Leggendo la Bibbia con Joseph Weiler: il processo di Gesù (1a lezione)

Press Meeting

Tornano al Meeting, dopo un anno sabbatico, le attesissime lezioni di Joseph H.H. Weiler sulla Bibbia. Weiler, giurista e esperto di diritto costituzionale europeo (è direttore dello Straus Institute for the Advanced Study of Law and Justice e co-direttore del Tikvah Centre for Law & Jewish Civilization della New York University), è noto al popolo del Meeting anche nella veste di appassionato studioso dei due Testamenti.
I due incontri di quest’anno sono dedicati al processo di Gesù, affrontato dal punto di vista procedurale, culturale e teologico. La particolare ottica giuridica di Weiler, la sua identità ebraica, come anche la felice formula seminariale delle sue lezioni riminesi, offrono una preziosa occasione – ha osservato don Stefano Alberto introducendo i lavori – per avvicinarsi al più grande enigma della storia del diritto in maniera non scontata, senza le censure del ‘politically correct’.
La lezione di Weiler si concentra sul processo davanti al Sinedrio, l’organo supremo degli ebrei che all’unanimità condannò Gesù a morte per bestemmia. L’immensa bibliografia sul tema – ha esordito il relatore – è quasi tutta dedicata a mostrare che non si poté trattare di un processo giusto, dal momento che il risultato appare inaccettabile. Gesù riconosciuto colpevole di bestemmia: come poteva egli, sacrificato come agnello pasquale, non essere immacolato? Cosa sarebbe la cristianità senza la crocifissione dell’innocente? Si sarebbe potuto eliminare Gesù con un assassinio, teologicamente sarebbe stato più facile. Perché invece la sua fine dovette avvenire tramite un processo? Qual è il significato teologico di ciò?
Tanti interrogativi sorgono nel relatore e, con lui, in tutti i presenti. Il processo ha avuto un impatto enorme sui rapporti tra ebrei e cristiani. Per secoli gli ebrei sono stati ritenuti gli uccisori di Cristo: nella loro letteratura apologetica, essi incolpano i Romani. Per Weiler, invece, la condanna fu responsabilità del sinedrio.
Ecco allora il tema di questa prima lezione: perché Gesù provocò a tal punto le autorità pubbliche ebraiche da incorrere nella condanna a morte? Perché ritenerlo così pericoloso e eliminarlo con un complotto?
1.Gesù costituisce una sfida al tempio e ai suoi rituali. Per gli ebrei, soggetti ai Romani pur in regime di autonomia, il tempio di Gerusalemme costituiva l’unico luogo di sovranità, vietato ai gentili. Gesù, entrando nel tempio, si pone violentemente nei confronti dei venditori e compratori di animali e dei cambiavalute. “Lo udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e volevano farlo morire”. In questa reazione, Weiler individua quattro diversi livelli. In superficie, si tratta di un caso di disturbo dell’ordine pubblico. Più nel merito, i sacerdoti e i leviti, che secondo la Legge vivono delle offerte del tempio, si sentono minacciati, poiché Gesù li accusa implicitamente di corruzione chiamando il tempio “una spelonca di ladri”. Un terzo livello ben più profondo emerge allorché Gesù guarisce nel tempio i ciechi e gli storpi. Nella cultura biblica la malattia è segno del peccato. Per ottenere il perdono dei peccati, in particolare quelli di impurità, l’ebreo portava al tempio una vittima (o la acquistava in loco, da cui la necessità di cambiare il denaro) che solo il sacerdote poteva offrire in sacrificio espiatorio. Gesù quindi con il suo comportamento elimina la necessità del sacerdote e del sacrificio, cancellando di fatto la necessità del tempio. Ancora più radicale doveva apparire il suo disprezzo nei confronti del tempio quando affermò che lo avrebbe distrutto e riedificato in tre giorni.
2.Gesù sfida i Sadducei e i Farisei, cioè i custodi e gli interpreti della Legge. I Sadducei (di cui molti erano sacerdoti) osservavano solo la Legge scritta, mentre i Farisei anche la tradizione orale, interpretata dai rabbini. Unico autore della Legge è Dio. La sfida di Gesù alla Legge si esprime ad esempio nell’episodio dei discepoli che, affamati, raccolgono spighe nel giorno di sabato. L’infrazione, che ricorre solo nella tradizione e non nella Bibbia, scandalizza i Farisei. Gesù replica dapprima da esperto rabbino: la Legge non è stata affatto violata, perché esistono le eccezioni (i sacerdoti stessi lavorano di sabato; Davide mangiò i pani delle offerte del tempio). Poi però attribuisce a se stesso l’autorità, inaudita e divina, di modificare la Legge: “Il figlio dell’uomo è signore anche del sabato”. Nel rapporto tra Gesù e la Legge c’è sempre questa ambivalenza: da una parte egli la interpreta, dall’altra la cambia.
Ai Farisei e agli Scribi che si scandalizzano perché mangia con i peccatori e i pubblicani, Gesù replica “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati”. L’obiezione è fondamentale per la religione ebraica biblica, articolata sulla base delle distinzioni e dei confini (animali puri/impuri; sabato/resto della settimana). Gesù sfida il sistema dei confini, perché tutti ai suoi occhi sono figli di Dio. Evoca così negli ebrei l’incubo più grande: la fine dell’alleanza esclusiva fra Dio e Israele, la scomparsa stessa del popolo eletto, l’annullamento dell’identità nazionale: “Non c’è più né Giudeo né gentile, ma tutti siamo uno in Cristo Gesù”.
Nella seconda parte della lezione, Weiler ha indagato le motivazioni dell’ostilità del sinedrio, esaminando la narrazione di Giovanni e poi quella dei sinottici, con nuove domande.
Secondo Giovanni non avvenne un processo, ma solo un interrogatorio davanti a Caifa. Si riconosce che Gesù “compie molti segni”, cioè (secondo il linguaggio biblico) “segni di Dio”. Ma se le autorità accettano che Gesù compia i segni di Dio, perché all’unanimità lo rifiutano? Enigmatiche anche le parole di Caifa: “Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno la nostra nazione”: sono evidentemente paure reali, ma di che si tratta? E ancora: “E’ meglio che un solo uomo muoia anziché tutta la nazione”. Perché Gesù è ritenuto pericoloso a tal punto?
Stando ai sinottici, invece, il processo ci fu. Leggendo il vangelo di Marco, il più antico, si ha l’impressione che Gesù sia stato processato nel rispetto delle procedure. Nei processi capitali, infatti, era obbligatorio esibire almeno due testimoni, come di fatto avvenne. Esasperato dai silenzi di Gesù, Caifa alla fine gli chiede: “Sei tu il Messia?”. Gesù, onesto, risponde “Lo sono”. Caifa si straccia le vesti e lo accusa di bestemmia, dando seguito alla condanna. Ma all’epoca una risposta come quella di Gesù non costituiva affatto una ‘bestemmia’ (la parola tra l’altro non esiste né in ebraico né in aramaico). Per quale motivo allora Gesù fu condannato a morte? Il pubblico, che è stato attentissimo e ha anche più volte interloquito con il relatore, viene lasciato nella suspence, in attesa della seconda lezione di domani.
(A.D.P.)

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