Persona e senso del limite, il fascino delle frontiere

Press Meeting

Rimini, 21 agosto 2015 – Si è svolto oggi alle ore 11.15 nella sala eni B1 al Meeting il convegno Persona e senso del limite in collaborazione con il Servizio nazionale della Cei per il progetto culturale, con la partecipazione di monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Davide Perillo, direttore di Tracce, ha introdotto l’evento: “Non parliamo di politica, ma di ciò che sta all’origine della politica: la persona, la sua libertà (che viene prima di tutto) e l’urgenza della consapevolezza di sé”.
“Ringrazio per l’invito e l’opportunità di mettere in comune riflessioni che ho maturato da quando insegnavo antropologia. Il tema del cuore mai appagato, che a tratti sperimenta una radicale mancanza mi riporta a quello del desiderio mai spento di Bernardo di Chiaravalle”. Così Galantino introduce la sua lectio che imposta l’argomentazione a partire da domande molto chiare. Perché il cammino dell’uomo è contrassegnato in modo così profondo dalla mancanza? L’esperienza del limite annichilisce o può rappresentare una crescita? In che modo una seria assunzione del limite può arrivare a un rinnovamento?
“Le domande così poste si pongono tutte in un contesto post filosofico sempre meno attento alla persona – precisa il relatore – e ciò deriva da un radicale mutamento antropologico che ha messo al centro la libertà individuale come un valore in sé”. Monsignor Galantino cita autori a lui cari come Emmanuel Mounier e Dietrich Bonhoeffer in merito a questo punto: “L’uomo non è libertà assoluta, è libertà incarnata. L’uomo è ricerca di verità, di Dio, di responsabilità”. Il relativismo che in maniera invasiva pervade la mentalità odierna non accetta il limite strutturale che l’uomo è; se il limite non è accettato, la vita dell’uomo può trasformarsi in finzione. L’uomo strutturalmente è portato a immaginare cose grandi, se non accetta il limite, cade nella pretesa. “Non si tratta di uno sterile elogio del limite, ma dell’essere umano e della sua umanità”.
Ma l’antropologia del limite spegne l’ideale? L’accettazione del limite favorisce un certo lassismo? “Senza ideali la vita dell’uomo finisce senza senso. Va anche allontanato un ideale di perfezione che rifiuti di realizzarsi, di camminare di pari passo con la positiva coscienza del limite. La frontiera è diventare più umani. In tali termini si parla di limite come frutto di leggerezza, non come dimensione antropologica”.
Quali orizzonti quindi possono aprirsi per la società, per la Chiesa e per il singolo? “Sviluppo e perfezione – risponde il segretario Cei – non sono sinonimi. Questo implica che chi sperimenta qualche forma di difficoltà venga integrato e non scartato; che quanti sono ai margini dello sviluppo siano coinvolti e le loro potenzialità messe a frutto”. Per la Chiesa, le comunità ecclesiali e le associazioni sono già un mirabile segno della presenza di Dio e della carità che da lui promana. Una Chiesa che fa del limite una risorsa diventa sempre di più una Chiesa missionaria, si piega sugli ultimi. Da ultimo è la vita del singolo che deve essere rivista e ammodernata da una più forte presa di consapevolezza del proprio limite”.
Un’antropologia del limite non si traduce in una esaltazione del limite stesso, ma dell’essere umano. Solo quando la propria vita è condotta alla luce di queste considerazioni continua a subire il fascino delle frontiere, facendo propria l’invocazione “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non ripossa in Te”.

(G.L.)

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