Testimonianze dalle periferie: L’uomo vale più della sua malattia

Press Meeting

“Il destino non ha lasciato solo l’uomo, da Abramo a Maria fino ad ognuno di noi, per portare a compimento il segno di fedeltà. Il filo rosso delle testimonianze è costituito dalle parole di papa Francesco che indicano la direzione di marcia, verso le periferie esistenziali”. Queste le parole con le quali Letizia Bardazzi, presidente dell’Associazione italiana centri culturali, apre alle 15 nel salone Intesa Sanpaolo D5, il primo dei quattro incontri sulle testimonianze dalle periferie che si terranno lungo la settimana riminese.
La malattia è il tema al centro di questo primo incontro, una situazione che l’animo umano vive con intensità ma che rischia di sospingerlo alle periferie. L’uomo però ha la necessità di non sottrarsi alla realtà, quando è mosso dal desiderio di vedere come Dio risponde al suo cuore. Marta Scorsetti, responsabile di unità operativa di radioterapia dell’istituto clinico Humanitas, tocca il cuore del pubblico in sala, raccontando numerose esperienze che nella sua vita lavorativa sono state definite dal suo rapporto con Cristo. “Io sono la prima periferia che Dio ha incontrato” dice la dottoressa, che individua nel proprio cammino tre tappe fondamentali del rapporto con il prossimo e con il divino. La prima tappa è “lasciati amare da Cristo”, perché “non si può dare se non quello che si è”. “C’è sempre qualcuno” è il secondo passo. Qualcuno “che rimane con te, ti attende e non ti lascia mai solo, perché quando qualcuno ti attende, la vita diventa una cosa diversa”. L’essere umano infatti per natura desidera e la malattia non può annientare né il pensiero né il desiderio di essere felice, anzi “se la malattia non può impedire di desiderare, non può impedire neanche di vivere”. “La vita è un cammino – conclude l’oncologa evidenziando il terzo punto – è una coscienza limpida e pura del destino che non si compie perché uno si trova nella malattia piuttosto che nella salute, ma nel cammino verso Dio. Ogni giorno è un passo verso il destino e non bisogna fare altro che accettarlo: Dio viene e tutto si compie. La morte non è la fine di tutto, ma la chiamata a una vita nuova. L’uomo vale più della sua malattia”.
Gerald Mahon (per tutti padre Jerry) è pastore della chiesa di St. John the Evangelist in Rochester, negli Stati Uniti. “Desidero vivere alla periferia dove Cristo si fa presente”, è il suo esordio. “Spesso la fede timida e la paura mi hanno impedito di vivere molte esperienze, ma quando ho incontrato don Giussani la mia umanità si è risvegliata. Il suo carisma ha cambiato la mia vita e la mia fede, il percorso è stato segnato da nuovi inizi che vanno oltre la mia immaginazione”. Il destino non ha lasciato solo l’uomo, prosegue il pastore citando il titolo del Meeting: “Cercavo qualcosa e proprio allora è arrivato l’abbraccio di don Giussani”. Padre Jerry chiude il suo intervento citando ancora il fondatore di Cl: “Nulla nel mondo può giustificare la sospensione della memoria di Cristo”. E cosa significhi memoria, lo dice Letizia Bardazzi ringraziando gli ospiti e salutando il pubblico, quando ricorda che “la vita non è fare, ma guardare cosa Dio fa con gli uomini”.
(C.R., L.T.)

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