L’uomo della steppa che diede del “tu” a Dio

Press Meeting

Uno storico (nonché archeologo) e un teologo alle prese con la figura originante della storia, non solo del popolo ebraico e di tutte le grandi religioni monoteiste, ma dell’intera umanità, se è vero quel che dice don Giussani che identifica in Abramo la nascita dell’io. Una figura, quella del primo grande patriarca, che molti vorrebbero esclusivamente mitica, frutto di una costruzione fantasiosa, nata con il ritorno dall’esilio in Babilonia e necessaria a giustificare il nuovo insediamento in Palestina.
Giorgio Matteucci, docente emerito di Storia e archeologia del vicino Oriente antico all’Ucla di Los Angeles, e Ignacio Carbajosa, docente di Antico testamento all’Università San Damaso di Madrid, relatori dell’incontro su “Abramo. La nascita dell’io” (Salone Intesa Sanpaolo) non hanno sposato la tesi della storicità assoluta del personaggio. In compenso hanno dimostrato – l’archeologo – la plausibile storicità di questa figura singola, e il teologo come attraverso di lui Dio sia entrato nella storia dell’uomo, con una modalità imprevedibile e inimmaginabile.
I due relatori sono stati introdotti da Alberto Savorana, portavoce di Comunione e liberazione, che ha denunciato “squarci di vuoto nel tessuto quotidiano di oggi”, ben più preoccupanti di quelli che evidenziava don Luigi Giussani vent’anni fa. Squarci ai quali si può porre rimedio solo sottraendo l’“io” a quell’effetto-Chernobyl di cui parlava sempre don Giussani, che ha contaminato la persona all’interno, rendendola dinamicamente diversa da prima. Ma l’io rinasce da un incontro, come quello di Abramo con il Tu che l’ha scelto nelle steppe della Mesopotamia.
Buccellati, pur in maniera molto prudente, ha detto che si può “postulare una dimensione di storicità” per la figura di Abramo, studiando i primi libri della Bibbia in rapporto con la mentalità e la cultura degli Amorrei che conquistarono le steppe mesopotamiche oltre duemila anni prima di Cristo. I capitoli pre-abramici della genesi, la torre di Babele, il diluvio, la creazione della prima coppia sono più consoni, secondo Buccellati, “a un ambientamento nella steppa che nei grandi centri urbani” di Ur o di Arran. La stessa concezione dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, sarebbe più vicina alla mentalità degli Amorrei nomadi nella steppa che degli abitanti delle città mesopotamiche. Poi nella Genesi compare la figura di Abramo, con il suo “Dio personale”, l’alleanza con il quale si incarna nella discendenza fisica del patriarca.
Tutto questo, per Buccellati, insieme al fatto che Abramo non ha intorno a sé un alone di leggenda, non può essere ridotto a puro artificio letterario, frutto della fantasia di un circolo di intellettuali del quinto secolo prima di Cristo. Più che di mito, l’archeologo preferisce parlare di “memoria epica”, di Iliade più che di Eneide. C’è infine la familiarità di Abramo con l’assoluto. Abramo che dà del “tu” a Dio, che discute con lui e magari contratta e che assume una posizione decisamente nuova rispetto all’io mesopotamico o degli amorrei. In conclusione, per Buccellati la “dimensione storica di Abramo è fragile” ma del tutto plausibile.
L’archeologo all’inizio del suo intervento, proiettando una diapositiva nera, aveva ricordato il direttore del sito archeologico di Palmira, Khaled Asaad, assassinato dall’Isis. Poi, con lo sfondo di un Khaled sorridente, accanto ad un reperto da lui messo in salvo, ha chiesto un attimo di raccoglimento per l’amico scomparso.
Carbajosa, riprendendo il discorso di Buccellati, si è soffermato sulla nascita dell’io a cui fa riferimento il titolo della mostra, oltre che dell’incontro. Un titolo tratto da una citazione di don Luigi Giussani, secondo cui Dio ha scelto Abramo per farsi conoscere dagli uomini e per salvarli.
“L’intervento di Dio nella storia, attraverso l’avvenimento storico di Abramo – ha osservato Carbajosa – ha salvato l’uomo rivelandolo a se stesso”. Il relatore ha aggiunto subito che l’intreccio tra la natura e la storia è “difficilmente sopportabile per la ragione moderna”. È necessario quindi che una fede religiosa pura, “una fede di ragione”, debba allargare gli spazi della propria razionalità e non rifiutare gli elementi storici presenti nella Bibbia. Il docente ha poi invitato a volgere lo sguardo alla chiamata storica di Abramo, che segna la nascita dell’io: l’io in rapporto con un Tu. Dio alla domanda: “Chi sono io?” risponde: “Io sono Tu” ed in questo modo si rinnova il senso religioso dell’umanità.
Da quando Dio è entrato nella vita dell’uomo, l’io è perciò diventato protagonista del tempo e della storia. “Soltanto l’irrompere di Dio nel tempo – ha osservato il teologo – interrompe la ciclicità che lo aveva da sempre caratterizzato nei secoli antichi”. Quindi il destino dell’uomo e il suo compimento hanno luogo quando l’io si concepisce dentro un popolo. Dio ha costituito un’alleanza e la storia del popolo d’Israele diventa la storia della salvezza di tutta l’umanità. “Cristo è il vero discendente di Abramo – è l’osservazione del relatore – perché obbedisce al volere del Padre: tutti quelli che gli appartengono sono i discendenti di Abramo”. Il mistero della storia ha il fine di condurre l’uomo a interrogarsi e ritrovare se stesso. “Per salvare il mondo Dio sceglie Abramo e così – ha concluso Carbajosa – dire di sì a Colui che ci chiama è il contributo più grande al mondo”. Quindi costituire un io cosciente del proprio destino è la sfida per chi vuole essere all’altezza dei nostri tempi.

(D.P., D.B.)

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