STORIE DAL MONDO: EGGSPLOITATION

Press Meeting

Quinto appuntamento della rassegna “Storie dal mondo” curata da Roberto Fontolan, direttore del Centro internazionale di Comunione e liberazione, e da Gian Micalessin, giornalista e reporter. L’appuntamento è alle 21.45, come sempre in sala Neri General Electric. Viene proiettato il documentario “Eggsploitation”, girato da Jennifer Lahl e Justin Baird e prodotto da The Center for bioethics and culture network, istituzione californiana di cui Lahl è fondatrice e presidente. Oltre a Lahl e ai curatori della rassegna, è presente all’incontro anche Domenico Coviello, direttore del Laboratorio di genetica umana all’ospedale Galliera di Genova.
Il documentario pone l’attenzione su un fenomeno inquietante e forse in Italia poco conosciuto: il mercato degli ovociti, un giro di affari che negli Stati Uniti muove circa sei miliardi e mezzo di dollari ogni anno. In particolare, il documentario si concentra sul fatto che le donatrici non vengano informate dei gravi rischi per la salute che le pratiche di donazione implicano, dando al fenomeno un carattere di vero e proprio sfruttamento, da cui l’origine del titolo: egg (uovo) ed exploitation (sfruttamento).
Come vengono contattate e selezionate le donatrici? L’inquietante campagna di “reclutamento” avviene prevalentemente via internet. “Sei alta? Bella? Dona i tuoi ovociti”. Le donatrici vengono cercate tra le studentesse di prestigiose università, perché gli ovociti varranno di più se vengono da persone con un alto quoziente intellettivo e di bell’aspetto. “Questa è una persona che non potrebbe avere figli, è tuo dovere aiutarla” recita un altro annuncio; spesso si fa leva sull’aspetto umanitario della donazione, che permetterà ad una donna sterile di realizzare il suo sogno. Ma l’incentivo forse più efficace è la ricompensa economica: si parla di cifre importanti, dai 15mila ai 50mila dollari per donazione. Spesso le studentesse universitarie, che devono sostenere spese enormi per pagarsi gli studi, vedono in questa pratica un’opportunità per risolvere i propri problemi finanziari. Un vero e proprio mercato.
Spesso, si diceva, le donatrici non vengono informate dei rischi. Il documentario spiega in modo dettagliato che le procedure previste nella donazione, che comprendono una cura ormonale intensiva che altera pesantemente i cicli naturali e un breve intervento chirurgico per il prelievo degli ovociti. Il documentario riporta quattro casi di ragazze che hanno avuto gravissimi problemi di salute dopo la donazione: la prima, Jessica, è morta nel 2008 per cancro al colon dopo tre donazioni. Le altre tre, sopravvissute ma tuttora con gravi problemi, raccontano la loro storia direttamente alle telecamere della Lahl. “Non esiste nemmeno una pubblicazione scientifica sulle conseguenze di questi trattamenti” e si intuisce l’enorme pressione che il mercato esercita sulla ricerca in questa direzione.
Ciò che colpisce è il modo subdolo in cui le ragazze vengono “adescate” e tenute all’oscuro dei rischi che corrono, ma anche la superficialità con cui i medici le trattano e la spregiudicatezza con cui insistono per continuare le procedure anche di fronte ai dubbi delle donatrici. Dopo la proiezione, molte le domande poste dal pubblico alla quale Lahl, giunta dalla California, e Coviello hanno risposto. Come reagisce il mercato e la gente a inchieste come questa? “Sono una delle donne più odiate negli Usa” dice la Lahl, “al termine degli incontri gli uomini delle compagnie che operano nel settore urlano contro di me, le donne sterili mi dicono che le sto privando della possibilità di avere un figlio”.
Ed è proprio da qui che si arriva al punto fondamentale della discussione: non tanto la necessità di informare le donatrici dei rischi, che ovviamente è doveroso e necessario, ma sul tipo di cultura che si sta creando nella società moderna “dove il desiderio diventa diritto”. “Alla base del problema si constata un cambiamento nella concezione della vita delle persone” commenta Coviello, “Si sta passando da una società basata sulla comunità ad una società fondata sull’individuo. Il figlio non viene più concepito come dono per sé e per la comunità, ma come un oggetto. L’oggetto del desiderio di un singolo che ha il diritto di possederlo, possibilmente corrispondente ad un modello”. Da qui sorge un’altra domanda dal pubblico: “Ma allora tra qualche decennio magari tutti preferiranno ricorrere alla tecnica per avere un superbambino, anche quelli che potrebbero averli per via naturale?” “Questa è la profezia di un professore di Harvard, che tra cinquant’anni tutti vorranno un bambino modello prodotto per via artificiale” dice la Lahm, che poi cita il film Gattaca.
“Se a una concezione dove il desiderio diventa diritto, dove il limite a ciò che si può fare è solo tecnologico, in più si aggiunge il business, allora il problema diventa ancora più serio”. dice Coviello. “In Italia queste pratiche sono vietate da una legge parlamentare, ma in diversi paesi europei (ad es. Spagna, Slovacchia, Regno Unito) esiste un mercato fiorente di ovociti, ed è semplicissimo anche per gli italiani andare all’estero per accedere a queste pratiche. In Europa si può morire per molto meno: in Romania la donazione viene ricompensata con 100-200 euro, in Inghilterra con circa 750 sterline” ricorda Josephine Quintavalle, nota esponente pro-life britannica che nel ’94 ha fondato l’osservatorio Core (Comment on Reproductive Ethics) in Ighilterra, presente in platea.
“È un problema di concezione” conclude Fontolan. Non solo concezione del senso della vita, ma anche di se stessi, della società e della famiglia. Infatti una delle cose più tristi è vedere queste studentesse sostanzialmente sole.

(M.F.)
Rimini, 22 agosto 2012

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