Quale città per il nostro futuro?

Press Meeting

Il tema riguarda direttamente la vita dei quasi 61 milioni di cittadini italiani. Nasce direttamente dalle prime due parole del titolo del Meting 2014: “Verso le periferie”. In questo caso, le periferie non sono solo esistenziali o spirituali, ma sono rappresentate dal cemento delle aree urbane che circondano le nostre città e dal loro rapporto con il contesto urbanistico, economico e sociale, con cui confinano. È il dato da cui partire per iniziare a pensare e costruire, già oggi, il loro futuro e quello delle persone che le abitano. “Io sono nato in periferia e so che una città non è solo centro storico, arte, monumenti, è anche la vita di chi in centro non ci vive. Perché le periferie prima che luoghi sono persone”, con queste parole Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, ha introdotto questa sera il dibattitto “Quale città per il nostro futuro” (Sala Neri – Conai) a cui hanno partecipato tre sindaci del nostro Paese: Giulino Pisapia (Milano), Dario Nardella (Firenze) e Flavio Tosi (Verona).
Per Pisapia un sindaco deve conoscere direttamente le zone del suo Comune, sapere rispondere alla domande dei suoi cittadini: “Oggi le persone chiedono di essere ascoltate e di diventare parte attiva di fronte alle problematiche che vivono. Per questo al termine società civile preferisco quello di cittadinanza attiva. Indica coinvolgimento e partecipazione e debbo dire che di fronte ai grandi problemi di welfare che affrontiamo è essenziale. Per esempio, ogni giorno riusciamo, in stazione Centrale, a offrire pasti caldi a 1700 esuli siriani grazie a volontariato e non profit. ‘Privato sociale’ non deve essere più considerata una brutta parola, valorizzare e coalizzare tutte le nostre forze è la base da cui partono la possibilità di assistere che ha bisogno e costruire un’idea concreta di futuro per Milano”.
Secondo il sindaco meneghino sussidiarietà è una delle parole chiave per garantire e migliorare standard e qualità di vita di tutti i cittadini in ogni quartiere di Milano. “L’introduzione delle grandi aree metropolitane sta rivoluzionando già oggi il rapporto tra centro città e periferie. In questo nuovo sistema l’hinterland acquisterà sempre di più identità autonoma e perderà marginalità rispetto alle altre zone mentre sul piano della riqualificazione urbana c’è l’esempio positivo delle due piazza centrali di quartieri come Lorenteggio e Quarto Oggiaro. Non erano più il centro della vita sociale dei loro abitanti. Non esistevano più negozi, bar. Abitazioni e locali erano occupati abusivamente o abbandonati al degrado. Li abbiamo sgombrati e grazie a privato sociale e non li abbiamo resi di nuovo vivibili per tutti”.
Per Dario Nardella, neo sindaco di Firenze, il futuro della sua città parte di un punto preciso: “Non abbiamo più bisogno di costruire e cementificare. Nel mio comune abbiamo 140mila mq di stabili pubblici in disuso: caserme, uffici, scuole. L’obiettivo deve essere riqualificare. A Firenze abbiamo mille alloggi terminati che nessuno compra. In Italia ce ne sono dai 500 ai 700mila. Esattamente il numero di abitazioni richieste da chi ne ha bisogno. Non credo che abbiamo bisogno di costruire nuova casa”. Nardella cita La Pira, sindaco della Firenze anni Cinquanta, che in un dibattito di quegli anni sul futuro delle città affermava la necessità di trovare “la misura” su cui indirizzare sviluppo e crescita: “Una misura che deve tenere al centro le persone i loro bisogni, i servizi in grado di soddisfarli e investire in cultura”.
Flavio Tosi, parlando di Verona, scende su un piano molto concreto: “Siamo 260mila abitanti, il 15 per cento d’origine straniera. Dalle nostre tasse tra Irpef e Ires allo Stato arriva un miliardo d’euro. A Verona ritornano 68 milioni su un bilanci di circa 300. Novanta milioni di euro vanno di spese di personale, 100 di spesse fisse e per il sociale ne rimangono più o meno 50. Questo nonostante negli ultimi sette anni siamo riusciti a risparmiare 14 milioni di spese fisse. Le cifre non ci consentono di garantire come dovremmo tutti i servizi necessari ai nostri cittadini, ma la risposta al problema l’abbiamo trovata nell’applicazione concreta della sussidiarietà e nel buon utilizzo del nostro patrimonio”.
Il sindaco di Verona fa due esempi. “Ogni comune ha l’obbligo di legge di assistere un minore fino alla sua maggiore età. Il costo di mantenimento in un struttura pubblica è di cinquemila euro mensili. Se questo ragazzo viene però accolto in una casa famiglia in una struttura del privato sociale il costo si abbatte e per di più lui cresce in un ambiente educativo simile alla sua famiglia d’origine. Mentre, affittando sul libero mercato tutti gli immobili di pregio donati al Comune da privati cittadini, manteniamo integri e vivi gli edifici e reperiamo risorse che utilizziamo sul sociale”.
Insomma, anche in una prospettiva di futuro incerto per tutti, cittadini e istituzioni, alcune linee comuni sono emerse. Riqualificazione urbana, coinvolgimento dei cittadini nel governo della città e di fronte ai problemi di welfare, assistenza e sussidiarietà. Su una cosa hanno concordato i tre sindaci: il privato sociale tante cose le sa fare meglio del pubblico.
(C.B.)

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