RAGIONANDO SULLA NATURA DELL’UOMO Cosa rende speciale l’uomo? Due filosofi si cimentano con il concetto di “natura umana”

Press Meeting

Si va direttamente al cuore della domanda sulla natura dell’uomo, tema centrale della XXXII edizione del Meeting, nell’incontro che si è svolto lunedì 20 agosto alle 11.15 al Caffè letterario Eni. Per affrontare l’argomento sono stati invitati Eugenio Mazzarella, docente di Filosofia teoretica all’Università degli studi Federico II di Napoli e parlamentare del pd, e Costantino Esposito, docente di Storia della filosofia all’Università degli studi di Bari. L’incontro è stato moderato da Carmine Di Martino, docente di Filosofia teoretica all’Università degli studi di Milano, che ha interpellato con varie domande i due relatori definiti da lui stesso “colleghi, maestri ed amici”.
“Si può ancora dare per scontato il concetto di natura umana? Come si è evoluto e si sta evolvendo?”. Mazzarella, senza tralasciare riferimenti alle origini (Aristotele), giunge al problema del riduzionismo fisicista, che pretende di spiegare la natura umana partendo da basi fisiologiche. Qui, con esposizione ricca e precisa, spiega come questo modello mostri i suoi limiti nello spiegare la relazione tra fisicità e interiorità e nel descrivere i concetti di dovere e di coscienza. Si sofferma quindi sul concetto di artificialità, cioè l’azione di costruire e manipolare la realtà, spiegando che “l’artificialità umana è diversa da quella del castoro, poiché essa è consapevole, non istintiva”.
Esposito, da storico della filosofia, descrive come nel XVII secolo Cartesio, individuando e separando nell’uomo la “res cogitans”, la parte immateriale, dal corpo, nel tentativo di descrivere l’uomo abbia posto un problema che avrebbe coinvolto i filosofi delle successive generazioni. Dagli anni Ottanta in poi, con il rapido sviluppo delle neuroscienze, si è tentato di risolvere il problema riconducendo anche la parte immateriale dell’uomo a quella fisica. La natura umana, quindi, non è altro che il frutto e il culmine di una “evoluzione straordinariamente sofisticata”, ma non è “speciale”, cioè non gode di un rango diverso rispetto alle forme evolutive precedenti.
Il dialogo si estende quindi a problemi più attuali: come le nuove tecnologie (per esempio la possibilità della clonazione) incidono sul concetto di natura umana? Come tale concetto viene interpellato dalla globalizzazione (per esempio, quando si parla di diritti fondamentali dell’uomo)? A tal proposito Mazzarella richiama l’etica della prudenza e al principio di responsabilità, mentre Esposito, parlando di globalizzazione, si chiede se il principio di supremazia dell’uomo sul creato proprio delle radici giudaico-cristiane possa essere condiviso a livello globale.
“A noi interessa rispondere alla domanda ‘chi sono io?’ in modo personale, ci interessa un metodo e un luogo in cui guardare” dice Di Martino introducendo l’ultima domanda, che interpella anche l’esperienza personale dei due professori: “Quale è la natura dell’uomo, la nostra natura? A cosa bisogna guardare per rispondere? Che risposta vi siete dati? Che cammino avete fatto per raggiungerla?”. Mazzarella risponde leggendo un poesia della polacca Wisława Szymborska, “Stupore”, e constata come nella sua vita l’osservazione lo abbia condotto ad uno stupore di fronte al mistero dell’uomo. Come studioso, annota che ci fin dalle origini ci sono tre istituzioni che manifestano un legame tra l’uomo e l’infinito: le nozze, le sepolture e la presenza di luoghi di culto. Questi elementi manifestano un’apertura all’infinito, una specie di ammissione di incompletezza da parte dell’uomo. Quindi nella definizione di natura umana non si può tralasciare la dimensione di infinito. Anche Esposito individua tre fenomeni in cui la natura umana si rivela irriducibile: primo, siamo esseri che domandano inesauribilmente il perché delle cose; secondo, siamo esseri bisognosi quasi di tutto, ma anche quando riusciamo a soddisfare i nostri bisogni, rimaniamo comunque insoddisfatti. “Non siamo solo bisognosi, ma anche desideranti”. Terzo: sperimentiamo lo stupore per l’esistenza delle cose, siamo capaci di immaginarci che le cose potrebbero anche non esserci. Queste tre cose parlano di un rapporto con l’infinito e indicano che “forse il nostro cervello è stato fatto per intendere cose più grandi di sé”.
“Quindi – conclude Di Martino – il metodo per rispondere alla domanda ‘chi sono io?’ è l’osservazione. La fonte ultima è l’esperienza e ciò che in essa si rende evidente. È un invito anche per noi”.

(M.F.)
Rimini, 20 agosto 2012

Scarica