Talk il lavoro che verrà. Imparare a imparare

Redazione Web

Il lavoro che verrà: i nuovi lavori cambieranno la società

Rimini, 22 agosto 2021 – La Fondazione per la Sussidiarietà, con il sostegno di Philip Morris Italia, Bayer SpA, Consorzio Scuole Lavoro, in Sala Ravezzi, ha chiesto agli ospiti di pensare a quali impatti sociali possano essere causati dai cambiamenti del modo di lavorare. Hanno partecipato: Patrizio Bianchi, ministro dell’Istruzione; Remo Morzenti Pellegrini, rettore dell’Università di Bergamo; Dario Odifreddi, presidente dell’Associazione Consorzio Scuole e Lavoro e presidente della Fondazione Piazza dei Mestieri; Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Hanno condotto: Massimo Bernardini ed Enrico Castelli.

Una volta i tempi della scuola e del lavoro erano conseguenti, invece oggi è importante imparare ad imparare, imparare continuamente e facendo così il percorso di lavoro sta sempre di più sostituendo il posto di lavoro. Così viene aperto il dibattito. Cosa aiuta questa tendenza? Inizia il ministro Bianchi: «Il PNRR prevede anche l’orientamento a scuola come primo passo della formazione. Entro il 2022 dobbiamo potenziare gli istituti tecnici e professionali». In Europa ci si è accorti che il lavoro manuale, il lavoro tecnico è fondamentale per la ripresa e allora «dobbiamo ritrovare la bellezza dei mestieri, del lavorare con gli altri e dell’imparare assieme».

Cosa dire del fenomeno dei Neet, cioè di quei ragazzi che non studiano e non lavorano, che nonostante tutte queste prospettive presenta numeri molto alti e inaccettabili? Odifreddi spiega: «Questi ragazzi hanno problemi alle spalle per cui si sono isolati. Bisogna prima che diventino protagonisti della loro vita. Per questo devono avere un luogo, una comunità educante in cui entrare e solo allora si accenderà la passione». Rintuzza il ministro Bianchi: «Bisogna che si impari ad imparare».

Ma è vero che nella formazione del giovane le aziende vogliono sempre più “gestire l’ultimo miglio”? Interviene il rettore Morzenti Pellegrini: «L’università sta sempre più diventando luogo di lavoro, le aziende sono sempre più dentro all’università, ci si è accorti che aziende e università hanno bisogno uno dell’altro. Oggi il 60% dei nostri studenti lavora contemporaneamente agli studi, le aziende apprezzano questo curriculum e hanno capito che l’ultimo miglio lo dobbiamo fare assieme».

Le soft skills, cioè le competenze non cognitive, diventano determinanti nelle assunzioni, perché? Vittadini afferma che esse «sono importanti perché il mondo del lavoro cambia continuamente, cambiano le esigenze, le richieste. Se non sai chi hai davanti non puoi stabilire un rapporto, non puoi lavorare. I Neet esistono perché nella loro vita hanno incontrato insegnanti problematici, chiusi, scuri». Occorre quindi anche formare gli insegnanti affinché insegnino a formare comunità. Ma frena la formazione? Non abbiamo gli strumenti? Punta il dito Odifreddi, chiarendo che il diritto alla formazione professionale è sancito da una legge Moratti del 2003, ma che è disattesa ancora oggi da parecchie regioni in Italia.

A questo punto il conduttore chiede se c’è ancora una disuguaglianza nord – sud in Italia sulla formazione. Bianchi conferma che «la dispersione scolastica ha livelli inaccettabili al sud. Una parte della nostra riforma è il miglioramento del rapporto tra scuole pubbliche non statali e scuole regionali».

Un video ben illustra che nei paesi in via di sviluppo la rivoluzione digitale non procura beneficio e si è capito che le persone isolate non sono produttive: per far si che avvenga bisogna aumentare la condivisione, l’interazione, costruire una comunità. «Ma non bisogna pensare a chissà che cosa fare per questo, guardiamo gli esempi dei filmati», prosegue Vittadini. «Padre Lofferdo a Napoli, nel rione Sanità, fa lavorare alcuni giovani e gli altri che fino a quel momento non facevano niente li imitano e imparano un mestiere. L’associazione Portofranco, dove alcuni volontari aiutano giovani in difficoltà a scuola, ha diminuito la dispersione scolastica nei quartieri dove opera perché giovani osservano giovani che si riprendono la loro vita. A Premana tutti fanno forbici e coltelli perché pochi hanno iniziato e tutti hanno seguito. Così anche nelle zone di eccellenza di produzione della ceramica. Martina Saltamacchia insegna Storia all’università di Omaha, nel Nebraska, e quando ha dovuto parlare delle crociate nessuno era interessato. Allora lei si è inventata un gioco di ruolo tra i suoi studenti su questo tema e quel corso oggi ha il più alto numero di richieste di iscrizioni che tutti gli altri corsi della stessa materia. Quindi i ragazzi non sono vasi da riempire ma fuochi da accendere».

I fondi europei possono aiutare in questo sforzo? Vittadini prosegue: «Sì, ma dobbiamo imparare a spenderli: questa capacità chiede soft skills delle organizzazioni». Continua Bianchi: «Daremo i soldi alle regioni che dimostreranno capacità di progettazione operativa. Il presidente Draghi è attento a questo e spinge tutti a crescere su questa verifica». A proposito di questo interviene Odifreddi, sostenendo che l’alternanza scuola-lavoro era una buona idea, ma non prevedeva la verifica della capacità di progettazione operativa delle scuole, per cui il risultato ottenuto è stato ridotto rispetto alle attese.

Infine una domanda: perché quando parliamo di fondi europei non abbiamo in mente il loro titolo Next Generation? Conclude Vittadini: «Perché bisogna avere già in mente l’idea di gratuità, è la capacità relazionale che permette di costruire e in definitiva di dare la vita».

(A.L.)

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