IL FUTURO DEGLI STATI: FEDERALISMO O DECENTRAMENTO?

Partecipano: Phillip Blond, Director of ResPublica; Jeb Bush, former Governor of Florida; Maurizio Lupi, Vice Presidente Camera dei Deputati. Introduce Marco Bardazzi, Giornalista.

 

MARCO BARDAZZI:
Buon giorno a tutti, il Meeting è alla penultima giornata della propria trentesima edizione, un edizione, ne sono certo, che verrà ricordata al lungo per la ricchezza di testimonianze ed eventi che si sono susseguiti fino a oggi e che hanno permesso di celebrare al meglio questo traguardo del trentesimo anno. L’incontro di questa mattina è un altro di quei momenti, di questi momenti, perché straordinari sono i protagonisti che abbiamo qui con noi e che confermano ancora una volta la voglia del Meeting di stare con gli occhi sul mondo intero. Ve li presento partendo dalla mia destra, da un personaggio che da mesi fa parlare molto di sé nel Regno Unito per le sue idee e per la sua influenza sui leader conservatori del suo paese e che il Meeting, a dire il vero, aveva gia scoperto in anticipo sui grandi media, invitandolo all’edizione dello scorso anno: il filosofo e opinionista Phillip Blond. Non ha bisogno di particolari presentazioni qui a Rimini, l’ospite alla mia destra che ha il Meeting di casa, il vice presidente della Camera, l’onorevole Maurizio Lupi. Se l’onorevole Lupi è un habitué e Mr. Blond è alla sua seconda edizione, il Meeting di Rimini è particolarmente onorato di accogliere quest’anno, qui con noi a Rimini, uno degli uomini politici più importanti negli stati Uniti, un grande protagonisti della vita politica americana in questi ultimi anni, con una esperienza di leader maturata per anni, guidando uno degli stati più importanti, più complessi e decisivi del paese. Diamo il nostro benvenuto a Rimini l’ex governatore della florida Jeb Bush. L’idea per questo dibattito è nata osservando i fenomeni che avvengono in questo tempo sui due fronti dell’oceano Atlantico. Negli Stati Uniti, la spaventosa crisi economica, esplosa in tutta la sua portata alla fine dello scorso anno, ha portato come risposta un deciso intervento del governo americano a tutti i livelli. L’amministrazione Obama ha impresso una svolta netta da questo punto di vista, intervenendo con un gigantesco piano di stimolo sull’economia, aumentando il controllo sulle attività delle banche, entrando direttamente anche nella gestione delle case automobilistiche. Avrete seguito probabilmente la vicenda Crysler e l’intervento della Fiat sulla Crysler, ed è ora al lavoro per realizzare un ambiziosa e costosissima riforma della sanità, un tema quest’ultimo che per altro quest’estate sta creando un intenso dibattito pubblico nel paese e divide in qualche modo il paese. Si è di fronte quindi, negli Stati Uniti, ad una espansione del ruolo del governo federale, che non si limita certo all’economia ma va a toccare anche gli ambiti culturali, educativi e della ricerca scientifica. Nello stesso tempo in Europa siamo di fronte a un costante aumento del peso delle scelte fatte a Bruxelles o a Strasburgo. Spesso non ce ne accorgiamo nemmeno ma le nostre vite sono sempre più regolate da norme decise a livello di Unione europea e quindi lontano dal dibattito di casa nostra. Su cento leggi pubblicate sulla Gazzetta ufficiale, ormai 78 sono esecuzioni di normative europee. In attesa che in Europa avvenga una reale integrazione politica ed economica, a decidere e a attuare tutto ciò, su questioni spesso fondamentali come la vita, l’educazione, i nuovi diritti, è l’Europa delle burocrazie. Ecco, di fronte a questo scenario, ci sta a cuore a capire di più, soprattutto conoscere esperienze e proposte per l’immediato futuro. Cominciamo quindi una sorta di viaggio sulle due sponde dell’Atlantico, che concluderemo poi puntando i riflettori sull’Italia con l’aiuto dell’onorevole Lupi. Partiamo da Londra, dalla Gran Bretagna, oggi sotto la guida del governo di Gordon Brown. Phillip Blond ha lanciato di recente un proprio think tank res pubblica e le sue tesi alimentano sempre più i discorsi e i progetti politici del leader conservatore, David Cameron. Mr. Blond please.

PHILLIP BLOND:
Grazie, è veramente un piacere per me e sicuramente anche un onore tornare dinanzi a voi, qui a Rimini. La crisi che ci sta colpendo, in particolare negli ultimi 18 mesi, è per me qualcosa che ha radici profonde, si tratta fondamentalmente di fenomeni che hanno portato all’accentramento dell’economia e alla centralizzazione dello stato. Questi due fenomeni ovvero lo stato centralizzato, l’economia centralizzata, si sono verificati nel Regno Unito grazie alla politica della sinistra e alla politica della destra e ciò che è mancato nel mio paese è una profonda comprensione del concetto di sussidiarietà politica ed economica. Per tanto è mia intenzione, in questo mio breve intervento, delineare come la sinistra, il partito laburista, attraverso lo stato centralizzato, abbia portato ad una democrazia di cui beneficia solo l’élite e come il partito conservatore, la destra, a causa di una scarsa comprensione dell’economia di mercato, abbia portato ad un economia centralizzata. Queste due cose forse sono per certi versi coincise, per portare poi a livelli di indebitamento la speculazione, che alla fine ha fatto crollare il modello anglosassone e ha aperto la strada a un sistema politico ed economico del tutto nuovo, nel quale la sussidiarietà dovrà svolgere un ruolo fondamentale. E’ mia intenzione parlare di una serie di aspetti che mi augurano possono avere interesse per voi e attinenza non solo per il mio paese. È evidente che noi stiamo vivendo un momento di cambiamento epocale nella storia politica del Regno Unito, proprio come c’è stato un cambiamento nel ’79 dal partito laburista all’elezione della signora Thatcher, che ha portato a un cambiamento totale rispetto alla Londra precedente, con la comparsa di qualcosa di nuovo, di rivoluzionario che ha cambiato completante lo stato britannico. L’attuale crisi del debito, che non ha precedenti, sta portando una simile rivoluzione nel mio paese. Nel ’79, l’elezione della signora Thatcher pose fine allo stato sociale; la crisi del 2008-2009 porterà alla fine dello stato-mercato e nelle prossime elezioni vedremo, speriamo, la nascita di quello che io definisco lo stato civico. Sappiamo quali sono state le cose positive e negative del welfare state coretto, perché costituisce una base sotto la quale le persone non possono scendere, una specie di rete di sicurezza che sostiene le persone che, per motivi di salute, di patrimonio, di fluttuazione di mercato, non sono in grado di sostenersi per un certo periodo di tempo. In fine è giusto, perché può garantire il benessere di tutti attraverso il bene comune universale e la piena partecipazione allo stesso da parte di tutti. Tuttavia sappiamo anche che il welfare è più valido come tetto che come soglia minima e condanna molte persone, un’intera classe, i più reietti della società alla povertà. Inoltre il welfare toglie il potere a chi ne è beneficiario. La filosofia del diritto distrugge il concetto di reciprocità e porta la frammentazione della cultura del povero, della pratica della classe operaia e non riesce a sostenere la popolazione, tanto meno le comunità, né sostiene lo sviluppo del benessere, della ricchezza, dell’indipendenza e dell’autosufficienza. Infine il welfare ha fatto sì che la sinistra si sia trovata a gestire quello che chiamo un capitalismo monopolistico, una modalità economica che va bene solamente per coloro che già ricchi sono e che hanno già un loro patrimonio. Questo tipo di stato sociale garantisce praticamente una discendenza continua, una sopravvivenza continua della classe media e mette in pericolo il futuro e non aiuta i poveri e naturalmente sostiene la classe media liberale che, spesso, trae massimo beneficio del welfare state ma teme per la perdita del proprio stato sociale e dei propri diritti alla mobilità sociale. Allo stesso modo sappiamo cosa sono le cose positive e negative dello stato-mercato. Chiaramente il mercato è più funzionale, è il miglior meccanismo per la distribuzione di molte risorse, più di quanto non lo sia lo stato. E’ chiaro che se potessimo entrare nel mercato e avessimo qualcosa da scambiare, il mercato creerebbe ricchezza, prosperità e indipendenza. Infine c’è il bene manifesto della libertà e se questo non si traducesse in realtà economica, saremmo sempre soggiogati dallo stato o dai cartelli privati. Sappiamo, per lo meno nel mondo anglosassone, cosa non ha funzionato nello stato-mercato. Troppo spesso nel Regno Unito, in America il monopolio di stato è stato criticato e esso è stato sostituito con ciò che io chiamo un cartello privato, per esempio con il crollo della TT, la stessa cosa per quanto riguarda il crollo della British Telecom nel mio paese. Spesso ciò che avviene è che il monopolio di stato è stato trasferito ad un monopolio privato, senza alcun reale beneficio per i singoli cittadini o i consumatori.
Nel mondo anglosassone, per lo spirito di demolizione dello stato, poco si è fatto per cercare di cambiare il mercato e in questo stato-mercato, in pratica, il privato ha sostituito il pubblico e in questo modo è stato completamente chiuso l’accesso a nuovi attori. In pratica, è stato negato l’accesso al mercato a molti britannici e in questo modo non hanno potuto nemmeno avere accesso al capitale d’investimento, quindi, la capacità di trasformare la propria vita, cambiare la propria situazione è venuta meno con la crisi, la gente è crollata verso il basso e non è salita verso l’alto. La nuova classe di oligarchi, con grandi capitali, pensavano che libertà di mercato fosse semplicemente il loro oligopolio. Il fondamentalismo di mercato è stato praticato in Gran Bretagna e nel Regno Unito, in realtà ha abbandonato i fondamentali di mercato. Praticamente non è stato più possibile promettere un boom e questo è avvenuto nel nostro paese con un cambiamento totale per quanto attiene all’atteggiamento speculativo in tutti i mercati mondiali. Nel Regno Unito i laburisti hanno fatto partire la disuguaglianza, abbandonando il resto dell’economia, lasciando aperte le porte alle speculazioni finanziarie e hanno utilizzato quanto hanno ottenuto da questa speculazione finanziaria per sostenere il welfare state e quindi questo stato-mercato della destra e lo stato welfare della sinistra si sono uniti in un’unica entità. Hanno creato un sistema il cui crollo è in corso, è più che evidente agli occhi di tutti. Il welfare state e lo stato-mercato sono due insuccessi totali. Il merito del nuovo rinascimento conservatore attuale in Gran Bretagna non è sfuggito ai più. Il partito laburista, nella sua crisi, sostiene che questo nuovo conservatorismo è una versione di movimenti passati e molti di coloro che vivono la crisi del partito laburista sperano che sia effettivamente così; sia i laburisti che i conservatori sembrano semplicemente auspicare un ritorno al vecchio status-quo, in cui l’economia funziona solo per il beneficio di alcuni e gli introiti vengono utilizzati per far funzionare lo stato. Il conservatorismo moderno, progressista, rifiuta questa posizione, vuole andare sostituire lo stato-mercato e il welfare state con lo stato civico. Lo stato civico ha lo scopo di combinare i benefici del welfare state e dei meccanismi di mercato, non favorendo uno a scapito dell’altro ma combinando i due. Questo nuovo approccio conservatore favorisce l’associazionismo rispetto alla nazione, la responsabilità rispetto all’isolazionismo, riconosce l’importanza delle comunità, dei singoli che devono essere sostenuti allo stesso tempo, come prevede l’agenda politica di David Cameron – egli è molto più radicale, se vogliamo, lungimirante, rivoluzionario di quanto i più possano pensare. E’ una soluzione al fallimento delle politiche del passato e ci consentirà di definire nuovamente il concetto di proprietà, sfuggendo al conflitto tra conservatori e laburisti e darà nuovo vigore, contro il solo monopolio dello stato, ai cartelli privati del mercato e questo consentirà di demolire le barriere che si oppongono alla partecipazione di mercato. E infine potrà ovviare alle conseguenze negative delle politiche del relativismo del passato. Ora, i conservatori in Gran Bretagna vogliono sottolineare l’importanza di nuove responsabilità e in tal modo sarà possibile definire un nuovo movimento conservatore, gettando le basi per un nuovo commonwealth. Non si può avere la moralità del singolo, la morale del singolo o la morale della comunità separatamente. Il nuovo ordine sociale darà importanza al singolo rispetto alla comunità, quindi alla luce della attuale crisi del mercato, del capitalismo vedremo nuovi movimenti e nuove tendenze per risolvere i problemi dei monopoli del passato. In particolare per quanto riguarda il sistema bancario, la cosa più importante, più necessaria è quello di definire una nuova economia politica in Gran Bretagna, creando nuovi paradigmi per il mercato e per gli scambi. Questa nuova economia conservatrice perseguirà il rimodernamento del mercato, la rilocalizzazione dell’economia e un nuovo potere d’acquisto per meno abbienti. Solamente un mercato ispirato all’architettura morale può essere sostenibile, come già disse Adam Smith. Quindi senza diritto, senza morale non avremo scambi, avremo estorsione invece di accordi e contratti, quindi è necessario superare una serie di prove e bisognerà collegare le politiche economiche alle politiche sociali. Quindi, questo nuovo conservatorismo dovrà essere in grado di offrire a tutti i vantaggi della ricchezza, i benefici, i vantaggi derivanti dal benessere economico e sociale. Dovremo liberarci dal dominio monopolistico della burocrazia statale, dall’influenza del mercato, ciò consentirà di ottenere l’indipendenza nella formazione della comunità e l’autonomia. In secondo luogo, è necessario dare maggior attenzione alla salute delle economie locali. In Gran Bretagna il mercato del lavoro soggiace alle grande imprese e ha generato delle città cloni, delle città fantasma, in cui i negozi sono o tutti uguali o assenti ed è stato creato un paradosso britannico, quindi si ha concorrenza senza competitore e questo favorisce certi modelli economici e il predominio dei grandi supermercati. Le piccole imprese sono schiacciate dal potere monopolistico delle multinazionali e vi sono grandi barriere all’ingresso del mercato da parte dei più piccoli e quindi non deve stupire che nella Gran Bretagna ci sia la minore percentuale di piccole, medie imprese di tutti i paesi OCSE. Le piccole e medie imprese, che milioni di persone normali posseggono, proteggono la ricchezza necessaria a queste persone e alle loro famiglie. L’attuale mercato le espropria e le riclassifica come membri a basso reddito della classe dei commessi di negozio, piuttosto che dei proprietari di negozio; è quindi necessario rinforzare le leggi programmatiche, riformando le basi tributarie locali e i conservatori in questo modo possono ripristinare l’economia e i capitali locali. Infine, un terzo obbiettivo del conservatorismo moderno e progressista è dare nuovo potere d’acquisto ai meno abbienti. Sotto il Regno del monopolio e nel Regno Unito, i poveri sono stati completamente privati di risorse. Nel 1976 la metà più povera della popolazione possedeva il 12% della liquidità nazionale, nel 2003 erano scesi al 1% e credo che la stessa cosa avvenga anche negli Stati Uniti. Il risparmio è sceso moltissimo, ai livelli degli anni ’40, i salari più bassi sono stati quelli che sono cresciuti più lentamente e il divario tra ricchi e poveri si è ampliato nell’attuale situazione economica e quindi è necessario adottare una nuova agenda politica per garantire sicurezza economica, in particolare ai più deboli, ai più vulnerabili di questa crisi economica. E’ necessario adottare una nuova filosofia per evitare la dipendenza dello stato sociale in modo coatto. Quindi, per concludere, nel mio paese, credo anche negli Stati Uniti, serve un mercato diverso che sia all’altezza delle proprie promesse, che offra prosperità e ricchezza a tutti e per fare ciò abbiamo bisogno, nel mondo anglosassone, di adottare seriamente il principio di sussidiarietà in tutto il sistema politico-sociale ed economico del nostro paese. Già esiste la sussidiarietà economica, in Gran Bretagna però non è cosi, quindi la cosa principale per il nuovo conservatorismo progressista consiste nell’ attuare la sussidiarietà politica anche a livello locale. Ecco, solo in questo modo possiamo migliorare la condizione dei nostri cittadini perché non abbiano più bisogno di uno stato centralizzato. Grazie della loro attenzione.

MARCO BARDAZZI:
Ringrazio Philip Blond per una presentazione ricchissima di spunti, credo che l’idea del declino, sia dello stato-mercato che dello stato welfare e dell’emergere della necessità di uno stato civico ci offra un gran numero di spunti, sia in Italia che negli Stati Uniti, e ovviamente anche i suggerimenti sul principio della sussidiarietà ci serviranno nel proseguire nel dibattito di stamani. Voliamo ora sulla altra sponda dell’Atlantico negli Stati Uniti, con una guida di eccezione. Jeb Bush è stato governatore della Florida per otto anni dal 1989 al 2007 e alla fine del suo incarico, quando ha dovuto lasciare perché non sono consentiti più di due mandati consecutivi, si è lasciato alle spalle indici di gradimento altissimi. Personalmente posso dire che ho vissuto nove anni negli Stati Uniti, dal 2000 fino a pochi mesi fa e ho sempre visto indicata la Florida di Jeb Bush non solo come un posto splendido per le vacanze, ma anche come un modello sul piano della politica fiscale, degli incentivi alle imprese e soprattutto per l’idea dell’educazione, che è un tema che sta particolarmente a cuore dell’ex governatore che ha avviato una fondazione che si concentra in particolare sui temi educativi. Ma ovviamente Jeb Bush è anche e resta, uno dei più importanti esponenti a livello nazionale del partito repubblicano, oltre a far parte di una dinastia politica che ha già dato all’America due presidenti, uno era suo padre, l’altro suo fratello. Caro governatore, qui in Italia si dice non c’è due senza tre, e oggi lei è uno dei massimi protagonisti del dibattito sul futuro di una parte politica che adesso, nell’era di Obama, è all’opposizione. Nel dare la parola a Mr. Bush approfitto per dare il benvenuto al Meeting a Columba Bush, che è qui in prima fila con noi.

JEB BUSH:
Buongiorno. Prima di tutto ci tengo a ringraziare gli organizzatori del Meeting di Rimini che mi hanno invitato qui a Rimini, il signor Lupi, il signor Blond, i colleghi di stamattina; è un onore essere qui su questo tavolo, stamattina.
Nelle ultime giornate io e mia moglie Columba abbiamo partecipato a molti dei vostri incontri, abbiamo sentito pareri così interessanti su argomenti importantissimi per tutti noi. Quindi non solo per i cattolici, ma per tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Vi devo dire che è stata una bellissima esperienza.
Oggi mi è stato chiesto di parlare del futuro degli stati, quindi federalismo o decentramento, lo dico in italiano. E qui finisce il mio italiano, altro non so dire. Parlerò di questo ovviamente dal punto di vista statunitense. Questo è un argomento di cui si è molto dibattuto in tutto il mondo occidentale negli ultimi 50 anni. L’importante piano di Obama per aumentare la forza del governo federale statunitense, per farlo arrivare praticamente in ogni settore della vita quotidiana, questo ha ridato vivacità ed entusiasmo a questo dibattito. Noi parliamo qui a Rimini e mentre parliamo sono in corso discussioni molto accese nel nostro paese, gli Stati Uniti, in tutto il paese: nelle cucine degli americani, nei posti di lavoro e adesso anche nelle riunioni nei municipi, nei comuni. Io ovviamente mi augurerei che questo discorso fosse un po’ più civile e soprattutto con un po’ più di sostanza, di merito. Mi fa comunque piacere vedere che c’è un dibattito molto, molto vivace, veramente interessante e vivace, che è in corso nel mio paese; di questo sono contento. Ed è un dibattito sul ruolo giusto del governo in una società libera e giusta. Gli americani sanno che c’è moltissimo in gioco. Perché il percorso che sceglieremo, da questo dipenderà e si strutturerà chi noi siamo come nazione. Il materiale di preparazione per questa conferenza parlava degli eventi politici attuali negli Stati Uniti, come il programma di espansione del ruolo di governo più ambizioso dall’epoca della Great Society, la grande società del Presidente Johnson. E queste proposte di oggi di Obama non solo sono maggiori e più ambiziose di quelle di Johnson, ma sono maggiori probabilmente anche di quelle del New Deal, per quanto riguarda il coinvolgimento del governo federale nella vita quotidiana degli americani. Voglio usare le parole dello storico Paul Johnson, che aveva dato un giudizio sulla saggezza dell’imitare e dell’emulare quell’epoca. Lui ha detto così: ammesso che l’interventismo abbia funzionato nel New Deal, ci sono poi voluti nove anni e una Guerra Mondiale per dimostrarlo. La spesa del governo è senz’altro un indicatore principale per la crescita del governo nelle nostre vite. Quando è entrato in carica, otto mesi fa, il presidente Obama si è trovato in mano un’economia in profondissima crisi: un declino notevole delle entrate federali dovute proprio a questo periodo di crisi e che aveva generato un disavanzo federale di 800 miliardi di dollari. Quindi la risposta della nuova amministrazione Obama a questo crollo delle entrate è stato semplicemente quello di spendere di più. Il Vice presidente Joe Biden ha poi riassunto ulteriormente questo approccio dicendo che dobbiamo spendere soldi sempre più soldi per non andare tutti in bancarotta. La richiesta crescente di più governo da parte dei liberali ha fatto sì che il Congresso diventasse un partner, diciamo, voglioso di partecipare a questa frenesia di spendere e nei primi cento giorni il Presidente e il Congresso hanno approvato una spesa di 787 miliardi di dollari, come misura di stimolo per ravvivare la nostra economia agonizzante. Però, meno del 15% di questo pacchetto di salvataggio finora è stato speso in questi mesi, da quando è stato approvato. E poi il Congresso ha approvato la richiesta del Presidente di aumentare il bilancio attuale di altri 410 miliardi di dollari, un salto di più del 20%; e questo per spese discrezionali per questo anno fiscale. Ancora più preoccupante è il fatto che questa nuova spesa, questo aumento, diventerà la nuova linea di partenza per la futura crescita del governo. Questi aumenti di spesa non includono gli ulteriori 1,2 trilioni di dollari per la riforma sanitaria che, sapete, è in discussione al Congresso o le altre centinaia di miliardi di costi per il progetto fiscale, che prevede di ridurre le emissioni di CO2, anch’esso in discussione al Senato americano. Quindi non vi sorprenderà che la proposta di bilancio di Obama per l’anno prossimo preveda di aumentare la spesa di un ulteriore 10%. Come risultato di tutte queste spese la spesa federale arriva al 28% del Pil, la percentuale più alta mai registrata dalla fine della seconda guerra mondiale. Mettendo insieme tutte le spese governative, la federale a livello degli stati e quella locale, ecco la spesa consuma un esorbitante 40% di tutte le attività economiche del paese. Il dibattito che portiamo avanti negli Stati Uniti e in parte anche in Europa forse è un po’ diverso, sarebbe diverso se avessimo i soldi. Ma la realtà, ahimè, e che non abbiamo soldi, denaro contante. Oggi come oggi, il disavanzo di bilancio aumenta a 1,8 trilioni di dollari e l’amministrazione Obama aspetta che il debito federale cresca per superare i 9 trilioni di dollari nel prossimo triennio. E questa secondo me è una proiezione rosea, perché si basa su una crescita economica sostenuta, forte, di almeno il 3% all’anno per i prossimi nove anni. Altrimenti succederà che il disavanzo crescerà ancora di più e questo secondo me è probabilmente quello che accadrà. L’espansione drammatica, appunto, del governo federale, però, non si limita ad aumentare la spesa, ad aumentare quindi i prestiti. C’è anche una nuova forma di partecipazione del governo che si è delineata nell’ultimo anno, ed è l’intervento senza precedenti del governo nelle imprese private. Ad una velocità sorprendente è avvenuto proprio questo: tanto interventismo. In meno di un giorno, il governo è diventato colui che finanzia, colui che possiede, colui che regolamenta e colui che tassa sia i servizi finanziari in America che il settore automobilistico. Secondo me, questo è davvero un miscuglio tossico – lo voglio definire tossico – che creerà nuovi conflitti, con implicazioni molto ampie che andranno molto al di là di questi due settori dell’economia: automobile e banche.
Anche senza una recessione e senza nuove spese il costo del governo aumenterà esponenzialmente nei prossimi anni; la generazione dei baby boomers, che ormai stanno andando in pensione, sta creando disavanzi enormi a livello di assistenza medica americana, nella previdenza sociale i nostri programmi per la pensione, per l’assistenza sanitaria agli anziani in grossa difficoltà, sono tutti problemi che ci tireremo dietro per anni. Quindi senza una riforma e un ritorno di un governo più limitato e più contenuto, senza riforma, il costo di questi programmi previsti associato al debito previsto sicuramente andranno aldilà delle nostra capacità di pagare senza tagliare finanziamenti importanti per la nostra difesa nazionale, per l’ambiente, per l’istruzione e per altri preziosi servizi sociali. Quindi alla luce del problema proprio della assistenza sociale per gli americani più poveri e con un presidente sempre più attivista in Congresso, che vuole accelerare questa realtà, mi chiedo: c’è una alternativa? Secondo me c’è una alternativa diversa da quella di Obama. Bisogna partire dal fermo convincimento che ci sia una relazione direttamente proporzionale tra le dimensioni e la portata del governo federale e la libertà umana. Quanto più grande e forte è il governo, tanto minore sarà la libertà degli individui di inseguire i loro sogni. Inseguire questi sogni e l’autorealizzazione è una parte integrante del nostro progresso. In secondo luogo, ritengo che l’alternativa venga incoraggiata dal fatto che la libertà e tutti tipi di libertà producono più creatività e più innovazione, più prosperità e ricchezza per più persone, molto di più di quello che qualunque programma di governo sia mai riuscito a fare. Quasi tutti i grandi progressi, avanzamenti della vita si verificano in base alla genialità e all’ingegnosità creativa dei singoli; di solito lo stato può mettere solo delle limitazioni, può gravare e questo lo si è visto nella storia, le conferme sono state tante. Però i fautori del volere un governo sempre più forte sembrano non rendersi conto, invece, di questa grande verità: che il singolo è più forte. In terzo luogo un approccio alternativo riconosce che la famiglia è l’organizzazione politica più importante che sia mai stata creata. La famiglia basata su genitori amorevoli, che agiscono in base all’amore e al miglioramento per i loro figli, ovviamente con grossi sacrifici, questa è una forza potente di progresso sociale. Anzi penso che se tutte le famiglie fossero sane e morali negli Stati Uniti, una grossa quantità delle richieste che vengono avanzate al governo sparirebbero, per non dire che forse non servirebbe nemmeno fare questo dibattito. Poi, per concludere, laddove è possibile, il governo dovrebbe dare strumenti ai singoli per realizzarsi e dovrebbe avere più fede e fiducia nelle organizzazioni basate sulla comunità, anziché sommergerle con regole e normative molto pesanti e cercare di manipolare e regolamentare tutto. Se questa strategia alternativa vi può suonare familiare o vi piace, beh è giusto che sia così, perché si basa proprio sui principi della sussidiarietà. Mentre la sussidiarietà è una parte integrante di tutto il magistero cattolico e della dottrina cattolica, la filosofia del gestire i problemi a livello il meno centralizzato possibile è stato anche un principio fondatore degli stessi Stati Uniti d’America, a partire dal decimo emendamento della nostra Costituzione, che vieta che il governo federale faccia qualsiasi cosa che può essere fatta a livello di stato o a livello di governo locale, fino all’altro concetto ancora più importante, che dice che la libertà dal governo può esistere solo laddove c’è un popolo che si autogoverna davvero. La nostra grandezza del passato deriva proprio dall’aver sempre rispettato e osservato il principio di sussidiarietà. Adesso, nel poco tempo che mi rimane, vorrei condividere con voi tre esperienze da me vissute personalmente e che riguardano la mia attività di governatore dello stato americano della Florida. Riguardano tre gruppi di persone assolutamente diversi, con delle difficoltà e delle criticità assolutamente diverse, parlo dei bambini che subiscono abusi, dei detenuti che vengono rilasciati e reintegrati nella società e degli studenti che utilizzano il nostro sistema pubblico di educazione. E’ chiaro che tutti i membri di questi tre gruppi hanno visto il miglioramento della loro vita grazie a politiche profondamente radicate nella sussidiarietà. Come candidato a governatore, nel ’98 in Florida io ho viaggiato per lo stato della Florida, ho ascoltato, ho imparato dalle persone che mi proponevo di guidare e stranamente uno dei posti più importanti a cui mi sono dedicato e che ho esplorato in realtà non contava niente dal punto di vista degli elettori, non aveva elettori, era il sistema di assistenza per i bambini in Florida e vi assicuro che era qualcosa di molto brutto e triste, un sistema da trentamila a cinquantamila bambini della Florida sono sotto la tutela dello stato. Ho visitato i moderni orfanotrofi, le strutture di affido. Dopo aver visto di prima mano il sorprendente impatto del sistema dell’adozione dei bambini gestita dallo stato, ho proposto in alternativa un sistema di assistenza gestito dalla comunità. L’idea era che una comunità può avere più cura dei bambini che crescono nel loro ambito e può organizzare meglio, in maniera più efficace, per poter salvare la vita e la sofferenza di questi bambini preziosi. Dopo molto combattimento e anche una serie di ostacoli di ogni genere lungo la strada, la Florida ora ha il primo sistema di assistenza ai bambini basato sulla comunità negli Stati Uniti, il primo sistema di questo genere che dà risultati molto, molto migliori di quelli gestiti dalla stato. E’ tra questi risultati sono incluse più adozioni in famiglie, genitori meglio addestrati, meglio preparati a crescere questi figli, a prendersi cura di loro e minori bambini con conseguenze emotive, abbandonati lungo la strada o che vengono abusati. Un altro esempio è successo nel ’98, quando ero a Sugarland, nel Texas, a visitare una grande prigione dello stato. In realtà mio fratello era governatore del Texas all’epoca, quindi potevo tranquillamente entrare nelle prigioni. Qui i detenuti potevano fare i volontari negli ultimi anni della loro pena, per dedicarsi a programmi basati sulla fede. Nonostante il carico di lavoro normale di un detenuto regolare, trovavano tempo per la preghiera, per incontri di preghiera, servizi religiosi e lettura della Bibbia insieme a volontari.
Quindi questi volontari li seguivano nelle carceri e li aiutavano anche a ritrovare un lavoro quando venivano rilasciati ed integrati nella società. Non dimenticherò mai di aver partecipato ad una cerimonia in chiesa, alla cinque del mattino, e di aver ascoltato un detenuto, un ex detenuto, che faceva un sermone, un’omelia, dove parlava della potenza dello Spirito Santo. Ora io non so cosa è successo alle altre persone nella stanza durante quel discorso, ma a me ha dato l’ispirazione per agire, proprio per lavorare su quello che avevo imparato nel Texas a Sugarland. Quando poi sono stato eletto governatore della Florida, abbiamo eliminato tutta la normativa pesante che teneva in realtà i volontari fuori dalle nostre carceri e abbiamo dato aiuto ai cappellani delle carceri, in modo che potessero impartire meglio gli insegnamenti al loro gregge. Alcuni anni dopo, abbiamo creato il primo caso negli Stai Uniti completamente basato sulla fede, diciamo. Questi detenuti ovviamente dovevano lavorare duramente, però beneficiavano dello Spirito Santo che veniva impartito loro da centinaia di volontari di tante fedi diverse. Due anni dopo abbiamo messo in piedi il primo carcere femminile, con una forte connotazione religiosa e una volta che vengono rilasciate da queste carceri le persone che tornano a delinquere sono molto, molto meno rispetto ai dati normali. L’altro esempio, invece, di cui voglio parlare, tocca la vita di quasi tutti, anche perché secondo me una istruzione di qualità è un indicatore fondamentale di una vita positiva, di una vita ricca. Purtroppo però in molti paesi, compresi gli Stati Uniti di America, il sistema educativo dell’istruzione è molto concentrato sugli adulti ed è difficile cambiarlo per la burocrazia. L’apprendimento è spesso omogeneizzato, standardizzato, anche se sappiamo che i bambini hanno diversi modi di imparare, di apprendere ed hanno ritmi diversi di apprendimento. Negli Stati Uniti spendiamo di più per studente per educazione di qualunque altro paese nel mondo, però come risultati raggiungiamo risultati medi o anche bassi, più bassi rispetto agli standard internazionali. Come candidato a governatore, io ho visitato duecentocinquanta scuole nel ’98 e questo mi ha fatto decidere di aumentare il mio impegno per promuovere una riforma profonda della scuola in Florida. Bisogna uscire da questo labirinto burocratico per portare più trasparenza ed oggi le scuole vengono valutate con dei voti, gli stessi voti che ricevono gli studenti in America a,b,c,d, e ed f, a seconda di come gli studenti apprendono a leggere, a scrivere, la matematica, le scienze, tutte le materie e nello stesso modo degli studenti le scuole vengono valutate, prendono dieci o prendono otto o prendono insufficiente e quelle che vanno bene ricevono più soldi, quelle che vanno molto bene cento dollari in più per studente. Abbiamo anche permesso a decine di migliaia di genitori in difficoltà economiche, abbiamo dato loro degli aiuti economici per mandare i loro figli, grazie al nostro aiuto, a tutte le scuole dove li vogliono mandare, pubbliche o private che siano. Con più responsabilità, più potere a livello delle scuole stesse per raggiungere buoni risultati e con più libera scelta per i genitori, gli studenti della Florida sono riusciti a raggiungere livelli eccellenti, ben al di sopra del resto della media nazionale. E soprattutto gli studenti appartenenti alle minoranze, alle fasce a basso reddito hanno avuto forse i vantaggi maggiori in questo importante settore politico. Io veramente spero che l’amministrazione Obama farà del suo meglio per fare quello che purtroppo per ora non sta facendo a livello economico, energetico e sanitario ovvero consentire che il livello più basso di governo, quello più periferico sia in grado di assicurare che la nostra futura generazione riesca ad ottenere il potere della conoscenza. Sono assolutamente fiducioso e speranzoso che c’è una nuova e crescente coalizione negli Stati Uniti che è sempre più convinta che il governo non può spendere e basta per portarci alla ricchezza, che non possiamo continuare ad indebitarci, attraverso il governo, senza che ne consegua un impatto negativo sui nostri figli ed i nostri nipoti. E credo che famiglie forti, una società civile forte e robusta siano sempre state e saranno ancora al centro del nostro successo come nazione. Come questa coalizione emergerà nei prossimi anni, beh, su questo ci sarà molto da dire, su chi noi siamo come nazione, man mano che andiamo avanti in questi interessanti e pericolosi tempi. Vi ringrazio tantissimo per avermi ascoltato, grazie.

MARCO BARDAZZI:
Grazie governatore, grazie anche per la sua flessibilità e pazienza con i problemi tecnici; noi qui i problemi tecnici li chiamiamo avvenimenti, li abbiamo messi anche nel titolo e fanno parte della conoscenza. Grazie per questa analisi affascinante sui temi caldi del momento negli Stati Uniti, ma anche e soprattutto grazie perché sono andati sul tema più vasto di che cosa significa per un paese fare i conti continuamente e fino in fondo con la promessa, fatta dai vostri Padri fondatori nella Dichiarazione di indipendenza, di lasciare liberi i cittadini di perseguire la felicità. Mi ha colpito come la ricetta che lei propone e la ricetta che alla fine del suo intervento anche Phillip Blond suggeriva, abbiano entrambe a che fare con il principio della sussidiarietà e credo che nessuno meglio del nostro terzo ospite possa parlare qui in Italia su questo tema. L’onorevole Maurizio Lupi si batte da tempo in Parlamento e nella vita pubblica sui temi della sussidiarietà, ha anche fondato un gruppo bipartisan, come dicono gli americani, che si chiama appunto Intergruppo per la sussidiarietà. Quindi, dopo il nostro viaggio in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, torniamo alla situazione italiana, dando la parola al vice presidente della Camera, onorevole Maurizio Lupi.

MAURIZIO LUPI:
Ringrazio anch’io Mr. Blond e in modo particolare il governatore Bush, perché credo che siamo arrivati a venerdì, alla conclusione di questa settimana del trentesimo Meeting di Rimini, ma credo che mai come in questa edizione abbiamo potuto affrontar temi come quelli che abbiamo affrontato attraverso testimoni, che ci hanno testimoniato, raccontato come la libertà, la ricchezza di un uomo, della persona possono affrontare tutta la realtà. E in quel caso la realtà diventa occasione di crescita, di conoscenza, di approfondimento. Io sono colpitissimo dall’incontro di oggi, perché quella parola che a noi è cara, su cui ci siamo battuti, che anni addietro sembrava essere una parola che apparteneva solo al vocabolario della Dottrina sociale della chiesa, che non aveva, caro governatore Bush, neanche la dignità di presenza nella nostra Costituzione, perché nella Costituzione la parola “sussidiarietà” viene introdotta solo con la riforma costituzionale del 2001, diventa non solo una sfida intellettuale, ma diventa una occasione concreta, un’opportunità concreta che è data alla politica, ai governi, alle istituzioni, per ricostruire su fondamenta e su pilastri più solidi. Rispondo a tre domande che mi hanno provocato sia il titolo del nostro incontro, sia gli interventi che ho ascoltato.
La prima domanda: per affrontare il tema “federalismo- decentramento”, quale strada, quale scelta per gli stati e per le nazioni? Partendo dalle considerazioni di Blond, l’occasione, l’abbiamo detto in questi giorni tantissime volte, l’occasione della crisi è sempre una grande opportunità per chi governa, per chi ha la responsabilità del governo. Mi sembra che la domanda fondamentale da cui partire per rispondere a questo quesito sia quella che il governatore Bush ha posto, cioè qual è il ruolo del governo in una società giusta. Perché o rispondiamo e ci chiariamo su questa questione di fondo, per chi ha responsabilità istituzionali e politiche, oppure qualsiasi risposta che diamo è sempre deformata, deviata, non ci si comprende. E su questo tema, quale ruolo del governo in una società giusta, ho trovato anche qui una risposta importante nella parola citata più volte da Blond e Bush, che è ancora prima della parola sussidiarietà, la parola libertà. Il governatore Bush diceva: quale può essere un’alternativa al programma di Obama? Noi che siamo stati sconfitti, noi che siamo usciti sconfitti dalle ultime elezioni, noi che oggi, mi metto nei panni del governatore Bush, dobbiamo ricostruire un’identità di partito, del nostro partito repubblicano, che esce sconfitto dalle elezioni, l’unica alternativa per noi può essere quella di riscoprire che il ruolo di un governo in una società giusta è quello di servire la persona e di garantire lo sviluppo e l’azione della libertà della persona e delle persone. D’altra parte, perché percepiamo come una dicotomia l’idea di federalismo e di decentramento? Perché se andiamo alle radici di queste due parole, vediamo, se sono messe in contrapposizione, due strade totalmente diverse. Federalismo ha in sé, nell’etimologia e nella sua storia, una natura forte, una natura ideale: federalismo è un patto che si stringe. In latino è foedus, è un patto che implica che diversi soggetti decidano di mettersi insieme, facciano un patto positivo perché sono uniti da qualcosa che li accomuna; una comunità che si mette insieme e si riconosce per qualcosa che l’accomuna. Il decentramento ha in sé l’idea di trasferimento del potere. L’oggetto del decentramento è il potere, e il grande dibattito in tutto lo stato moderno sta esattamente su questo. La nascita dello stato moderno, noi lo troviamo nella concezione illuministica moderna, nella concezione di Hobbes, che pensa che siccome l’uomo non è positivo, l’uomo ha il male in sé, non riesce a mettersi insieme ad altri uomini, perché è pieno di limiti. Occorre perciò un terzo soggetto, il Leviatano, a cui noi tutti deleghiamo la possibilità di metterci insieme. Nasce lo stato come terzo soggetto.
Noi crediamo invece che il decentramento, che il potere sia una cosa buona se è messa al servizio dell’uomo. Perché l’uomo in sé è bene, è potente, ha la possibilità di reagire di fronte alla realtà che gli è data e di affermare un positivo. Questa è la grande differenza sostanziale, che esiste in una concezione di governo, ed è lì che si fonda poi l’idea sussidiaria, che pone al centro la persona e si mette al servizio della persona: l’idea della politica come servizio, servizio al bene comune, della libertà come bandiera e corrispettivamente l’idea di un governo che invece è potere. Il problema è il potere, è il potere per affermare sé. E lì uomo è al servizio di questo potere. Perché, e qui vengo all’attualità, perché certe volte salta tutto questo meccanismo? Salta, non per un problema intellettuale, ma perché come sempre la realtà è più grande della nostra intenzione. C’è un momento, c’è stato un momento in Italia, in cui questa concezione di potere, di stato è saltata, è saltata rispetto ai bisogni concreti della realtà, ha fatto emergere di più l’inefficienza rispetto alla possibilità di dare risposte, per cui il tappo è saltato. E allora abbiamo iniziato a ridiscutere se questa concezione statalista, centralista del governo, questa idea del cittadino come suddito dello stato forse, siccome non da risposte concrete e siccome non da risposte positive, non potesse essere cambiata. Perciò ci chiediamo oggi quali strade alternativa porre.
Alcuni dati, tanto per essere molto chiari, perché non stiamo parlando di astrazione: la realtà è concreta, molto concreta, perché i bisogni che noi abbiamo sono concreti, concretissimi. Allora contrariamente a quanto accade in altri stati, il divario, di cui stiamo discutendo ancora oggi su tutti i giornali, tra nord e sud è talmente palese, che non possiamo non parlare di una spaccatura nel nostro paese. E recentemente c’è un dato pubblicato dalla fondazione Edison che è impressionante, perché è un dato che dice come le potenzialità nel nostro paese ci sono, ma sono frenate da un’idea di governo basata solo sul potere e sul decentramento di questo potere e con il cittadino in funzione di questo. Per cui, in questa situazione, a me non interessa che il cittadino sia il protagonista, mi interessa che il cittadino continui ad avere bisogno, perché se ha bisogno ci sarà qualcuno a cui dovrà rivolgersi: io che gestisco il potere.
Noi abbiamo una concezione diversa, perché la sussidiarietà è la risposta all’assistenzialismo. Perché nell’idea di sussidiarietà e nell’azione di sussidiarietà, basta andare in giro e vedere i racconti e le testimonianze di questo Meeting, l’obiettivo dell’azione non è solo la risposta al bisogno concreto, ma è che nella risposta al bisogno concreto di ognuno tu hai il desiderio che quella persona diventi sempre più vera, sempre più protagonista, possa non avere più bisogno. È non è così? Io ho interesse a rispondere al bisogno concreto, perché non ho il problema del potere che mi lega a quella persona. Ho interesse che tu possa sempre di più esser vero, che tu possa essere sempre di più te stesso. D’altra parte appartiene alla storia di questo paese, dell’Italia, il fatto che da noi il conflitto sociale non è mai stato esasperato. Perché il figlio di un operaio poteva diventare impiegato, poi imprenditore e poi protagonista. Perché l’idea di fondo era sempre questa concezione, al fondo cristiana, di uomo che non è economico, ma che è innanzitutto religioso.
Ecco, se partiamo da questo, il dato impressionante della fondazione Edison è che ha spaccato l’Italia in due, ma non tra nord e sud. Il nord e il centro dell’Italia hanno 38 milioni di abitanti. Siccome la ricchezza si misura sul PIL, il PIL pro-capite di questi 38 milioni di abitanti, cioè del nord e del centro Italia, è di 28.800 euro. A parità di abitanti, c’è la Spagna. Noi abbiamo, pensate a tutte le discussioni che abbiamo fatto in questi anni sull’arretratezza, sul ritardo italiano, 4200 euro di PIL pro-capite in queste due entità, la Spagna e le regioni del nord e del centro Italia. Addirittura produciamo più ricchezza e siamo più avanti della Gran Bretagna, 400 euro in più. Se prendiamo le regioni del sud, 21 milioni di abitanti, il PIL pro-capite di queste regioni scende in maniera paurosa, drammatica. Da 28.800, passiamo a 16.400. C’è una nazione in Europa che è analoga a questa, il Portogallo. E il Portogallo ha 1600 euro in più di PIL pro-capite rispetto al sud. Che cosa causa questo? Certamente un problema di arretratezze infrastrutturali, ma ancora di più un problema di responsabilità, di cultura, e di azione della politica e del governo, che abbia la preoccupazione non dell’assistenzialismo, di premiare le inefficienze, ma di rendere tutti protagonisti, partendo dalla realtà di ogni singolo territorio, in un’unità di concezione.
D’altra parte, una politica e un ruolo del governo, nella costruzione di una società giusta, che ha solo l’obbiettivo di gestire il potere, ve lo garantisco per l’esperienza che faccio io, premia solo le inefficienze. Perché più sei inefficiente, meno sei protagonista, più hai bisogno di me. E quindi è un circolo vizioso che dobbiamo interrompere.
Altro dato impressionante su cui noi siamo partiti per ragionare s una possibile riforma nel nostro paese, è il seguente. Faccio due esempi che non riguardano il nord, né la regione Lombardia, perché sarebbe troppo facile per me che sono di Milano e lavoro con Roberto Formigoni. Se un asilo nido a Roma costa 16.000 euro pro-capite e invece a Modena ne costa 7000, qual è la ragione? Se una sacca per trasfusioni a Reggio Calabria costa 4 volte in più dell’Emilia Romagna, qual è la ragione per cui questo accade? È solo un problema infrastrutturale, o dietro questo non si nasconde un’idea di responsabilità, di inefficienza, che ha una sua radice al fondo profondamente culturale, educativa a cui noi dobbiamo lanciare una sfida? Se andate allo stand di Napoli e vedete la mostra di Napoli, lì vedete che la sfida culturale educativa è capace di dare una risposta, di rendere protagonisti, anzi di produrre ricchezza. Allora ho fatto questi esempi e vengo alla seconda questione rapidamente, proprio perché a questo punto, se lo scopo del governo è garantire la persona – lo scopo di un governo in una società giusta è garantire la persona e servire il bene comune e mettere in gioco la libertà – la modalità, la forma di governo è uno strumento, quello migliore per rispondere al bisogno di oggi, non di ieri. Non nego che quella concezione di stato, che abbiamo attuato nel dopoguerra e che ci ha permesso di diventare la quinta e sesta potenza mondiale, in Italia non fosse opportuna e utile nel dopoguerra, ma oggi abbiamo una sfida nuova e dobbiamo trovare uno strumento nuovo di forma di governo, che in maniera più efficiente risponda ai bisogni dei cittadini. Allora il federalismo come sfida è proprio quell’idea di tradurre, di ridurre in uno strumento nuovo questo principio di sussidiarietà. Perché devi ripartire da un territorio, da un’identità ed un’unità che ti metta insieme in una responsabilità, che voglia che tu sia protagonista, in un’azione di solidarietà che ti leghi agli altri, e in un’idea che comunque tutta la comunità partecipi al raggiungimento di uno scopo comune: l’unità del nostro paese, che non è un’idea astratta, se ha però un’identità.
Vi faccio un altro esempio: potremmo paragonare la costruzione di uno stato federale, dell’Unione europea agli Stati Uniti d’America. Pensate a quello che sta accadendo adesso, pensiamo un secondo, stiamo aggregando tante nazioni, stiamo facendo un’Unione europea enorme, noi pensiamo che questo processo dell’Unione europea sia un patto federale? Cioè cosa ci unisce? Cosa unisce queste nazioni che si mettono insieme? E che vogliono fare questa grande Europa? Qual è la ragione per cui si è voluto cancellare tutto il grande dibattito sulle radici dell’unione europea, sulle radici cristiane giudaiche? Proprio perché l’idea del mettersi insieme, anche da un punto di vista istituzionale, non è innanzitutto di un patto federale, cioè di un patto che ci unisce in nome di qualcosa che ci accomuna, ma di un processo burocratico oppure meramente economico. Facciamo un mercato più grande perché tutti ci stiano insieme. Ma dopo un po’ gli uomini non ci stanno. Dopo un po’ le nazioni reagiscono, perché se io devo avere un principe nuovo che viene e che sento lontano e distante e che non c’entra niente con me, meglio che mi tenga il mio principe nella mia nazione! Per quale motivo devo mettermene un altro, che è solo un problema più grande a cui io devo rispondere, che è un altro tassello contro la mia libertà? Questa è la sfida grande che abbiamo davanti. Questa è la sfida grande che noi oggi abbiamo davanti. Allora, concludo, la sfida che abbiamo davanti, – ne abbiamo discusso con Calderoli e Formigoni in questo Meeting di Rimini, passare da un’idea di spesa storica a un’idea di spesa standard – ha in sé questo concetto culturale. La spesa storica ha due elementi. Primo: paga il servizio e paga l’inefficienza; negli anni ho sempre pagato quella sacca, quella cosa così e continuo a pagartela. Il costo standard paga solo il servizio, ma implica una responsabilità nella solidarietà e nell’unione. Perché se partiamo dalla domanda iniziale che ho fatto, la sfida è questa.
Allora concludendo, la domanda finale: la sussidiarietà può essere questo nuovo pilastro? E le forme istituzionali possono declinare il principio di sussidiarietà come nuova proposta da dare ai cittadini? Io dico sì a due condizioni, che il modello istituzionale, penso al federalismo come modello su cui stiamo lavorando, non sia solo una architrave, un’idea istituzionale, un progetto astratto, quindi non si applichi solo nella sua idea istituzionale, stato centrale, regioni, province, comuni, ma sia lo strumento che garantisce di più, in questa nuova organizzazione dello stato, una vera sussidiarietà orizzontale, cioè un protagonismo dei cittadini, delle persone, delle imprese, che garantisca di più la loro libertà. Se è questo, se questa sarà l’occasione del federalismo, sarà una grande rivoluzione in Italia, se no, noi perderemo ancora una volta la scommessa. Perché, come dice Vittadini: “meglio un principe a Roma che un duca che mi controlla anche se devo andare a bussare alla porta, se devo mangiare, e mi detta come devo educare i miei figli”.
Seconda domanda a cui rispondo: federalismo e decentramento sono due cose alternative? In questa concezione assolutamente no! Perché in un’attuazione del federalismo abbiamo bisogno anche di trasferire i poteri, perché altrimenti si premiano sì le inefficienze, abbiamo bisogno di garantire che quei poteri, che prima erano accentrati nello stato centrale e che hanno prodotto inefficienze, possano essere trasferiti in una nuova concezione dello stato. È certo però che tutto si regge solo se la solidarietà non è una parola astratta, ma si rifonda sul termine sussidiarietà. Perché se l’uomo è protagonista in qualsiasi azione che fa, da padre di famiglia, da mamma, da genitore, da operaio, da imprenditore, da politico, da governatore di uno stato, ha sempre la coscienza che nella azione che sta facendo, questa sua azione concorre a costruire un bene più grande, per la comunità, perché a lui è stato dato e quindi siccome è stato dato qualcosa può dare agli altri che ha attorno. Il concetto di democrazia si fonda esattamente su questo. E’ la parola più abusata del tempo moderno e ne abbiamo perse le radici. Ma la democrazia ha in sé esattamente questo concetto fondamentale, che l’altro è una ricchezza per te, è una risorsa fondamentale per te. Questa è un po’ l’esperienza su cui noi in Italia ci stiamo giocando. E guardiamo sempre a testimonianza ed a esempi che in altre parti, in altre nazioni stanno accadendo, proprio per vedere se questo percorso è possibile. E’ una sfida. Una sfida che abbiamo davanti, è una sfida che vale la pena percorrere. Grazie.

MARCO BARDAZZI:
Grazie, ringrazio l’onorevole Lupi per aver dettagliato ulteriormente e a fondo i termini della sfida che già erano emersi dalle relazioni precedenti. Il nostro tempo è praticamente terminato, però vorrei rubare pochi minuti per un’ultima domanda e mi perdoneranno se la faccio al governatore Bush, visto che, per altro, viene da più lontano di tutti. E la domanda è questa. Lei, ieri, ha seguito la relazione dell’ ex primo ministro britannico Tony Blair, tra l’altro io vi ho visto insieme al Grand Hotel, nel salutarvi ieri pomeriggio ho scoperto che siete, anche, buoni amici. Tony Blair ha parlato anche del ruolo che la fede riveste, ha parlato molto a lungo del ruolo che la fede riveste nella sua attività di politico, ha parlato della sua conversione al cattolicesimo. Lei è un politico cattolico, per altro credo l’unico nella sua famiglia. Volevo chiederle che ruolo ha per lei, nella sua vita politica, alla luce anche delle cose che ci diceva oggi, questo aspetto, l’appartenenza alla fede cattolica e la fede in generale.

JEB BUSH:
Anch’io mi sono convertito al cattolicesimo. Sono un cattolico episcopale, frequento la messa e il sacerdote mi disse: lei deve diventare un cattolico al cento per cento; e ho adottato questa decisione, perché amo i sacramenti della chiesa cattolica, il messaggio continuo che la chiesa cattolica ci dà, il fatto che la chiesa cattolica creda nella verità assoluta come principio fondante e non oscilli con i cambiamenti di pensiero dei tempi moderni, come era tipico della mia precedente fede religiosa. Per tanto, per quanto riguarda le decisioni nella mia carica pubblica, la fede è qualcosa che ci deve ispirare e guidare nel decidere. Questo non vuol dire che ogni decisione che io adotti sia qualcosa che è nel pieno rispetto del magistero della chiesa, no, ma è proprio qualcosa che mi ha sempre risolto i problemi. Negli Stati Uniti molti pensano che la propria fede religiosa debba essere messa in una cassetta di sicurezza, tenuta lì finché si è finita la propria carica pubblica, dopodiché si va in banca e si tira fuori la propria fede da questa cassetta di sicurezza. Io credo che non sia proprio così, non è affatto vero. Naturalmente ci sono state delle controversie nel mio pensiero quando ero governatore, comunque ho cercato di fare del mio meglio, sempre sulla base della mia fede.

MARCO BARDAZZI:
Grazie, grazie, io ringrazio Phillip Blond, ringrazio l’onorevole Maurizio Lupi, ringrazio a nome del Meeting di Rimini il governatore Bush per questo dibattito che è un passo ulteriore nel cammino, interessantissimo, che stiamo facendo questa settimana e grazie a tutti voi. Buona giornata al Meeting.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

28 Agosto 2009

Ora

11:15

Edizione

2009

Luogo

Sala A1
Categoria
Incontri