Testimoni di libertà, con Bhatti, Kaigama, Warduni, Quirico

Press Meeting

“Le drammatiche testimonianze di vita dagli angoli più insanguinati del mondo chiudono il cerchio del tema ‘La sfida di essere cristiani oggi’”. Monica Maggioni, direttore di Rainews24, nell’Auditorium Intesa Sanpaolo D5, alle 15.00 introduce Paul Jacob Bhatti, presidente della Shahbaz Bhatti Memorial Trust; monsignor Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria; monsignor Shlemon Warduni, vescovo ausiliare al Patriarcato di Babilonia della Chiesa dei Caldei e l’inviato de La Stampa Domenico Quirico.
“I cristiani di Mosul hanno confessato la loro fede in Cristo nostro Dio e Salvatore con fermezza e senza paura dicendo: crediamo in Cristo e con forza. Per Lui moriamo perché morire con dignità è molto meglio che vivere con umiliazione. Siamo fieri di essere cristiani”. Warduni affronta il tema con coraggio. ”Perché ci trattano così brutalmente ed inumanamente? – si domanda – Cosa abbiamo fatto di male? I cristiani sono in Iraq dal tempo degli apostoli e sono radicati nella fede da circa duemila anni. Adesso vogliono sradicarci dalle nostre radici, dal nostro terreno. Il sangue dei martiri ha dissetato questo terreno, la nostra cultura ha illuminato il paese ed i suoi abitanti, quel paese in cui Hammurabi ha scritto le sue leggi e Giona il profeta gridava agli abitanti di Ninive di fare penitenza”. Da qui le richieste: “Stati Uniti ed Europa devono prendere sul serio la nostra situazione drammatica. Non devono vendere armi, ma garantire protezione internazionale alla minoranza cristiana, con l’impiego della forza militare. Dove sono i diritti umani? Cosa fa il Consiglio di Sicurezza Mondiale?”
Un filo rosso di assurda violenza lega l’Iraq con la Nigeria, la Siria, il Pakistan. “Shahbaz Bhatti era mio fratello – ha raccontato orgogliosamente Paul Bhatti – e ha dedicato ventotto anni della sua vita ai cristiani perseguitati dall’ingiustizia sociale in Pakistan”. La sua non era una battaglia politica, ma una testimonianza di fede. “Non ha mai negoziato la sua fede in Cristo. Anzi, mi diceva che la strada del paradiso passa dal Pakistan”. Alla sua morte il fratello ha deciso di prendere il suo posto per continuarne la missione. “Se uno ha fede vera – continua Bhatti – non ha paura della morte. Ma dobbiamo essere uniti e coscienti che non si tratta di uno scontro di religione ma di una filosofia deviata, di un’ideologia che plagia e indottrina i bambini fin da tenera età. Per difendere i diritti di quei bambini e il diritto di base di tutti gli esseri umani, abbiamo il dovere e la responsabilità di portare la pace”.
Quirico è della stessa opinione e parte da una provocazione: “Il titolo del Meeting dice che il destino non ha lasciato solo l’uomo. Non è vero”. E precisa: “Noi occidentali abbiamo lasciato solo l’uomo. Abbiamo lasciati soli i cristiani della Nigeria, dell’Iraq, i siriani. Abbiamo lasciato soli gli uomini che vivono nelle periferie del mondo. Questa è la nostra colpa”. In quei territori sta nascendo un fenomeno terribile che va oltre la dittatura. “Si tratta della nascita di un nuovo totalitarismo – continua il giornalista – la negazione dell’altro in quanto tale. La necessità della purificazione della società dall’altro, non perché è un avversario, ma perché è l’altro. È la nascita del Leviatano. James Foley – afferma Quirico – non è stato ucciso perché testimone di crimini jihadisti, ma condannato a morte perché occidentale, americano. La sua colpa era scritta in lui, nella sua biografia, in ciò che era”.
Monsignor Kaigama prende la parola, ringraziando di poter parlare al Meeting dove è possibile vedere “l’impersonarsi della fede nell’amore e nell’amicizia, unica possibilità per vincere il male”. “La libertà religiosa è parte dei nostri diritti”, esordisce. Questo lo dicono sia i musulmani nel nord della Nigeria, che accusano la presenza dei cristiani come una minaccia e ne ostacolano la presenza in tutti i modi, sia i cristiani del sud dove la vita è durissima. Il prelato continua sottolineando la discriminazione che pesa sulle popolazioni della Nigeria e compromette qualsiasi livello di confronto e di lavoro, anche istituzionale. È in questo vuoto che ha preso spazio Boko Haram, “una realtà in crescita, soprattutto ora che ha dichiarato la nascita del Califfato”. Tra gli atti più gravi il rapimento delle duecento giovani studentesse che ha dato forza contrattuale ai terroristi.
In questo contesto di terrore e di paura, la diocesi di Jos si pone un obiettivo alto: “Abbiamo fondato il Dialogue and peace center, un centro studi per educare cristiani e musulmani al dialogo”. Cosa possono fare l’Europa e la comunità internazionale? “Bloccare gli approvvigionamenti a Boko Haram, che ha armi più sofisticate dell’esercito regolare nigeriano”. In conclusione Kaigama precisa: “Alla violenza deliberata che ho descritto si deve aggiungere un altro grave problema per la popolazione nigeriana: una dominante confusione tra religione e legislazione”. “Ho paura, è naturale – confessa il presule – ma nel promuovere la pace e il dialogo ho la speranza che il male sia vinto. Continuate a pregare esercitando una pressione vera verso i vostri governi”.
Infine i bambini del Meeting consegnano a Warduni un messaggio di pace, insieme a delle offerte raccolte. Dei 2500 bigliettini scritti dai bambini, due sono particolarmente toccanti. Uno è di Francesco, dodici anni, che recita: ”Tenete duro, Dio vi ama. Io pregherò per voi”. L’altro, di una bambina, Caterina: ”Non vedo l’ora che venga Natale anche da voi”.

(D.S., G.L.)

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