L’ultimo lenzuolo bianco: il viaggio di Fahrad per riscoprire il proprio cuore

Press Meeting

Rimini, lunedì 20 agosto – “Il vento a Kabul racconta storie, per chi le sa ascoltare…”: si apre così lo spettacolo “L’ultimo lenzuolo bianco – Il punto bianco nel cuore dell’uomo”, scritto da Roberta Co-lombo, per la regia di Alex Ruzzi, liberamente tratto dall’omonimo libro di Fahrad Bitani, andato in scena alle 21.30 al Teatro Ermete Novelli di Rimini. Interpreti principali sono stati Martino Iacchetti nel ruolo di Fahrad, Fabrizio Cadonà che ha dato voce all’amico Seyar e ad una serie di personaggi che emergono dai ricordi durante il racconto, Clarissa Pari e Lucina Scarpolini.

È una storia vera, quella che Manà, interpretata dall’ottima Clarissa Pari, racconta accompagnata dal vento di Kabul. Una storia che parte da lontano, la storia del proprio figlio, Fahrad, che nasce nella capitale afghana segnata dal rumore del kalashnikov. L’infanzia vede Fahrad e Seyar che giocano perennemente alla guerra, usando armi scariche, imitando i modelli di cui sono circondati: la guerra, la violenza, l’esempio del padre militare nell’esercito afghano sono il denominatore comune delle giornate dei ragazzi. I ricordi proseguono: il padre, incarcerato dopo la presa di potere dei fondamentalisti, ritorna libero, come mujahidin, in un contesto di lotte intestine che segnano la personalità del ragazzo.

Il ricordo, accompagnato dalla voce narrante della madre, vede un susseguirsi di immagini forti e violente: nel 1996 i fondamentalisti islamici prendono il potere. Sono gli anni delle esecuzioni pubbliche, a cui lo stesso Fahrad partecipa, gli anni dell’imposizione della visione coranica distorta e dell’arresto del padre che riesce ad evadere dal carcere di Kandahar. E anche quel lenzuolo bianco regalato dalla madre per avvolgervi il padre dell’amico morto diventa un segno di come uno spiraglio di generosità e di gratuità possa ancora esservi in quel mondo così buio, in cui anche il vento sembra ora piangere.

L’Iran che si presenta agli occhi del giovane Fahrad dopo la caduta dei Talebani, non è, però, quel paese che lui sognava: la sua famiglia, rientrata a Kabul, si ritrova dalla parte dei vincitori. Denaro e potere si accompagnano ad una decadenza morale dei giovani della città, tra festini e droga, macchine potenti, che determinano nel protagonista la nascita di una esigenza nuova, un bisogno di qualcosa che vada oltre quella vita lussuosa, ma finta.

La svolta inizia con la permanenza in Italia: il sogno di vestire la divisa lo porta all’iscrizione all’Accademia di Modena, ma è dal confronto con il nuovo contesto di vita che emerge l’esigenza, il bisogno nuovo di capire. Abitudini di vita completamente diverse, una accoglienza fatta con il cuore, senza finalità di “indottrinamento”, l’amicizia con i ragazzi italiani: tutto ciò contribuisce alla presa di coscienza. In tutti i cuori c’è quel punto bianco che è una via di speranza per un cambiamento positivo.

Il confronto con la realtà afghana, in cui Fahrad si immerge quando ritorna temporaneamente a Kabul, è sempre più serrato: adesso è un militare, assiste ad interrogatori dei talebani arrestati, di coloro che vorrebbero immolarsi nel nome di dio. E con un attentato che il giovane subisce, scampando per poco alla morte, il cambiamento si fa definitivo: alle armi si sostituisce la penna. “Fahrad scriveva, scriveva e più scriveva e più si avvicinava a sé stesso”. Ritorna in Italia. ll bisogno viscerale di scrivere diventa esigenza vitale. La sua esperienza e la scoperta che cambiare è possibile, che esiste un mondo diverso da quello delle armi, del sangue o del potere: basta divisa, basta armi, perché nessuna guerra è giusta e nel nome di nessun dio un fratello dovrebbe uccidere un altro fratello.

(S.Z. )

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