Un nuovo mondo del lavoro, nuovi modi di lavorare

Redazione Web

Rimini, mercoledì 19 agosto – Al Meeting una tavola rotonda sul tema del lavoro che cambia, in collaborazione con Randstad, Unioncamere Nier: la crisi pandemica ha costretto buona parte del lavoro “intellettuale” ad operare in smart working per mantenere il giusto distanziamento fra le persone. Moderati da Michele Brambilla, direttore di QN-Quotidiano Nazionale, sono intervenuti: Gian Carlo Blangiardo, presidente ISTAT; Marco Ceresa, amministratore delegato Randstad Italia; Marco Hannappel, presidente e amministratore delegato di Philip Morris Italia; Alessandro Profumo, amministratore delegato Leonardo; Marco Travaglia, presidente e amministratore delegato Nestlè italiana.

Blangiardo ha tratteggiato, con grafici e slide, un raffronto per capire cosa e come è cambiato nel mercato del lavoro in Italia. Prima del Covid si parlava di flessibilità, oggi di distanza: «A gennaio Istat è partita sperimentando il lavoro da casa, per dare flessibilità positiva a chi aveva carichi di famiglia; poi questa modalità è diventata una necessità, che ha portato risultati interessanti a livello di produttività. La tendenza di fondo del mercato del lavoro, anche prima della pandemia, è quella di una riduzione del lavoro degli operai e della crescita del lavoro di livello medio e medio/alto. C’è stata una caduta drammatica dei livelli occupazionali nei due mesi di chiusura e poi una successiva ripresa che non ha riportato il tasso di occupazione ai livelli precedenti». Il relatore ha sottolineato che a risentire maggiormente della crisi sono stati coloro che avevano un rapporto a tempo determinato, oggi scoraggiati nel riproporsi nel mercato del lavoro: bisognerà trovate strumenti adeguati per intervenire.

«Le competenze ITC degli italiani», ha poi rilevato Blangiardo, «sono più basse rispetto alla Francia e all’America, nonostante la pandemia abbia aumentato le dimensioni quantitative del lavoro da casa. Lo smart working ha elementi positivi, in quanto può dare risposte alla conciliazione figli/famiglia/lavoro, tuttavia ha anche aspetti problematici e bisognerà trovare soluzioni equilibrate. Uno degli aspetti negativi è quello di tagliare i rapporti sociali e umani che si realizzano lavorando insieme. Coloro che sono tenuti a prendere decisioni», ha concluso, «devono basarsi su dati oggettivi che noi possiamo fornire e non su semplici opinioni».

Profumo ha sostenuto che nessuno dei lavoratori della sua società ha perso il posto di lavoro durante il lockdown: «Durante la pandemia il 45% dei nostri dipendenti ha lavorato da casa; più problematico era il lavoro degli ingegneri, che devono interagire fra loro per sviluppare programmi complessi e i nostri processi non sono in grado di creare queste interazioni a distanza. Il personal touch», ha proseguito, «rimane comunque fondamentale per sviluppare idee creative e innovative e le relazioni umane sono assolutamente essenziali a questo scopo. Noi come azienda dobbiamo essere i prestatori di tecnologia sia fissa che mobile dei nostri lavoratori smart, in particolare per il tema della cyber security che non è garantita dai device personali».

Cerasa ha approfondito il tema del cambiamento: «Un’azienda che vuole continuare a crescere deve pensare a come trasformarsi per continuare ad essere competitiva. In Randstad abbiamo iniziato a sperimentare questa modalità di lavoro già nel 2016, ben prima dell’emergenza Coronavirus, tenendo in considerazione le necessità e gli interessi di nostri stakeholder interni e toccando con mano i benefici che da questo cambiamento stavano arrivando. Lo smart working implica un necessario cambiamento organizzativo su diversi livelli e con un approccio integrato, che riguarda processi, spazi, tecnologie e naturalmente le persone. Occorre partire da loro, le persone, facendo un nuovo “patto” per superare l’associazione che lo smart working sia solo lavoro da remoto. È un vero e proprio percorso di trasformazione dell’organizzazione e del modo di lavorare che si deve necessariamente basare su fiducia e collaborazione».

Cerasa ha inoltre sottolineato la necessità di aumentare, tramite il lavoro da casa, la produttività per accrescere il PIL nazionale a vantaggio del Paese.
Travaglia ha raccontato come la pandemia abbia cambiato le modalità lavorative della sede centrale della sua azienda, dove è stato praticato lo smart working per il 99% dei dipendenti, mentre le fabbriche hanno continuato ad operare come in passato, pur con i sistemi di sicurezza imposti. Lo smart working complessivo è passato da 2 giorni ai 10/12 giorni al mese, e questa nuova modalità sarà probabilmente quella del futuro perché è molto apprezzata dai dipendenti, anche se richiede cambiamenti organizzativi e di processo. «È chiaro», ha aggiunto, «che l’approccio dovrà essere equilibrato, perché implica fiducia reciproca e non deve far venire meno gli aspetti sociali, culturali e valoriali che l’azienda pone alla base del suo operare».

Hannappel ha riaffermato che i luoghi fisici sono fondamentali per la persona, il suo sviluppo professionale e anche per il business. Questo non toglie l’importanza del digitale ma deve essere integrato con il lavoro sul posto, perché l’intelligenza artificiale deve sempre accompagnarsi a quella umana: «Durante questa pandemia i cambiamenti hanno portato diversi dipendenti a sviluppare una multifunzionalità per adattarsi alle diverse modalità operative. Una strategia precisa aiuta sicuramente lo smart working, se le persone hanno chiari gli obiettivi da raggiungere. Noi abbiamo costruito una fabbrica vicino a Bologna spendendo un miliardo di euro, perché vogliamo fare prodotti innovativi e in Italia ci sono fattori di attrattività importanti come la meccatronica, il packacing e l’integrazione con la filiera agricola».

A parere di tutti i relatori i risultati del lavoro smart sono la cartina di tornasole per verificare se la nuova modalità di lavoro funziona; inoltre le persone, anche anziane, in questo periodo si sono attivate digitalmente per i servizi di cui avevano bisogno.
(A.S.)

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