Libertà dietro le sbarre, il vero recupero comincia in un incontro

Press Meeting

Il vasto auditorium Intesa San Paolo D5 si riempie velocemente questo pomeriggio alle 15.00 in attesa dell’incontro “Testimonianze dalle periferie: libertà dietro le sbarre”. Tra il pubblico – come dirà qualche minuto dopo Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio sociale Giotto di Padova – ci sono agenti, magistrati di sorveglianza, avvocati, ex detenuti e detenuti in permesso premio con i loro familiari. Un lungo applauso li saluta e il presidente passa a presentare Patrizia Colombo, responsabile di progetto della coop sociale onlus Homo Faber che opera nella casa circondariale di Bassone (CO), Rosa Alba Casella, direttore del carcere di Modena e direttore reggente del carcere di Rimini, Massimo Parisi, direttore della seconda casa di reclusione di Milano Bollate e Guido Brambilla, magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Milano, che ha inviato al Meeting un proprio intervento video poiché motivi personali hanno impedito la sua presenza in fiera.
Boscoletto passa ad analizzare le situazioni estreme in cui versano le case di detenzione italiane (e quindi i detenuti) tanto da ricevere la condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per trattamento inumano e degradante ma, sottolinea, “occorrono cambiamenti non solo formali”. “Poco cambia per i detenuti aver goduto in cella anche 100 metri quadrati, se poi hanno passato tutto il tempo della pena nell’ozio, senza una reale rieducazione all’inserimento nella società. Ridonargli la libertà al termine della pena sarebbe un gesto di irresponsabilità grande oltre che illegale, favorirebbe la recidiva che, come sappiamo, arriva in questi casi anche all’80 per cento. Occorre fare qualcosa – continua accoratamente – stiamo parlando di persone che certo hanno commesso gravi errori, anzi in alcuni casi gravissimi, ma non dimentichiamoci che si tratta di persone”.
Il presidente del Consorzio Giotto poi passa a raccontare cosa è stato fatto al Meeting in questi anni dal 2006 (anno in cui si è voluto mettere al centro delle riflessioni l’articolo 27 della Costituzione) fino ad oggi. Il momento più commovente e denso di questa carrellata di volti, incontri e fatti si raggiunge quando racconta del 2008, quando i detenuti presenti al Meeting hanno fatto le guide alla mostra “Vigilando redimere”. “In quell’occasione erano state pensate anche guide per i bambini. Una di questi fa una domanda a un detenuto pluriergastolano: “Perché non ci hai pensato due volte prima di sparare?” Questa domanda, sgorgata dal cuore di una bambina di 8 anni, ha fatto comprendere a quell’uomo con dolore tutto il male commesso e da lì ha cominciato a scontare davvero la pena”. “Per questo secondo noi”, continua Boscoletto, “la vera pena comincia con un incontro”.
La parola passa a Patrizia Colombo che, con un intervento corposo e ricco di testimonianze, racconta la propria esperienza, iniziata anche per lei da un momento di difficoltà, quando decise di collaborare con la casa circondariale di Bassone per la strutturazione del progetto Homo Faber per realizzare un centro stampa tra le mura della casa di detenzione. Dalla sua testimonianza emerge che “solo da uno sguardo buono con cui io stessa sono stata guardata è potuto sgorgare uno sguardo altrettanto positivo sulla realtà”. Nel suo caso, verso la realtà dei detenuti, “portando frutti di rinascita inaspettati e stabili”. Così stabili da diventare luogo di amicizia e desiderio di costruzione di una dimora: una casa che possa accogliere detenuti ed ex detenuti con i loro familiari. Commoventi lettere di carcerati (oramai amici) documentano questo impossibile cambiamento. “Quando la carità inaspettatamente ti viene incontro con un volto umano – racconta Colombo – tu capisci che è quello ciò che da sempre aspettavi”, conclude con una frase tratta dalla lettera di un ex detenuto albanese.
“Spero che questo appuntamento sia l’occasione per creare un legame tra il Meeting e la casa circondariale di Rimini – esordisce Rosa Alba Casella – il carcere di Rimini, anche strutturalmente, si trova in una zona che lo nasconde alla città. Credo che questo accada per una tendenza tutta moderna a nascondere dalla vista tutto ciò che ci turba e ci inquieta. In carcere ci sono i perdenti, una minaccia per la società”. Le condanne della corte e i ripetuti appelli di Napolitano, osserva la direttrice, non hanno indignato l’opinione pubblica. “A me pare che l’illegalità del carcere sia accettata, perché riguarda coloro che non hanno rispettato le norme. Ma è dimostrato che condizioni detentive inumane costituiscono un ostacolo gravissimo a una rieducazione. Un detenuto comincia a nutrire disprezzo per la società, e il degrado in cui vive contribuisce ad aumentare questo rigetto. La dignità deve restare intera anche in carcere. Perché la dignità non si acquista per meriti e non si perde per demeriti”. E poiché ciò che accade ‘fuori’ incide su ciò che accade ‘dentro’, “ritengo che la possibilità che un detenuto abbia di costruirsi una vita migliore dipenda anche dalla chance che la comunità deve dargli in termini di giudizio”.
Molto apprezzato l’intervento di Massimo Parisi, anche perché, sottolinea Boscoletto, quella di Bollate è una casa di reclusione esemplare nel nostro Paese. “Mi sono avvicinato al carcere in modo teorico, dopo alcuni anni di studi. A ventitré anni avevo molte nozioni esclusivamente accademiche, che non avevano molto a che fare con l’umanizzazione dell’individuo sottoposto a pena. Mi sono accorto che spesso non è il reato a definire la persona: giudichiamo infatti il reo in base a ciò che ha commesso e lo etichettiamo, lo emarginiamo dalla realtà, trascurando il fatto che ognuno di noi ha in sé attitudini, potenzialità, risorse e capacità di cui non è consapevole”.
L’obiettivo del percorso riabilitativo, ricorda Parisi, è ascoltare, seguire e accompagnare i detenuti al reinserimento sociale. In più, alla fine del loro percorso carcerario, pensare ad un inserimento lavorativo agevolato, tramite gli affidamenti ai servizi sociali o a misure alternative alla pena. Parisi poi ha proposto alcune riflessioni sul reinserimento. Oggi si valorizzano poco i detenuti, da inserire invece nei contesti lavorativi dopo un adeguato accompagnamento. “Da soli non si va da nessuna parte – ha affermato il direttore – evidenziando il singolare destino comune che unisce i detenuti e le vittime del reato, e raccontando del progetto Demetra, attraverso il quale i detenuti con il lavoro raccolgono fondi per risarcire le vittime.
Anche per Brambilla ha manifestato grande preoccupazione per le famiglie dei detenuti e le vittime dei reati. “La detenzione è un aspetto fondamentale della pena, ma l’aspetto riabilitativo è quello decisivo – ha affermato nell’intervento videoregistrato – le misure alternative alle pene e al recupero del detenuto hanno grande importanza. L’umanizzazione della pena è un aspetto sociale necessario per recuperare e reinserire nella società coloro che hanno commesso reati”. È un modo anche questo con cui “il destino non lascia l’uomo da solo”, in particolare non lascia solo “chi perde di vista la strada della rettitudine”. Le istituzioni devono quindi essere vicine “sia a coloro che sbagliano sia a chi subisce gli effetti distruttivi del reato”.
Boscoletto infine mostra alla platea un’immagine di papa Francesco in visita al carcere di Isernia, e ricorda a tutti una sua frase: “Perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì? Pensare a questo mi fa bene: poiché le debolezze che abbiamo sono le stesse, perché lui è caduto e non sono caduto io? Per me questo è un mistero che mi fa pregare e mi fa avvicinare ai carcerati”.
(M.G.D’A. – F.Po.)

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