Nuove regole per lo sviluppo e per il lavoro

Press Meeting

“Nuove regole per lo sviluppo, nuove regole per il lavoro”. Intorno ad un tavolo, su questo tema, nel pomeriggio, Unioncamere e Compagnia delle Opere hanno invitato amministratori pubblici come Gian Carlo Muzzarelli e Mario Melazzini, assessori alle attività produttive dell’Emilia Romagna e della Lombardia, e due manager di agenzie per il lavoro: Antonio Bonardo, direttore public affairs di Gi Group e board member di Ciett ed Eurociett (la confederazione internazionale delle agenzie per il lavoro) e Paolo Emilio Reboani, presidente e amministratore delegato di Italia lavoro. Ne è risultato, come ha rilevato il vice presidente della CdO Massimo Ferlini, un dibattito “propositivo e non rivendicativo, attento ad una realtà in continua evoluzione e alla ricerca di soluzioni che non prescindano dalla centralità della persona umana”. Ferlini, in particolare, ha sottolineato l’impegno di due regione virtuose come l’Emilia Romagna e la Lombardia, che, investendo in capitale umano, stanno raggiungendo gli obiettivi individuati dall’Europa in materia di lavoro come, ad esempio, il 60 per cento del tasso di occupazione.
I relatori hanno individuato tre obiettivi indispensabili per rispondere alle sollecitazioni dell’incontro: innovazione, crescita, ricerca. Obiettivi da raggiungere attraverso una ripresa di fattori culturali, come il valore del lavoro per la persona e la dignità della persona stessa, insieme a interventi e provvedimenti politico-legislativi: alleggerimento della pressione fiscale, semplificazione delle procedure e delle leggi, diritto alla libertà di scelta, contrattazione aziendale e territoriale. Su quest’ultimo argomento, tutti hanno ripetutamente citato l’ad della Fiat, Marchionne. Muzzarelli, però, ha voluto fare dei distinguo, ricordando che in primo piano deve esserci sempre il lavoratore, “che non può essere considerato un limone da spremere e gettare dopo l’uso” e che, ad ogni costo, “deve essere assicurata la filiera solidale”. “Licenziare una ragazza dopo quattro anni di apprendistato – ha detto l’assessore emiliano – non può essere considerato un buon esempio”.
Tutti d’accordo, comunque, sulla necessità di mettere la parola “fine” all’assistenzialismo e di reinserire i disoccupati nel ciclo lavorativo. “Un’azienda non può stare in cassa integrazione per anni e anni – è stato osservato da più parti – Se questo succede, c’è bisogno di scelte coraggiose e di un progetto che non abbandoni i lavoratori”.
Gli interventi hanno evidenziato che in Emilia Romagna e Lombardia, come ha affermato Muzzarelli, c’è di un’alleanza fra il buon senso e la responsabilità, che è andata oltre certi ideologismi di altri tempi. In Emilia Romagna, la sinergia pubblico-privato, ha portato alla riduzione dei cassi integrati a seguito del terremoto da 41.300 a 2700 unità, con duemila imprese sul punto di ripartire e seimila famiglie che stanno sistemando la casa. La scelta della Regione di subordinare i finanziamenti per l’innovazione all’assunzione di giovani laureati ha dato lavoro a cinquecento ricercatori. “C’è la coscienza da parte dei politici e degli imprenditori di far parte di una comunità – ha spiegato Muzzarelli – e questo continua a dare risultati”.
In Lombardia, il progetto “Dote lavoro” (voucher che chi cerca occupazione può spendere presso agenzie pubbliche e private) ha creato una sana concorrenza nel settore, dimostrando che il principio della libertà di scelta, anche in questo campo, dà i suoi frutti. È il caso di ricordare che questi voucher sono considerati dall’Europa “esempi virtuosi di collaborazione pubblico-privato”.
Melazzini, raccogliendo il consenso degli altri ospiti, ha richiamato la necessità che si ristabilisca un rapporto di fiducia fra imprese e politica. “Rapporto minato dal 68% di tasse sul reddito d’impresa – ha denunciato l’assessore lombardo – o dai 234 giorni per un permesso edilizio o dal 38% di giovani italiani che non studiano, non lavorano, non fanno percorsi di formazione”.
Bonardo e Reboani hanno poi insistito sui temi della flessibilità in entrata e uscita, sulle politiche attive (“che prima di un costo sono un investimento”) e sull’apprendistato inteso come strumento perché le aziende scambino retribuzione con investimento formativo.

(D.B.)

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