“Come gli irlandesi salvarono la civiltà” (di Thomas Cahill): il titolo di questo libro, citato in apertura da Roberto Fontolan, direttore de Il Velino, realizza un accostamento poco usuale, che rappresenta proprio il tema dell’incontro di oggi: tra civiltà e libertà, infatti, passa un legame moto stretto. Lo storico Guglielmo Gualandris ha aperto il suo intervento ricordando il senatore Cossiga, che avrebbe dovuto essere presente al tavolo dei relatori, e augurandogli una pronta guarigione. Gualandris è quindi passato a descrivere l’idea dell’Irlanda nell’immaginario collettivo di oggi come “la terra dei nostri sogni, un luogo dove vive gente allegra e insieme tenace, orgogliosa”. Oggi si è voluto però riportare l’attenzione sulla vera identità del popolo irlandese, quella cristiana. Essa affonda le sue origini nella conversione “miracolosa” degli irlandesi, rapidissima e radicale: il cristianesimo seppe infatti inserirsi nella religiosità pagana dei celti e dei gaeli. La Chiesa di frontiera di San Patrizio, con il suo monachesimo itinerante, divenne un modello per tutta l’Europa: era una Chiesa desiderosa di evangelizzare, di rinnovare la vita dei contemporanei. Nel contempo i monaci irlandesi copiarono tutta la letteratura occidentale, salvandola dalla distruzione. “L’età dell’oro” del cristianesimo irlandese, da cui nacquero moltissimi santi (tra cui San Colombano, che Schumann elesse patrono dell’Unione Europea), fu seguita – tra l’XI e il XII secolo – da una serie di invasioni barbariche. Le ulteriori vicende del Paese (la sottomissione all’Inghilterra, le imponenti emigrazioni) hanno condotto al duplice scenario odierno: divisione e riconciliazione. In questo senso è stato ricordata la storica decisione – risalente a poche settimane fa – da parte dell’IRA di non usare più la violenza. S.E.Mons. Diarmuid Martin, Arcivescovo di Dublino e Primate d’Irlanda da circa un anno, ha specificato che l’annuncio non è stato del tutto inaspettato: si tratta infatti del frutto di un lungo processo di pace. Provocato dalle domande di Fontolan, Martin ha commentato tre aspetti del rapporto tra Irlanda ed Europa: l’eredità, la responsabilità e la speranza. I fattori in gioco sono molteplici: dall’impeto missionario all’attenzione verso i giovani irlandesi. La crescita economica, di cui l’Irlanda è un clamoroso esempio (anche come capacità di sfruttare gli aiuti offerti dall’Unione Europea), non può essere – da sola – l’unica risposta ai problemi dell’Irlanda. È necessario “togliersi la giacca e cominciare a lavorare”: per esempio, Martin ha istituito consigli pastorali, dialogato con politici e amministratori locali, aperta la porta al laicato, unica possibilità per cambiare il clericalismo caratteristico del cattolicesimo irlandese. Il sistema di istruzione è certamente utile in una prospettiva innovativa ed è dunque necessario investire su di esso, affinché ci possa essere una Chiesa matura in uno Stato maturo. Le scuole cattoliche, del resto, sono le uniche che garantiscono una vera integrazione in un Paese che vede, al contrario che nel XIX secolo, una forte immigrazione. È necessario che nella piazza pubblica ciascuno entri con le sue tradizioni: solo così si realizza la vera tolleranza, cioè la mutua accettazione della diversità. Perché l’Irlanda possa continuare a dare un contributo positivo all’Europa deve avere il coraggio di essere autonoma dall’impero – anche delle idee – dominante.
P.S.
Rimini, 26 Agosto 2005