GIUSTIZIA SARÀ FATTA?

Giustizia sarà fatta?

Partecipano: Angelino Alfano, Ministro della Giustizia; Luciano Violante, Presidente del Forum Riforma dello Stato del Partito Democratico. Introduce Paolo Tosoni, Presidente Libera Associazione Forense.

 

PAOLO TOSONI:
Buon giorno a tutti, un benvenuto da parte del Meeting, da parte della Libera Associazione Forense, scusate se iniziamo con un attimo di ritardo, ma c’è stato qualche problema di trasporto. Innanzitutto vi presento, anche se c’è poco da presentare perché sono ben noti i nostri ospiti, Angelino Alfano, Ministro della Giustizia e il Presidente Violante, di cui ricordo solo che è stato ex Presidente della Camera, ex Presidente della Commissione Antimafia, sicuramente un punto di riferimento per la giustizia non solo della Sinistra, ma di tutta la politica italiana e li ringrazio per aver aderito al nostro invito a parlare di un tema delicato e anche scomodo, come quello della giustizia soprattutto nel contesto storico-politico che viviamo. Come ben sapete il Meeting quest’anno ha posto l’accento sul cuore e sui desideri del cuore ed è certo, perché lo sperimentiamo tutti indistintamente, che nel cuore dell’uomo alberghi un desiderio di giustizia oltre che di felicità e di libertà e che questo abbia tutto lo spessore dell’umanità dell’uomo. Tutti i diritti e i processi, che gli uomini giustamente nel tempo e nello svilupparsi della civiltà hanno utilizzato e utilizzano come strumenti per cercare di dare risposta a questo enorme bisogno di giustizia che l’uomo si porta dentro, hanno ovviamente i limiti dell’uomo, le imperfezioni che sono sempre perfettibili e anche la grandezza dei tentativi di cercare di rispondere il più possibile a questo bisogno tanto umano quanto diffuso.
Noi ci siamo lasciati l’anno scorso più o meno da questo palco – era presente con noi il ministro Alfano e il presidente Mancino – con un augurio e un auspicio, un impegno direi, un impegno al dialogo, a cercare un dialogo, un impegno a mettere in atto tutta una serie di riforme direi soprattutto nell’ambito della giustizia penale, che sono quelle sulle quali più si fatica, ricordo ad esempio l’idea di cui ci aveva parlato il ministro della riforma, di una possibile riforma della Carta Costituzionale, del CSM, piuttosto che la separazione delle carriere, il processo breve, il problema delle carceri… Constatiamo purtroppo che queste riforme ancora non si è riusciti a metterle in cantiere e questo, senza far analisi, lo registriamo come dato di fatto, è sicuramente un punto di empasse per il nostro paese, per la nostra democrazia. Allora vorrei chiedere proprio come introduzione premessa ai nostri relatori, più che fare un’analisi, che ormai siamo anche stufi di sentire, un contributo positivo, cercare di capire quali suggerimenti, provocazioni, punti di incontro, passi indietro si è disposti a fare da una parte, parlo ad esempio dell’opposizione, ma anche del Governo, piuttosto che del PDL, per cercare di dare al paese, cercare in modo sereno, comunque anche con un dialogo forte ma costruttivo, di dare al paese una stagione di riforme soprattutto in quest’ambito della giustizia, di cui il paese ha certamente bisogno.
E poi magari in un secondo giro proviamo ad entrare anche nel merito di quelle che possono essere ritenute le più urgenti e le più significative. Darei quindi la parola al presidente Violante. Grazie.

LUCIANO VIOLANTE:
Grazie. Innanzitutto ringrazio per l’invito che mi è stato rivolto. Credo che questo Meeting sia un luogo nel quale diverse generazioni ritrovano motivazione, anche la comprensione della società nella quale viviamo, aldilà delle contingenze quotidiane, che va al di là del contingente, quindi sono particolarmente lieto di essere qui oggi. Dunque io credo questo, che quando parliamo di giustizia, parliamo anche del modello di democrazia. E allora ho l’impressione che tra maggioranza e opposizione bisognerebbe chiarirsi un po’ le idee su quale è il posto delle magistrature in un sistema politico democratico. E poi tutti quanti i conflitti ruotano intorno a questo punto: deve prevalere la politica nei confronti dell’amministrazione della giustizia, o devono prevalere i criteri della giustizia nei confronti della politica? Gran parte degli scontri diciamo da tangentopoli ad oggi ruotano attorno a questo tema. Ecco io voglio dire questo: in tutti quanti i paese civili moderni, democratici le magistrature diverse, quella ordinaria, quella amministrativa, quella contabile, fanno parte del sistema di governo. Abbiamo letto sui giornali che proprio l’altro giorno un giudice americano ha annullato un ordine esecutivo, una sorta di decreto del presidente Obama che riguardava le cellule staminali. Già all’inizio di quest’anno la Corte Suprema Americana ha annullato una legge in materia elettorale che stabiliva limiti ai finanziamenti delle campagne elettorali e questo danneggerà probabilmente nelle elezioni di mezzo termine i democratici a vantaggio dei repubblicani. In Francia c’è stata una tensione molto forte tra il Governo francese e la Corte Costituzionale francese, il Consiglio Costituzionale, quando il Consiglio Costituzionale ha annullato una legge in materia ambientale. Il capo del Governo israeliano Olmert, che era capo del Governo qualche anno fa, fu costretto alle dimissioni per un indagine per corruzione avanzata dalla magistratura nei suoi confronti e Olmert quando si dimise disse: Io sono orgoglioso di essere stato capo di un Governo di un paese la cui Magistratura mette sotto inchiesta il Presidente del Consiglio. Da noi le reazioni, come sapete, sono state un po’ diverse. Perché faccio questi esempi? Se ne potrebbero fare molti altri. In tutti i paesi avanzati la Magistratura svolge un controllo di legalità e in tutti i paesi avanzati però bisogna evitare che questo controllo significhi inserimento all’interno di responsabilità che non sono della Magistratura ma che sono della politica o sono dell’amministrazione. Questo è il punto difficile.
Ora, come siamo arrivati a questo punto? Noi, praticamente, abbiamo due modelli di giudice: un modello del giudice puro esecutore e puro applicatore della legge, che risale alla rivoluzione francese che fu fatta contro un sovrano e contro i suoi giudici. In quel modello è il Parlamento che difende i diritti dei cittadini, non sono i giudici. La rivoluzione americana che si tenne qualche anno prima, invece, segna una cosa completamente diversa: nel concetto della democrazia americana, è la Magistratura che difende i cittadini contro gli abusi della politica e delle maggioranze politiche. Tant’è che, sono due cose abbastanza divertenti, nel 1790 in Francia viene approvata una legge che impedisce ai giudici la interpretazione delle leggi e stabilisce che se la interpretazione è incerta bisogna rivolgersi al Parlamento, qualche anno dopo nel 1803, negli Stati Uniti la Corte Suprema, di fronte a un caso molto importante, dichiara che spetta alla massima Magistratura del paese stabilire se le leggi del Parlamento sono conformi alla Costituzione o meno. E quindi la Corte Suprema Americana si autoattribuì il potere di cancellare le leggi del Parlamento, perché altrimenti, disse, non potremo difendere i diritti dei cittadini nei confronti di abusi del potere politico. Da allora il fatto che ci sia una Corte Costituzionale, che abbia il potere di annullare le leggi, è diventata una regola generale a tutti quanti i paesi civili. La prima novità in Europa si ebbe in Germania e in Italia, perché in Germania c’era stato il nazismo e in Italia il fascismo: chi vinse la guerra, per il pericolo che si potesse riprodurre il fenomeno totalitario tanto in Italia quando in Germania, propose, suggerì, in qualche modo prospettò con forza il fatto che in questi due paesi ci fossero delle Corti Costituzionali con magistrati che potessero annullare leggi contrarie alle Costituzioni approvate dal Parlamento. Poi dopo il modello si estese un po’ in tutti quanti i paesi civili. Perché faccio questa premessa un po’ lunga? Per dire che se la Magistratura può annullare leggi fatte dal Parlamento, vuol dire che la Magistratura è parte del sistema di Governo, questo nelle Costituzioni di tutti i paesi avanzati. Naturalmente a questo punto bisogna intendersi su quali sono…Questo comporta solo poteri o anche responsabilità? Questo comporta anche responsabilità. Questo comporta anche responsabilità ulteriori rispetto a quelle scritte, responsabilità nei comportamenti soprattutto tanto della politica quanto anche della magistratura, in quanto in Italia io trovo che c’è un elemento patologico determinato da una connessione troppo stretta tra settori delle procure della repubblica in particolare e settori dell’informazione. Mi capita di dire qualche volta che la vera separazione delle carriere non è la separazione di giudici e pubblici ministeri, ma la separazione di carriere dei giornalisti da quelle dei magistrati che qualche volta vanno di pari passo. Ma detto questo e proprio rifacendomi alla formula che prima il nostro moderatore spiegava, quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore: che cos’è il cuore? Il cuore sono anche i comportamenti, non dobbiamo puntare sempre e soltanto sulle leggi per risolvere i problemi che abbiamo davanti, ma anche sui comportamenti e guardate che i comportamenti di rispetto reciproco sono un fondamento della democrazia. Se ho solo un minuto, permettetemi di ricordare una cosa che abbiamo studiato sui banchi di scuola: Protagora quando spiegava, filosofo greco, quando spiegava l’inizio del mondo, spiegò questo: che Zeus, avendo visto che gli uomini litigavano, mandò Ermes sulla terra a portare a tutti gli uomini due doti: aidos e dike, dike è la giustizia, aidos è il rispetto; non disse di portare nomos, il nomos è la legge, la regola, non la regola, ma la giustizia e il rispetto.
Allora il problema del rispetto reciproco, ed è strano che queste cose avvenivano 3000 anni fa, il problema del rispetto reciproco tra istituzioni, tra pezzi di sistema politico io credo che sia veramente un dato essenziale, perché le leggi hanno bisogno di un clima idoneo ad accoglierle. Allora possiamo parlare dell’una e dell’altra riforma, come vuole, ma se non cambia il clima ed i comportamenti e gli atteggiamenti della politica nei confronti della Magistratura e della Magistratura nei confronti della politica, io credo davvero che non faremo quei passi avanti che voi oggi auspicate, che i passi avanti vengono dai comportamenti, che servono molto di più delle leggi. Allora, fermo questo, passando alle questioni che lei ha posto, molto brevemente. Quanto tempo il Parlamento ha impiegato per discutere una riforma che poi è stata accantonata come quella relativa alle intercettazioni telefoniche? Quante cose utili si potevano fare in quel frattempo e io temo, siccome ho visto in un documento recentemente approvato dal maggiore partito della coalizione che governa il paese, che si fa riferimento esplicito ad un’altra riforma che è quella del processo breve, io mi permetto di dire questo: che se la maggioranza intende lavorare su questo progetto non si va da nessuna parte, per due motivi: 1) perché quella riforma prevede una norma transitoria che cala come una mannaia sui processi in corso cominciati con altre regole e come sapete quando c’è una partita in corso non si cambiano le regole, si aspetta che la partita sia finita prima di cambiarle o che non sia nemmeno incominciata; 2) la seconda cosa è questa e la dico ad un Ministro che è competente e rispettato, come il ministro Alfano. I tempi della giustizia sono molto diversi e Angelino Alfano lo sa meglio di me, da Corte d’Appello a Corte d’Appello. In alcuni uffici giudiziari i tempi sono il triplo che in altri, allora i vari Messina, Reggio Calabria rispetto a Torino Milano, per esempio. Però bisogna andare a vedere perché è così, per quale motivo a parità di leggi alcuni uffici giudiziari impiegano il triplo del tempo rispetto ad altri. Capire se questo dato è esatto o non esatto. Per esempio a me risulta, e credo che lo saprà benissimo anche il ministro Alfano, che in una di queste Corti d’Appello i tempi particolarmente lunghi non riguardano tutti i processi ma soltanto quelli previdenziali in materia di lavoro; e questo sfalsa completamente la statistica generale. Allora bisogna andare a vedere per quale motivo lì accade questo. Invece di fare questo lavoro, imporre la legge tagliola che, senza intervenire sulle strutture della giustizia, si abbassi a tagliare i tempi automaticamente dappertutto, io credo che sia un modo non condivisibile, di affrontare il tema della lunghezza dei tempi. Piuttosto io spero una cosa: che si guardi invece a un tema al quale tengo particolarmente e mi sembra un tema sul quale bisogna riflettere tutti, che si sposti fuori degli organi di autogoverno delle diverse magistrature, del Consiglio Superiore della Magistratura per quanto riguarda la Magistratura ordinaria, e degli organi che governano la Corte dei Conti e il Consiglio di Stato, le responsabilità disciplinari. Guardate non perché la responsabilità disciplinare dei Magistrati sia stata amministrata con particolare, come dire, condiscendenza, ma perché, se veramente questo corpo è parte del sistema di governo, deve avere regole assolutamente e organi assolutamente ineccepibili, non organi casalinghi, domestici, per stabilire la correttezza dei comportamenti. E quindi io credo che spostare per tutte le magistrature la responsabilità, attribuirla ad un altro organo costituzionale, nominato per un terzo dal Parlamento, per un terzo dai Magistrati e per un terzo da Capo dello Stato, potrebbe essere un modo per cominciare a porre in termini corretti l’equilibrio tra potere politico e potere giudiziario, nel rispetto tanto delle prerogative di indipendenza del potere giudiziario da parte della politica, tanto di responsabilità che la politica assume rispetto al Paese in ordine all’andamento complessivo delle vicende nazionali. Io mi fermo qui, ho parlato già troppo e chiedo scusa per questo, ma insomma mi pare che dovremmo affrontare questioni più radicali, che vanno più alla radice dei problemi, cambiando anche l’atteggiamento che molto spesso è di eccessiva corrività, a volte, in alcune parti dell’opposizione nei confronti di decisioni giudiziarie e di eccessiva conflittualità nei confronti di altre decisioni da parte di parti della maggioranza.
Se si elimina tanto la corrività quanto la conflittualità e cominciamo a parlare tra persone responsabili io credo che potremo cominciare a fare un servizio per il paese.

PAOLO TOSONI:
Ringrazio il presidente Violante, che richiesto di una breve premessa, ha messo sinceramente molta carne al fuoco. Mi permetto solo di sintetizzare alcuni spunti che sono sinceramente interessanti e poi do la parola al ministro Alfano. Un punto interessante è questa fotografia delle democrazie dove i giudici stanno esercitando molto più di un tempo il controllo sulla politica. E mi permetto di osservare, ma poi voglio sentire anche soprattutto la vostra opinione sul punto, che però i sistemi sono anche molti diversi, così come il sistema della formazione dei giudici, abbiamo addirittura l’elezione dei giudici in America, e comunque si tratta di magistratura anche molto diversa, sistemi diversi… Secondo aspetto veramente interessante, la provocazione che non è un problema di regole, di leggi. Questa è veramente una provocazione interessante, perché uno dei dati che si registra di questa fatica nell’amministrazione della giustizia, nel recepimento della giustizia da parte dei cittadini, è proprio il fatto che c’è un iperproduzione di leggi e manca il rispetto, il senso della giustizia. Quindi è vero che il rimedio non è nella continua produzione delle leggi, ma nella produzione di leggi buone che tengano conto, come dicevo all’inizio, del senso della giustizia dell’uomo, con tutto ciò che questo comporta. Con riferimento al processo breve, credo che sia un tema importante e attuale e il presidente Violante ha posto due noti, credo, problemi che si discutono e su cui c’è anche una forte opposizione, che sono poi il problema della norma transitoria, perché la norma transitoria, per i non addetti ai lavori, prevede appunto che ci sia l’estinzione di tutti i procedimenti in corso per reati commessi prima del 2006 per reati fino ad una pena di 10 anni, che è sicuramente un fatto molto significativo in un paese e al tempo stesso si prevedono dei tempi per i processi futuri con una macchina diciamo inadeguata probabilmente a contenere processi entro i tempi e con situazioni molto diversificate. E infine questa provocazione sul CSM, che è anche un’ipotesi di riforma importante, che il ministro l’anno scorso ci aveva preannunciato e quindi chiedo anche a lui un confronto su questi temi.

ANGELINO ALFANO:
Grazie. Preliminarmente devo dire che la difficoltà nel parlare di giustizia dipende spesso anche da una premessa che non è squisitamente politica, ma è a tratti esistenziale, cioè che quando con i cittadini si parla di giustizia, poiché non si parla di infrastrutture o non si parla di altri fatti materialmente individuabili, ma si fa riferimento ad un valore, ad un sentimento, al valore della giustizia, al sentimento di giustizia, capita spesso di constatare l’inadeguatezza tra l’attesa che il sentimento di giustizia produce nell’uomo e la risposta che gli uomini di governo e dello stato offrono a tale sentimento di giustizia. Io, attraverso i canali informatici ricevo decine, centinaia di mail, di comunicazioni su face-book, ricevo tantissime istanze di giustizia e molte di queste si concludono: Ma che giustizia è questa? L’idea cioè che questo desiderio di bene, desiderio di giustizia che è nel cuore di ogni uomo difficilmente trovi un riscontro nella giustizia che è poi la giustizia amministrata dagli uomini. Ecco perché spesso il sentimento della ingiustizia è particolarmente acuto, perché è un qualcosa che viene vissuto dentro l’anima di ciascuno di noi come un qualcosa che va molto aldilà di una funzione di governo o dell’erogazione di un servizio. E questo mi serve come premessa per dire che il nostro compito è infinitamente grande e i nostri mezzi per assolvere al compito non sono tanto grandi quanto il compito. E questo non per giustificarci evidentemente ma per dire la strada nella quale ci muoviamo e in questa strada al primo posto noi abbiamo messo l’uomo. Cioè vi è un errore di prospettiva quando si fanno le statistiche in materia di giustizia, quando si parla di giustizia e si fa riferimento, l’ho già detto in un’altra circostanza qui al Meeting, quando si parla di giustizia e si fa riferimento alle cause pendenti e si dice che si sono 5,6 milioni di cause pendenti nel civile e oltre 3 milioni di procedimenti penali pendenti, si può affrontare il tutto come si affronta un esercizio algebrico, con l’idea cioè che ci sono 9 milioni di procedimenti pendenti, ma siccome nel processo penale vi è almeno un autore di reato e almeno una vittima e nel processo civile vi sono al contempo due controparti, due parti che hanno un interesse contrapposto, questo ci dice, ci spiega che in Italia in questo momento vi sono circa 18 milioni di cittadini che hanno posto un’istanza di giustizia nei confronti dello Stato e quella istanza di giustizia, essendo la loro causa pendente, non è ancora stata soddisfatta. Ecco da lì bisogna cominciare, dall’idea che quei 9 milioni di processi pendenti, di procedimenti pendenti non sono un numero ma inquadrano il bisogno di giustizia di circa 18 milioni di cittadini italiani. E come si fa a rispondere a questo? Partendo da un presupposto che noi abbiamo un sistema giustizia, e con il garbo che lo contraddistingue, anche l’on. Violante poco fa lo evidenziava, abbiamo un sistema giustizia che è molto prigioniero delle lobbies, diciamolo chiaramente, è molto prigioniero delle lobbies, e il compito di chi governa è trovare una soluzione per attivare delle scelte, per trovare delle soluzioni che non ci facciano restare tutti prigionieri delle lobbies del sistema giustizia. E come si fa? In primo luogo ponendo al centro l’uomo. E come fai a porre al centro l’uomo nel sistema giustizia? Lo fai se riesci a rendere più veloce il sistema che lo riguarda e lo fai se riesci a fare sì che il processo sia un processo giusto, che abbia una ragionevole durata, in cui l’accusa e la difesa nel processo penale siano esattamente pari, e in cui il giudice sia equo ed imparziale ed anche appaia equo ed imparziale, appaia equo ed imparziale. Perché diceva il presidente Violante poc’anzi, in Israele c’è stato un Primo Ministro indagato che si è dimesso e ha detto: sono orgoglioso di un paese nel quale esiste una Magistratura che può indagare e inquisire serenamente il Capo del Governo: ma non mi risulta che in Israele ci sia una parte politicizzata della Magistratura che indaga sempre lo stesso soggetto politico, non mi risulta che i giudici in Israele firmino appelli, non mi risulta che i giudici in Israele firmino appelli contro le leggi votate dal Parlamento, ma emettano le sentenze, non mi risulta che i giudici in Israele scrivano libri su disegni di legge pendenti in Parlamento, mentre il Parlamento lavora e i disegni di legge non sono ancora diventati legge. Non mi risulta che in Israele ci siano magistrati che si candidano contro la parte politica contro la quale hanno indagato fino al giorno prima e mi riferisco al caso del pubblico ministero di Bari che si è candidato contro l’area politica di Fitto dopo aver indagato contro Fitto fino al giorno prima. Ora tutto questo, ora tutto questo, e non perdo il filo del percorso che ci siamo dati, tutto questo non attiene alle leggi, attiene esattamente ai comportamenti, attiene esattamente ai comportamenti. Ciascuno di noi viene giudicato per ciò che dice, ma viene giudicato per come vive la propria funzione, viene ciascuno di noi giudicato per il professare delle proprie idee, ma viene anche giudicato per come nella quotidianità indossa l’abito che ha detto di voler indossare. Per come porta l’abito che descrive se stesso. Se io descrivo me stesso con un abito e quell’abito lo indosso male non sarò l’uomo giusto per portare quell’abito. E questo ha un’importanza perché ha un’importanza nella logica di un sistema al quale afferiscono le magistrature, e condivido pienamente, e nello sforzo e nell’esercizio che ciascuno di noi deve fare per affermare che esista un sistema. Bene io lo declino, lo chiamo e lo chiamo ogni volta che mi capita l’occasione, la Squadra Stato, una squadra che si chiama Italia. E sapete perché? Perché tra le cose che abbiamo fatto in questi due anni e delle quali, se il moderatore mi darà il permesso, intendo per quel che è possibile riferire a voi e nella misura che mi compete anche menare vanto, abbiamo fatto delle leggi contro la mafia e contro la criminalità organizzata e abbiamo ottenuto dei risultati. È chiaro che nel nostro sistema il Governo ha facoltà di proporre delle leggi al Parlamento e anche decreti e il Parlamento è chiamato a convertire decreti e a approvare disegni di legge. Queste leggi vengono applicate da bravissimi magistrati di trincea e di frontiera con l’aiuto delle forze dell’ordine ed io e il ministro Maroni ci vantiamo che queste leggi abbiano funzionato, abbiano prodotto risultati, abbiano prodotto confische e sequestri per miliardi e miliardi di euro e arresto di latitanti a iosa in questi anni. E nel vantarci di questo diciamo che siamo fieri delle leggi che abbiamo approvato, siamo lieti che si stiano ottenendo questi risultati, ringraziamo la magistratura e le forze dell’ordine nell’idea che ciascuno nel proprio compito faccia esattamente ciò che deve fare per fare il goal nella porta avversaria, che è la porta della criminalità organizzata. E questa è la squadra che sia chiama Stato e riteniamo eticamente sbagliato, lo ripeto, eticamente sbagliato l’approccio di chi, pur di non dare merito a questo Governo di avere fatto delle buone leggi contro la mafia e la criminalità organizzata e pur di non dare merito a questo Governo di avere fatto sì che i mezzi e le dotazioni fossero idonei a produrre questi risultati come l’arresto dei latitanti, ci dicono come la Sinistra: perché vi prendete meriti, sono i meriti dei Magistrati e delle Forze dell’Ordine. E come no? Sono loro meriti, ma anche nostri, perché non dire che tutti insieme, facendo squadra, facendo dell’Italia una grande squadra che contrasta la mafia, abbiamo ottenuto quei risultati? Che cosa toglie l’affermazione del merito delle buone leggi e delle buone azioni del Governo, cosa toglie alla Magistratura e alle forze dell’ordine e ai loro meriti. Se si pongono a fattor comune i meriti di tutti, qual è la deprivacion, la negazione? Nessuna, solo il dispiacere politico di riconoscere al Governo il merito su una determinata questione. Ed io raccolgo per intero la provocazione dell’onorevole Violante che dice una cosa di assoluto buonsenso, che riecheggia anche nelle parole di Paolo Tosoni, l’idea cioè sul cosiddetto processo breve, che quei termini del processo breve non possono trasformarsi in una chimera. Cioè se noi affermiamo che lo Stato ha un tempo per esercitare la propria pretesa punitiva e che il cittadino che entra nel sistema del processo penale deve prima o poi avere una risposta, perché il processo penale ci ricordava Cesare Beccarla è già una pena, e quando tu resti incastrato in un processo penale non ci puoi restare a vita o in eterno, ma ci deve essere un tempo ragionevole, e mentre noi affermiamo che siamo stanchi di pagare, – l’Unione Europea ci chiede il risarcimento dei danni ai cittadini che sono in attesa di giudizio, e come noi sappiamo sono tanti, lo potremmo dire anche dalle statistiche carcerarie – nel dire tutto questo mi viene fatta, e mi viene posta una questione che ritengo ragionevole e giusta, se il Governo ha l’obiettivo di dare un tempo certo per la definizione dei processi, non può non adeguare il funzionamento e l’efficienza della macchina giustizia alle attese e alle aspettative di un processo che deve essere di ragionevole durata, come l’articolo 111 della Costituzione ci richiede. Però io faccio una postilla, prima una premessa e poi una postilla. La premessa è: io sono pronto a fare sì che il sistema venga messo ancora in maggiore efficienza, che vengano investite risorse, che vengano impiegati mezzi per fare in modo tale che la nostra aspettativa, cioè il fatto che il processo sia breve, abbia una macchina che funziona, che ha bisogno di benzina ovviamente; sono pronto a questo, però attenzione, attenzione al fatto che io non sono disponibile a mettere soldi e risorse in un sistema inefficiente che produce sprechi. O noi ci sforziamo tutti assieme a mettere in cantiere delle norme che producano efficienze di sistema senza tutelare le lobbies, oppure se noi mettiamo soldi in un sistema che non genera efficienza, ma che genera inefficienza, noi quei soldi non li avremo investiti, ma li avremo sprecati. Ecco perché noi dobbiamo stare bene attenti a non sprecare i soldi, perché in questi ultimi anni ci sono stati tagli al settore giustizia come agli altri settori per la congiuntura economica e quindi abbiamo patito dei tagli proprio nel comparto della giustizia al pari degli altri settori. Ma vi risulta che quando il settore giustizia aveva più soldi funzionasse meglio? Vi risulta che quando aveva più investimenti e più risorse funzionasse meglio? Il rischio è l’opposto: che noi, mentre non funziona e la macchina produce sprechi, mettiamo soldi dentro ed è un’idrovora, si mangia i soldi che gli mettiamo senza produrre efficienza. Allora occorre invece mettere a tema alcune cose che possono produrre maggiore efficienza e che, lo dico per l’ennesima volta, mettano al centro l’uomo. Mettere al centro l’uomo significa che la Magistratura può dire la propria opinione e la deve dire senz’altro, ma che la riforma della giustizia non si fa sotto dettatura dell’ANM, la riforma della giustizia si fa secondo il principio della sovranità del Parlamento; significa che l’avvocatura può esprimere le proprie opinioni, ma che la riforma della giustizia non si fa sotto dettatura dell’avvocatura, si fa per ciò che è giusto fare. Allora l’idea che noi abbiamo è quella di superare la paralisi che i veti incrociati delle lobbies in campo producono nel settore giustizia. Però, prima di procedere in questo campo, occorre anche nei confronti della Magistratura fare un discorso chiaro e un ragionamento chiaro, che metta i cittadini di fronte ad alcune domande e di fronte ad alcune risposte. Cioè è possibile affermare che i magistrati che sbagliano possano essere responsabili per i loro errori esattamente come accade per gli avvocati, per i medici e per gli ingegneri, è possibile affermare che in Magistratura si vada avanti per merito e che vada avanti chi lavora di più e meglio e non chi va più in TV? È possibile affermare che se le sedi di frontiera, le sedi del Sud soprattutto, dove si combatte la criminalità organizzata restano vuote di magistrati, perché nessuno fa domanda tra i magistrati per andarci, il CSM può fare trasferimenti di ufficio e glieli manda anche se nessuno fa domanda, perché il contrasto alla mafia e alla criminalità organizzata non può dipendere dalla domanda del magistrato per andarci? Sono tre domande. A queste domande, secondo me, i cittadini di buonsenso rispondono sì. Noi come Governo rispondiamo sì a queste tre domande e questi sono tre punti fondamentali per una giustizia che funzioni e anche, mi sia permesso, per la credibilità della Magistratura nel suo insieme, che non è fatta solo di corporativi e di difensori dello status quo. Ecco a queste domande noi rispondiamo sì. A queste tre domande.
Vado alla conclusione e poi spero di poter nel secondo giro ritornare sui temi dell’efficienza del settore giustizia. Noi dobbiamo rimettere in moto, diceva pocanzi l’on. Violante, una dialettica che sia rispettosa di poteri e ordini dello Stato che legittimamente si possono tra di loro criticare, ma che si devono rispettare. Io mi chiedo però: come è possibile che se Obama contesta la decisione del blocco che il giudice ha posto rispetto alla ricerca sulle cellule staminali, si parli di vittoria della grande democrazia americana, se invece noi contestiamo una decisione della Corte Costituzionale, si parli di una eversione contro la democrazia italiana? Cioè è il doppiopesismo che rende poco credibile il ragionamento in materia di giustizia. Se Obama critica la decisione dei magistrati, è la grande democrazia americana, se lo facciamo noi, è la grande eversione italiana. Non funziona così. Non funziona così e pensiamo che invece ci siano le condizioni per produrre una grande riforma della giustizia, che è in fase di studio ulteriore e di elaborazione e noi crediamo che si possa intervenire nella seconda parte della Costituzione, in quegli articoli della Costituzione che non sono tanti, non è un’opera ciclopica, che riguardano la Magistratura, una riforma della Costituzione che non deve avere una finalità ritorsiva, ma deve avere la finalità di rendere un servizio più efficiente, un processo più giusto, un’idea della giustizia più credibile nel sistema italiano. E però, mentre l’on. Violante dice, con il mio pieno e sincero apprezzamento, che su quei temi si può intervenire e si può intervenire anche senza una logica di scontro, tante volte il Partito Democratico ha detto noi non intendiamo intervenire sulla Costituzione in materia di giustizia, dimenticando che con la Bicamerale nel 1998 Massimo D’Alema ci aveva già provato e aveva messo mano alla riforma costituzionale della giustizia e in questi dodici anni il malato non è guarito, non è venuto meno quindi il motivo per cui 12 anni fa si doveva intervenire e adesso non si vuole intervenire più. Mi si può obiettare, come mi si obietta più volte da parte del Partito Democratico: ma quella riforma della giustizia era incastonata in una riforma complessiva della forma di Stato e della forma di Governo che la rendeva più organica nell’ambito della riforma della seconda parte della Costituzione. E io controbbietto: ma se noi non facciamo la riforma della forma di Stato e della forma di Governo, in attesa di fare questi due pezzi della riforma, non faremo mai più la riforma della giustizia? No, io sono per fare la riforma della giustizia e intervenire attraverso la Costituzione per fare sì che il cittadino abbia di fronte una giustizia più efficiente e un processo più giusto e una Magistratura più credibile.

PAOLO TOSONI:
Come avevo ricordato fin dall’inizio, ricordando le tematiche dell’anno scorso, il nostro tentativo è quello, anche con i toni accesi, di confrontarci seriamente su una tematica così importante come quella delle cose che abbiamo sentito fino adesso, e quindi trarrei anche qua, come provocazioni da riproporre al Presidente Violante, due essenzialmente, ma poi Lei, Presidente, sia libero di intervenire e dire tutto quello che ritiene ovviamente opportuno. Un po’ il ruolo della sinistra, denunciato dal Ministro, che non riconosce i meriti, cosa che pare una deriva un po’ giustizialista opporsi sempre almeno a certe riforme annunciate o non riconoscendo quelle che sono state fatte, così mi pare di interpretare quello che è stato detto dal Ministro, e anche sul piano dei comportamenti, questa denuncia dei comportamenti di una parte della Magistratura che direi, si possono interpretare in un senso o nell’altro, però sono noti, sono pubblici. Cosa pensa Lei di questo e comunque rispetto anche a tutti i temi toccati dal Ministro Alfano, ribadisco il concetto, come ripartiamo? Perché è necessario.

LUCIANO VIOLANTE:
Sì naturalmente l’intervento, che mi aspettavo, mi costringe a dare alcune risposte. Innanzitutto però, prima, credo che il Ministro Alfano sia d’accordo, da questa sede si può far appello a un gesto forte di solidarietà nei confronti del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Pignatone. E’ stata messa una bomba sotto casa sua stanotte. E credo che sia giusto che da questa sede parta un segno. Credo che il Ministro Alfano sia senz’altro d’accordo. Sulle singole questioni postemi, guardi io non sono assolutamente tra coloro che criticano la maggioranza e il Governo per partito preso, lo sa chi mi conosce, anche perché se io apprezzo le cose positive che il Governo fa, ho più credibilità quando lo critico. Se critico tutto naturalmente non ho nessuna credibilità e non ho nessuna difficoltà, l’ho fatto in varie sedi, l’ho fatto anche stamattina in un’intervista televisiva, a riconoscere quanto di positivo è stato fatto su questo versante. Posso aggiungere però, se mi permettete, una cosa su cui credo che qui tutti potremmo essere d’accordo. Innanzitutto ci sono da rivedere, in parte è stato fatto, le misure relative alla confisca dei beni della criminalità, perché quando leggiamo sui giornali, molto spesso sui giornali si confonde il sequestro con la confisca. Il sequestro è provvedimento provvisorio, la confisca è un provvedimento definitivo. I dati ci dicono che si confisca attorno al 15% del sequestrato, quindi si restituisce circa l’85% dei beni sequestrati. Questo perché? Perché dobbiamo mettere a punto meglio anche le competenze. Cosa molto difficile, la mafia si avvale di tecnici intelligenti, anzi se permettete una parentesi, racconto un aneddoto: quando ero presidente della commissione anti-mafia chiesi a un collaboratore di giustizia come facessero loro con gli investimenti e questo mi disse: ma lei come farebbe, come fa? “Ah io soldi non ne ho”, “ma se li avesse?”, “andrei da un bravo commercialista” “e noi facciamo più o meno lo stesso” e mi disse: “e poi se l’investimento va bene, che cosa fa?”, “beh, tornerei dal commercialista” “e noi facciamo più o meno lo stesso” “e se l’investimento poi va male?”, mi chiese e io dissi: “cambierei commercialista”, “noi lo ammazziamo, la differenza è questa”. Non so se questo è il sistema che hanno seguito sino ad ora ma certamente hanno fior di professionisti a loro servizio, di aiuto in questo lavoro, credo perciò che bisogna mettere a punto una forma di specializzazione particolarmente elevata nella Magistratura. La seconda questione è questa, sempre sulla criminalità: dovremmo chiederci per quale motivo nonostante si arrestino fior di capi-mafia, questi capi-mafia continuino a proliferare. Allora qual è il punto? Il punto è che nella lotta contro la criminalità organizzata e contro le mafie, c’è un versante giudiziario di polizia che è quello che sta seguendo molto bene il Governo, c’è un altro versante, che è quello di carattere sociale ed economico e io credo che in questo versante dobbiamo metterci le mani, perché se non si bonifica dal punto di vista sociale economico e politico il terreno nel quale prosperano la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta, c’è poco da fare, quel tipo di condizione produrrà sempre nuovi capi, allora sarà come svuotare il mare con un cucchiaio. Io credo quindi che qui, maggioranza e opposizione, spero, possano trovare alcuni elementi di intesa per correggere alcune condizioni strutturali del Mezzogiorno. Seconda cosa: Obama, Sarkozy e altri – è vero Ministro Alfano – hanno criticato senza repliche le sentenze che non sono state gradite, ma Ministro Alfano, hanno criticato senza offendere, hanno criticato e basta. Scusate, so che forse non è gradito quel che sto per dire ma Obama non ha detto che il giudice Lamberth è un comunista, contro di lui ha detto che a suo avviso è sbagliato, punto e basta. Io credo che è giusto criticare, quello che non è giusto è offendere e questo vale tanto per la politica tanto naturalmente per la Magistratura ed è certamente tutto. Io sono d’accordo, Angelino, su quel magistrato di Bari che si è candidato contro la posizione del centrodestra, è una cosa inaccettabile, ci mancherebbe altro. Non si fa. Però a proposito di lobby, lasciami dire che il mondo, questo mondo è abbastanza complesso. Una lobby ha posto al vertice della Corte d’Appello di Milano un magistrato sul quale oggi c’è un’inchiesta, una lobby non giudiziaria, extragiudiziaria, fatta di personaggi abbastanza discutibili, che sono stati in galera varie volte e così via. Quindi, ecco, questo ci dice quanto il mondo della giustizia come oggetto di tensione da tutte le parti e come certamente propositi diretti a decongestionare le tensioni non possono che aiutare ad evitare che poi si infilino personaggi come quel Magistrato al vertice della corte d’appello di Milano. Per quanto riguarda poi l’atteggiamento che il Ministro prima citava del Partito Democratico, io voglio dire questo: si parla da anni di fase costituente, di riforma del sistema politico e così via. Tutti dicono di essere d’accordo con una proposta che è stata approvata all’unanimità nella scorsa legislatura dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera, e allora perché non la facciamo? Il PD non è che non dice che bisogna fare questa riforma, dice: facciamo quelle tre o quattro riforme che mettono il Paese in grado di competere e di funzionare meglio. Non si può fare soltanto una cosa. Allora, c’è un problema, ci servono ancora due Camere che facciano la stessa cosa moltiplicando la lunghezza dei tempi del processo? Io credo che il Presidente del Consiglio, si chiami Berlusconi, si chiami Prodi, si chiami Bersani, si chiami Alfano, debba avere il potere di chiedere il voto in tempi certi per i provvedimenti del Governo, ma ci vuole tanto a fare una cosa di questo genere? Credo che vada ridotto il numero dei parlamentari. 945 parlamentari sono troppi. Ma non per ragioni di antipolitica, sia ben chiaro che un numero di parlamentari così elevato fu pensato dopo la seconda guerra mondiale quando il nostro era un Paese diviso, lacerato e profondamente, come dire, spaccato tra chi aveva fatto la Resistenza, chi la Repubblica Sociale, tra le Casse del Mezzogiorno povere e le Casse del Nord, e così via. Una rappresentanza così vasta serviva a fare in modo che in Parlamento ci fossero tutti i rappresentanti dei pezzi di Italia e il Parlamento ha avuto un enorme funzione di costruzione dell’ unità nazionale in quella fase, perché il povero bracciante del Sud ha potuto parlare con un imprenditore del Nord, per la prima volta in vita sua e chi aveva combattuto con la Decima M.A.S. si è dovuto confrontare con quelli che avevano fatto la guerra partigiana e ciascuno si è sforzato di capire le ragioni dell’altro. Questa è la forza del Parlamento. E io credo che sia importante cominciare a fare in modo che si riparta dai fondamentali della democrazia. Oggi, il Parlamento, qui c’è il Vicepresidente Lupi, credo che lui sia d’accordo con me, il Parlamento non ha, non riesce a svolgere quella funzione di grande rappresentanza nazionale, di mediatore dei conflitti. Perché oggi tra i tre poteri, Governo, Magistratura e Parlamento, il Parlamento è il più debole e questo fa sì che non possa svolgere funzione di mediazione e soluzione dei conflitti che sono naturali in una democrazia, tra Governo e Magistratura. E guardate che quando sono solo due poteri, le cose sono queste: o quei due poteri daranno origine a uno scontro perpetuo oppure si mettono in accordo perpetuo. Entrambe le cose non vanno bene. Anche perché come il Governo ha i mezzi per mettere nel nulla la Magistratura, la Magistratura ha i mezzi per mettere nel nulla il Governo. E rischiano di attivarsi meccanismi autodistruttivi del sistema politico. Per questo motivo noi insistiamo perché si facciano quelle poche riforme che servono a far funzionare il sistema e dentro a queste riforme vadano quelle della Giustizia, dentro a queste riforme. Perché ci sembra che funzioni tutto il sistema e io credo che non possiamo non essere d’accordo sul fatto che vada messa sul tavolo anche la questione del cambiamento della legge elettorale. Ma insomma, io credo che una delle ragioni della crisi del Parlamento sia il fatto che il Parlamento non rappresenti i cittadini ma le oligarchie di comando dei partiti politici, del mio come quello degli altri, e questo non va bene. Perché i cittadini non sono rappresentati dal Parlamento e il Parlamento non rappresenta i cittadini e questo rende debole il Parlamento, non lo rende capace di mediare nei confronti dei propri capi, parlo del mio partito come degli altri partiti. Allora, attorno a queste cose si può riprendere un filo di riflessione e dentro queste cose che giustamente indica il Ministro Alfano. Perché non si può fare una riflessione un pochino più articolata che serva a liberarci da questo clima mefitico? Io credo che dovremmo cercare, non so se è possibile usare questo termine, di passare da una democrazia conflittuale ad una democrazia comunicativa, basata cioè sulla comunicazione tra i diversi. Altrimenti, se io parlo soltanto con i miei e chi non è d’accordo con me parla soltanto con i suoi, pensate che il Paese faccia dei passi in avanti? Ecco, ma questo che cosa vuol dire? Vuol dire che dobbiamo cercare di costruire un sistema politico diverso, in questo vanno messe le riforme. Perciò io dico non siamo per nulla contrari ad affrontare anche questi temi, Ministro Alfano, ma dentro ad un contesto dove anche altre cose contano. Perché non guardiamo con attenzione al problema della riduzione dei parlamentari? Perché adesso tra rappresentanti regionali, tra consigli di quartiere, comuni, province, regioni, c’è un meccanismo di rappresentanza abbastanza come dire, ampio e credo che sia importante ridurre il numero dei parlamentari. Seconda cosa: se dobbiamo costruire un sistema federale, come io credo, e come molti crediamo, non è importante avere un Senato che sia un luogo in cui i rappresentanti delle regioni convergano insieme in una visione nazionale dei problemi, perché oggi stiamo avendo un meccanismo sempre più di sfaldamento istituzionale da questo punto di vista, perché non c’è un punto centrale che raccoglie il federalismo. Perché il federalismo è la forma moderna dell’unità nazionale se gestita bene, ma per essere gestita bene deve avere un punto di coordinamento e di raccordo nazionale, che non c’è oggi. E questo crea le tensioni all’ordine del giorno tra regione e regione, tra nord e sud e tra sud e nord. Queste sono le questioni che a mio avviso vanno affrontate con una certa determinazione. Io spero che sia possibile affrontare le questioni di cui sto parlando, perché io credo che nessuno di noi ne può più di una politica fatta soltanto di piccole provocazioni reciproche da una parte e dall’altra, senza nessun passo consistente in avanti. E il Paese va disincagliato, cambiando quei dati di fondo del sistema che è vecchio per questi motivi ed è chiaro che in questa vecchiezza alcuni stanno bene, alcuni stanno male, ma la grande maggioranza sta male, perché non ha decisioni rapide, non ha decisioni trasparenti, perché il governo si trova in impaccio a governare, perché il Parlamento non funziona e così via e dentro questo rientra la crisi della giustizia. Ma mi diceva un vecchio magistrato che è in pensione: se non funzionano le poste, non funzionano i trasporti, non funziona questo, per quale motivo deve funzionare la Giustizia? Che è un’osservazione forse più caustica che fondata, però in ogni caso, dentro il mutamento del sistema politico stanno le riforme radicali che riguardano la Giustizia, questo è la cosa sulla quale io punto, e qui ha ragione l’obiezione del Ministro Alfano che colgo. Io non parlo di un maxi progetto di riforma globale, dico molto semplicemente: il numero dei parlamentari, cambiare il bicameralismo paritario, costituire il Senato Federale, dare al Parlamento più potere di controllo e meno poteri di legislazione, perché il Parlamento ha solo un potere di controllo non un potere di legislazione, dare al governo la possibilità di avere in tempi certi il voto del Parlamento sui suoi provvedimenti. Ci vuole tanto? Sono cose di buon senso, non hanno il segno di una parte o dell’altra e dentro questo mettere un nuovo inquadramento della Giustizia che, rispettando l’indipendenza dalla politica, sia ben chiaro, dia però assicurazione ai cittadini che non ci sono tutele corporative o domestiche in ordine ai comportamenti dei magistrati, di tutti i magistrati. Questo credo che si possa fare, in tempi brevi, se no come dire, se non si vuole toccare nulla e toccare soltanto un pezzo del sistema e non il resto, è difficile che l’opposizione possa essere d’accordo. D’altra parte credo che non convenga neanche al governo. Quanti mesi abbiamo perso? Le questioni che ha posto il Ministro Alfano sono molto giuste, però il Ministro Alfano ha i mezzi perché titolare dell’azione disciplinare, ha un ispettorato che può andare a vedere cosa c’è, per controllare questo tipo di questioni, ma certamente se, non per colpa sua, la sua attività o quella parlamentare, è stata bloccata non so più per quanti mesi su provvedimenti che poi sono stati accantonati, perché si è visto che non servivano anzi danneggiavano, è chiaro che nessuno è pronto a fare delle cose serie. Se le coalizioni di maggioranza sono così complesse, lo sappiamo bene, ne abbiamo avuto esperienza diretta, sono cose complesse, difficili da gestire e così via, mi pare che non se ne esca con la riproposizione di cose vecchie, si esce, come dice lì, facendo funzionare il cuore, cioè la voglia di cambiare, la voglia di portare avanti il Paese, di tirarlo fuori dalle secche. Guardate, è questo che ci deve animare, la fiducia nei confronti dell’Italia, per meritare la fiducia dell’Italia. Questa credo che sia la cosa più importante.

PAOLO TOSONI:
Ministro Alfano, a lei spetta l’ultimo intervento e chiudere il nostro incontro di oggi. Credo che le provocazioni e i suggerimenti del presidente Violante siano di ampio respiro e entrino anche nell’agone delle tematiche della nostra attualità e anche dei nostri impacci e delle nostre fatiche. Quindi vi chiedo di reagire e dire come oggi il Governo, il suo Partito intendano oggi continuare una stagione di riforme, ovviamente stiamo parlando di giustizia e quindi di quello che è il suo ambito.

ANGELINO ALFANO:
La cosa che mi ha indotto ad accettare immediatamente il confronto con l’onorevole Violante, come mi era stato proposto dagli organizzatori e sollecitato dall’amico fraterno Maurizio Lupi, è stato proprio un dibattito di questo genere, un dibattito sulle cose, non sull’approccio ideologico. E da questo punto di vista sono molto contento di come si è sviluppato questo dibattito e pongo all’attenzione di tutti voi quella che secondo me è l’illusione ottica di chi giudica il sistema Giustizia in Italia. Ti sembra di vedere una cosa e nel frattempo se ne è verificata un’altra. Chiunque sia chiamato oggi ad esprimere un giudizio su ciò che è stato fatto in materia di Giustizia, probabilmente viene richiamato dal dibattito sulle intercettazioni o dalla rissa politica-magistratura o dalla questione da ultimo del processo breve. In realtà, in questi due anni, abbiamo centrato la nostra attenzione su due cose che già stanno producendo frutti e dando effetti. Vi faccio un ragionamento che parte da una considerazione: il nostro sistema Giustizia, nell’ambito della organizzazione del sistema giudiziario, si fonda su una rete e un apparato di notifiche al cittadino che vale 28 milioni. Cioè 28 milioni di pezzi di carta, 28 milioni di notifiche vengono fatte ogni anno nel nostro sistema, ogni anno vengono consegnate 28 milioni di notifiche ai nostri concittadini e tutto ciò cammina sulle gambe di 5 mila dipendenti del Ministero della Giustizia, che si chiamano camminatori. 5 mila uomini su 40 mila vengono impegnati per distribuire 28 milioni di notifiche. Questo è un dato che rappresenta come funziona o meglio come non funziona il sistema giustizia in Italia. Per atti che sono orami fattibilissimi per via telematica. Allora, noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo impostato una riforma del processo civile e abbiamo dato il via ad uno statuto, completandone complessivamente l’iter, ad uno statuto del processo telematico. E’ possibile che mentre i nostri giovani viaggiano alla velocità di Internet, i nostri uffici giudiziari viaggiano alla velocità di carta, penna e calamaio? E abbiamo informatizzato gli uffici giudiziari, investendo dal punto di vista normativo. Vi faccio un esempio: abbiamo stabilito per legge che le comunicazioni tra i protagonisti del processo debbano avvenire via internet, cioè avvocato e magistrato debbono comunicare per internet; abbiamo realizzato, qui vi è il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano presente, abbiamo realizzato a Milano un esempio di notifiche telematiche che ha fatto risparmiare soldi al sistema e i decreti ingiuntivi che prima venivano approntati a Milano nell’ordine dei 40 mesi, adesso vengono affrontati e risolti in poche settimane. Abbiamo approvato una riforma del sistema Giustizia, soprattutto in ambito civile, che prevede che non tutto e non sempre debba andare in Cassazione. Voi sapete bene che un detto abbastanza comune nel nostro dire quotidiano è “va bene, va bene, fammi causa, ci vediamo in Cassazione”. Abbiamo affermato che non tutto e non sempre debba andare in Cassazione, dove andavano a finire cause anche per 20 euro, per 30 euro. Abbiamo stabilito per legge che chi gioca ad allungare i tempi del processo, può patire una sanzione che va fino all’estinzione della causa; abbiamo introdotto l’Istituto della Mediazione Civile che serve ad affermare il fatto che non tutto e non sempre debba andare in Tribunale, che ci possono essere organismi di conciliazione, specializzati a dare giustizia in 40 giorni se le parti sono d’accordo, in modo tale che possano pure anche continuare il loro rapporto. Mi riferisco per esempio al rapporto tra un’impresa e un fornitore, magari vogliono continuare a collaborare ma con la causa pendente non possono continuare a collaborare. Abbiamo introdotto nel nostro sistema la regola per cui bisogna avere la chiarezza dei riti processuali; io sono pronto, da settembre, a sottoporre al Parlamento una semplificazione dei riti della procedura civile, che farà sì che il nostro sistema processuale civile potrà passare dai 27, 30 riti attuali (ci sono procedimenti di tutti i tipi, è una giungla!) a 4, 5 riti fondamentali. Abbiamo fatto sì che il nostro processo civile possa essere adeguato a ciò che l’Europa ci chiede, affermando il principio che il giudice deve emettere una sentenza breve senza il bisogno di fare un trattato di dottrina per dire chi ha ragione e chi ha torto all’interno di una causa. E’ chiaro che l’investimento in informatica serve ad accelerare la durata dei processi, che tutte queste norme servono ad accelerare la durata dei processi; è chiaro che il meccanismo della mediazione serve per diminuire l’input, cioè per far sì che in tribunale arrivino meno processi. Quindi, per un verso accelerare l’output, per un verso accelerare ciò che è in corso, per altro verso diminuire il numero delle cause che entrano nel sistema procedimentale civile. E però, mi chiedo: a fronte di una accelerazione quale quella che noi vogliamo produrre, se oggi vi sono 5, 6 milioni di cause civili pendenti, quale riforma volete che funzioni se prima non c’è un piano straordinario di smaltimento dell’arretrato civile che serva ad eliminare questo zaino di piombo che grava sulla giustizia italiana? Allora, bisogna eliminare l’arretrato con un piano straordinario di smaltimento, dando ai cittadini la possibilità non di cancellare i processi e neanche di risolvere i problemi Mondadori come la sinistra va dicendo. Noi vogliamo accelerare lo smaltimento di quelli che sono i pendenti dando giustizia, non facendoli morire, ma facendo sì che chi ha ragione abbia ragione dal giudice e che ci sia la possibilità che chi ha torto non giochi ad allungare i tempi e che, anzi, ci sia un giudice che in tempi brevi possa erogare giustizia. Cioè, da un lato noi vogliamo diminuire l’accesso ai tribunali in termini di contenzioso inutile perché può essere risolto di fronte al mediatore civile, per altro verso vogliamo accelerare lo svolgimento dei processi attraverso la digitalizzazione e nuove regole e, per altro verso ancora, sapendo che tutto ciò, cioè la diminuzione dell’input e l’accelerazione dell’output, non può essere sufficiente da solo, ma ci vuole un piano di smaltimento straordinario che aggredisca le pendenze. Mi è stato detto che questo è un approccio un po’ troppo manageriale al sistema Giustizia, al funzionamento della Giustizia: io l’ho preso come un complimento e ho sorriso, perché sono convinto che non sia un torto immaginare che il sistema Giustizia sia, anche e soprattutto, un servizio da rendere ai cittadini. E anche quello è un servizio da rendere in termini di squadra, di squadra che collabora a tutto tondo, anche nello smaltimento di questo enorme arretrato civile, che è uno degli elementi del ranking che rende meno competitivo il nostro paese. Quando noi abbiamo le classifiche delle istituzioni internazionali che fanno il ranking al nostro paese, stabilendo nella classifica di competitività come è messa l’Italia, noi ci troviamo tra gli elementi limite il processo civile. Ecco perché c’è l’illusione ottica, perché noi a fronte della realtà, che è una realtà da Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana, con la pubblicazione in Gazzetta delle nostre norme antimafia, del carcere duro per i boss mafiosi, dell’inasprimento del 41bis, della riforma del processo civile, dell’atto pubblico informatico per i notai che sono obbligati, anche loro, ad attivarsi dal punto di vista informatico, a fronte della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei grandi risultati della legge sullo stalking, a fronte della eliminazione del patrocinio gratuito per i boss mafiosi, tutte cose che stanno in Gazzetta Ufficiale, si parla di tutto ciò che in Gazzetta Ufficiale non ci sta e che rappresenta una parte del dibattito pubblico, ma che fa dimenticare il merito di ciò che è stato fatto in questi anni, che è stato veramente significativo ed importante. E se dico questo con un di più di passione è perché io sono appassionato, appassionato a un’idea di politica che non abbandoni l’orizzonte lontano e sono, invece, molto rattristato quando vedo che la politica si ferma a guardare la punta del naso dei politici stessi. E credo che lo sforzo che ciascuno di noi debba fare è restituire, innanzitutto, a ciascuno di noi un orizzonte lontano di visuale politica, l’idea che anche in questa circostanza, nella circostanza della Giustizia, noi siamo chiamati alla semina. Il raccolto non lo faremo noi, lo faranno, probabilmente, altri, lo farà chi verrà dopo di noi. Ma se il raccolto lo prende chi viene dopo di noi, noi siamo esonerati dal dovere della semina? No. Noi siamo ancor più obbligati a seminare, proprio perché il raccolto sarà per chi verrà dopo di noi e per i nostri figli. Ecco, l’idea che questa grande sfida, anche in materia di Giustizia e di riforme, tra lo status quo e un coraggioso riformismo, che contro ogni lobby si batte per mandare avanti questo paese che tanto amiamo, è l’idea di politica che abbiamo nel cuore, cioè l’idea di una politica che parta anche dal presupposto che ciascuno di noi e me, tra tutti quelli che in politica hanno cominciato presto, un giorno smetteranno e che devono abituarsi all’idea che se vorranno dare a loro medesimi, e io a me stesso, il giudizio positivo, dovranno sempre pensare di avere come obbiettivo l’idea di avere lasciato un mondo, per quel tantino che hanno potuto fare, un mondo ai nostri figli un po’ migliore del giorno in cui entrarono in politica. Vi ringrazio.

PAOLO TOSONI:
Ringrazio i nostri relatori. Solo una brevissima conclusione: siamo partiti dicendo che ci interessa parlare di Giustizia perché ci interessa il cuore dell’uomo e ci interessa l’uomo e ringrazio in particolar modo i nostri relatori perché hanno tenuto presente questo desiderio, questa esigenza di giustizia e hanno sempre richiamato, pur entrando negli aspetti tecnici, quel limite che l’uomo ha nel rispondere a questo bisogno. Ma la coscienza del bisogno deve essere alta perché si possa servire meglio questo bisogno pur con la limitazione dei mezzi che si hanno. Noi abbiamo bisogno di protagonisti della vita pubblica che abbiano questa coscienza e per questo vi ringrazio per essere venuti. Vorrei anche ringraziare, perché mi sono dimenticato di farlo prima, perché è un fatto particolare di questo nostro evento che è il Meeting, i nostri amici carcerati che sono qui presenti e che fanno i volontari al Meeting e questo è un segno di novità e di attenzione alla persona che può rinascere anche in una situazione così faticosa, insieme ovviamente a tutti coloro dell’amministrazione penitenziaria che si sono prestati. Grazie a tutti e buona giornata.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

26 Agosto 2010

Ora

11:15

Edizione

2010

Luogo

Sala A1
Categoria
Incontri