In che modo la Costituzione europea saprà rendere conto dell’origine e dei valori cristiani su cui la storia e l’integrazione europea (da Adenauer, a De Gasperi e Monnet) si sono in larga parte basati? Con questa domanda Luca Antonini, docente presso l’Università di Padova, ha introdotto l’incontro sul rischio di una deriva giacobina delle istituzioni comunitarie. Joseph Weiler, titolare della cattedra “Jean Monnet” alla New York University, ha declinato questo giacobinismo in tre accezioni, la prima delle quali di ordine “costituzionale”. Weiler ha rilevato che tutte le tradizioni costituzionali europee presentano in linea di massima due macrofunzioni: una di esposizione del diritto positivo fondamentale e una di chiarificazione dell’identità nazionale. Sul primo versante, c’è una analogia di fondo, perché tutte le costituzioni del continente affermano i principi di “libertà religiosa” e di “libertà dalla religione”, intesa come tutela della laicità dello stato. Più eterogeneo è il secondo aspetto, dal momento che se alcuni testi (come quello francese) sono marcatamente laici, altri (Polonia, Irlanda, Germania) contengono riferimenti altrettanto espliciti alla divinità. La Costituzione europea ricalca solo il primo aspetto: pur predicando un pluralismo culturale, pratica in realtà un “imperialismo costituzionale”, censurando l’apertura al religioso presente in molte costituzioni statali. La seconda declinazione del giacobinismo è culturale: la scelta di non inserire il cristianesimo come radice dell’Europa, lungi dall’essere una dimostrazione di neutralità, è un’opzione esplicita mascherata di neutralità, retaggio di un atteggiamento giacobino e rivoluzionario. Il terzo aspetto del giacobinismo nell’analisi di Weiler (il cui ultimo testo, “Un’Europa cristiana” sarà presentato questa sera, alle ore 19 in Piazza C5) è invece di carattere spirituale, e si manifesta nella concezione secondo cui il religioso va confinato in uno spazio privato e che il suo insegnamento (come ad esempio il magistero della Chiesa) non debba interferire nelle sedi del dibattito europeo.
Paolo Grossi, ordinario di Storia del diritto all’Università di Firenze, ha detto di essere per natura un de-mitizzatore del diritto: proprio di un eccesso di enfasi sembrano essere vittime molti testi moderni, a cominciare dalla Carta di Nizza del 2000. Il rischio di assolutizzare il valore del diritto risale alla Rivoluzione francese: la modernità, una volta cancellato il metafisico, si è rivelata una immensa fucina di mitologie e di miti (quello dello Stato, della Legge, della Volontà Generale), riducendo inoltre la complessità della realtà storica e sociale al semplicistico binomio Stato-individuo. Il risultato nel campo del diritto è un’astrattezza geometrica, ricca di una presunzione di coerenza che si traduce in una mistificazione della realtà delle cose. Gli ordinamenti dell’ancien regime, ha detto Grossi, che legittimavano iniquamente le diversità di ceto e di ricchezza, erano però più realistici, almeno nel riconoscerle. La Carta di Nizza assomma e rivela queste pecche del diritto moderno: la proclamazione dei diritti, il loro elenco, prevale sull’esercizio del diritto stesso; l’individuo è isolato, astratto, “un uomo isolato che non esiste in nessun luogo”, per riprendere un’efficace espressione di Hannah Arendt. Non c’è traccia soddisfacente della componente relazionale dell’esistenza umana (che è condizione della libertà), dell’importanza (riconosciuta invece con acume nella Centesimus Annus) delle “società intermedie”. Anche la sussidiarietà, spesso citata, è travisata: pare che sia lo Stato a dover concedere spazio alla società, mentre in realtà si dovrebbe fare in modo che la società con le sue opere trovasse nello Stato un valido interlocutore.
Augusto Barbera, costituzionalista all’Università di Bologna, ha ricordato che il processo di formazione della Costituzione Europea è estremamente positivo e merita di essere giudicato, criticato e corretto a partire da questa valutazione di fondo. Ha poi precisato che è bene distinguere la possibilità di inserire nel preambolo costituzionale invocazioni dirette a Dio (dichiarandosi contrario a questa ipotesi) e la citazione delle radici giudeo-cristiane dell’Europa, la cui assenza è invece grave. Interrogandosi sui motivi di questa lacuna, Barbera ha indicato tre possibili fattori: primo, un tentativo di evitare una lettura “cristiana” dei diritti elencati nella Costituzione stessa; secondo, una titubanza legata alla multietnicità che stanno assumendo le società dei nostri Paesi; terzo, una sorta di cautela in vista dell’eventualità dell’allargamento a paesi non cristiani come la Turchia. In chiusura, Barbera ha fatto notare, facendo particolare riferimento al confronto con il mondo islamico, che queste preoccupazioni sono fondamentalmente distorte, perché un’identità forte e dichiarata è condizione e non ostacolo al dialogo.
In chiusura, Antonini ha rivolto un appello al governo italiano perché sappia sfruttare il turno di Presidenza dell’UE apportando le necessarie modifiche alla Costituzione, se necessario anche rinviando la sua approvazione definitiva oltre il “nostro” semestre.
M.C.
Rimini, 25 agosto 2003