Riscoprire la propria dignità. Testimoni dal mondo

Redazione Web

Dentro la vita delle persone, per la loro e la nostra dignità

Testimonianze dal mondo di un abbraccio che fa rivivere la speranza

 

Rimini, 22 agosto 2021 – Cosa possono avere in comune gli abitanti della Russia profonda, lontana dalle metropoli e dai riflettori dell’informazione, con i ragazzi carcerati a Napoli e con quegli adolescenti arrabbiati con tutto il mondo e prima ancora con se stessi? La dignità, quel valore indistruttibile che resiste sotto le ceneri dell’anonimato, della violenza degli altri, dell’inganno verso se stessi. Una dignità che si risveglia se qualcuno ti guarda per la persona che sei e si prende cura di te, magari con un articolo di giornale, una comunità, un progetto di recupero. Il Meeting, in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, ha dato testimonianza di questo. Protagonisti del convegno “Riscoprire la propria dignità. Testimoni dal mondo”, introdotti dal giornalista Davide Perrillo, sono stati Mario Del Verme, coordinatore responsabile per le attività sportive per Scholas Italia; Marigona Oliva, educatrice ed insegnante, già ragazza della comunità L’Imprevisto di Pesaro; Alena Choperskova, direttore editoriale e responsabile delle comunicazioni Takìe Delà.

Scholas Occurrentes è un’organizzazione Internazionale di diritto pontificio creata e guidata da papa Francesco, presente in 190 Paesi, con una rete che comprende quasi 500.000 scuole e realtà educative, di ogni confessione religiosa, sia pubbliche sia private, e che supporta oltre un milione di giovani. «Le tre parole chiave di Scholas», ha spiegato Del Verme, «sono ascolto, creatività, dono. Condizioni che rendono possibile il processo educativo e restituiscono unità alla persona, riportando in armonia mente, cuore e mano. Nell’educazione bisogna giocare tutto nel guardare l’altro, bisogna starci dentro: come dice il papa, “occorre abitare l’educazione”».

In Russia, una giornalista, Alena Choperskova ha deciso anche lei di stare dentro la vita della gente comune del suo Paese, che vive nelle cittadine di provincia, dove non ci sono magnati e non si giocano i destini del mondo. Per questo ha chiamato Takìe Delà, “Così stanno le cose”, la sua iniziativa editoriale. Che ha questo di particolare: non si limita a parlare della vita della gente, ma la aiuta concretamente. Come nel caso di Tjoma, un bambino che amava disegnare e che una malattia incurabile si è portato via in poco tempo. Alena e i suoi colleghi ne hanno raccontato la storia e gli hanno permesso di curarsi a casa e di vivere con i suoi gli ultimi giorni. Il bene, in giro per la Russia, “Così stanno le cose” lo fa attraverso la fondazione “Serve aiuto”, dove trecento associazioni si occupano di senzatetto, sbandati, famiglie numerose e senza risorse, ragazzi malati. In questi anni hanno distribuito aiuti per 20 milioni di euro.

Ma c’è dell’altro: a contatto con i poveri, si cambia. «Molta gente è diffidente verso i bisognosi», dice Alena. «Poi, quando ne incontrano concretamente uno e magari lo aiutano, ecco che cambia il punto di vista e nel povero si scopre una persona». In questo modo a recuperare la propria dignità sono in due: chi ha bisogno e chi offre. I giornalisti di Takìe Delà, girano la Russia e scrivono storie. Durante la pandemia, Nauma Neitman, fotografa, andava nelle zone rosse insieme a medici e infermieri. Raccontava per immagini il dolore dei malati e la dedizione di chi si occupava di loro. Fra le file di “Così stanno le cose” c’è anche Natalia, di 44 anni. Faceva l’insegnante di matematica, poi una malattia le ha lasciato la possibilità di interagire con gli altri solo attraverso lo sguardo. Adesso fa la giornalista e «testimonia come si può essere pieni di vita anche con la sua malattia».

A Pesaro, la cooperativa sociale L’Imprevisto si dedica ai giovani che soffrono stati di disagio attraverso percorsi educativi e terapeutici. A Marigona, l’incontro con L’Imprevisto ha ridato la vita. Nata in Kosovo trent’anni fa e adottata da una famiglia italiana a 5 anni, a 12 si sente già «tradita dalla vita». La morte del padre adottivo la convince che la felicità non è per lei e intraprende la strada di tanti ragazzi delusi, stupefacenti compresi. Nel 2007 la madre l’affida alla comunità di Pesaro, che per Marigona avrà per sempre il volto del suo fondatore Silvio Catarina, una presenza viva nella sua esistenza ancora oggi che lei ha terminato il cammino. «È dura l’esperienza con loro», racconta, «ma con loro ti senti amata e soprattutto vedi che sono persone felici, di una felicità che può diventare anche tua». Quando esce dalla comunità, a 19 anni, Marigona continua gli studi, si laurea, si sposa con Luca, ha una bambina. Ma la vita non le risparmia le prove. Nel gennaio scorso, dopo tre mesi di gravidanza, ha perduto il bambino. «Io e Luca, abbiamo fatto quello che ci aveva detto Silvio: abbiamo chiesto aiuto, gridato. E abbiamo scoperto che intorno c’era una rete di amicizie». Un mese dopo, il dolore si riaffaccia. La mamma prende il Covid, va in terapia intensiva. Muore il 5 aprile, il giorno del suo compleanno. «Mentre era ricoverata», ricorda Marigona, «le chiesi cosa avrebbe fatto appena guarita. “Mi mangio una cassata siciliana”, aveva risposto. E subito dopo: “No, voglio vedere il mare”. Allora ho capito che c’è un po’ di eternità su questa terra e che, come mi avrebbe scritto Silvio, “la vita è per sempre”».

Scholas ha avviato un progetto “Zona luce”, con cui si insegna ai ragazzi a fare gli aiuto istruttori di calcio. Niente di particolare, sennonché il progetto è rivolto ai giovani carcerati di Napoli, Torino e Roma. Insieme alla Fgci, alla Cattolica di Milano e al Ministero, Schola ha messo insieme reclusi, secondini ed educatori che, alla fine, avranno tutti lo stesso attestato di qualifica, livello E, riconosciuto dalla Uefa. «”Zona di Luce”», chiarisce Mario, «nel calcio significa che per ricevere la palla devi smarcarti, fare uno scatto che implica la tua libertà. Pensate cosa voglia dire per dei detenuti. Quando abbiamo capito che funzionava? Quando, dalla domanda “che volete?”, i ragazzi sono passati a chiederci “quando tornate?”».

«Ma cosa si guadagna da tutto questo bene?», ha chiesto Perillo, al termine. «In certi incontri si guadagna se stessi, si ritrova la propria dignità», ha risposto Marigona. «Si capisce che tutto serve, anche il dolore». «Si finisce per guardare tutto con curiosità», è l’esperienza di Mario, «si impara a stare in silenzio e ad ascoltare, a servire la persona che si incontra». Per Aliona, il sugo di tutta la storia è l’essere tornata a sperare: «Prima, quando mi scontravo con l’ingiustizia o vedevo la gente soffrire, mi venivano le lacrime agli occhi, mi sentivo impotente. Adesso che vedo che qualcosa può cambiare, che qualcosa cambia, anche se poco, io vivo la speranza».

(D.B.)

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