TAVOLA ROTONDA: “L’ONORE DI FARE IMPRESA”

Press Meeting

Cos’è per voi l’”onore dell’impresa”? Questa la domanda rivolta da Raffaello Vignali, Presidente della Compagnia delle Opere, ai partecipanti alla tavola rotonda di oggi pomeriggio sull’argomento: Pier Luigi Bersani, Ministro dello Sviluppo Economico, Massimo Capuano, Amministratore delegato Borsa Italia, Alessandro Profumo, Amministratore delegato Unicredit Group, Paolo Scaroni, Amministratore delegato ENI. Naturalmente, Vignali ha avuto cura di definire l’”onore” come la coscienza dello scopo e del valore di ciò che si fa e sottolineare che l’imprenditore è esempio di una posizione non nichilista di fronte alla realtà, perché, per rischiare, egli ammette prima che una risposta a ciò che cerca e cerca di fare c’è.
Scaroni, aprendo il suo intervento, ha detto che Mattei, il padre dell’Eni, ben sapeva cosa fosse l’”onore dell’impresa” perché aveva avuto la capacità di trasformare un’azienda fallimentare in un’impresa che oggi è uno dei fiori all’occhiello dell’Italia. Rilevato poi che dai dati statistici emerge un continuo sorgere di imprese, ha evidenziato la necessità che esse vadano sostenute soprattutto attraverso la realizzazione di infrastrutture e di un sistema scolastico che punti all’eccellenza: questo è responsabilità, però, non solo della politica, ma anche dell’intera società. Per questo si è “scagliato” contro i localismi che “tengono in ostaggio” il Paese (facendo l’esempio della TAV e dei termovalorizzatori), contro una scuola non basata sul merito e sull’eccellenza, contro il pullulare delle Università, quasi su base provinciale. Ha auspicato una cultura della scuola e dell’impresa che faccia sì che il talento sia educato, sviluppato, premiato e valorizzato in favore di tutti. Anche di fronte alle polemiche sorte intorno all’età pensionabile si è chiesto se il lavoro sia una “galera insopportabile”, per rispondere che per tantissimi non è questo, ma è passione di fare ed un modo di realizzarsi: ha dunque sostenuto la necessità di un sistema flessibile, che permetta l’anticipazione del pensionamento per chi ha svolto lavori usuranti e la possibilità di posticipare l’età pensionabile per chi ha ancora energie e capacità da esprimere.
Fare impresa, per Profumo, è generare valore, prima ancora che profitto; in relazione all’ impresa-banca gestita, generare valore significa far sì che abbia legittimazione sociale verso tutti i portatori di interessi che hanno a che fare con essa (e dunque anche verso gli azionisti). Questo significa saper gestire al meglio le risorse, anche umane, avendo una responsabilità verso la stessa impresa, che deve avere la capacità di restare in piedi, e delle famiglie che traggono sostegno dal suo lavoro (siano esse quelle dei dipendenti, dei clienti, degli azionisti, ecc.): ma occorre anche che chi lavora per l’impresa-banca sappia scegliere gli interventi più adeguati in favore della clientela. Tutto questo ha a che fare con l’onore dell’impresa. Peraltro, il profitto non può essere visto come qualcosa di negativo e da “punire”: un paese che sia allo stesso tempo competitivo e solidale presuppone che ci siano utili da ripartire, creati da persone capaci.
Secondo Capuano l’onore dell’impresa nasce dalla capacità dell’imprenditore di assumersi una responsabilità, di avere una propensione al rischio, di non avere paura della concorrenza, di basare la propria attività sull’innovazione e la ricerca, sulla competenza. Occorre che l’impresa diventi creatrice di benessere per sé, i dipendenti, gli azionisti, i clienti, i fornitori, le loro famiglie. Ma perché questo possa accadere è necessario che l’imprenditore non sia lasciato solo. L’anomalìa Italia sta nel fatto che la maggior parte delle imprese italiane sono piccole: è necessario che siano aiutate a crescere, fornendo loro infrastrutture, sistemi, educazione imprenditoriale, formazione manageriale. Altro aspetto dell’anomalìa è il fatto che l’imprenditore è restìo ad aprire la propria impresa al capitale altrui per farla crescere. Ma se non c’è partecipazione azionaria, non c’è neppure la possibilità della quotazione in borsa: è questo è un limite alla crescita. Nello stesso tempo, ciò significa che il capitale defluisce su altri mercati. L’Amministratore delegato della Borsa ha infine messo in rilievo come, per creare maggiori opportunità per le piccole e medie imprese, è stato istituito un “mercato alternativo dei capitali” , creato con l’ausilio delle banche , per investimenti specializzati di tali imprese.
Da ultimo è intervenuto il Ministro Bersani, che si è chiesto innanzitutto come mai, pur essendo certamente difficile fare impresa in Italia, soprattutto in un contesto di carenza di materie prime, ci sia invece un tessuto imprenditoriale molto esteso, soprattutto nel campo delle piccole e medie imprese: la risposta sta nel fatto che l’imprenditore italiano ha assunto un atteggiamento “personalistico”, sviluppando iniziative e capacità; ha capitalizzato risorse intellettuali e fatto cose con “gusto” e flessibilità. Questo ha portato ad una produzione basata sulla qualità e professionalità, a un fare impresa come gesto creativo, fondato sulle capacità. Altra caratteristica dell’imprenditore italiano è quella della “fedeltà” alla propria impresa, con la conseguenza negativa della resistenza a permettere l’ingresso di partners nell’azienda. Ad essere conosciuta è di conseguenza la figura dell’imprenditore più che la sua impresa: questo è un pregio, ma anche un limite. Va anche riconosciuto all’imprenditore italiano la capacità di andare oltre la materialità del profitto. Altri problemi nascono dalla globalizzazione, in relazione a questioni come ricambio generazionale, marchio, logistica, novità del prodotto. Per rispondere a tali problemi è necessario collegare impresa, finanza, ricerca. Avviandosi verso la conclusione, il Ministro, riprendendo la domanda iniziale del moderatore, ha sottolineato la necessità che il lavoro sia fatto bene di per sé e come questo sia importante come espressione di “civismo”, termine usato come sinonimo di “onore” o di “gratuità”, soprattutto a fronte di una società globalizzata. Questo permetterebbe anche un’”autoregolamentazione” nel campo del lavoro, nel quale è effettivamente difficile effettuare una “regolamentazione formale” (che scatena sempre una protesta, come nel caso dei decreti sulle cosiddette. “liberalizzazioni”). Un punto di difficoltà sta nel fatto che, secondo Bersani, oggi la materia prima della capacità è un po’ più scarna; sicché, se la politica è colpevole, la società non è innocente. La politica non è tutto, è stata la conclusione: i soggetti che hanno la capacità di indicare e dare il senso alle cose – e qui il riferimento alla Compagnia delle Opere ed alla realtà che la genera è stato esplicito – devono farsene carico, indicando alle imprese il ruolo da assumere. Infine c’è stata la sottolineatura che c’è un bacino di “risorse civiche” da mobilitare, al di là dei partiti, per dare un po’ di speranza al Paese.

A.M.
Rimini, 24 agosto 2007