Le parole sono pietre?

Press Meeting

Aprendo il dibattito Alberto Savorana, direttore di “Tracce”, ha dato lettura del comunicato stampa di CL contenente il messaggio inviato da don Julián Carrón dopo essere stato ricevuto in udienza questa mattina dal Santo Padre.
Il titolo provocatorio dell’incontro è una domanda rivolta a una serie di ospiti da cui dipende tanta parte della comunicazione in Italia. Savorana ha ricordato la grande responsabilità che don Giussani attribuiva ai giornalisti, in quanto “portentosi provocatori della vita comune degli uomini”. Spesso, infatti, siamo fragili come bambini quanto a possibilità di giudizio e difesa: abbiamo bisogno di essere aiutati ad uscire da un clima di paura, alimentata dalla menzogna, e a recuperare tutta la nostra libertà. Per una volta, dunque, i direttori di giornali e telegiornali sono qui invitati a parlare di se stessi.
Mauro Mazza, direttore del TG2, ha posto l’attenzione sulle “pietre” a cui si fa riferimento nel titolo: quelle del muro di Berlino sono vendute come souvenir, mentre quelle delle Twin Towers di New York sono state portate lontano in quanto oggetto di scandalo. Il limite di immagini e parole è che spesso non riescono a dare pienezza al significato delle pietre di cui parlano: sempre esse descrivono infatti un solo punto di vista. Eppure oggi l’immagine domina su tutto: il rischio che si corre non è quello di evidenziare la banalità del male, ma quello di abituarsi al male e quindi vivere nella nostra stessa banalità. Quante volte si parla di esodi e controesodi solo per trattenere il pubblico dopo avergli mostrato atroci immagini di guerra? Occorre invece ancorarsi alla realtà e alla verità delle cose: questa infatti esiste ed è oggettiva. Se stabilire una gerarchia di valori non attiene ai compiti di un giornalista, non vi attiene nemmeno il manipolare la verità. Nonostante l’assenza di intellettuali e la latitanza di molti giornalisti (“me compreso”), Mazza si è detto convinto comunque che se sarà necessario il popolo sovrano sarà ancora capace di difendere la libertà e la verità.
Giancarlo Mazzuca, direttore del “Quotidiano Nazionale”, ha espresso tutta la fatica che comporta l’essere direttore di un giornale oggi. Partendo dalla domanda: “giornalisti si nasce o si diventa?”, Mazzuca ha abbracciato la tesi di Montanelli, secondo cui “il giornalista deve essere un artigiano come quelli delle botteghe del 1500”, che conquisti giorno per giorno la propria professionalità. Non colgono il punto della professione giornalistica, dunque, nè la visione romantica affermatasi nell’America degli anni ’50 (e giunta al suo apice con la vicenda del Watergate), secondo la quale il cronista sarebbe una sorta di don Chisciotte che si batte per la verità in favore del popolo; né la prospettiva di Scalfari, che non vede alcuna differenza tra il mestiere di giornalista e tutti gli altri. Il giornalista deve invece riuscire a stabilire un rapporto umano di fiducia con i propri lettori, cercando di avvicinarsi il più possibile a una visione obiettiva delle cose: infatti dal momento che – come affermava Kant – l’obiettività è un fatto esterno al soggetto, non può esistere l’obiettività assoluta. Mazzuca ha poi riconosciuto l’errore compiuto da gran parte della stampa quando, in occasione delle elezioni presidenziali USA e del recente referendum sulla fecondazione assistita, ha dato per assodata – con arroganza e superficialità – una realtà che non esisteva.
Maurizio Belpietro, direttore de “Il Giornale”, ha ricordato varie vicende del passato per sottolineare quanto male si possa fare con le parole. Belpietro, che considera i giornalisti come strumenti di comunicazione, ha rilevato l’anomalia che spesso li caratterizza, “un cinismo a cui spesso mi sono piegati anch’io”. Esistono comunque due categorie: da una parte i giornalisti che diventano strumenti inconsapevoli, quelli votati a dare “la notizia a tutti i costi” per dimostrare di essere più bravi degli altri; dall’altra quelli consapevoli, che vogliono giocare un ruolo diretto nelle scelte del Paese. È questo il caso di diversi quotidiani che, durante il dibattito sul recente referendum, hanno dato voce solo alla parte che sosteneva i quattro “sì”. Belpietro ha poi richiamato la necessità di non usare i giornali per fini politici, come invece spesso accade: perché nessuno (se non “Il Tempo”) denunciò la grave crisi in cui versava la Fiat nel 1996, quando il bilancio fu sanato solo grazie alla rottamazione promossa dal governo di Prodi? Perché nessuno parla più dell’evoluzione del caso Parmalat? Perché “Repubblica” ha cominciato una nuova campagna per far credere che in Italia si faccia fatica ad arrivare alla fine del mese, quando una recente ricerca dell’istituto indipendente Nielsen ha dimostrato l’opposto? In riferimento alle polemiche maturate quest’estate e legate al mondo finanziario Belpietro ha detto di non avere “stima né per Fazio né per Fiorani”, ma che gli piacerebbe che “le parole volassero in tutte e due le direzioni”.
Ferruccio De Bortoli, direttore de “Il Sole 24 Ore”, ha individuato nella persona quello che deve essere al centro dell’informazione. Dando credito al pensieri di Luigi Einaudi, De Bortoli ha affermato che una buona informazione è quella che mette la persona nelle condizioni di svolgere a pieno titolo il proprio ruolo di cittadino. In questo senso De Bortoli si è domandato dove ci si debba fermare per avere rispetto della persona: il problema dei giornalisti è che spesso coltivano poco il beneficio del dubbio, credono di avere troppe certezze e scrivono più per le fonti che per i lettori. Si tratterebbe insomma di una “corporazione autoreferenziale”: tuttavia De Bortoli non si rassegna all’idea che “si debba avere tutti una casacca, di centro destra o centro sinistra che sia”.
Spesso – ha proseguito – anche se abbiamo la sensazione di essere informati su tutto, siamo paragonabili a dei “surfisti dell’attualità” che non sono in grado di approfondire le notizie. In quanto direttore di un quotidiano economico, infine, ha sottolineato come il giornalismo finanziario debba avere nei confronti delle imprese la stesa attenzione che i normali cronisti hanno nei confronti delle persone, esaltandone la responsabilità sociale.
Savorana ha concluso affermando che “tutta la moralità dell’informare sta nel cercare di correlare il particolare che fa la notizia alla totalità del contesto”.

P.S.
Rimini, 26 agosto 2005