e la convenienza di uscire da tre riduzioni: l’innovazione economica, sociale e politica richiede soggetti geniali nel cogliere e tracciare nessi con gli altri, nell’intuire quello che non è evidente, nel guardare lontano nel tempo e nello spazio, sempre con i piedi per terra. A chi non è interessato alla dimensione del di più, alla dimensione simbolica, immateriale, trascendente, la realtà dello sviluppo continua a rimanere un enigma indecifrabile”.
Quindi, testi, articoli, contributi che mi aiutino a tenere presente la complessità della vita dell’uomo e la molteplicità delle sue dimensioni, e da ultimo che tengano presente la mondialità degli avvenimenti. Oggi non esiste più un avvenimento il cui significato può essere colto confinandolo al piccolo spazio in cui avviene, ogni avvenimento è mondiale, ha una ripercussione sul tutto e deve essere colto con la totalità della storia presente. Quindi, semplicità, molteplicità, non ridurre l’uomo a homo oeconomicus, a homo politicus, a macchina, cogliere l’uomo nella pluralità delle sue esigenze e poi credere fortemente. Ecco, è questo, se dovessi ricondurre a una frase soltanto, se mi chiedeste di dire in una frase Oasis, io direi così: la libertà si ribellerà e creerà nuove correnti di storia. Grazie.

CAMILLO FORNASIERI:
Chiedo a Marco Bardazzi un breve finale per iniziare a cogliere questo strumento e anche per cogliere questo numero.

MARCO BARDAZZI:
Tre parole per dire semplicità, molteplicità e questa frase molto bella sulla libertà: mi sembra già riassumano in pieno il senso della rivista. Onestamente non vi posso promettere che ogni articolo della rivista che leggete risponda al criterio della semplicità e che in ogni caso non siano contenuti anche densi, però è veramente una guida per approfondire tutto, una serie di temi che ci sentiamo arrivare addosso oggi, difficili da mettere in un contesto. Ci terrei a segnalare che la rivista semestrale è in inglese, in arabo, in francese, ha quindi anche una funzione missionaria non secondaria, è parte di un insieme di iniziative che possono essere strumenti utilissimi per voi, per compiere questi passi che monsignor Camisasca indicava. C’è un sito molto ricco, gli amici Maria Laura e Martino Diaz di Oasis, che sono qua, lo curano con costanza quasi quotidianamente, c’è una newsletter a cui potete abbonarvi via e-mail, che vi dà il meglio della stampa mondiale e quindi vi aiuta a scegliere dei testimoni esperti, in questo momento di confusione generale, ci sono una serie di eventi che vengono organizzati da Oasis, c’è una colonna di libri che permettono di approfondire questi passaggi: ecco, tutto insieme dà un quadro di che cosa sia questa oasi, dove andare ad abbeverarsi con una modalità diversa da quello che, molto spesso, è un deserto informativo che ci lascia con la bocca asciutta.
CAMILLO FORNASIERI:
Un’ultima connessione qui dal Meeting: abbiamo lanciato un appello per i cristiani perseguitati nel mondo. Questo tema della conoscenza, della loro testimonianza, del loro stato di vita, che compare in questo lavoro della rivista, è un elemento a sostegno di quest’appello perché non finisca solamente in una firma ma consista nel conoscere, nel sapere, nel far venire il gusto di incontrare e di pregare per loro, nel far venire il gusto per una convivenza sempre più umana e vera con chiunque. Grazie ai relatori, all’uscita trovate gli strumenti per abbonarvi. Grazie e arrivederci alle sette.
Trascrizione non rivista dai relatori

Data

19 Agosto 2013

Ora

15:00

Edizione

2013

Luogo

eni Caffè Letterario A3
Categoria
Testi & Contesti