Riformare l’Italia: la responsabilità della società civile

Press Meeting

Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere, presenta Giorgio Squinzi non solo come presidente di Confindustria ma anche come capo di un’azienda, la Mapei, multinazionale ed assai presente nella ricerca, nelle problematiche ambientali e nello sport. La prima domanda che gli rivolge è personale: da dove nasce questa multiforme intraprendenza imprenditoriale e sociale? “Dalla mia famiglia” risponde Squinzi. “È un atteggiamento che ho imparato da mio padre, non lo ritengo un caso particolare, ma un classico esempio di ciò che è accaduto in Italia nel dopoguerra”. Oggi il ruolo della famiglia si è mutato in ammortizzatore sociale, ma “la percezione di stabilità e di impegno che si ha dell’azienda e che noi dimostriamo anche nelle iniziative nel mondo sportivo, è dovuta proprio alla mia famiglia”. L’affermazione viene rafforzata quando accenna alla sua idea di imprenditore: “Non ho mai creduto nella finanza, nell’ingegneria finanziaria. Se non si è capaci di produrre e stare sui mercati in modo competitivo, non c’è portafoglio finanziario che tenga”. E rivendica il suo impegno totale nell’azienda: “Con mio padre abitavamo nei locali della fabbrica”.
Scholz porta il discorso sul calo della tensione morale nella nostra società. Squinzi si dice d’accordo, anzi considera questo fenomeno uno dei motivi per in Italia c’è una crisi di crescita. Quindi il coordinatore introduce il discorso sui cambiamenti di sistema, problema che Squinzi ribalta immediatamente sul governo. “Le imprese hanno bisogno di lavorare: non possono attendere sette anni per avere l’autorizzazione ad ampliare uno stabilimento. Le norme sull’ambiente sono troppo punitive, si rischia sempre di incappare in provvedimenti della magistratura. Ci sono riforme che aspettano da venti o trent’anni”. Tra le riforme, sicuramente urgenti sono quelle sul carico fiscale sulle imprese, che supera il 50 per cento, la revisione dell’Irap, “iniqua tassa sul lavoro”, del tutto auspicabili quelle sul riconoscimento di sgravi per gli investimenti nella ricerca e sulla uniformità dell’imposizione fiscale. L’applauso scatta quando Squinzi lamenta che “non esiste ancora una visione non punitiva dell’impresa. Su questo punto aspetto ancora segnali dal governo”.
“Quali contributi possono dare le parti sociali, Confindustria e sindacati?”, è la successiva domanda di Scholz. Il presidente risponde per la sua organizzazione: “Rappresentiamo sei milioni di lavoratori e 150mila imprese. Nel 2013 abbiamo presentato un progetto per l’Italia, aspettiamo che sia preso in considerazione”. Aggiunge poi che l’Italia vive da almeno vent’anni al di sopra delle possibilità con un pil sempre negativo o, almeno, inferiore al resto dell’Europa. “È arrivato il momento di fare sacrifici perché l’enorme carico fiscale non è servito a diminuire il debito pubblico. Gli italiani sono pronti fare sacrifici se però vedono una prospettiva di crescita che porti all’aumento dei posti di lavoro”.
Alla domanda sulla diminuzione dello spread di questi giorni, Squinzi riapre il discorso sul debito pubblico, che va ridotto drasticamente tagliando la spesa pubblica, spendendo anche una parola sulle infrastrutture che vanno rilanciate e anche completate con investimenti immediati e stabili.
Scholz porta il discorso sul fatto che l’Italia è un paese manifatturiero e che l’Europa spinge per rilanciare proprio questo tipo di aziende, anche per contrastare la delocalizzazione. Il presidente di Confindustria conferma di condividere questa impostazione, “merito dell’ex commissario europeo Antonio Tajani”. “Io sono un europeista convinto e la mia visione è che si giunga agli Stati Uniti d’Europa, ma la mia generazione forse non li vedrà”.
La Mapei è leader mondiale nella produzione di adesivi per l’edilizia. Un gruppo innovativo, che fa molta ricerca. “Come intende la formazione dei giovani?”, chiede Scholz. “Abbiamo un grande vantaggio – risponde l’imprenditore – i nostri giovani hanno molta materia grigia nella testa ed escono dalle scuole tecniche con una buona formazione. Questo lo posso dire con sicurezza perché ho dipendenti in sessanta nazioni diverse. Una pecca italiana, invece, è la mancanza di un vero apprendistato e di collaborazione tra scuola e azienda”.
“Il problema – aggiunge il leader degli industriali – è che siamo in una situazione in cui occorre fare sacrifici. Tocca alla politica indicare prospettive di sviluppo che portino alla crescita. La politica però deve tener conto che siamo un paese manifatturiero, anche se non possiamo ignorare le prospettive della cultura e del turismo. È l’impresa che deve crescere e generare lavoro”.
“Ogni decisione però è subito bloccata da interventi corporativi”, obietta il presidente della Compagnia delle Opere. Pronta la risposta: “Confindustria non si opporrà a provvedimenti che hanno come obiettivo la crescita. Io non ho mai frequentato i ‘salotti buoni’ della finanza e neppure i miei attuali collaboratori: abbiamo frequentato uffici e fabbriche. E poi non bisogna mai dimenticare che con una disoccupazione giovanile oltre il 40 per cento non c’è futuro per il Paese”. “Serve una politica industriale?” è la domanda successiva. “Il governo deve delineare una visione, degli indirizzi, perché, per esempio, non possiamo perdere la siderurgia e dobbiamo conservare quanto rimane della chimica. Le obiezioni sui capitali stranieri nelle nostre imprese non hanno importanza: importante è che rimangano in Italia la ricerca e il lavoro di chi fa i prodotti”.
Ultima domanda: “Per ripartire ci vuole fiducia. Come costruirla?” Squinzi ribadisce che la fiducia “nasce da una chiara visione del futuro”, compito della politica, e dal vedere che inizia “uno stabile lavoro per realizzarla”. Il ringraziamento di Scholz va non solo al presidente di Confindustria, ma “all’imprenditore umile e sensibile, vigorosamente impegnato nel sociale”.
(A.B., A.C.)

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