SOTTO LE STELLE, IL LIBRO DEL MISTERO. LA POESIA DI GIOVANNI PASCOLI

Press Meeting

All’inizio dell’incontro tenuto alle 11.15 all’Eni Caffè Letterario, con la sala gremita, Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, ha ringraziato il poeta e scrittore Davide Rondoni “l’anima della poesia al Meeting”, per la sua partecipazione a questo incontro, perché – ha detto – “leggere poesia qui è un bene, un’utilità”. “Per questo – ha proseguito – voglio leggere una poesia, ormai scomparsa anche dalle antologie scolastiche, ‘L’aquilone’, che Pascoli definì ‘l’unica vera mia bella poesia’, diretta ‘alle anime candide… vorrei che pensaste che il Mistero è grande’. L’apparente angustia dei buoni sentimenti si squarcia pertanto per aprire all’orizzonte dell’infinito. ‘Sembra che v’accori un desiderio senza fine’. “‘L’aria nuova’ dell’attacco dei versi, quel fragile ondeggiare dell’aquilone senza fine, come tra i ricordi della sua infanzia, assume la forma del cuore, oltre il tempo, oltre le apparenze” D’altra parte è Pascoli stesso ad appuntare “Io scrivo queste cose, perché non voglio che siano morti”, nella prefazione de “I Canti di Castelvecchio”.
“Una poesia – ha rimarcato Davide Rondoni – che mette in scena il dramma di sempre della nostra vita di cercare l’infinito, ovvero ciò che appare negato, un battaglia che combattiamo dentro di noi. Accade l’arte, accade la poesia, in un mondo che non se lo aspetterebbe. Di grandi artisti come Pascoli riscopriamo la presenza continuamente. È una sorta di miracolo sempre presente. Gli artisti, i poeti non servono ad altro se non a dare rilievo al vero dramma della vita”. Nel tempo, osserva Rondoni, Pascoli si è attestato come grande artista di statura europea e mondiale, vertiginoso e magnetico, che si applicò alle piccole cose come agli abissi senza fine dell’universo. “‘Un doppio sguardo’, diceva Leopardi, e Pascoli guardò e visse così. Era ‘lo sguardo vedovo’ de ‘L’aquilone’, quello della madre che pettina il figlio morto, e sguardo a cui manca qualcosa di cui sentiva l’arcana presenza”. Anche per questo, prosegue il poeta forlivese, Pascoli diceva di invidiare Dante, perché “da un viaggio nella morte ha tratto la vita”.
“Quando il tutto si confonderà col nulla – è la citazione che conclude l’incontro – la morte non sarà”. “Anche nel pensare alla fine del mondo – commenta Rondoni – Pascoli pensa ad un rinnovarsi perenne, perché la voce del reale continua ad essere. Il momento in cui la sua vita di poeta incomincia è quello stesso in cui la madre pettina il figlio morto. Dramma che non finisce. Manca al poeta una carezza non disperata, ma che sia di nuovo un inizio”.

(M.T.)
Rimini, 22 agosto 2012

Scarica