Rimini, 21 agosto 2015 – “È l’ideale prosecuzione”, ha sottolineato in apertura dell’incontro Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, “della mostra della scorsa edizione ‘Roba minima – Guareschi Jannacci’”. I “racconti minimi” che si possono trovare anche in un volume edito da Giunti, sono quelli di Andrea Pedrinelli, giornalista. critico, saggista musicale e grande amico di Jannacci. Racconti nati per far rivivere un personaggio che è nel cuore del Meeting. E il racconto di Pedrinelli ha catturato l’ascolto e divertito il pubblico della gremitissima sala Poste Italiane C2, come una sorta di introduzione allo spettacolo.
“Nel 2011 – ha detto Pedrinelli – ascoltando i dischi di Enzo, mi resi conto che era considerato di meno di quello che valeva, rispetto ad altri cantautori. È nato quindi uno spettacolo che Enzo approvò, poiché evidenziava quelli che erano stati la sua vita e il suo pensiero, attraverso anche l’ascolto di alcune sue canzoni meno famose, ma che erano quelle che più amava. Jannacci è stato veramente una voce fondamentale della cultura italiana. Come farne memoria? Come un cantastorie, io volevo diffondere parole e aneddoti di un’esistenza. ‘Io sono matto, ma non sono scemo’, diceva di sé, in modo fondamentale”.
Un giorno mi disse, ha proseguito Pedrinelli: “Vedi, la mia è soltanto la storia di un giovane chirurgo che s’è reso conto un giorno di non poter fare a meno delle canzonette. Da saltimbanco nasce, vive e muore da artista, perché significa guardare la realtà per conto nostro e trasmetterla. La sua era la necessità vitale di fare canzoni”. A me piace pensare – aggiungeva Jannacci – che quando un musicista ride ha dentro di sé una gioia strana, “ma è la sua tristezza che canta dentro”.
L’incontro è proseguito ripercorrendo le tappe della sua carriera, dagli inizi come pianista jazz, alla decisione di diventare rockettaro, perché nel jazz gli mancavano le parole per esprimersi, fino alla prima poco fortunata tournée con la band di Adriano Celentano in Germania e all’incontro con Gaber con cui formò “I due corsari”. Seguirono vari sfortunatissimi provini in Rai, dove veniva regolarmente cacciato, presentando canzoni improponibili come “Il cane con i capelli”, con cui già trattava il tema dell’emarginazione. Tra il ’62 e il ’63 fece il debutto in teatro con “Milanin Milanun” , spettacolo prodotto dal Piccolo Teatro. Fu lodato da vari intellettuali tra cui Cesare Zavattini che disse “ecco finalmente che cosa è la canzone d’autore”. Fatta di pietas, dolcezza, umanità, ma anche voglia di denunciare con rabbia. “Roba minima – prosegue Pedrinelli – roba da “barbun”, con le scarpe del tennis rincorrendo un bel sogno d’amore… ed era il racconto della morte di un senzatetto morto nell’indifferenza generale”. “Medico, fantasista”, volle scritto sulla sua epigrafe. E il pubblico accoglie la fine del racconto di Pedrinelli con un lunghissimo, commosso applauso.
(M.T.)