IL FUTURO DELLE CITTÀ

Partecipano: Gianni Alemanno, Sindaco di Roma; Sergio Chiamparino, Sindaco di Torino. Introduce Emmanuele Forlani, Coordinatore Segreteria Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà.

 

EMMANUELE FORLANI:
Buonasera, benvenuti a tutti. Diamo inizio a questo incontro, come avete visto è cominciato nel migliore dei modi. I fotografi lo hanno potuto immortalare. Io come recita il mio regolino, non sono Doninelli, – Doninelli non è potuto venire per motivi personali all’ultimo minuto – introdurrò dunque io questo incontro dal titolo “Il futuro delle città”. I nostri ospiti non avrebbero bisogno di presentazioni, lo faccio ugualmente, se non altro per dovere di ospitalità, il Sindaco di Torino Sergio Chiamparino e il Sindaco di Roma Gianni Alemanno. Il futuro delle città, come dicevo è il titolo di questo incontro, e in questa brevissima introduzione che intendo fare desidero sottolineare alcuni appunti, alcuni spunti che proprio in una occasione come quella del Meeting ci interessa poter approfondire con loro. Il Sindaco di Roma Alemanno è già stato ospite del Meeting in altre occasioni e il Sindaco Chiamparino, che ringraziamo per avere accettato l’invito, penso sia la prima volta che venga al Meeting e doppio è il ringraziamento per questo. A entrambi io vorrei chiedere alcuni elementi, innanzitutto per parlare del futuro delle città ritengo indispensabile poter chiedere a loro che amministrano delle città sicuramente non piccole, delle città importanti, con una loro storia, quale è l’identità di una città, come, se questo è il compito del Sindaco, si costruisce o si favorisce la costruzione di un identità di una città. Il sindaco Chiamparino già da diversi anni fa il Sindaco. Il Sindaco Alemanno da un anno. Entrambi sono occupati su questo. Mi interessa poter chiedere loro che cosa significa appunto l’identità di una città che, prima ancora che essere una struttura istituzionale, è una comunità. In secondo luogo quali sono le emergenze che riscontrano o che hanno riscontrato, o che intendono mettere sul piatto come elementi determinanti per lo sviluppo di una città che guarda il futuro. In terzo luogo, visto che siamo al Meeting di Rimini e il tema della sussidiarietà i non è nuovo in questo Meeting, ormai non è nuovo neanche nel dibattito politico nazionale e internazionale, ecco la domanda che mi sta a cuore è appunto chiedere loro se il principio di sussidiarietà, di cui tante volte abbiamo discusso, è un elemento centrale o secondario, è un elemento che funziona o non funziona nell’amministrazione di una città. Ecco io penso che, per tutti gli ospiti di questo Meeting, per tutti noi che siamo in questo incontro, sia stato e sia particolarmente determinante l’impatto con quello che c’è al di là di questa sala, cioè con quello che c’è all’interno del Meeting. La costruzione di opere, la costruzione di realtà che vengono appunto esposte e rappresentate al Meeting non come cose statiche ma come cose vive, dimostrano di una ricchezza umana, di un impeto umano in cui la libertà, il tentativo di costruire inevitabilmente ha a che fare con le istituzioni, inevitabilmente ha a che fare con il potere, ha a che fare evidentemente anche con i sindaci. Ecco, questo spazio di libertà, queste opere dal banco alimentare che entrambi immagino conoscano perché sia a Roma, sia a Torino è una realtà importante, a tante altre che ci sono. Ecco, il tema della sussidiarietà c’entra, in che misura c’entra e che cosa significa nella guida appunto della loro amministrazione. Inizierei con il Sindaco Chiamparino, al quale rinnovo il ringraziamento per avere accettato l’invito.

SERGIO CHIAMPARINO:
Grazie a voi per l’invito che ho accettato con grande piacere. E’ la prima volta che sono qui. E’ stato per me un piacere trovarmi di fronte a questa realtà di popolo perché io credo che sia sempre nelle realtà di popolo che poi emergono, a volte in termini contraddittori, a volte in termini più lineari, però emergono le questioni vere sulle quali deve misurarsi la politica. Sul tema che ci è stato assegnato, io porterò l’esperienza di Torino, perché credo sia la cosa migliore, come diceva il nostro moderatore, introduttore. Io faccio oramai il Sindaco da otto anni, quindi credo che il contributo migliore che posso portare ad un dibattito che parla del futuro delle città, è cercare di raccontare, seppur rapidamente, cosa abbiamo, cosa ho cercato di fare per ricostruire, per contribuire alla costruzione di un’identità e per cercare di dare un futuro a Torino. Quello che noi abbiamo cercato di fare, ne parlavamo prima con Gianni Alemanno così chiacchierando prima un attimo, prima del dibattito, abbiamo cercato intanto di costruire alcune linee strategiche lungo le quali orientare l’azione amministrativa. Torino credo sia la prima città in Italia, almeno una grande città in Italia, che ormai nel non più vicinissimo ’98 ha avviato la costruzione del piano strategico. Poi nel 2006 ha elaborato il secondo piano strategico. Perché parlo di questo? Parlo di questo perché in questa elaborazione si è fatto un grande sforzo, non tanto di elaborazione di linee di pianificazione, che sono un’altra cosa, cioè presuppongono qualcuno illuminato che cali sulla testa dei comuni mortali l’impresa dei cittadini, quello che si deve fare. Al contrario, con il piano strategico che cosa abbiamo cercato di fare? Ci si è interrogati su un problema che Torino aveva in tutta evidenza già allora davanti, cioè era una città sostanzialmente monoindustriale, monoculturale, che conosceva una crisi profonda di quella monoindustria, di quella monocultura, la trasformazione dell’industria fordista, insomma adesso non voglio dilungarmi in questioni che molti conoscono, stiamo parlando del ’98, diciamo l’industria automobilistica all’inizio degli anni ’90 conosce una crisi forse altrettanto profonda di questa attuale. Su che cosa ci siamo interrogati? Ci siamo interrogati su quali potevano essere i fattori sui quali investire per il futuro. Per fare questo abbiamo costruito il piano strategico, che non era un documento di programmazione, ma è stato, per usare un’espressione che adesso non si usa molto, un tavolo, un po’ grande devo dire, attorno al quale abbiamo gradualmente chiamato a raccolta tutte le realtà piccole, grandi, economiche e sociali, di volontariato e istituzionali che nell’area metropolitana torinese erano impegnate con dei progetti propri. Abbiamo cercato di capire attraverso la selezione di questi progetti, quali potevano essere appunto i fattori sui quali investire tutti insieme per il futuro. Quindi il piano strategico prima di tutto è servito a fare emergere, a mettere insieme realtà che spesso fino ad allora non si erano neanche parlate, anzi per dirlo ancora più chiaramente, delle realtà che, data la particolare struttura economica e diciamo pure di potere della realtà torinese, erano state sostanzialmente subalterne a quello che fino ad allora era, anche al di là delle sue intenzioni, il dominus delle realtà e cioè la Fiat. Questo ha consentito di far emergere due questioni, che erano poi le questioni sulle quali abbiamo investito. Cioè da una parte che una città come Torino non poteva pensare il proprio futuro tagliando e recidendo di netto le radici col passato e quindi con la sua storia, la sua cultura industriale. E quindi si imponeva la ricerca di una forma che consentisse di investire in maniera nuova sull’industria e in particolare sull’industria manifatturiera e dall’altra parte è emerso però quello che invece fino ad allora era rimasto sostanzialmente oscurato e cioè l’esigenza di valorizzare assai di più tutta quella parte della città che, volendo, si può genericamente mettere sotto il termine cultura, ma che in realtà è fatta di ambiente, è fatta di architettura, è fatta di beni culturali, è fatta di storia, è fatta anche, per usare un’espressione di un bell’articolo di Guido Martinotti di qualche giorno fa sul Corriere della Sera, di identità e di anima, che in qualche modo era andata perduta negli anni dello sviluppo industriale, diciamo dello sviluppo industriale di massa e della produzione di massa. E queste sono state le due linee strategiche lungo le quali l’amministrazione ha cercato di orientare gli interventi, cogliendo i problemi e le opportunità che si ponevano. Allora quali erano le opportunità? Le opportunità sono state quelle del ’99 quando, quindi appena il piano strategico nasce, quando Torino vinse l’assegnazione delle Olimpiadi invernali, nel 2006. Quella diventa l’occasione attorno al quale cercare di far convergere tutto l’insieme delle politiche degli interventi che stavano nel secondo ordine di questioni che ho detto, cioè la valorizzazione della città. E allora ecco che le Olimpiadi sono state un’occasione che, insieme al governo, insieme alla regione, perché poi non è stato uno sforzo soltanto della città, è stato uno sforzo collettivo, abbiamo sfruttato. Credo sia stata un’occasione nella quale si sia vista, se mi è concesso dirlo, l’Italia migliore, perché credo che di occasioni in cui l’Italia abbia fatto una bella figura, come ha fatto durante le Olimpiadi, non ce ne siano state poi moltissime e quella è stata sicuramente una, ma per quella scadenza siamo riusciti a traguardare e sostanzialmente a far coincidere una serie di altre iniziative. Penso alle opere di riqualificazione urbana, come la pedonalizzazione di piazze storiche, con la costruzione dei parcheggi sotterranei che consentissero contemporaneamente di entrare nel centro con le auto ma di vivere il centro storico in modo più, diciamo così, umano che non attraverso l’automobile. Penso alla realizzazione, della prima parte della metropolitana, che è paradossale, se volete, per una città in cui si parlava di metropolitana dal 1935, perché fu allora che scavando la Via Roma fu lasciata già, diciamo, l’intercapedine fra il manto stradale e le fondamenta, proprio già pensando a una linea di metropolitana. Per una città ripeto in cui si parlava dal 1935, l’idea che con il 2006 si potesse finalmente viaggiare per 10 km in metropolitana è stato un successo, diciamo è stato un elemento che ha fatto scattare un’identità, un forte elemento di orgoglio e di appartenenza. Quindi abbiamo cercato di fa coincidere con le Olimpiadi una serie di altre iniziative, tutte volte nella direzione che dicevo prima, cioè riqualificare la città, valorizzare i beni, come per esempio la riapertura di Palazzo Madama, dove adesso c’è il Museo di Antichità, che era un palazzo chiuso da diciotto anni, in Piazza Castello. Quindi abbiamo cercato di cogliere l’opportunità delle Olimpiadi per questo, e devo dire che il risultato è stato non soltanto un risultato in termini materiali, legato all’evento in sé ma è stato un risultato importante dal punto di vista di quella che io considero l’eredità più importante, cioè l’eredità immateriale, cioè l’aver lasciato nei torinesi la, come dire, la ricostruzione di un forte orgoglio di appartenenza alla città. Il fatto i poter dire Torino ha fatto le olimpiadi, le ha fatte bene e chi è venuto in città le ha apprezzate, ha apprezzato la città, ha fatto scattare dei meccanismi di identità e di orgoglio di appartenenza che sono una risorsa per lo sviluppo e sono una risorsa per far vivere le città non solo come insieme di cose ma come insieme di persone.
E questo credo sia l’eredità più importante che abbiamo avuto insieme a quella materiale, sulle quali siamo impegnati nella gestione che, come tutte le gestioni materiali, ha delle difficoltà, anche se devo dire, lo dicevo a Gianni prima, sono inferiori a quelle che temevo dal punto di vista pratico e materiale degli impianti olimpici. Poi l’altro grande intervento che abbiamo fatto è stato quello sulla Fiat, che appunto si lega all’altro filone che dicevo, perché nel 2002, non dimentichiamo che nel 2002 la Fiat stava chiudendo, e in particolare stava chiudendo lo stabilimento di Mirafiori, che per più di metà era uno stabilimento abbandonato, cioè con l’erba che cresceva sui tetti. Allora noi abbiamo, e qui dico noi perché è stata un’iniziativa presa essenzialmente dal Comune, dalla Regione, dalla Provincia, abbiamo fatto un accordo con la Fiat attraverso il quale, acquisendo una parte dell’area di Mirafiori, facendola diventare un’area industriale in cui rilocalizzare attività produttive legate all’università, abbiamo avuto in cambio la disponibilità, che poi si è concretizzata da parte di Fiat, a riportare delle attività produttive dirette all’interno dello stabilimento di Mirafiori. Nel 2003 Mirafiori, fino al 2004, era uno stabilimento per metà inutilizzato, oggi è uno stabilimento che invece torna a vivere di vita propria, non più solo di attività manifatturiere ma anche di attività direzionali che sono state portate, trasferite dall’Inghilterra a Torino e così via. Ho parlato di cose che abbiamo fatto, che sono costate, è facile immaginare, cioè non sono stati interventi di cui si sono fatti carico altri, si sono fatti carico anche altri, ma che sono costati investimenti, che sono costati indebitamento, che credo siano però serviti alla città, come dicevo, per cercare di introdurre elementi che guardino al futuro, senza però tagliare, anzi valorizzando, quelli che sono le radici della città e questo secondo me è il modo in cui si può guardare al futuro valorizzando, diciamo e ricostruendo forti elementi di identità. Ora, questo però pone una questione che io vorrei affrontare, che è questa: qual è oggi il grado, quanto la comunità italiana, il paese Italia, quanto scommette, quanto investe, quanto dà fiducia, quanto dà responsabilità alle città? Perché a me questo sembra un tema importante. Adesso ho raccontato succintamente, poi se vogliamo ci torniamo, la breve storia di Torino, perché mi interessava dare questo… Però, affrontiamo un tema generale: oggi è aperta nel paese quella che io considero un’importante e grande sfida autonomista e federalista. Mi sono battuto anche all’interno del mio partito, a suo tempo, perché non tutti erano convinti che questa fosse una sfida da accettare fino in fondo, mentre sono convinto che invece lo sia e per una ragione, perché credo che un nuovo patto di cittadinanza, che permetta di ricostruire anche un tessuto unitario del paese, non può che avvenire oggi partendo dal livello locale, ma non per ragioni, come dire, istituzionali, ma per ragioni che attengono al principio di responsabilità. Credo che il piano locale è l’unico luogo dove oggi puoi mettere in tensione e quindi misurare la responsabilità del governante, che ha responsabilità pubbliche, con la responsabilità del cittadino e qui io credo che il principio di sussidiarietà, su cui si invitava a riflettere, abbia molto da dire, molto da insegnare e sia un punto di riferimento fondamentale. Allora, se questa sfida autonomista come io ripeto e credo, è una sfida importante e vera, non per separare il paese ma per ricostruire un tessuto unitario che oggi invece è carente, ed è critico sotto molti punti di vista, io penso che ci sia bisogno in Italia di dare più fiducia, più peso politico istituzionale, più responsabilità alle città. Vedete, le città credo siano oggi il luogo delle imprese, in cui si concentrano, al tempo stesso, le risorse ma anche le contraddizioni dello sviluppo. Basta pensare all’ambiente, basta pensare alla coesione sociale. Le città sono quelle nelle quali si concentra, ad esempio, di più la risorsa, quella che io considero una delle risorse fondamentali per la crescita, cioè il capitale umano, perché l’università tende ad essere più attrattiva nelle grandi città, perché le grandi città, per il modo di vita che propongono, possono essere più attrattive di persone disponibili ad investire sul proprio pensiero, sulla propria conoscenza, a proposito anche del titolo del Meeting. Tuttavia però, problemi come la sicurezza, come la frammentazione sociale, come la qualità della vita, sono questioni che rendono più difficile fare questa scelta. Allora io credo che investire su questo serva alla comunità italiana, ma investire su questo oggi cosa vuol dire? Ripeto, abbiamo una sfida federalista e autonomista e al tempo stesso siamo il paese in Europa in cui i comuni da Roma, che è il più grande, a, non so, dico, Moncenisio, perché è vicino a casa mia, che è uno dei più piccoli sicuramente, perché ha novanta abitanti, da Roma a Moncenisio, siamo il paese in Europa in cui i comuni hanno meno libertà, hanno meno autonomia dal punto di vista fiscale e quindi finanziario. Allora è evidente che questa è una contraddizione che non può andare, che non può essere tollerata oltre. Abbiamo chiesto che il primo dei decreti attuativi della Calderoli riguardi esattamente questo, e io mi auguro che il governo, che si è impegnato in questa direzione, mantenga l’impegno. Vedremo quali saranno le proposte, però questa è la strada che noi dobbiamo percorrere, perché, ripeto, se non si dà, se non si ridà fiducia, se non si investe sulle città, quella straordinaria risorsa che le città contengono rischia di andare dispersa, in contrasto con quelli che sono gli interessi del paese. E l’ultima cosa che voglio dire è questa: bisogna investire, bisogna investire, dare fiducia, investire sulle città. Purtroppo io quando dico che a Torino, se tutto va bene, noi nel 2010 inauguriamo tutta la prima linea di metropolitana, dico una cosa che per la mia città è molto importante, ma di cui mi vergogno anche un po’, perché se penso che una città di un milione di abitanti inaugura, se tutto va bene e non avendo perso un mese di lavoro, la prima linea di metropolitana, quando in Europa ci sono città assolutamente pari a Torino, che hanno sette otto linee di metropolitana e, mutatis mutandis, il discorso vale per Roma, non è che sto facendo.., vale per Milano, vale … mutatis mutandis, beh dico, signori, noi qui abbiamo sul piano della mobilità, sui terreni che riguardano le questioni fondamentali della vita, nelle città abbiamo un terreno da recuperare, che richiede un investimento straordinario da parte del governo, qualunque sia il governo. Allora la proposta che abbiamo messo lì sul tappeto nella conferenza stampa, di una sorta di piano Marshall o con meno pomposità anche soltanto una sorta di nuova legge obiettivo, rigorosamente delimitata nei contenuti, non come l’altra volta che poi anche la strada per andare nei pascoli veniva messa nella legge obiettivo, e rigorosamente definita nei tempi, ma che consenta di avere percorsi speciali, finanziamenti fuori dal patto di stabilità per quelle opere che servono a ridare potenzialità alle nostre città e a recuperare almeno in parte il ritardo con l’Europa, io credo sia una scelta, sarebbe una scelta che, oltre ad essere un significativo contributo alla crescita e alla ripresa dell’economia, potrebbe anche essere, in un momento come questo, un segnale di fiducia in quell’elemento del tessuto del nostro paese che sono le città, che credo siano uno degli elementi vitali per la crescita materiale ma soprattutto per la crescita morale del nostro paese.

EMMANUELE FORLANI:

Grazie, grazie al sindaco Chiamparino, poi dopo se avremo tempo torneremo.., la parola adesso al sindaco di Roma Gianni Alemanno al quale aggiungo anche una domanda ulteriore che mi veniva in mente ascoltando la relazione, da cittadino: se l’imposizione fiscale che il comune può avere è semplicemente quella delle multe, ci auguriamo che arrivino finanziamenti o ci sia più liberta, perché altrimenti l’inasprimento che subiamo noi è quello, appunto, delle multe dei vigili urbani….

GIANNI ALEMANNO:
Ma le forme di tassazione occulta sono infinite non sono solo le multe… Allora, dunque innanzitutto grazie, lo dicevo prima in conferenza stampa, io a differenza di Chiamparino sono un veterano del Meeting, però quello che voglio dire, quello che mi impressiona sempre, è la capacità di rigenerazione di questo evento, di questo incontro, perché quando si arriva a trenta edizioni uno potrebbe pensare alla stanchezza, poi potrebbe pensare magari a un apparato ben oliato, ma, diciamo così, in qualche modo ripetitivo, invece la cosa impressionante, tutte le volte che si viene al Meeting, è sempre un’esperienza nuova, cioè una grande forza di rigenerazione e questo significa che non è solo organizzazione, non è soltanto bravura organizzativa, ma c’è a monte qualcosa di molto più forte che sono i valori, che sono le persone che si mettono in gioco in questo evento. Sulla questione delle città. Fermo restando che io condivido quasi tutto quello che ha detto Sergio Chiamparino – ci vedrete poco litigare in questo incontro, perché benché siamo di due schieramenti diversi, credo che ci siano insomma reciproco rispetto e poi anche una reale collaborazione. Dunque io volevo sottolineare questo, noi dobbiamo forse riflettere su quello che è il perché delle città, cioè a cosa servono le città, perché nascono le città. Ora le città sono fondamentalmente un grande, come posso dire, un luogo di attrazione, di catalizzazione di energie. Perché una persona viene in città? Perché si forma una città? Perché è una concentrazione di energie. In un territorio relativamente limitato si mettono tante persone, tante realtà, tante energie, tante attività, per fare in modo che questo generi nuova energia, nuove iniziative, insomma che ci sia proprio una sorta di condensatore di queste realtà. Allora il problema di fondo è che noi possiamo vedere questa condensazione che prende due strade diverse: o che ha un aspetto positivo di cui parleremo dopo o che come molto spesso accade nella nostra contemporaneità ha un effetto negativo. Cioè questa concentrazione invece di essere una concentrazione positiva di energie, di iniziative, di progetti e di relazioni, diventa un fatto di accumulazione di problemi, di difficoltà, di vivere male, il traffico, la mobilità, le tensioni sociali, l’aggressività, insomma tutto quello che spesso leggiamo sui giornali e che è il volto oscuro delle città. Allora io penso che noi dobbiamo cercare, proprio in questa fase, proprio nel momento in cui comunque è chiaro che le città sono decisive, è chiaro che nelle città, proprio perché sono un luogo di intensa relazione si crea l’innovazione, lo sviluppo, la ricerca, insomma c’è questa spinta verso il futuro – qui si crea il futuro dei popoli cioè nella realtà delle città – noi dobbiamo cercare di capire come indirizzare lo sviluppo, perché si può indirizzare su una strada negativa o su una strada positiva, sulla strada appunto di una relazione positiva o di una relazione negativa. Allora da questo punto di vista io credo che il tema della sussidiarietà sia obiettivamente un meccanismo che ci permette di trovare una strada o di trovare un’altra strada. Perché? Perché fondamentalmente se c’è un incontro di relazioni, se c’è un incontro tra persone, quindi tra identità e tra valori, la sussidiarietà impedisce che ci sia sostanzialmente una sovrastruttura costante, una sorta di pretesa da parte di chiunque della politica, dell’amministrazione, della burocrazia, di sovrapporsi a questa relazione e in qualche modo andarla a, diciamo così, comprimere. Noi dobbiamo fare in modo che il dato politico, il dato democratico sia come una sorta di punto di riferimento, una sorta di luogo in cui ci si può ulteriormente incontrare, ma che questo luogo di incontro non sia mai tale da schiacciare il ruolo delle persone, delle famiglie, delle associazioni. Vediamo un attimo meglio come. Si parlava prima di federalismo fiscale, perché è importante il federalismo fiscale? E perché è importante questa riforma? Perché? Il federalismo fiscale è come, in qualche, modo rompere il livellamento dei territori, fermo restando che ci sono i fondi di perequazione, che le aree in ritardo debbono essere aiutate, per le quali ci sono le risorse che devono in qualche modi aiutare i territori in ritardo di sviluppo. Avere il federalismo fiscale significa scommettere sui territori competitivi e sulle classi dirigenti responsabili. Io faccio l’esempio fra i territori e le famiglie. Immaginatevi, se ci fosse qua qualcuno che dicesse: tu famiglia produci poi dai tutto allo stato e poi lo stato ridistribuisce. Ovviamente tutti quanti diremmo: questo è comunismo, questo è un fatto negativo. Ecco, paradossalmente succede la stessa cosa per i territori, perché i territori di quello che producono, di quello che creano in termini di sviluppo, pochissimo gli rimane sul territorio, tutto viene rimandato alla fiscalità centrale dello stato, che poi in qualche misura ridistribuisce. Il risultato qual è? Il risultato è che non c’è un volano positivo, non vengono premiate le esperienze competitive, quelle trainanti e quindi alla fine la produzione di ricchezza, di sviluppo, di possibilità è livellata e i territori più competitivi non possono produrre più energie, più possibilità, che poi possono anche essere ridistribuite. Quindi il federalismo fiscale rompe questo livellamento e permette ai territori competitivi di avere una possibilità in più di fare sviluppo. Però c’è un riflesso ulteriore. Perché un aspetto negativo degli ultimi anni nelle città è stato il cosiddetto capitalismo municipale, cioè il fatto che le città, i comuni hanno moltiplicato tutta una serie di società che mettevano le mani dappertutto, nella cultura, nei servizi, nelle varie realtà di questo genere. Roma da questo punto di vista è un esempio insuperabile, noi abbiamo ereditato 81 società di primo e secondo livello, che mettevano le mani dappertutto, abbiamo un record di dipendenti, 61mila dipendenti del comune di Roma. Ma questo perché avveniva? Avveniva appunto per una cultura dirigista, ma avveniva anche perché il comune diceva: io che ne so, investo nel turismo, come faccio ad avere un ritorno di quello che ho investito sul turismo? Creo la mia società del turismo, la piazzo lì e quindi in questo modo cerco, spero, d’avere un ritorno dal punto di vista economico. Se invece noi applichiamo il federalismo fiscale, il comune si può più tranquillamente ritirare da queste varie realtà e sapere che c’è un ritorno fiscale rispetto a quello che viene generato dallo sviluppo e si può dare più libertà al mercato, alle imprese, alla società, alla società civile. Insomma è una spinta a fare in modo che i comuni, le istituzioni, non mettano le mani dappertutto e liberino ampie aree dalla società alla spontaneità, alla creatività, a quello che viene dal territorio, a quello che viene dalla società civile. Questo è un effetto di sussidiarietà. Il federalismo fiscale, se sarà realizzato ovviamente coerentemente fino in fondo, seriamente, diventa una grande occasione per realizzare la sussidiarietà orizzontale, la sussidiarietà in termini compiuti. Aggiungo un altro elemento. Io sono stato qualche settimana fa a New York e in genere uno pensa New York, la grande mela, la città dell’individualismo, delle opportunità e altre cose. Ma io sono rimasto impressionato dal fatto che, dopo l’amministrazione Giuliani, dopo l’amministrazione Bloomberg, c’è un fiorire incredibile di realtà di volontariato, di realtà di associazioni, di associazioni di vicinato, di varie realtà presenti in tutte le dimensioni, da quella sociale a quella ambientale. Ogni parco a New York è adottato da decine di volontari, da decine di associazioni, che fanno le donazioni, ed è un fatto spontaneo che viene dalla sociètà civile. Il famoso problema della sicurezza territoriale, il fatto che ci siano cittadini che possano contribuire. in accordo con le istituzioni. a fare sicurezza territoriale, a New York è una cosa che esiste da 10-15 anni, e che non genera tutta questa tragedia ideologica, questo inutile conflitto ideologico, ronde non ronde, come da noi. Il fatto che il cittadino possa contribuire in forme diverse al volontariato sociale, al volontariato ambientale, al volontariato per controllare il territorio, non crea problemi. Allora qual è il dato? Il dato è che noi dobbiamo mettere in movimento una realtà, una energia, che fa in modo che i cittadini possano in qualche modo risentirsi padroni in casa propria, ma non in senso di chiusura, non nel senso che sono padrone a casa mia perché ho chiuso le porte di casa mia e rifiuto l’altro, rifiuto l’ospite, ma nel senso di sentirsi attivi, di sentirsi in qualche modo nello stesso atteggiamento che si ha nella propria vita quotidiana dentro le case. Io, casa mia la tengo pulita, a casa mia vigilo che nessuno crei problemi o altre cose, perché devo chiudermi dentro casa e non sentire questa stessa attitudine nei quartieri, nelle realtà che vivo, nelle realtà,nelle dimensioni che noi abbiamo di fronte? Ecco io credo che da questo punto di vista bisogna partire da una idea di grande riappropriazione del territorio. E dico anche un’altra cosa rispetto a quello che è il grande problema delle periferie. In tanti anni le periferie sono state oggetto di iniziative di carattere urbanistico, di carattere diciamo così tecnico, ma in realtà le periferie, le aree più degradate hanno bisogno di piani d’intervento il cui dato urbanistico, il dato dello sviluppo dell’economia è strettamente integrato al dato della socialità, cioè chi si mette in movimento, le imprese che si mettono in movimento sul territorio debbono poter aprire risorse, possibilità a realtà che vengono spontaneamente dal territorio, in maniera tale che quando si crea un quartiere, o quando si bonifica un quartiere, quando si interviene su un quartiere lo si fa contemporaneamente sul versante urbanistico e sul versante sociale, andando a valorizzare esperienze vere, importanti, che stanno sul territorio. Io ho visto la mostra che è stata fatta su Napoli, qui al Meeting, che dimostra l’esperienza del Rione Sanità, che è una esperienza fatta spontaneamente da una realtà che fa riferimento alla Compagnia delle Opere e dintorni: è una realtà impressionante, perché quelle persone sono riuscite a rianimare, sono diventate la vita di quel rione, e l’hanno fatto senza nessun aiuto, senza nessun appoggio, anzi spesso con le istituzioni totalmente ostili. Se noi facciamo in modo che le istituzioni, invece di essere o ostili o in qualche modo indifferenti, comincino a dare spazio e creino dei volani di sviluppo che diano spazio, noi possiamo mettere in moto delle energie insospettabili, e fare in modo di rigenerare davvero queste città, questi quartieri che oggi sono non solo sono quartieri dormitorio, ma sono anche quartieri completamente privi di ogni identità, privi di riferimenti. L’importante è che ci sia la possibilità e la volontà di mettere al centro le esperienze vere, che non si faccia burocrazia, che non si facciano sovrastrutture, che si guardi in faccia la realtà del territorio. E infine voglio fare un discorso su quello che è il tema dell’intolleranza. In settembre faremo, e su questo si espresso anche il presidente della Provincia di Roma, una grande manifestazione e una fiaccolata, in cui deve essere chiaro un fatto, che la differenza tra destra e sinistra non deve essere tra chi è più tollerante e chi meno. L’intolleranza deve essere rifiutata da tutti, indistintamente, non c’è destra o sinistra da questo punto di vista. Ma c’è un fatto su cui dobbiamo riflettere: come si combatte davvero l’intolleranza? Spesso vedo messaggi in cui, per togliere l’intolleranza, bisogna o spegnere l’identità o diventare indifferenti. Credo che la cultura cattolica sia la più grande fonte di insegnamento, in cui si dimostra che si può essere profondamente legati in una identità ed avere da questa identità una apertura verso il prossimo. Perché se non ho dei valori, un radicamento in una visione antropologica, non ho neanche le energie da dare all’interno di una città. Qual è allora il punto che ci deve permettere di trovare un equilibrio tra questo dato identitario e la solidarietà? Credo che dobbiamo insistere molto su un principio importante, che è quello della reciprocità del dono, cioè la capacità di mettere sempre insieme la reciprocità tra diritti e doveri e rompere la retorica buonista ed il pietismo, per cui io non devo pretendere nulla, devo donare e basta, pura retorica, e non pretendere nulla dall’altro. Allo stesso modo dobbiamo rifiutare la retorica cattivista, altrimenti io per affermare me stesso devo in qualche modo essere aggressivo, negativo. Invece un fatto di reciprocità, ovvero io dono ma pretendo da te una risposta. A Roma abbiamo fatto qualcosa di simile con i nomadi. Dobbiamo mettere insieme la richiesta di integrazione e la legalità. Se ci muoviamo su questo terreno non ci sono problemi che non siamo in grado di risolvere, senza metterli in contraddizione bensì legandoli sempre insieme. Rispetto ai 150 anni della Costituzione Italiana nel 2011 abbiamo una grande occasione, perché noi dobbiamo utilizzare questo anno per mettere in sintonia il concetto di identità locale con quello di identità nazionale. Cioè dobbiamo uscire fuori da questa logica. Il dato centrale della nostra identità sono tutti i Comuni italiani. Allora facciamo in modo che questa occasione sia qualcosa in cui le identità locali siano messe in sintonia con il nostro essere italiani, che la patria italiana e le patrie europee siano basate sulle singole patrie delle città, campanili, perché se noi facciamo questo noi sprigioniamo una energia immensa, attraverso la sussidiarietà, il federalismo fiscale, l’autonomia dei territori e delle realtà locali, non solo sul versante dello sviluppo ma anche su quello della solidarietà. Noi mettiamo in gioco un’energia incredibile che ha la cornice complessiva dell’identità nazionale, ma riesce a presidiare bene i principi della cittadinanza. Questa è la realtà su cui infondere la speranza. Questa sfida che stiamo vivendo ci può far vincere la crisi economica. La crisi che stiamo vivendo è la crisi del grande globalismo, di queste grandi sovrastrutture tecnocratiche che hanno un carattere globale senza radici, appartenenza, valori, realtà. Se noi riusciamo di fronte a queste realtà a rimettere in moto le radici forti di cui sopra, noi la crisi non solo la sconfiggiamo, ma possiamo fare nascere un nuovo modello veramente basato sul valore della persona umana.

EMMANUELE FORLANI:
Vi chiedo una reazione sul titolo di questo Meeting, perché l’incontro del futuro delle città si trova all’interno del 30’ Meeting con questo titolo. Ieri Vittadini all’incontro con il sen. Draghi, faceva, a Lupi e Bersani questa domanda, collegando il titolo del Meeting alla riduzione della dinamica di conoscenza a moralismo, ad una visione ideologica della realtà. Tante volte si sente parlare di una neutralità, assenza di ideali, come se essi fossero la garanzia di una buona politica.

SERGIO CHIAMPARINO:
Il titolo evoca una grande verità, che sperimentiamo su noi stessi, infatti ognuno di noi quando conosce, capisce che dentro di sé c’è stato un avvenimento, è cambiato, e coglie un dato che è dentro di noi, è nella società e che cogliamo profondamente. La conoscenza è oggi la principale risorsa sulla quale noi dobbiamo investire, perché la conoscenza cambia, e siccome viviamo in un mondo che cambia, o noi siamo in grado di capire più noi, oppure rischiamo di essere messi a parte di questo mondo che cambia. Il titolo coglie quindi un elemento intimo del presente e denso di futuro. Circa la questione di Vittadini ci sarebbe da fare un bel seminario…. Io non credo che l’attenuazione anche della radicalità degli ideali è quello di cui c’è bisogno oggi in politica, che è capire e misurarsi sulla radicalità degli ideali che cambiano, ed è quello che spesso non si fa. Spesso la politica disegna, o cerca di disegnare la realtà che vorrebbe che ci fosse e non si misura con la realtà che c’è, ed entra in crisi in questo momento. E da questo punto devo dire la che la CdO di Torino ha dato un contributo significativo a quel concerto a cui facevo riferimento all’inizio, quando parlavo del Piano Strategico, perché ha consentito di capire che per esempio, nella Piazza dei Mestieri, la realtà dei giovani e la realtà dei processi formativi dei giovani non è sempre quella che le nostre teorie e le nostre idee vorrebbero che fosse. Che magari ci sono dei giovani che possono uscire dai percorsi di formazione dell’obbligo e che possono essere, se opportunamente ripresi e reinseriti, ricollocati e avviati ad una vita positiva sia dal punto di vista materiale che morale e umano. Noi vogliamo che la realtà porti sempre di più ideali di giustizia e di libertà. Da questo punto di vista ritengo che quello che c’è da fare da parte dei Partiti è avere la disponibilità ad aprirsi alla realtà, anche a quella che non capiscono, a misurarsi, ragionare, a cercare di costruire progetti e strade nuove che siano valide per loro stessi e tutta la società.

GIANNI ALEMANNO:
Io credo che il titolo rimandi ad un problema di fondo, che è anche nel Rischio Educativo ed è quello della difficoltà che c’è della conoscenza, perché troppo spesso noi riduciamo la conoscenza ad un fatto tecnico, ad un fatto materiale, un’accumulazione di dati ed ad imparare una serie di lezioni. Ecco, bisogna imparare questo valore della conoscenza come avventura, come incontro, come avvenimento, come qualcosa di più profondo. Ovvero, non si riesce a realizzare se non c’è un rapporto di amore, un ponte tra il soggetto che conosce e l’oggetto che viene conosciuto e viceversa, perché questo è quello che spesso manca. Io vedo sempre più spesso questa estraneità, che è il grande male delle città: si conoscono tante persone, si hanno tante relazioni, ma spesso e volentieri non c’è alcuna capacità di entrare dentro un’empatia più profonda. Credo che il titolo del Meeting rimandi a questa capacità di avere sempre di fronte a sé un avvenimento ed una sensazione profonda ed una coscienza. Se non c’è questo la conoscenza non ha valore aggiunto. Quando vedo polemiche rispetto alla Chiesa nel dibattito pubblico, rimango sempre profondamente perplesso, perché io non capisco da un lato che si chieda di avere una politica partecipata e coinvolgente, profondamente stimolante, e poi si possa pensare di lasciare i valori e chi ha valori da esprimere fuori dalla porta di questo dibattito. Io credo che anche per chi ha valori diversi sia fondamentale avere nel dibattito pubblico qualcuno che porti i propri valori, perché soltanto così escono fuori le cose, la politica e le scelte parlamentari diventano un fatto vero e profondo, perché c’è dentro il dibattito vero, la persona tutta intera nel suo io. In questo modo io uccido la politica e la democrazia. Questa è l’unica strada per dare forza alla nostra democrazia e mettere il popolo veramente dentro la democrazia, non lasciarla in mano a poche élites tecnocratiche, che pensano di avere la soluzione di tutti i problemi. Ma, come abbiamo visto nella crisi, quando mettono mano ai problemi li aggravano e generano vere e proprie tragedie. Grazie.

EMMANUELE FORLANI:
Il futuro delle città è in buone mani. Grazie a tutti.

Data

27 Agosto 2009

Ora

15:00

Edizione

2009

Luogo

Sala Neri
Categoria
Incontri