Presentazione della mostra “Tenere vivo il fuoco”

Press Meeting

Rimini, 20 agosto 2015 – Il Meeting e l’arte contemporanea. Una trama finora appena accennata, ma che quest’anno – esordisce Giuseppe Frangi, direttore di Vita non profit e curatore della mostra oggi presentata – si fa proposta compiuta. La mostra nasce come “cooperazione di energie e di passioni, risultante dall’esperienza di numerosi percorsi compiuti in Casa Testori”. D’altronde, continua Frangi, “non c’è mai stata tanta voglia di arte come al giorno d’oggi e la sfida di questa mostra è arrivare a toccare la vita di tutti. Al visitatore è richiesta la disponibilità a sorprendersi, perché l’artista non è un elemento di un percorso sequenziale, ma il genio che vede le cose prima di ogni altro. Bisogna quindi confrontarsi, più che col manufatto finale, col progetto dell’opera”. E cita come esempio l’Assunta di Tiziano, la cui forza espressiva risiede nell’esigenza di essere vista da uno spettatore accecato dalla forte controluce della chiesa gotica.
Invita dunque ad entrare anche al giorno d’oggi in questo rapporto ineludibile tra artista e spettatore. Se, ad esempio nell’arte sacra del passato bastava utilizzare una certa cifra espressiva condivisa, questa adesso si è smarrita: ecco che si sviluppa la performance artistica. L’artista “ne ha bisogno per guardare negli occhi il suo pubblico”.
A Carlo Sisi, storico dell’arte, viene rivolto l’invito di raccontare della sua più recente fatica, e cioè la cura della mostra di palazzo Strozzi a Firenze, sulla persistenza del sacro nell’arte contemporanea. Così Sisi passa in rapida rassegna i temi della mostra fiorentina, dalla introduzione del simbolismo come dialogo tra spiritualità ed esoterismo alla Vergine colta nella maternità e nell’Annunciazione, dalla vita di Cristo (“più crocifissioni che resurrezioni, ma c’era la guerra…”) fino al tema della Chiesa, col famosissimo “Angelus” di Jean-François Millet, artista non impegnato religiosamente ma che non può non cogliere la tradizione popolare.
Tocca poi a Micol Forti, direttore della Collezione di arte contemporanea dei musei vaticani, approfondire il tema dello studio dell’arte e del sacro. “È veramente necessario tenere vivo il fuoco – afferma la studiosa – perché per troppo tempo non si è voluto correre un rischio essenziale: ricostruire il dialogo tra chiesa e presente”. E mette in guardia l’uditorio, in un fuoco di fila di affermazioni tanto garbate quanto dirompenti: “l’arte non è mai totalmente spiegabile. Il suo significato cambia continuamente, non fosse altro che per il nostro sguardo”. Avverte che l’arte è lavoro in corso, quindi non si può dire “non ti capisco, quindi non esisti. Bisogna che nel tempo il dialogo si costruisca e si apra”. E infine “il mercato non va demonizzato. Il costo tecnico è irrisorio, quello che si paga è l’idea”.
La trascinante conclusione è di Alberto Garutti, uno dei sette artisti coinvolti nella mostra. Racconta di alcune sue opere, tra cui le mille lampadine della chiesa del Buonconvento, ciascuna delle quali si può accendere con una telefonata, o il calco in ceramica di una Madonna fabbricata in serie, dotata però di un “dispositivo termostatico che la mantiene alla temperatura del corpo umano. Così si capisce che il suo tocco è materno” o l’accensione dei lampioni di piazza Dante a Bergamo, comandata dai papà dei bimbi appena nati, o ancora il restauro del piccolo Teatro della Fabbrica a Peccioli, in cui – afferma – “ho volutamente rinunciato ad ogni firma o cifra stilistica: solo una piccola didascalia, incisa su un tappeto di pietra, che spiega non l’opera ma l’idea sottostante: ‘Ai ragazzi e alle ragazze che in questo piccolo teatro si innamorarono’. Non c’è bisogno di tre lauree per mettersi al servizio della collettività”.
Come si vede, materiale per il fuoco ce n’è in abbondanza.

(Ant.C.)

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